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Autore: ailinon    18/05/2011    4 recensioni
Se avete letto "Lex", e trovate che quella sia la vera fine delle leggende arturiane, ebbene ecco cosa successe alla corte di Camelot, mentre il prode Lancillotto e il grande re Artù, erano spariti nel nulla...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedivere, Gawain, Kai, Mordred
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lex'
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CAPITOLO 13 – ALLA TAVOLA ROTONDA

CAPITOLO 13 – ALLA TAVOLA ROTONDA

 

«Allora, senza Artù, non vi verseremo più i tributi!» esclamò uno dei re radunatosi a Camelot, sporgendosi sulla tavola rotonda.

Un coro di voci dai re sottomessi si levò, unanime.

Chissà perché Mordred non ne era affatto stupito. Infastidito serrò la bocca in una linea dura, appoggiandosi allo schienale del suo seggio.

Nessuno lo riteneva all’altezza di suo padre, per questo volevano sfuggire ai loro doveri.

Maledetti! Li avrebbe uccisi uno ad uno, pensò, digrignando i denti.

Alzandosi, sbattè un pugno sul tavolo: «Ma chi credete che siamo?! Pensate di poter venire qui e fare il bello e il cattivo tempo con la corte della tavola rotonda?» urlò: «Anche senza Artù, noi siamo la Britannia

Una mano gli si posò sul braccio, gentile, mentre una vena gli pulsava sul collo.

Era un contatto caldo che gli tolse il respiro. Una voce gentile.

«Calmati, Mordred»

Voltandosi, incrociò gli occhi azzurri, color del cielo di Galahad, e subito si placò.

Aveva un potere calmante su di lui, forse perché il piccolo francese aveva mantenuto la parola. Aveva sempre mantenuto la parola con lui.

Era venuto a svegliarlo(si fa per dire, dopo la visita di sua madre!), e gli aveva portato i suoi cani, accuditi con amore.

E sua madre voleva ucciderlo…

Galahad tenne la mano sul suo braccio mentre prendeva la parola: «Amici… Noi reggiamo il trono di Artù fin quando non tornerà e quindi, non vedo perché dovreste ritoccare i vostri accordi fatti con il re»

 «Niente Artù, niente accordi!» ringhiò il re dell’Irlanda.

 «Come osate ribellarvi?!» protestò ser Tristan, seduto accanto a re Mark di Cornovaglia: «Volete forse la guerra? Vi devo ricordare come ne siete usciti dall’ultima?»

Mordred serrò i denti, guardando gli uomini e le donne seduto attorno alla grandissima tavola rotonda.

Tutti si erano messi i migliori abiti e i più bei gioielli per mostrarsi lì; e malgrado questo, venivano a protestare.

Mark, Tristan, Urien, Bors, Nentres, Sagremore… Tutti voleva mostrarsi i migliori.

Ma fare una guerra… non sapeva se i soldati l’avrebbero seguito; ne quanti soldi avevano disponibili nelle tesorerie.

Imporre nuove tasse per una guerra era il modo peggiore per cominciare un regno.

Doveva comunque parlare con il suo connestabile, per sapere tutte queste cose.

Perché diavolo ser Bedivere non lo aveva consigliato?

Incrociando il suo sguardo, vide che li stava scrutando. Insomma, doveva arrangiarsi, ed essere persino soppesati dai suoi stessi cavalieri.

Intollerabile.

 «Signori, calma per favore» li interruppe una voce femminile.

Era la regina Ginevra, seduta accanto a lady Morgana. Le due non si erano ancora decise ad andarsene, e Mordred cominciava a sospettare che l’idea del ritiro fosse passata dalla mente di zia Morgana appena aveva visto il “divertimento” che stava per arrivare a Camelot.

E lui e Galahad erano i burattini al centro dello spettacolino…

 «Non c’è bisogno di ricorrere alle armi come dei bruti romani» sorrise Ginevra, sistemandosi i capelli biondi, sul suo bel abito bianco.

Mordred storse la bocca, considerandola di nuovo la peggiore moglie che suo padre potesse mai scegliere. La sua testa era vuota come una brocca in mano ad un ubriacone!

Alcuni l’avrebbero definita un’oca. Totalmente diversa da sua madre.

Anche guardandola in quell’istante, la regina Morgause era una serpe.

