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Autore: G_Elizabeth    23/05/2011    1 recensioni
La luce del sole filtrava sottoforma di raggi luminosi dai rami del salice e la scaldavano quel tanto che bastava, una lieve brezza muoveva quel sipario di foglie nascondendola al mondo e quelle nodosissime radici le sembravano dei cuscini e non semplice legno, quello non era semplicemente un albero e ne era sicura, quello, non era semplicemente un bosco.
Ma stranamente tutto quest’insieme, non le sembrava fuori luogo o strano, tutt’altro.
Genere: Commedia, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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_______________ Welcome Back, Alice

_______________ Welcome Back, Alice

________________________ Bentornata, Alice

 

 

 

 

 

Alice Pleasance Liddell era una delle ragazze prossime al debutto in società più stravaganti che Londra avesse mai ospitato, non che ne avesse ospitate molte, in realtà.

La madre le rimproverava sempre il fatto di essere così “palesemente originale”, non che a sua figlia mancassero le buone maniere o si comportasse in modo esageratamente non femminile o elegante -Alice amava tutto ciò che era femminile, elegante e di buon gusto… anche se a volte le sue definizioni di “femminile, elegante e di buon gusto” non corrispondevano affatto con quelle dell’intera nobiltà inglese-, era solo che il suo modo di vestire, di parlare e di stare al mondo non erano da “signorine per bene prossime ormai al matrimonio e alla prole!”; questa era la frase che, se si aveva il piacere di trovarsi nella frivola ma rigida compagnia di Mrs. Mary Liddell, si era soliti sentire, soprattutto se con lei vi era Alice e soprattutto se nei paraggi fossero stati presenti gentiluomini appartenenti ai più alti status sociali.

Alice era indifferente su questi punti, soprattutto se veniva criticato il suo modo di vivere: le parole della madre non avevano alcuna importanza quando a quest’ultima l’unica cosa che importasse davvero erano i soldi che sarebbero derivati dal suo matrimonio con qualche ottuso e mediocre rampollo di qualsivoglia casata nobiliare -era da specificare però, che Alice mal sopportava la nobiltà, anche se tecnicamente lei stessa ne faceva parte, era solita pensare se non dire che la maggior parte dei nobili erano “stupidi maiali da cui di certo non proveniva il più delicato degli aromi, dall’aspetto grassoccio alquanto manchevole in bellezza e dalla parlata leziosa, i quali non si saziavano mai né di denaro né di fasulle attenzioni” (non che tra i nobili l’uno o le altre mancassero mai).

Per questi motivi Miss Liddell sognava di potersene andare, di poter fare un viaggio talmente tanto meraviglioso da farle dimenticare sua madre, la nobiltà inglese e la sua stupida etichetta.

Ci fu un giorno in particolare, tuttavia, a convincere Alice che forse non tutti gli aristocratici erano ottusi e mediocri; c’era da specificare, però, che Miss Liddell era molto difficile da convincere soprattutto se la persona che le stava facendo cambiare idea la provocava in un modo così garbato ma al contempo irritante, per lei era raro divertirsi nel parlare con qualcuno che non fosse il suo maggiordomo o i suoi gatti e la cosa le suscitava un notevole interesse, un interesse che lei stessa provava a tener celato perché in qualche modo non voleva dar alcuna soddisfazione né alla persona che con amabile furbizia le aveva ammaliato la mente né, e con maggior importanza, a sé stessa. Purtroppo per lei, non stava riuscendo nel suo intento, non come avrebbe voluto; ma Alice non era mai stata costante in ciò che si riprometteva, per questo motivo non si preoccupò mai minimamente se lo stravagante gentiluomo di casa Wetmore con cui stava conversando con tanta vivacità e schiettezza si fosse accorto con quanto interesse lei rimaneva in sua compagnia purché non smettesse di parlare…

 

 

