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Autore: ailinon    19/05/2011    3 recensioni
Se avete letto "Lex", e trovate che quella sia la vera fine delle leggende arturiane, ebbene ecco cosa successe alla corte di Camelot, mentre il prode Lancillotto e il grande re Artù, erano spariti nel nulla...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedivere, Gawain, Kai, Mordred
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lex'
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CAPITOLO 14 – IL TRATTATO

CAPITOLO 14 – IL TRATTATO

 

Una voce ruppe il suo oblio.

Era la voce disperata di un uomo che gridava. «No! Non bevete! E’ un filtro magico!» urlò Tristan: «Ora sarete innamorati per sempre!»

Sulla tavola rotonda scese un pesante silenzio imbarazzato.

Tutti si guardarono. Alcuni ridacchiarono.

Tristan fissò attorno a sé con gli occhi spiritati, infine si coprì il viso con le mani, scoppiando a piangere.

Prontamente il suo vecchio amico Melot gli cinse le spalle e, mormorandogli qualche parola lo trascinò via.

Lentamente re Mark si alzò e cercò di giustificare il suo pupillo: «Scusatelo… Una volta è stato avvelenato e, da allora ha dei seri problemi con… Ehm… Il vino»

Tutti ridacchiarono dandosi di gomito.

Anche Morgause. E Mordred capì che non esisteva alcun veleno. Era stato tutto un parto della sua immaginazione.

“Maledetta paranoia” si disse, voltando la testa.

Ora tutti avrebbero pensato che era innamorato di Galahad…

A parte questo comunque, era tremendamente felice di essere ancora vivo. Che cosa gli era passato per la testa non sapeva proprio ma, sicuro non l’avrebbe mai più rifatto! Mai più, sicuro.

Percepiva tutto il corpo come un formicolio di caldo sangue palpitante in tutte le membra.

Lui era lui e la vita era sua. Non se la sarebbe più giocata per nessuno.

 «Mordred» sussurrò la vocina gentile di Galahd, riscuotendolo. Il ragazzino allungò le mani e gli toccò appena i capelli neri: «Sei impallidito prima e ora mi sembri accaldato. Stai bene?»

No. No che non stava bene. Metà tavola rotonda pensava che loro due stessero insieme, mentre l’altra metà voleva ucciderlo. Non era esattamente la sua serata migliore.

Se poi continuava a sfiorare i suoi capelli come fossero le morbide ciocche di un infante, o le belle treccie di un’innamorata, le cose non sarebbero molto migliorate.

Aprì la bocca e d’improvviso tuonò: «Bedivere! Il patto per le firme!»

La sua voce fu simile al ruggito del leone di ser Ywain. Tutti trasalirono mentre il connestabile si affrettava a porgergli il trattato che aveva stilato.

Ignorando la mano di Galahad, il principe appose la sua firma, passando il rotolo al francese.

Seppure sorpreso dal cambio di umore dell’altro, il giovane firmò e lo passò a destra, e a destra ancora, per fare tutto il giro del tavolo. Tutto il giro di Britannia.

Quando il foglio arrivò davanti agli ambasciatori dei sovrani nemici, degli Scoti e degli Juti, questi si guardarono tra loro.

Davanti allo sguardo truce di Mordred, decisero velocemente che era per loro conveniente firmare. Cosa valeva per loro una firma tra nemici che non avevano neppure un vero re?

Sogghignando, videro l’accordo ritornare nelle mani di Mordred.

Il principe fissò la carta con distaccata alterigia.

Squadrò gli uomini alla tavola rotonda e poi, rammentando la figura che aveva appena fatto, alzò il patto sopra  di sé e ringhiò: «Che tutti voi nobili signori, siate di testimoni di questo scritto. Connestabile, voglio che spediate una copia di questo trattato a re Childric dei Sassoni…» Si levò un bisbiglio sorpreso. «…Come un segno di pace tra i nostri popoli da parte del principe Mordred, reggente di Camelot»

Nessuno ebbe il coraggio di proferir parola.

Neanche Galahad.

E per una volta Mordred si sentì soddisfatto. Che pensassero quello che volevano di lui e del ragazzino non gli importava. Ora era lui il capo e poteva farsi chiamare finalmente principe di Camelot, senza nessun timore.

Porgendo il foglio a ser Bedivere, esclamò: «E ora possiamo anche cenare. Miei signori… Buon appetito!» e sedette.

***

Il resto della cena passò amabilmente tra ricche bevute e mangiate di selvaggina prelibata. Bardi e menestrelli giunsero ad animare la serata e non ci furono altri discorsi politici – O almeno ad alta voce -  mentre le dame si abbandonavano tra le braccia dei loro cavalieri serventi, e altri cantavano e si ingozzavano di vino raccontandosi le loro prodi avventure.

Come se fossero ancora i tempi splendidi dove Artù teneva il trono.

Molti si alzarono per danzare la grande sala risuonò di musica, mentre negli angoli si creavano capannelli di cavalieri. Tutti parlavano e nessuno faceva caso al gruppetto di cavalieri che si era unito ai francesi.

Gli ambasciatori bisbigliarono nelle orecchie di ser Bors, mentre la musica risuonava forte nella immensa sala.

Parlarono al nobile Bors e  ai suoi cavalieri celti. Lionel e altri parvero titubare alle loro profferte ma, poi si lasciarono convincere ed annuirono.

«…Non preoccupatevi, ci penseremo noi» dissero gli ambasciatori; quindi si strinsero le mani e si separarono disperdendosi nella sala affollata.

L’accordo era fatto.

***

 

   
 
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