_______________ Welcome Back,
Alice
________________________ Bentornata, Alice
Alice Pleasance Liddell era
una delle ragazze prossime al debutto in società più stravaganti che Londra avesse mai ospitato, non che ne avesse ospitate
molte, in realtà.
La
madre le rimproverava sempre il fatto di essere così “palesemente originale”, non che a sua figlia mancassero le buone
maniere o si comportasse in modo esageratamente non femminile o elegante -Alice
amava tutto ciò che era femminile, elegante e di buon gusto… anche se a volte
le sue definizioni di “femminile,
elegante e di buon gusto” non corrispondevano affatto con quelle
dell’intera nobiltà inglese-, era solo che il suo modo di vestire, di parlare e
di stare al mondo non erano da “signorine
per bene prossime ormai al matrimonio e alla prole!”; questa era la frase
che, se si aveva il piacere di trovarsi nella frivola ma
rigida compagnia di Mrs. Mary Liddell, si era soliti
sentire, soprattutto se con lei vi era Alice e soprattutto se nei paraggi fossero
stati presenti gentiluomini appartenenti ai più alti status sociali.
Alice
era indifferente su questi punti, soprattutto se veniva
criticato il suo modo di vivere: le parole della madre non avevano alcuna
importanza quando a quest’ultima l’unica cosa che importasse davvero erano i
soldi che sarebbero derivati dal suo matrimonio con qualche ottuso e mediocre
rampollo di qualsivoglia casata nobiliare -era da specificare però, che Alice
mal sopportava la nobiltà, anche se tecnicamente lei stessa ne faceva parte,
era solita pensare se non dire che la maggior parte dei nobili erano “stupidi maiali da cui di certo non proveniva
il più delicato degli aromi, dall’aspetto grassoccio alquanto manchevole in
bellezza e dalla parlata leziosa, i quali non si saziavano mai né di denaro né
di fasulle attenzioni” (non che tra i nobili l’uno o le altre mancassero
mai).
Per
questi motivi Miss Liddell sognava di potersene
andare, di poter fare un viaggio talmente tanto meraviglioso da farle dimenticare sua madre, la nobiltà inglese e
la sua stupida etichetta.
Ci
fu un giorno in particolare, tuttavia, a convincere Alice che forse non tutti gli aristocratici erano
ottusi e mediocri; c’era da specificare, però, che Miss Liddell
era molto difficile da convincere soprattutto se la persona che le stava
facendo cambiare idea la provocava in un modo così garbato ma
al contempo irritante, per lei era raro divertirsi nel parlare con qualcuno che
non fosse il suo maggiordomo o i suoi gatti e la cosa le suscitava un notevole
interesse, un interesse che lei stessa provava a tener celato perché in qualche
modo non voleva dar alcuna soddisfazione né alla persona che con amabile
furbizia le aveva ammaliato la mente né, e con maggior importanza, a sé stessa.
Purtroppo per lei, non stava riuscendo nel suo intento, non come avrebbe
voluto; ma Alice non era mai stata costante in ciò che si riprometteva, per
questo motivo non si preoccupò mai minimamente se lo stravagante gentiluomo di
casa Wetmore con cui stava conversando con tanta
vivacità e schiettezza si fosse accorto con quanto interesse lei rimaneva in
sua compagnia purché non smettesse di parlare…
Tutto
incominciò quel fatidico pomeriggio, quando incontrò colui
che la stuzzicò così vivacemente da non permetterle di dimenticarsi di
quelle soleggiate ore di una primavera tanto squisita, si trovava a camminare
sovrappensiero negli sterminati giardini di proprietà dei Wetmore,
inciampando tra una radice e l’altra, cercando di non calpestare nessun fiore
dal magnifico aspetto e lasciandosi accompagnare dai suoi due leali felini, i
quali fedelmente la stavano seguendo giocherellando con l’orlo del suo vestito
tirando di tanto in tanto qualche filo di pizzo e merletto. Più continuava
nell’esplorazione di quella meraviglia botanica e più non riusciva a
capacitarsi come la famiglia che abitava quella favolosa dimora non si recasse in quei magnifici boschi. Essi preferivano il tè
sorseggiato in salotto accompagnato da qualche prelibatezza francese che una
faticosa nonché poco signorile passeggiata, e
naturalmente questo a Miss Liddell non importava.