Tutto incominciò quel fatidico pomeriggio, quando incontrò colui che la stuzzicò così vivacemente da non permetterle di dimenticarsi di quelle soleggiate ore di una primavera tanto squisita, si trovava a camminare sovrappensiero negli sterminati giardini di proprietà dei Wetmore, inciampando tra una radice e l’altra, cercando di non calpestare nessun fiore dal magnifico aspetto e lasciandosi accompagnare dai suoi due leali felini, i quali fedelmente la stavano seguendo giocherellando con l’orlo del suo vestito tirando di tanto in tanto qualche filo di pizzo e merletto. Più continuava nell’esplorazione di quella meraviglia botanica e più non riusciva a capacitarsi come la famiglia che abitava quella favolosa dimora non si recasse in quei magnifici boschi. Essi preferivano il tè sorseggiato in salotto accompagnato da qualche prelibatezza francese che una faticosa nonché poco signorile passeggiata, e naturalmente questo a Miss Liddell non importava.

Alice si sarebbe incamminata in quella vegetazione quasi ogni giorno se ne avesse avuto la possibilità, ogni cosa era così sprizzante di vita propria -gli alberi, le piante, i fiori… sembrava che le parlassero perfino!- tanto che avrebbe voluto sfilarsi il vestito che portava e correre fra quei prati solo in corsetto e sottoveste, per sentire l’effetto che le avrebbero causato quei fili d’erba a contatto diretto con i piedi nudi. Chissà come sarebbe, si chiese, e chissà che faccia farebbe mia madre nel vedermi correre in tal modo! Le veniva voglia di provare, unicamente per poter avere l’occasione di vedere Mrs. Liddell adirata al punto da farle diventare il viso paonazzo, più di un pomodoro maturo. Era per queste fantasie e simili che le veniva sempre ripetuto che continuando a comportarsi in questo modo così sconveniente non avrebbe mai trovato un uomo disposto a prenderla in moglie e sarebbe rimasta zitella a vita. Ma chi lo voleva un uomo in fondo? Non voleva essere la “schiava” di nessuno né sottostare a quelle stupide regole a vita. Le uniche volte in cui si sentiva libera era quando riusciva a pensarla così; e non sempre, purtroppo, le riusciva tanto facilmente  come quando si trovava da sola in compagnia dei suoi pensieri e dei suoi più fedeli amici, Tweedledum e Tweedledee, i suoi due gattini. Erano due esemplari davvero singolari: uno era bianco e aveva il ventre -nonché parte del muso-, la punta della coda, delle orecchie e delle zampe -che Alice denominava “scarpette”- nere, mentre l’altro era esattamente l’opposto: ciò che uno aveva del colore del latte, l’altro lo aveva del colore dell’inchiostro; si poteva dire che erano sì, agli opposti, ma erano anche e senza alcun ombra di dubbio simmetrici. Più di una persona li aveva definiti inquietanti: la cosa ad Alice non dispiaceva più di tanto, non era lei che offendevano dopotutto, e ai due gattini di certo non importava come apparissero agli occhi degli altri.

Sospirò, accennando un piccolo sorriso ai suoi due amichetti che continuavano a giocherellare tra loro, a volte si chiedeva come doveva essere vivere la propria vita attraverso gli occhi magnetici dei felini, Alice aveva sempre pensato che le sarebbe piaciuto, molto più del lecito e del consentito.

Era da quasi un’ora che passeggiava tra quelle meraviglie della natura e si stupì notevolmente -non erano molte le cose che riuscivano a stupire Miss Liddell- quando notò che proseguendo nella sua esplorazione solitaria il bosco continuava ad essere così fortemente… Fiorito, non le veniva in mente aggettivo più consono e appropriato di quello: non vi era angolo che non apparisse coperto di fiori o che non fosse adorno d’una qualche strana specie di pianta che non si mostrasse una meraviglia per gli occhi e per l’anima. Le gambe, però, cominciavano a tradirla e a dolerle, le scarpe che indossava quel giorno erano particolarmente graziose, nonché particolarmente scomode; era molto facile e accadeva spesso che le calzature di Miss Liddell fossero belle ma non pratiche; ella, infatti, adorava tutti quegli accessori così piacevolmente inutili ma stupendi, alcuni di essi, tra cui fermagli per capelli, nonché i gioielli, era solita disegnarli se non fabbricarli personalmente; era uno dei tanti passatempi che naturalmente sua madre non poneva nella categoria che riguardava le “signorine per bene prossime ormai al matrimonio”, e a cui naturalmente Alice non dava assolutamente e senza alcuna esitazione la minima importanza. Sospirò nuovamente e con una punta di sollievo, notando, con gli occhi che le brillavano, un salice piangente le cui radici spuntavano dal terreno come fossero comodi divanetti su cui Alice potesse riposarsi un poco. Scostò i rami che formavano un piccolo sipario tra lei e il tronco dell’imponente e per di più magnifico albero secolare, le dimensioni di quel salice erano davvero impressionanti. Quando si sedette non credeva veramente che quelle radici fossero davvero così comode, invece sembravano create appositamente per ospitare il suo corpo, a quel contatto le sembrò che perfino i suoi piedi ne beneficiassero.

