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Autore: mercutia    31/05/2011    2 recensioni
Questa fanfiction narra ciò che nelle ultime puntate della serie muta i cuori di Rei e Fukiko e il precario equilibrio tra l'odio e l'amore che le lega.
Nel totale silenzio di quella notte di luna piena, la voce malferma di Rei giunse chiaramente da fuori.
Fukiko uscì veloce sul terrazzino di camera sua, sbattendo le mani sul parapetto in marmo con fare che riconobbe collerico. Prima di guardare giù, si impose di calmarsi: incrociando le braccia sotto il petto, si rimise dritta e composta e prese un profondo respiro. Rei stava barcollando in strada, probabilmente imbottita di quei calmanti di cui abusava. Nel vedere Fukiko si bloccò e cadde in ginocchio. La consueta soddisfazione che le dava vederla in quello stato era frenata da inopportune emozioni che si insinuavano con la stessa ostinazione con cui lei le rifiutava. Era furiosa per il comportamento di Rei e ancor più per la fastidiosa morsa di inquietudine da cui non riusciva a liberarsi da quando le aveva ceduto, da quando qualcosa dentro di lei si era spezzato, ammise. Non voleva pensarci, doveva continuare a tenere lontani quei ricordi per poter essere padrona di sé stessa.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Takashi percorse freneticamente gli ultimi gradini e afferrò la cornetta
“Cosa?” chiese concitato.
“Sono Takashi Ichinomiya, cosa...?
Ma non è possibile! Ne siete certi?
Ma come...?.
Ne siete certi?
Si trova all'estero in questo momento...
Me ne occuperò io...
Sì... la ringrazio...
Arrivederci”
Riappese la cornetta e si girò verso Fukiko, ancora accasciata al pavimento. L'aiutò a rialzarsi e la strinse in un abbraccio, mentre si lasciava andare al pianto. Fukiko si fece stringere dalle braccia del fratello, senza riuscire a ricambiare, i suoi occhi erano fissi verso niente. Non era vero... non poteva essere vero.
“Devo andare all'ospedale per il riconoscimento” disse lui con un filo di voce senza lasciarla.
Fukiko non rispose, i pensieri erano così confusi che non sapevano trovare la strada per giungere alle labbra.
“Devo chiamare papà prima” disse poi allentando l'abbraccio, la sua voce che si sforzava di trovare una difficile stabilità.
Nel perdere il sostegno delle braccia del fratello, Fukiko si trovò nuovamente incapace di reggersi in piedi. Takashi la riafferrò saldamente.
“Fukiko...” esclamò preoccupato, poi l'accompagnò in sala, mentre una giovane domestica gli si faceva incontro.
“Portale un bicchiere d'acqua” disse alla ragazza mentre aiutava la sorella a sedersi su una poltrona. Si chinò poi davanti a lei, i suoi occhi lucidi che volevano confortarla.
“Riposati qui e cerca di stare calma. Mi occuperò di tutto io.”
Si girò a prendere il bicchiere che intanto la domestica aveva portato e cercò invano di metterlo tra le mani tremanti di Fukiko. Sospirò, poi si alzò riconsegnando il bicchiere alla domestica alle sue spalle.
“Stalle accanto un momento” le disse prima di uscire dalla sala.
Gli inconfondibili suoni del telefono mentre lui componeva il numero, una pausa di silenzio, la voce di suo fratello che chiedeva di loro padre, poi le sue parole malferme
“Sono Takashi... devi tornare a casa: è successa una cosa ter...”
“Accendi il grammofono!” Fukiko riuscì di nuovo ad aprir bocca per impartire l'ordine alla domestica, una mano premuta su un orecchio e l'altra che indicava ossessivamente l'apparecchio. Non avrebbe ascoltato quella conversazione!
“Accendi subito quel grammofono!” gridò ancora.