Alice
si sarebbe incamminata in quella vegetazione quasi ogni giorno se ne avesse avuto la possibilità, ogni cosa era così sprizzante
di vita propria -gli alberi, le piante, i fiori… sembrava che le parlassero
perfino!- tanto che avrebbe voluto sfilarsi il vestito che portava e correre
fra quei prati solo in corsetto e sottoveste, per sentire l’effetto che le avrebbero
causato quei fili d’erba a contatto diretto con i piedi nudi. Chissà come sarebbe,
si chiese, e chissà che faccia farebbe
mia madre nel vedermi correre in tal modo! Le veniva voglia di provare, unicamente
per poter avere l’occasione di vedere Mrs. Liddell
adirata al punto da farle diventare il viso paonazzo, più di un pomodoro
maturo. Era per queste fantasie e simili che le veniva
sempre ripetuto che continuando a comportarsi in questo modo così sconveniente
non avrebbe mai trovato un uomo disposto a prenderla in moglie e sarebbe
rimasta zitella a vita. Ma chi lo voleva un uomo in fondo? Non
voleva essere la “schiava” di nessuno né sottostare a quelle stupide regole a
vita. Le uniche volte in cui si sentiva libera era quando
riusciva a pensarla così; e non sempre, purtroppo, le riusciva tanto facilmente
come quando si trovava da sola in
compagnia dei suoi pensieri e dei suoi più fedeli amici, Tweedledum e Tweedledee, i
suoi due gattini. Erano due esemplari davvero singolari: uno era bianco
e aveva il ventre -nonché parte del muso-, la punta della coda, delle orecchie
e delle zampe -che Alice denominava “scarpette”- nere,
mentre l’altro era esattamente l’opposto: ciò che uno aveva del colore del
latte, l’altro lo aveva del colore dell’inchiostro; si poteva dire che erano
sì, agli opposti, ma erano anche e senza alcun ombra di dubbio simmetrici. Più
di una persona li aveva definiti inquietanti: la cosa ad Alice non dispiaceva
più di tanto, non era lei che offendevano dopotutto, e ai due gattini di certo
non importava come apparissero agli occhi degli altri.
Sospirò,
accennando un piccolo sorriso ai suoi due amichetti che continuavano a
giocherellare tra loro, a volte si chiedeva come doveva essere vivere la
propria vita attraverso gli occhi magnetici dei felini, Alice aveva sempre pensato che le sarebbe piaciuto, molto più del
lecito e del consentito.
Era
da quasi un’ora che passeggiava tra quelle meraviglie della natura e si stupì
notevolmente -non erano molte le cose che riuscivano a stupire Miss Liddell- quando
notò che proseguendo nella sua esplorazione solitaria il bosco continuava ad
essere così fortemente… Fiorito, non
le veniva in mente aggettivo più consono e appropriato di quello: non vi era
angolo che non apparisse coperto di fiori o che non fosse adorno d’una qualche
strana specie di pianta che non si mostrasse una meraviglia per gli occhi e per
l’anima. Le gambe, però, cominciavano a tradirla e a dolerle, le scarpe che indossava quel giorno erano particolarmente graziose, nonché
particolarmente scomode; era molto facile e accadeva spesso che le calzature di
Miss Liddell fossero belle ma non pratiche; ella,
infatti, adorava tutti quegli accessori così piacevolmente inutili ma stupendi,
alcuni di essi, tra cui fermagli per capelli, nonché i gioielli, era solita
disegnarli se non fabbricarli personalmente; era uno dei tanti passatempi che
naturalmente sua madre non poneva nella categoria che riguardava le “signorine per bene prossime ormai al
matrimonio”, e a cui naturalmente Alice non dava assolutamente e senza alcuna
esitazione la minima importanza. Sospirò nuovamente e con una punta di sollievo,
notando, con gli occhi che le brillavano, un salice piangente le cui radici
spuntavano dal terreno come fossero comodi divanetti su cui Alice potesse
riposarsi un poco. Scostò i rami che formavano un piccolo sipario tra lei e il
tronco dell’imponente e per di più magnifico albero secolare, le dimensioni di
quel salice erano davvero impressionanti. Quando si sedette
non credeva veramente che quelle
radici fossero davvero così comode, invece
sembravano create appositamente per ospitare il suo corpo, a quel contatto le
sembrò che perfino i suoi piedi ne beneficiassero.
