Capitolo 7
Scosse
Elettriche
Kim stava fissando dritto negli
occhi il Galvantula nemico, che fece schioccare le piccole tenaglie con
impazienza.
«Un ragno. Uno schifo di ragno
elettrico. Un ragno elettrico, schifoso ed enorme.» borbottò, a fior di labbra.
Ecco, quello poteva essere un
problema. Perché, tra tutti i pokémon che N aveva a disposizione, proprio un
Galvantula?
Dall’altra parte del campo, lo
sfidante cercò di richiamare la sua attenzione: «Kim... sai com’è, dovremmo
cominciare...»
Kim alzò lo sguardo su di lui, solo
per un secondo e solo per scoccargli un’occhiata feroce. «Zitto, clown. Sto
pensando.»
Non che ci fosse molto da pensare.
Nella mano destra stringeva nervosamente un’ultraball, l’unica che le fosse
concesso usare, dato che i pokémon andavano scelti prima della lotta.
Scegliendo lui, pensava di essere andata sul sicuro. E invece...
L’auricolare dell’interpoké ronzò,
destandola dai suoi pensieri. «Kim? Tutto bene?» chiese la voce di Lee.
Lei ci mise un po’ a rispondere.
Guardò la sfera, guardò Galvantula, si guardò i piedi. «Forse.» disse, infine.
«Non dirmi che stai esitando perché
ti fanno schifo i ragni!» rise Lee, forse cercando di allentare la tensione.
«Non preoccuparti, Porchetta dovrebbe -»
«Non ho scelto Porchetta.»
«Ah.»
Silenzio. Lee doveva aver fatto due
più due e capito quale pokémon Kim stesse per mandare in campo.
Lei sospirò. «Se perdo, puoi
picchiarmi.»
«Ma non perderai.» disse Lee, con
una sicurezza che la sorprese. «Perché tu sei tu. E mi hai promesso del sangue
verde.»
Quell’affermazione riuscì a
strapparle un mezzo sorriso. «D’accordo. Farò del mio meglio.»
«Io credo in te: vai e stendilo.»
Dopo quell’ultimo incoraggiamento,
Lee chiuse la comunicazione. A differenza di Kim, lui non era solito
intromettersi, nei momenti delicati.
Galvantula fece schioccare di nuovo
le tenaglie. “Voglio mangiarti”,
sembrava dire, in trepida attesa. “Avvolgerti
nella mia rete e succhiare via la tua essenza...”
Kim rabbrividì un poco; quel
pokémon le ricordava fin troppo il modo di fare del suo allenatore.
Prese un respiro e strinse forte la
sua ultraball. Lo avrebbe schiacciato. Lo avrebbe fatto pentire di averla
nuovamente invischiata in una delle sue storie sugli Eroi di Unima. E di averla
palpata. Soprattutto di averla
palpata.
Distese il braccio destro
all’indietro e si concentrò. Sollevò un ginocchio, per darsi lo slancio – e
anche perché le sembrava una posa coreograficamente adatta al momento. Sorrise.
Erano anni che non giocava a fare la pitcher,
durante una lotta pokémon.
Mise in quel lancio tutta la forza
che aveva.
La sfera prese il volo, saettò
attraverso la palestra, sorvolò Galvantula e colpì N dritto in fronte.
«Emolga, usa Aeroassalto!»
Nonostante si fosse appena materializzato
in campo, il pokémon fu estremamente reattivo agli ordini dell’allenatrice e si
scagliò contro Galvantula, colpendolo senza problemi.
«Continua con Aeroassalto, non
lasciargli il tempo di reagire!» ordinò Kim. N, stordito e colto di sorpresa
dal colpo in testa, non stava dando nessuna indicazione a Galvantula, che
continuò a incassare i colpi del piccolo Emolga, senza riuscire ad evitarli.
Perfetto.
pensò Kim. Contro l’elettricità sono in
svantaggio, ma, se continua così, ho la vittoria in tasca.
«Galvantula, Elettrotela!»
Kim si era aspettata che N ci
avrebbe messo di più a riprendersi, ma non si lasciò cogliere impreparata. «Usa
Doppioteam e schivalo!»
Così, d’un tratto non c’era più un
Emolga, in campo, ma due, che giravano intorno a Galvantula a velocità folle.
Il pokémon ragno parve confuso,
rimase diversi secondi a seguire Emolga con le sue otto pupille.
Kim sorrise, soddisfatta, e rivolse
lo sguardo verso N... che rispose con un sorriso altrettando soddisfatto.
Merda.
Lo squittio di dolore di Emolga le
disse che era stato colpito ancora prima che lo vedesse, a terra, imprigionato
dalla tela elettrica di Galvantula.