Forse Artù aveva scelto Ginevra proprio a causa dell’esperienza con Morgause, suppose il figlio, incrociando lo sguardo della madre.

I suoi occhi versi sorrisero e lei alzò il calice nella sua direzione.

Un breve sorriso che mise i brividi a Mordred.

Non seppe perché ma, un’improvvisa intuizione gli fece temere il vino nel suo bicchiere.

“Veleno”si disse. E non era certo per lui ma per… Galahad!

Si voltò a fissare il compagno, tentando si mantenere la calma. Non aveva ancora bevuto nulla, grazia alla Dea.

Doveva solo non farlo bere e tutto sarebbe andato bene. Tutto bene.

La discussione era proseguita mentre lui era immerso nei suoi pensieri, e ora i re avevano preso ad attaccare proprio Ginevra.

 «Che parlate a fare voi, madonna? E poi come osate presentarvi ancora a corte dopo aver tradito il re?»

 «Nulla è stato mai provato» ricordò Parsifal, intromettendosi.

Nessuno gli badò.

 «E con il suo miglior cavaliere! Un francese…» rise il re del Galles.

 «Mio padre non è un traditore!» protestò Galahad, indignato.

 «Ah no? E non è forse scappato come un cane?»

Cercando di non farsi prendere dall’ira, Galahad scandì: «Sicuramente è successo qualcosa che noi non sappiamo…»

 «Gia!» urlò uno dei re: «Forse Lancillotto ha ucciso Artù, ed è scappato con Excalibur, e non vede l’ora di tornare a riprendersi la regina!»

Scoppiò il putiferio.

 «E’ vero! La spada magica del re! Era quella che univa i popoli. Dov’è la vostra, Mordred?» chiesero i sovrani francesi, rammentando : Non ci sono profezie su di voi, Mordred, o sbaglio?» ironizzarono ancora.

Il principe strinse i pugni, facendosi sbiancare le nocche.

Maledetto Merlino e le sue diavolerie!

Ecco in che guaio l’aveva cacciato (oltre che quasi farlo accoppare!)

La rabbia gli fece arrossire persino le orecchie ma, lui cercò di rimanere totalmente freddo. Non voleva dar loro la soddisfazione di avere un pretesto per scalzarlo dal trono. Era suo di diritto, dannazione!

Anche se, persino sua madre sembrava divertirsi delle sue difficoltà.

 «Non ascoltarli Mordred. Cercano solo un pretesto per attaccar briga» gli sussurrò Galahad, avvicinando il viso alle sue orecchie.

La voce gentile e preoccupata.

L’unico.

 «Miei signori!» li richiamò Lady Morgana, alzando le mani in un gesto di calma: «Non è il momento di litigare. Non ora che il re dei sassoni potrebbe cogliere l’occasione per invaderci tutti!»

Mordred conosceva vagamente re Childric di Sassonia. Per ogni evenienza (tipo avere il trono), si era tenuto in contatto anche con lui, epistolarmente. E non era certo più brutale di tanti cavalieri seduti alla tavola, in quel momento. Gli aveva anche mandato dei regali. Certo per ingraziarselo ma, comunque graziosi doni che, per una volta, lo avevano fatto sentire un vero principe.

 Re Galehaut, che sino a quel momento si era tenuto fuori da tutto quel vociare, ascoltando soltanto, decise di intromettersi: «Insomma! Quante ciance che avete! La verità è che siete solo degli spilorci» disse ridendo tranquillo anche davanti alle facce oltraggiate degli altri nobili: «Io non ho questo tipo di dubbi. Pagherò i tributi e rimarrò alleato dei due  compagni re»

Tutti lo fissarono esterrefatti.

Malgrado quel suo piccolo errore di comprensione del termine “reggente”, Galehaut, re delle isole lontane, era  reputato il sovrano più potente degli alleati di Artù.

Forse non il più ricco ma, il più temibile.

Perché sottostare a Mordred, si chiedevano i signori di Britannia.

Galehaut si voltò verso ser Gawain, curiosamente seduto al suo fianco e, sorrise serafico.

Gawain accennò un breve sorriso tirato, muovendosi a disagio quando la mano del rosso scivolò, celatamente, sulla sua coscia.

Quel pazzo non aveva capito nulla del suo modo per consolarlo dell’assenza di Lancillotto!

Ma aveva la consolazione di aver almeno aiutato il fratello Mordred, si disse.