All’improvviso
si sentiva stanchissima, le sembrava di aver camminato per una giornata intera
invece che solamente un’oretta scarsa; sapeva di non essere una persona atletica,
lo ammetteva lei stessa, ma non pensava che una passeggiata di quel genere la
potesse spossare fino a quel punto… La luce del sole filtrava sottoforma di
raggi luminosi dai rami del salice e la scaldavano quel tanto che bastava, una
lieve brezza muoveva quel sipario di foglie nascondendola al
mondo e quelle nodosissime radici le sembravano dei cuscini e non
semplice legno, quello non era semplicemente un albero e ne era sicura, quello,
non era semplicemente un bosco. Ma stranamente tutto quest’insieme,
non le sembrava fuori luogo o strano, tutt’altro.
Sbadigliò,
ancora e ancora, le palpebre le parevano così pesanti che non desiderava altro che chiuderle e lasciare che il sonno
sopraggiungesse rapido. In quel momento dormire le sembrava giusto, in quel
momento non desiderava davvero altro,
niente le appariva sbagliato e niente, lo sapeva, glielo avrebbe
fatto pensare.
Non
considerò che tutto quello fosse sbagliato nemmeno quando, prima che chiudesse
gli occhi, il viso di un ragazzo, o forse era un uomo anche
se dall’aspetto molto giovanile, entrò nella sua visuale: possedeva dei
lineamenti stranamente familiari, le ricordava il rampollo dei Wetmore, per la precisione Edward W.
R. Wetmore, ma era impossibile, per quanto lo
sperasse… Alice era stata informata che egli era partito proprio quella mattina
e sfortunatamente non sarebbe tornato prima di un mese; suddetto gentiluomo
possedeva, inoltre, delle curiose orecchie da coniglio del colore della neve
più candida che le apparivano talmente morbide che ebbe l’impulso di toccarle e,
a completare queste ambigue sembianze, vestiva un bizzarro completo rosso e
avorio. Udiva poi il ticchettio di un orologio in lontananza, -o forse era
vicino? Non riusciva più a dirlo con certezza- ma stranamente
trovò che tutto fosse molto appropriato in quello che stava vivendo e sorrise
quando lo sentì chiamarla per nome.
«Bentornata,
Alice…».
«Lieta
di poterti rivedere… Bianconiglio».
Quelle
furono le ultime parole di Alice Pleasance
Liddell prima che cadesse in un sonno profondo tra le
braccia di uno stravagante ragazzo dalle orecchie ancor più particolari.
Notes________________
Non
ho da dire molto in realtà, e penso nemmeno da spiegare.
Non
ho la più pallida idea ne certezza di continuarla,
forse. Devo ammettere che mi piacerebbe molto poterla, però, concludere
in una qualche maniera decente. -Non so nemmeno se sia giusto postare questo… “intro” non avendo la certezza di portarla a termine.-
Una
piccola perla: i nomi dei due gattini sono, per quanto sono riuscita a capire,- tradotti in italiano- i nostri Pinco
Panco e Panco Pinco.
Ultima
e piccola precisazione: non ho mai letto Alice, l’originale intendo
(Le avventure di Alice nel Paese delle
Meraviglie) di Lewis Carroll,
ho comunque intenzione di leggerlo, sono davvero curiosa!.
Bene,
direi che non ho più niente da dire, se ci sono domande… Prego, fatevi avanti gentili lettori!
Al prossimo capitolo.
..Maybe.
G.