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Autore: _AleAle_    21/05/2011    6 recensioni
Terza e ultima storia dopo "There's Just Too Much That Time Cannot Erase" e "Vida Vida" (ma che può tranquillamente essere letta sola se non volete leggere le altre :P ).
Voldemort è stato sconfitto da tanto tempo, i Malandrini sono riusciti a crearsi delle famiglie ed ora i rispettivi figli frequentano Hogwarts.
Ma cosa succede se i Lestrange, tenutisi fuori da Azkaban, hanno a disposizione un incantesimo oscuro per riportare in vita il loro padrone? E se tutto questo richiede scelte importanti e sacrifici?
Storie d'amore e d'amicizia, decisioni e tradimenti, amore e odio, bugie e misteri, tutto ofuscato dall'antica minaccia di Lord Voldemort.
A quasi dieci anni dall'inizio della loro missione, i Mangiamorte sono pronti a portarla a termine.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'altra storia, un'altra vita'
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Sono di nuovo in ritardo, lo so e quindi scusatemi tanto :(

Questo capitolo è abbastanza bruttino, ma di meglio non sono davvero riuscita a fare per quanto io mi sia impegnata, ma spero che comunque vi piaccia almeno un pochino.

Al prossimo, che visto che sarà l'ultimo cercherò di scrivere davvero al massimo delle mie capacità...

Bacioni,

Ale

 

 

34. Confessioni

Quando il suolo cominciò a tremare i ragazzi si chiesero se non fosse il caso di andare a cercare Samuel e Dione.

Teddy, con i capelli tornati di un miracoloso azzurro cielo, fece scendere Juliet dalle sue braccia.

“Vado a vedere che succede” disse rivolto agli altri.

“Vengo con te” si fece avanti Harry, seppur zoppicante.

Ron scosse la testa.

“Non hai nemmeno la bacchetta” gli ricordò “andrò io con Teddy”.

Harry non ebbe nemmeno il tempo di ribattere, poiché pochi secondi dopo videro Sam con Dione tra le braccia correre fuori dall’ologramma.

Nell’istante esatto in cui lui poggiò il piede sull’erba della foresta proibita, la terra tremò come se ci fosse stato un terremoto e un rombo sordo provenne da sotto di loro.

“E’ andata” mormorò Hermione “la caverna deve essere crollata”.

A sentir quelle parole Dione si divincolò dalle braccia di Samuel, correndo poi verso la pietra dell’ingresso e iniziando a prenderla a pugni.

Quando fu ovvio che il passaggio si era chiuso scivolò a terra, iniziando di nuovo a piangere.

Si rese conto solo allora che era finita, che non avrebbe più rivisto il gemello, che non lo avrebbe più riabbracciato.

Samuel le si avvicinò.

“Di” sussurrò dolcemente, poggiandole una mano sulla spalla “lui ci sarà sempre, vivrà nel tuo cuore”.

“Lo…lo so…” rispose lei “…ma mi mancherà”.

Il Battitore annuì, poi con un rapido e fluido gesto la prese di nuovo tra le sue braccia.

“Torniamo a scuola” disse infine agli altri.

E il capannello si avviò verso il castello, con Harry che si sorreggeva a Ginny in testa.

Dietro di loro c’erano Ron che abbracciava Hermione, il quale sorrideva felice per aver ritrovato la ragazza che tanto amava, Mira che sosteneva Noah, Teddy con Juliet di nuovo tra le sue braccia, Samuel e Dione e, a chiudere la fila, Mizar e Camille con le bacchette puntate contro i Lestrange e Draco.

Quando erano usciti della caverna Mizar senza troppe cerimonie aveva lasciato cadere padre, zio e cugino a terra, i quali si erano ripresi dallo schiantesimo a causa della botta.

Quando Rabastan aveva visto lo sguardo furioso del figlio aveva abbassato gli occhi e sorriso malinconico.

“Mi odierai sempre, lo so” aveva borbottato, fissando di nuovo il ragazza con una triste consapevolezza nello sguardo.

“Sempre” aveva confermato quello, pieno di rabbia nei suoi confronti “ci avresti uccisi tutti se ne avessi avuto la possibilità. E mia madre? Morta pochi mesi dopo la mia nascita, vero?”

Rabastan aveva abbassato nuovamente lo sguardo.

“Lo hai saputo…” aveva commentato.

L’uomo si era poi voltato verso Mira, la figlia che non aveva mai conosciuto.

Lei aveva fissato suo padre con una delusione che non aveva mai provato per nessun altro al mondo.

