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Autore: ailinon    16/05/2011    3 recensioni
Se avete letto "Lex", e trovate che quella sia la vera fine delle leggende arturiane, ebbene ecco cosa successe alla corte di Camelot, mentre il prode Lancillotto e il grande re Artù, erano spariti nel nulla...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedivere, Gawain, Kai, Mordred
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lex'
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CAPITOLO 11 – LA GUERRA DELLE DONNE

CAPITOLO 11 – LA GUERRA DELLE DONNE

 

Il rientro a Camelot fu piuttosto animato.

Mordred non capì mai come la notizia della sua quasi morte e resurrezione miracolosa si fosse già sparsa in tutto la fortezza. Ma dal vociare dei servi, comprese che tutti davano il merito del suo ritorno in vita ai poteri taumaturgici di Galahad.

I poteri di un santo. I poteri di un re.

Silenzioso Mordred si lasciò lavare e trascinare a letto da valletti altrettanto solleciti e muti.

Stranamente non vide Bedivere o Kay ma, forse anche quello era merito di Galahad.

Il ragazzino scacciò tutti dalla loro stanza dicendo, con voce sicura, che Mordred aveva bisogno di riposo.

Poco abituato alle cure disinteressate Mordred si chiese se era per tenerlo lontano dal trono ma, quando il biondo Galahad si piegò sul suo viso sedendoglisi accanto, ogni pensiero paranoico svanì.

Ogni volta che aveva incrociato lo sguardo con lui, il ragazzino gli aveva sorriso beatamente.

«Stai meglio ora?»

La stanza era stata scaldata e anche nel letto era stato posto uno scaldino prima del suo arrivo.

Come diavolo aveva fatto a farsi servire così prontamente dai valletti, Mordred proprio non lo capiva. Ma non voleva che distogliesse i suoi occhi da lui, quindi annuì soltanto con un grugnito.

«I miei cani?»

Le dita di Galahad scivolarono a scostargli alcune ciocche di capelli neri dal viso: «Li ho mandate a far lavare e asciugare, poi te li porteranno qui. Mi hanno detto che sono trovatelli che hai adottato»

 «Sono loro che hanno adottato un bastardo, direi» rispose Mordred, domandandosi anche come Galahad riuscisse a farsi dire tutte quelle cose da degli sconosciuti.

Il diciassettenne sorrise, scuotendo appena il capo: «Comunque li porteranno tra poco. Pensavo che volessi averli con te ora»

 «Non sono moribondo» sibilò l’altro, caustico.

«No, sei solo quasi morto davanti ai miei occhi, quindi: riposa!» impose gentilmente alzandosi dal letto: «Ti ordino di non lasciare il letto fin almeno all’ora di cena»

Chiuse le ante di legno delle bifore della stanza e s diresse verso la porta.

Mordred mugugnò qualcosa, obbedendo, e lui aggiunse: «Sta tranquillo, ti verrò a svegliare. Ora vado a rassicurare tutti sulla tua salute»

 «Come se importasse a qualcuno» bofonchiò il principe, tirandosi le coperte fin sopra le orecchie.

Sapeva che non sarebbe importato a nessuno. Tranne a una persona sola.

***

 La stanza era immersa nella penombra della sera quando lo svegliarono le campane dei vespri. La cena sarebbe stata servita tra non molto, e Mordred si svegliò con la curiosità di sapere se davvero Galahad sarebbe venuto a chiamarlo, o avrebbe osato tenere la scena da solo.

Era un dubbio infantile, perché sapeva che quelle idee a Galahad non passavano neppure per la sua bella testolina bionda. Non era proprio fatto per certe raffinate strategie. Era talmente ingenuo che non c’era neppure gusto nel punzecchiarlo. Cosa che lui aveva imparato a fare fin da piccolo, anche per difendersi dai fratelli. Tutti legittimi.

Galahad non aveva la lingua velenosa di Kay o il cervello perfido di Agravain. Anzi, gli sovveniva che la bocca del ragazzino fosse invece dolce e succosa come una fragola matura. O forse simile a qualche tipo di dolce che si scioglie sul palato. O forse… Vellutato e sensuale come un morbido frutto esotico… Una pesca, magari.

Immerso in quei pensieri, mugugnò stiracchiandosi compiaciuto. Chissà da dove gli erano venuti quei pensieri…

Se bastava che il ragazzino gli facesse la respirazione bocca a bocca per eccitarlo, doveva proprio decidersi a sling…Ehm, baciarlo come si deve.

Una voce interruppe le sue elucubrazioni sessuali, ops mentali.

 «Ah! Allora è così che passa il tempo il re di Britannia… Dormendo e cercando di affogarsi da solo? Ottima vita davvero!»

Sentendo quella risata di donna, Mordred s’irrigidì.