Certo solo se quel tonto si toglieva dalla faccia quella espressione sbalordita.

E anche Galahad.

I re non devono mostrare di essere sorpresi dell’aiuto che ricevono! Era la prima regola per dominare che sua madre gli aveva insegnato.

Quando il brusio di sorpresa si placò, altri re mugugnarono assensi riguardo ai tributi.

Tanti furono quelli che seguirono il gesto di Galehaut, il potente re dei vichinghi. Tanti che Mordred cominciò a sperare di avere un regno su cui governare.

Vide zia Morgana che gli sorrideva beneaugurante ma, la voce di sua madre gli gelò il sorriso sulle labbra.

 «Bene. Visto questo accordo, propongo un brindisi!» esclamò Morgause, alzandosi in un gesto lento e sensuale. Levò il calice e tutti la imitarono mentre Mordred vedeva, come a rallentatore, anche il bicchiere di Galahad levarsi con lui.

 «Ai reggenti!» brindarono tutti.

Meccanicamente anche lui li imitò.

Il cuore che gli rimbombava nelle orecchie.

Il veleno…

Stava per perdere il trono e anche l’unica persona che aveva mai creduto in lui.

I re portarono i calici verso la bocca ma, quando l’oro lucente toccò le loro labbra, una voce lacerò l’aria. «Aspettate!» urlò. Era la sua voce.

Non so come, era risuonata tanto autoritaria da bloccare tutti. Come la voce del padre.

Galahad sbatté le sue lunghe ciglia dorate da ragazzo e chiese: «che succede, Mordred?»

Lo chiamava sempre per nome, ora. Da quando gli aveva detto di dirgli sempre la verità, lo chiamava così. E gli piaceva.

Il suo nome, nella bocca di Galahad, perdeva quel sapore aspro di maledizione e di tradimento. Il suo nome nella bocca di Galahad sapeva quasi di mare. Del vento salmastro che gli scuoteva i capelli quando era ancora solo un bimbo delle Orcadi.

Aprì la bocca e lentamente trovò una bugia da dire. Era bravo a mentire, no?

«Visto che… Io e ser Galahad, da ora in poi, comanderemo insieme(ed egli oggi mi ha salvato la vita)…» la bugia prese forma mentre gli porgeva il suo calice con lo stemma delle Orcadi.

L’aquile bicipite. Due teste, per due re, comprese. «Vorrei che condividessimo tutto. A partire da questo calice di vino. Come segno di un buon inizio»

Non avrebbe fatto spalancare più bocche e occhi neppure se avesse detto che tutta la storia di re Artù, e dei cavalieri della tavola rotonda, fosse stata solo una panzana inventata da uno scrittore folle, rinchiuso in un qualche carcere del futuro.

Gawain lo fissava come fosse ammattito, e lo stesso i suoi fratelli.

Ginevra applaudiva compiaciuta, mentre la zia morgana sorrideva estasiata, come avesse avuto una qualche visione.

I francesi e tutti gli altri temevano qualcosa, e lo guardavano con ostilità e diffidenza; ma Galahad…

Galahad…

Galahad aveva gli occhi pieni di speranza. Le gote dolcemente arrossate dal bel gesto garbato. Annuì, porgendogli il suo calice con lo stemma con la croce.

«Lo farò volentieri, Mordred» e sorrise. Di quei sorrisi tanto gentili che avrebbero intenerito anche una statua di marmo.

Mordred si voltò, evitando lo sguardo della madre, e gli poggiò il suo calice contro le labbra.

Lo stesso fece Galahad, senza lasciarlo.

Si sfiorarono le mani, piegando i bicchieri verso di sé.

«Al nostro futuro» augurò Galahad, e bevve.

 «Si… Al futuro» ripetè Mordred, chiudendo gli occhi e alzando il calice.

Si. In fondo non era male morire così. In quel momento.

Era quasi un re.

Era stato accettato da tutti (o quasi) e  aveva al suo fianco l’essere più caro, per lui, al mondo. Così avrebbe salvato il santo e il peccatore sarebbe morto, come doveva essere.

Come avrebbe già dovuto essere. Dalla sua nascita.

Ed era sicuro di lasciare Camelot –quella gente che non lo amava – in buone mani. Le più buone al mondo.

Sarebbero stati felici.

Bevve il vino. E attese il contatto del veleno…

***

 

   
 
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