Non erano servite parole per convincere suo fratello a portare anche lei all'ospedale: mentre lui cercava di convincerla a rimanere a casa, Fukiko lo aveva semplicemente guardato dritto negli occhi e lui non aveva opposto altra resistenza.
In cuor suo conservava l'illusione che non fosse vero, che quello che stava per affrontare non fosse davvero l'incubo che temeva: la perdita di Rei era qualcosa che non poteva nemmeno concepire, semplicemente non poteva essere, non poteva accettarlo. Poi l'infermiera li scortò fino a quella stanza in fondo al corridoio: oltre la porta bianca e grigia si trovavano una panca, un tavolo d'acciaio su cui erano appoggiati alcuni oggetti e una portantina anch'essa di freddo acciaio, sulla quale un lenzuolo bianco copriva la sagoma di un corpo disteso. Fukiko si aggrappò alla maniglia della porta mentre un maledetto sguardo più attento le fece mettere a fuoco uno degli oggetti sul tavolo: l'oro del bracciale di Rei emanava una luce spenta su quel ripiano metallico. Il suo respiro si bloccò, la mente si fece labile per l'incapacità di affrontare una realtà che si faceva sempre più ineluttabile.
Mentre l'infermiera parlava con Takashi, Fukiko si avvicinò al lettino, prese i lembi del piccolo fazzoletto di stoffa che copriva la parte della testa di quel corpo lì disteso, lo sollevò e scoprì il volto di Rei. No! Lasciò immediatamente la presa e si allontanò di scatto andando a sbattere contro suo fratello, che la strinse al petto come a cercare di proteggerla da quell'immagine.
“Sì, è lei” gli sentì dire formalmente “E' Rei Asaka”
“Devo chiederle di fare alcune firme qui” disse l'infermiera.
“Sì, mi dia solo un minuto per favore”
“Certamente, posso attendere”
Fukiko si staccò da lui e tornò a guardare sua sorella: il suo volto era sereno, ma così immobile, così... sentì le lacrime farsi strada per irrompere, le trattenne a stento, con determinazione: non c'era chi poteva vederle, non c'era più l'unica persona che poteva capirle. Incapace di guardarlo oltre, ricoprì il volto di Rei e rimase lì in piedi a fissare quel lenzuolo, mentre Takashi si occupava della burocrazia. Non disse una parola, non versò una lacrima, ma quanto bruciavano gli occhi, quanto opprimevano il petto i suoi battiti, dolorose contrazioni di un cuore che sembrava pietrificarsi ogni minuto di più.
Orihara entrò nella stanza poco più tardi con tutto il suo rabbioso dolore: pianse a lungo, gridando la sua angoscia, finchè Takashi non la calmò, poi restò lì con loro, seduta nella panca a capo chino, chiusa nel silenzio. Altri amici e parenti sfilarono in quelle lente ore pomeridiane, il profumo dell'incenso ormai riempiva quella tetra stanza mentre Fukiko continuava a fissare quel lenzuolo, sforzandosi di allontanare ogni pensiero perchè non la trascinasse nella disperazione che avvertiva ai margini del suo stato di semicoscenza.
In serata giunsero infine Tomoko e Nanako. Quest'ultima cercò ostinatamente di negare quello che aveva davanti agli occhi quando sollevò il lenzuolo a scoprire il viso di Rei. Nel rivederlo Fukiko ebbe una nuova scossa di dolore straziante. Apri gli occhi Rei, pensò, guardami ti prego, voglio riavere il tuo sguardo! Guardami! Ne aveva così perdutamente bisogno. Le lacrime erano ondate violente contro la sua volontà di trattenerle. Ricoprì il volto di sua sorella, prima di cedere. Un attimo dopo alle sue spalle Nanako, in un grido di dolore, accettò la realtà e si lasciò andare allo sconforto più assoluto.
Saint Just!

[Riferimento all'episodio 34 - dal minuto 4:00 al munuto 7:00]


L'assillo di un terribile sospetto si era insinuato a torturare Fukiko, mentre le urla di Nanako risuonavano ancora nei suoi pensieri, mischiandosi al ruggire del vento che si era levato quella sera. Le foglie trasportate picchiavano contro le vetrate della sala buia, violente come l'atroce senso di colpa che le imputava la responsabilità della già insopportabile constatazione che Rei non ci fosse più.
Fukiko sapeva di averla portata al limite per anni, sapeva che il desiderio di dominare i suoi pensieri l'aveva spezzata, ma poteva averlo fatto a tal punto? E poi perchè proprio ora? Non riusciva a darsi pace, mentre si dibatteva tra i rimpianti e i senti di colpa.
A far calare l'ombra del suicidio su quell'incidente era stata per prima la polizia già dal pomeriggio, quando i due agenti all'ospedale avevano detto di dover indagare sull'accaduto. Fukiko era stata colpita da quell'idea come fosse stata un affondo su una lancinante ferita appena aperta. Si aggrappava al ricordo di quegli ultimi giorni per rifiutare l'accusa che comunque continuava a fare a sè stessa, perchè loro si erano amate, le aveva ceduto il suo cuore, solo non aveva voluto ammetterlo, solo non era stata capace di dirglielo. Ma Rei lo sapeva, lei lo doveva sapere, doveva! Perchè quel sospetto non se ne andava? Non poteva essere lei la causa di tutto questo, non se lo sarebbe mai perdonato.
Signorina? Signorina Fukiko?
Dalla soglia della sala una domestica le chiese di andare all'ingresso, dove trovò una fioraia che reggeva un bouquet di rose rosse.
Siamo molto dispiaciuti del ritardo” disse la donna “Abbiamo ricevuto l'ordine durante il giorno, ma per un errore abbiamo potuto effettuare la consegna soltanto adesso. Sono un omaggio da parte della signorina Rei Asaka per la signorina Fukiko Ichinomiya
Si sentì soffocare. Osservava sgomenta quei fiori che le gelavano il sangue, incapace di muoversi. Sconvolta infine li prese e tornò in sala, quasi strappando il bigliettino sepolto tra i petali rossi. Si avvicinò alla finestra per leggerlo nella penombra delle luci che provenivano dal giardino

Questi fiori sono per te
come augurio di un brillante futuro
come speranza di un meraviglioso domani
e soprattutto come eterno ringraziamento per il tuo incessante amore

Dalla tua, tua sola, tua unica
sorella.