Finché non aveva avuto la conferma che l’uomo era stato un Mangiamorte aveva sempre immaginato quel momento, l’istante in cui avrebbe potuto fiondarsi tra le sue braccia e sentirsi finalmente completa.

A quel punto, però, provava solo un immenso disgusto.

“Sei identica a tua madre…” aveva bisbigliato Rabastan, cercando di usare un tono dolce.

Mira nemmeno gli aveva risposto, si era voltata facendo una smorfia.

L’uomo aveva infine sospirato rassegnato, ormai certo di aver perduto per sempre entrambi i suoi figli.

I due adulti si erano poi avviati di buon grado davanti ai ragazzi, perché ormai nessuno dei due aveva qualcuno che lo teneva legato a quel mondo.

Avevano entrambi perso i loro figli e Rodolphus, che camminava con gli occhi persi nel vuoto, anche sua moglie.

Non sembravano temere il futuro che li attendeva.

E poi c’era Draco, che al contrario di loro tremava come una foglia.

Temeva la punizione che gli spettava, temeva le conseguenze delle sue azioni, temeva Azkaban.

Trovarono il sentiero poco dopo, vedendolo illuminato dalla luna che filtrava tra gli alberi.

Era come se anche l’astro volesse che tornassero al sicuro a scuola, che volesse condurli la.

Quando uscirono dagli alberi camminarono svelti verso il portone, senza nemmeno il timore di essere scoperti.

Non pensarono neppure a controllare la Mappa del Malandrino perché per prima cosa volevano portare gli amici in infermeria, ma forse sarebbe stato più intelligente farlo, soprattutto dopo essersi resi conto di chi ci fosse al di la del portone.

La McGranitt.

Piton.

Insieme.

“Oh santo cielo!” esclamò la vicepreside portandosi una mano al cuore “c-che diavolo succede?”

Anche il Maestro di Pozioni assunse un’espressione quasi incredula, che però fu sostituita da una determinata quando vide i due Lestrange legati come salami.

Severus si fece avanti levando la bacchetta, puntando senza troppe cerimonie ad entrambi.

“E-esigo una spiegazione!” continuò la McGranitt.

Samuel guardò Dione tra le braccia, guardò i suoi occhi rossi e la sua aria distrutta.

“Credo che i nostri amici debbano essere controllati da Madama Chips” disse “poi risponderemo alle vostre domande”.

La vicepreside annuì, imboccando per prima le scale e dirigendosi rapidamente in infermeria.

Svegliò l’infermiera, la quale aprì immediatamente la stanza ai ragazzi che erano stati rapiti.

“Qualcuno dovrà spiegare questa storia al preside” disse la donna.

“Ci penserà Draco” rispose Mizar “e verrò anche io”.

“Io pure” si fece avanti Camille.

La capocasa di Grifondoro annuì, facendo strada ai tre verso lo studio del preside.

Pallini acidi” disse poi al gargoyle di pietra, il quale si spostò con un balzo.

Quando varcarono la soglia, Camille si ritrovò stretta in una morsa implacabile, che si rivelò essere di Lily Potter.

“Ma-mamma” biascicò “non respiro”.

“Stai bene tesoro?” chiese apprensiva la donna appoggiandole le mani sulle guance “E Harry?”

“Tutto apposto mamma, tranquilla” rispose “Harry è in infermeria con gli altri”.

Lily si voltò (e Camille si accorse di quanto fosse affollata quella stanza) e fece un cenno a Maya e Ninfadora, evidentemente preoccupate quanto lei.

Le tre donne uscirono senza dir nient’altro dallo studio, correndo poi giù per le scale.

C’erano anche James, Sirius e Remus, tutti con un grande sollievo negli occhi.

Era chiaro che, per quanto volessero sapere i motivi di tutta quella storia, erano più interessati alla salvezza dei figli.

Silente fece comparire altro quattro poltrone davanti a lui, facendo loro segno di sedersi.

In fondo allo studio c’era Piton, con la bacchetta ancora puntata contro i prigionieri.

“Vorrei sapere come sono andate le cose, se possibile” disse il preside.

“Bè, tutto è iniziato…” cominciò Mizar, ma fu interrotto.

“Immagino che lei sappia molto, signor Lestrange” lo fermò con un sorriso “ma penso che il signor Malfoy sia ben più informato di tutti noi”.

E Draco alzò finalmente gli occhi, nei quali videro tutti la grande paura che provava.

Il ragazzo sospirò, poi trovò chissà dove il coraggio di guardare il vecchio preside negli occhi.