La tenda del baldacchino venne scostata e lui vide l’elegante donna seduta accanto al letto. Era bella malgrado non fosse più giovane. Sensuale e raffinata con i capelli rossi elegantemente intrecciati.

 «Madre» scandì gelidamente: «Che cosa ci fate voi qui?»

 «Una regina può andare dove vuole, figlio; o devo forse ricordartelo?» rispose lei distrattamente, facendo roteare qualcosa tra le mani.

Nella penombra, Mordred non capì di che cosa si trattava.

Ignorando quel movimento lento e ipnotico, la contraddisse: «Una regina nel suo regno si, madre, ma queste non sono le Orcadi»

Freddo e glaciale, cosa che lei finse di non comprendere.

«Come? Non sono forse la madre di un re? Quindi, nel suo regno posso andare dove voglio» sorrise Morgause accondiscendente, come spiegasse qualcosa a un bambino.

Mordred notò i suoi abiti più suntuosi e come sempre, più scollati.

Bella e insidiosa come un serpente velenoso.

Aveva temuto quel momento.

Trattenne a stento l’ira perché sapeva che non l’avrebbe affatto avvantaggiato con lei.

La guerra delle donne era sottile e subdola. Manovratrice. Cosa che aveva imparato a suo spese, molte e molte volte.

Non ci sarebbe cascato di nuovo.

Lui era, solo Mordred.

 «Io non sono re, madre»

Lei lo fissò con i suoi intriganti occhi verdi da gatto, e continuò a far turbinare quella piccola ruota del destino tra le sue mani.

«Non lo sei ANCORA figlio ma, per ora ti sei comportato con molta astuzia, facendoti eleggere dai cavalieri. Nessuno ti potrà accusare se prenderai il trono alla morte di Galahad»

Mordred ebbe un lieve scatto nervoso all’angolo della bocca, poi rimase impassibile.

Tacque il tempo di un’eternità, mentre il grande anello tra le mani della madre ruotava senza posa, illuminandosi di strani bagliori dorati.

 «Non c’è bisogno di uccidere Galahad» gli uscì in un sospiro duro.

Non ricevendo risposta, proseguì: «Egli è un cuore candido. Farà tutto quello che gli chiederò. Persino prendersi le mie colpe o fastidi. Lui è…»

La piccola ruota si bloccò tra le mani di Morgause.

«Galahad deve morire» Una condanna.

«Troveremo il modo di farlo apparire un incidente. E il trono sarà tuo»

Finalmente la luce colpì quello strano oggetto tra le sue mani mentre lei lo allungava verso Mordred.

Il principe rabbrividì riconoscendo la corona di suo padre. La corona di re Artù.

Dove l’aveva presa, solo la Dea sapeva.

Impallidendo, prese a sudare.

 «Sarai re, Mordred. L’erede di tuo padre. Come ti spetta»

Mordred deglutì a vuoto.

Restare impassibile. Non mostrare emozioni. Quello era l’unico modo per combattere la guerra delle donne cui lui era invischiato senza volere.

Ed era proprio la cosa più difficile da fare in quel momento.

«Così tutti ti riconosceranno per quello che sei davvero… Il figlio di Artù»

Il principe rifletté velocemente, ricordando le parole di Galahad. Valutando le parole della madre.

Lui era la persona più difficile da manovrare che Galahad conoscesse… Lui era solo Mordred. Lui era la persona che solo Galahad aveva osato salvare. Aveva avuto l’incoscienza di salvare…

 «E’ un innocente. Un tonto non serve…» osò protestare, ma la voce gli tremava.

 «Deve morire» ripeté la regina, porgendogli la corona.

Mordred la guardò come se fosse un animale pericoloso, così Morgause la posò sul letto davanti a lui.

Lui rimase in silenzio, fissandola e fissandola ancora.

 «E poi… Come tenere i francesi senza di lui?» aggiunse automaticamente la sua bocca.

«E se non lo farai, saranno i galli a fare fuori te. Scommetto che stanno già ideando qualcosa» sorrise Morgause, come parlasse del tempo. Si alzò in piedi e, languidamente disse: «Pensateci» quindi uscì dalla camera, lasciandolo solo.

Nel silenzio Mordred fissò la corona.

Era il simbolo di tutto quello che aveva sempre desiderato essere.

O forse quello che gli avevano imposto di dover essere.

Galahad non gli aveva imposto mai nulla.

Aveva rischiato la vita per la sua, senza aver nulla in cambio…

Sbirciò la corona, che lo guardava brillando ammiccante.

Con uno scatto d’ira l’afferrò e la gettò lontano da sé.

Oro rimbalzò più volte per terra, fino ad andare a  roteare in un angolo buio della stanza.

Mordred fissò il buio davanti a sé, poi si lasciò sprofondare nelle coperte.

Il profumo di gigli di Galahad aleggiava nell’aria.

***

 

   
 
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