Stropicciando la carta fino a lacerarla, Fukiko lesse e rilesse quelle poche righe
Come hai potuto morire senza di me lasciandomi soltanto questa lettera? Come hai potuto tradirmi così? Come farò? Chi mi darà il coraggio di seguirti ora che non ci sei più? Rei! REI!
In ginocchio davanti alla vetrata che tante volte l'aveva separata da lei, che se ne stava dall'altra parte della strada ad ascoltarla suonare il pianoforte, Fukiko si lasciò andare ad un pianto amaro e straziante, colmo di rabbia e inconsolabile dolore. Raggiungerla avrebbe alleviato quell'indicibile sofferenza? Era troppo debole per trovare la forza per farlo, troppo debole... troppo sola... Rei!

[Riferimento all'episodio 34 - dal minuto 1:35 al munuto 3:38]


La notte era trascorsa lenta tra lacrime di cui ora non si vedeva la minima traccia, la disperazione cavalcava impetuosa nei pensieri di Fukiko, ma la domava con la freddezza di un atteggiamento tanto composto da apparire probabilmente gelido e insensibile a chiunque la vedesse suonare il pianoforte quella mattina.
Dentro era spezzata, lacerata da una ferita che non sarebbe mai stata risanata, annichilita dalla paura per ciò di cui si sentiva colpevole, complice e in fin dei conti anche la vittima. Ferma come un macigno sul suo cuore la vergogna per la debolezza che stava dimostrando ancora una volta. Rei che le mancava come l'aria, ma non aveva il coraggio di raggiungerla. Le note di Beethoven ricoprivano i suoi stessi pensieri, suonava ossessivamente Beethoven.
Nel pomeriggio la polizia comunicò loro che le indagini avevano infine confermato che si era trattato di un tragico incidente. Fukiko aveva appreso la notizia fingendo ancora freddezza, le sue dita avevano continuato a scorrere sui tasti del pianoforte con la solita calma naturalezza. Aveva sperato che quella notizia, che spazzava via i sospetti sulla natura del triste addio di sua sorella e delle implicazioni che la riguardavano profondamente, le avrebbe portato conforto, ma quale conforto? Non poteva esserci più nessuna consolazione ormai: l'unica certezza era che Rei non sarebbe tornata. Mai più. Quanto dolore si poteva sopportare prima di impazzire? La sua lucidità pareva così fragile, così mostruosamente vulnerabile.
Le dita scorrevano, la musica scorreva sopra ogni cosa. Rei era sempre lì, il vuoto che le lasciava era un costante tormento impresso nei pensieri di Fukiko, un dolore destinato a perpetrarsi, mentre il pianoforte avrebbe continuato a suonare.

[Riferimento all'episodio 34 - dal minuto 0:40 al munuto 2:10]


All'indomani dei funerali, Takashi era andato all'aeroporto a prendere loro padre in arrivo da Londra. Fukiko aveva deciso di rimanere a casa. La sua mente era avvolta da un alienante torpore, dovuto alla tristezza di quelle interminabili giornate e all'indicibile spossatezza per le lacrime versate e quelle caparbiamente trattenute. Quella sarebbe dovuta essere la loro notte, l'avrebbero dovuta passare insieme, questo le aveva promesso soltanto la mattina precedente, soltanto poche ore prima che lei... Era insopportabile. La fitta di dolore che le causava l'idea di non avere più Rei al suo fianco la martoriava nel profondo, era soffocante pensare che sarebbe dovuta andare avanti senza la sua ammirazione, senza il suo sostegno, senza quel cieco e incondizionato amore, di cui si era sempre approfittata, ma che aveva appena imparato a ricambiare, con enorme e imperdonabile ritardo.
L'acqua riempiva lenta la vasca da bagno, mentre Fukiko si spogliava. Sarebbe dovuta essere la loro notte quella: spinta da questo aveva pensato che quella specie di rito potesse essere un ultimo incontro tra loro, voleva illudersi di rievocare i pochi intimi momenti che la sua ostinazione le aveva permesso di trascorrere con lei, voleva illudersi di sentire la presenza di Rei ancora un'ultima volta.
Finì di svestirsi, prese le rose che le aveva regalato sua sorella e si immerse con esse. Alcuni petali si sparsero a circondarla, galleggiando tra le lievi ondulazioni.
Rei, queste sono le rose che mi hai mandato. E' l'ultimo regalo della mia unica sorella.
Io ti amavo e lo sapevi, vero? Ma non immagini quanto!
Rei... sono così sola senza di te!

[Riferimento all'episodio 34 - dal minuto 3:18]

 

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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Riyoko Ikeda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Le parti indicate in corsivo sono volutamente prese dalla serie animata Oniisama e... (Caro Fratello) per esigenze di trama.

   
 
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