“Tutto è cominciato a settembre, quando i miei zii hanno deciso di trasferire i miei cugini qui ad Hogwarts…”

 

Samuel accarezzava dolcemente la mano di Dione, che dormiva placida sul lettino dell’infermeria.

Da quando Madama Chips le aveva dato una massiccia dose di pozione per il sonno senza sogni non si era allontanato nemmeno per un attimo da lei, ed era deciso a farlo.

Quando sua madre gli si era avvicinata per sentire come stava lui gli aveva risposto a mezza bocca, impegnato com’era a controllare che i respiri della ragazza fossero perfettamente regolari.

Era pur sempre tornata dalla morte, doveva essere più che certo che stesse più che bene.

Sentì una mano poggiarsi sulla spalla e, quando si voltò, vide suo padre sorridergli benevolo.

“Non la lasci mai, è?” commentò.

Lui scosse la testa.

“Voglio esserci quando si sveglierà” rispose.

Sirius annuì, poi si voltò verso sua moglie che lo aveva chiamato.

“Papà” lo fermò Sam “devo…devo parlarti…”

L’uomo tornò verso il figlio.

“Non qui” aggiunse, ma poi lanciò uno sguardo incerto verso Dione.

“Resto io con lei” si fece avanti Mizar e l’altro, seppur inizialmente indeciso, annuì.

Mentre uscivano dall’infermeria il Serpeverde si sedette sulla sedia di Sam, fissando la cugina almeno finchè non sentì un dito tamburellargli sulla spalla.

Il ragazzo si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con James Charlus Potter.

“Oh, salve signore” salutò incerto.

“Così tu saresti il fidanzato della mia bambina, giusto?” domandò quello assottigliando gli occhi.

Mizar arrossì fino alla punta delle orecchie, poi annuì.

“Normalmente ti schianterei all’istante, perché non sopporterei di vedere la mia Lil assieme ad un Serpeverde però, e dico però, mi sembri un tipo a posto, quindi voglio darti una possibilità” disse.

“Gra-grazie signore” rispose il ragazzo, porgendogli coraggiosamente la mano.

James la fissò a lungo, ma non diede il minimo segno di volerla stringere.

“Non ho finito” sibilò “voglio dirti solo una cosa. Se tu farai soffrire la mia bambina io ti spezzerò le ossa, una per una”.

Mizar deglutì.

“E’ quasi la stessa cosa che mi ha detto Harry…” notò.

L’uomo annuì.

“Evidentemente ho educato bene mio figlio” disse.

Il ragazzo non rispose, chiedendosi se non fosse il caso di ritirare la mano, visto che l’Auror continuava a tenere le sue perfettamente incrociate la petto.

Quando stava per riabbassarla, però, James gli strinse le dita, guardandolo finalmente con lo sguardo leggermente più addolcito.

“E’ la mia bambina, abbi cura di lei” mormorò.

Mizar sorrise felice.

“Può starne certo, signore”.

 

Padre e figlio si diressero fuori dall’infermeria, camminando in silenzio finchè non arrivarono nel parco, sotto la luce della luna e delle stelle, fermandosi alla fine al limitare della foresta proibita.

“Ho usato l’Avada Kedavra” disse il ragazzo tutto d’un fiato, fissando l’uomo negli occhi.

Sirius rimase un attimo interdetto, poi incrociò le braccia al petto.

Sam si aspettava urla e schiaffi, ma in realtà non avvenne nulla di tutto ciò.

“Lo sapevo già” rispose l’uomo “ma speravo che mi dicessi che fosse una bugia”.

Il Battitore abbassò lo sguardo, vergognandosi come mai aveva fatto in vita sua.

“Era per difenderci, se Bellatrix fosse sopravvissuta ci avrebbe ucciso tutti”.

“So anche questo” aggiunse.

Samuel sospirò, poi prese coraggio e fece la domanda della quale temeva la risposta.

“Mi spezzeranno la bacchetta? Finirò ad Azkaban?”

“Ci sarà quasi certamente un’udienza, ma faremo il possibile per non farti finire in prigione” gli assicurò “non marcirai ad Azkaban per esserti difeso da una Mangiamorte”.

“Ho ucciso una donna papà”.

Negli occhi di Sirius brillarono una marea di sentimenti.

Delusione, rabbia, preoccupazione, paura.

“Che avrebbe ucciso voi se non avessi reagito” gli ricordò.

Abbracciò il figlio di slanciò, stringendolo a sé più che poteva.

“Non finirai ad Azkaban, Sam” gli assicurò “fosse l’ultima cosa che faccio”.

  
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