«E poi ero io, quello dei
trucchetti sporchi...» disse N, massaggiandosi la fronte. «Ma, purtroppo per
te, è difficile che i pokémon insetto manchino il bersaglio. Sai com’è, con
otto occhi a disposizione...»
Kim strinse i pugni. N pensava che
bastasse così poco, per metterla in crisi?
«Emolga, usa Taglio!»
Le unghiette del piccolo scoiattolo
volante lacerarono di netto l’Elettrotela, permettendogli di uscirne quasi
indenne.
Ma N non era rimasto a guardare,
nel frattempo.
«Segnoraggio, ora!»
Questa volta, dalla bocca di
Galvantula non uscì una ragnatela, ma un raggio di luce verde. Emolga si mosse
quasi immediatamente per evitarlo, riprendendo il volo, ma venne comunque
colpito di striscio.
Per Kim, il suo lamento fu come il
graffiare di un unghia su una lavagna. Non lo sopportava.
«Non mollare, usa Scin-»
«Ragnatela!»
Leggermente intontito dall’attacco
appena subito, Emolga non fu abbastanza veloce da evitare l’attacco e venne
preso in pieno dalla tela sputata da Galvantula. Finì nuovamente a terra,
impotente.
«Bene! E ora vai con Sanguisuga,
Galvantula!»
«Nei tuoi sogni!»
Non gliel’avrebbe permesso. Non gli
avrebbe permesso di vincere, né, tantomeno, di alzare un dito sui suoi pokémon.
Non più. E non quel giorno.
Per questo era corsa dal suo
Emolga, frapponendosi tra lui e Galvantula.
«Non oggi, ragno schifoso.»
*******
N era senza parole.
Kim era sempre stata il tipo che dava
tutto, per i suoi pokémon, questo lo sapeva; ma addirittura entrare in campo,
nel mezzo di una lotta tra allenatori?
«Galvantula, fermo.» ordinò al suo
pokémon, prima che rischiasse di farle del male. «Kim, non puoi stare in campo.
Torna al tuo posto.»
Lei non sembrò nemmeno ascoltarlo.
Si era chinata sul suo Emolga e, attenta a non toccare la ragnatela, gli stava
sussurrando qualcosa.
«Kim...» insisté N, a disagio.
Vedendola così, preoccupata per il suo pokémon al punto da mettere se stessa in
pericolo, aveva l’impressione di essere davvero il cattivo della situazione. Di
avere un qualche torto. «Dico sul serio, devi -»
«È solo una convenzione.» lo
interruppe Kim, rialzandosi in piedi. «Gli allenatori non entrano in campo
perché non vogliono rischiare di ferirsi. Non è scritto da nessuna parte che non possono.»
N arricciò le labbra: aveva
ragione. Ma questo rendeva solo la situazione più complicata.
Non
può pensare seriamente di rimanere in campo. Finirà male.
«Tutto a posto?» chiese Kim,
rivolgendosi nuovamente ad Emolga. «Ok, allora puoi uscire.»
Il pokémon si fece di nuovo strada
nell’intrico di fili appiccicosi con le unghiette aguzze e, quando fu di nuovo
in volo accanto a Kim, sembrava molto più in forma di prima.
Ah,
ovvio. realizzò N. Ha
approfittato del momento in cui Emolga era a terra, per fargli usare Trespolo.
Ha davvero deciso di giocare sporco.
«Kim, lo ripeterò un’ultima volta.»
disse, serio. «Esci dal campo. Non voglio farti del male.»
«Problema tuo.» dichiarò lei, al
momento impegnata a strofinare il naso contro quello del suo adorato Emolga.
Poi spostò gli occhi su di lui: il suo sguardo non ammetteva repliche. «Non ho
paura di farmi male.»
N dovette abbassare la visiera del
cappellino ancora più di quanto non lo fosse già, per nascondere il rossore che
gli aveva rapidamente colorato le guance.
Quella ragazza lo destabilizzava.
La sicurezza che aveva, nel fare le
cose più stupide, l’affetto incondizionato nei confronti dei suoi pokémon, la
luce che le si accendeva negli occhi, ogni volta che smetteva di pensare e
agiva basandosi unicamente sull’istinto.
Doveva essere sua.
Anche
a costo di farle un po’ male.
«Bene.» disse, più a se stesso che
a lei. «Se è così che te la vuoi giocare...»
Sospirò. Non era quello, il suo
modo di combattere. Ma, questa volta, c’era in gioco qualcosa di troppo
importante.
«Galvantula, usa Scarica.»