All’improvviso si sentiva stanchissima, le sembrava di aver camminato per una giornata intera invece che solamente un’oretta scarsa; sapeva di non essere una persona atletica, lo ammetteva lei stessa, ma non pensava che una passeggiata di quel genere la potesse spossare fino a quel punto… La luce del sole filtrava sottoforma di raggi luminosi dai rami del salice e la scaldavano quel tanto che bastava, una lieve brezza muoveva quel sipario di foglie nascondendola al mondo e quelle nodosissime radici le sembravano dei cuscini e non semplice legno, quello non era semplicemente un albero e ne era sicura, quello, non era semplicemente un bosco. Ma stranamente tutto quest’insieme, non le sembrava fuori luogo o strano, tutt’altro.

Sbadigliò, ancora e ancora, le palpebre le parevano così pesanti che non desiderava altro che chiuderle e lasciare che il sonno sopraggiungesse rapido. In quel momento dormire le sembrava giusto, in quel momento non desiderava davvero altro, niente le appariva sbagliato e niente, lo sapeva, glielo avrebbe fatto pensare.

Non considerò che tutto quello fosse sbagliato nemmeno quando, prima che chiudesse gli occhi, il viso di un ragazzo, o forse era un uomo anche se dall’aspetto molto giovanile, entrò nella sua visuale: possedeva dei lineamenti stranamente familiari, le ricordava il rampollo dei Wetmore, per la precisione Edward W. R. Wetmore, ma era impossibile, per quanto lo sperasse… Alice era stata informata che egli era partito proprio quella mattina e sfortunatamente non sarebbe tornato prima di un mese; suddetto gentiluomo possedeva, inoltre, delle curiose orecchie da coniglio del colore della neve più candida che le apparivano talmente morbide che ebbe l’impulso di toccarle e, a completare queste ambigue sembianze, vestiva un bizzarro completo rosso e avorio. Udiva poi il ticchettio di un orologio in lontananza, -o forse era vicino? Non riusciva più a dirlo con certezza- ma stranamente trovò che tutto fosse molto appropriato in quello che stava vivendo e sorrise quando lo sentì chiamarla per nome.

«Bentornata, Alice…».

«Lieta di poterti rivedere… Bianconiglio».

 

Quelle furono le ultime parole di Alice Pleasance Liddell prima che cadesse in un sonno profondo tra le braccia di uno stravagante ragazzo dalle orecchie ancor più particolari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notes________________

Non ho da dire molto in realtà, e penso nemmeno da spiegare.

Non ho la più pallida idea ne certezza di continuarla, forse. Devo ammettere che mi piacerebbe molto poterla, però, concludere in una qualche maniera decente. -Non so nemmeno se sia giusto postare questo… “intro” non avendo la certezza di portarla a termine.-

Una piccola perla: i nomi dei due gattini sono, per quanto sono riuscita a capire,- tradotti in italiano- i nostri Pinco Panco e Panco Pinco.

Ultima e piccola precisazione: non ho mai letto Alice, l’originale intendo (Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie) di Lewis Carroll, ho comunque intenzione di leggerlo, sono davvero curiosa!.

Bene, direi che non ho più niente da dire, se ci sono domande… Prego, fatevi avanti gentili lettori!

 

Al prossimo capitolo.

..Maybe.

 

G.

   
 
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