Anche
a costo di romperla.
*******
La scossa l’attraversò da capo a
piedi; non era particolarmente potente, per gli standard dei pokémon, ma lo fu abbastanza
da toglierle il fiato e farle cedere le ginocchia.
Cadde a terra, con la sensazione
che mille spilli le avessero trapassato la pelle. Lo sforzo che fece per
riprendere a respirare le sembrò enorme.
Il primo pensiero razionale che le
passò per la mente fu che era stata una stupida. Aveva messo in conto la
possibilità di venire colpita da qualche attacco, stando in mezzo al campo di
battaglia, ma aveva totalmente escluso che N potesse farle del male di
proposito. Era una sicurezza su cui aveva contato.
La testa le faceva un male atroce e
il suo respiro non voleva saperne di regolarizzarsi; il cuore le batteva
all’impazzata, per la scossa ricevuta. Ma, intorno a lei, la lotta stava
continuando: non poteva permettersi di rimanere a terra oltre.
Glielo confermò lo squittio di
Emolga, che la sorvolò nel tentativo di evitare un’altra delle ragnatele di
Galvantula.
Kim si rialzò in piedi a fatica,
ordinando alle sue tempie di smetterla di pulsare e ai suoi occhi di riprendere
a mettere a fuoco le cose decentemente.
Solo allora si rese conto dello
strano ronzare che percepiva nell’orecchio sinistro: Lee stava urlando qualcosa
nell’interpoké. Kim riuscì a distinguere chiaramente solo qualche parola, come
“stupida” e “immediatamente”, ma rinunciò subito a capire oltre. Si staccò
l’auricolare e cercò di riprendere il filo di ciò che stava succedendo.
Emolga era stato colpito? O era
riuscito a cavarsela?
Lo scoprì a terra, a meno di un
metro da lei, totalmente invischiato in almeno due Elettrotele.
Kim fece per dirgli qualcosa, ma lo
dimenticò all’istante, quando sentì N ordinare: «E ora Sanguisuga, avanti!»
L’istinto fu più forte di qualunque
pensiero logico: si buttò a terra, davanti al suo pokémon.
Un dolore lancinante al polpaccio
le tolse nuovamente il fiato: non aspettandosi quell’insolita intromissione,
Galvantula aveva affondato le tenaglie nella sua gamba.
Kim dovette stringere forte i
denti, per ricacciare indietro le lacrime. «Non te lo lascerò... toccare...
ragno schifoso.» sibilò, a fatica. «Non il mio Emolga... non oggi.»
Resosi conto dell’errore,
Galvantula si ritrasse immediatamente e due rivoli di sangue iniziarono a
scendere lungo la gamba di Kim, che non poté fare a meno di gemere per il
dolore.
Non capiva più nulla. Quella lotta
stava andando male, troppo male, e lei non l’aveva previsto.
«Galvantula, spostati.»
In un battito di palpebre, N fu
davanti a lei. Le prese la mano, la sostenne in vita con l’altro braccio e la
tirò su di peso, per farla rialzare.
Kim era così confusa e instabile
sulle sue stesse gambe che dovette aggrapparsi alla maglietta di N, per non
ricadere a terra.
La testa le faceva male. La gamba
perfino di più.
«Sembra che tu abbia perso su tutta
la linea, questa volta.» le disse N, per poi baciare la mano che teneva nella
sua.
Il suo respiro era ancora
affannato, il cuore minacciava di esploderle da un momento all’altro. Ed era
tra le braccia del nemico. Peggio di così non poteva andare.
«Già...» disse soltanto, confusa,
con il poco fiato che aveva. Strinse la stoffa che aveva tra le dita, cercando
di riacquistare un po’ di calma, o almeno una corretta respirazione.
Esercitando la messa a fuoco, Kim
si ritrovò a percorrere con lo sguardo la linea delle spalle di N, fino a dove
s’intersecava con quella del collo. Lo sfiorò con l’indice, dal basso verso
l’alto, come a voler tracciare un percorso segreto fino al suo viso.
La testa le faceva male. Male da
morire.
N s’irrigidì un poco, probabilmente
preso in contropiede da quel gesto insolito, ma non disse nulla. Lasciò che
l’indice di Kim salisse a tracciare il contorno del suo mento, fino ad arrivare
alle sue labbra.
«Su tutta... la linea... eh?» disse
piano la ragazza, tra un faticoso respiro e l’altro.
Il dolore era continuo, pulsante e
insopportabile. Voleva solo che smettesse.
Quando incontrò lo sguardo di N,
lui tentò di avvicinare il viso al suo, ma i rispettivi cappellini cozzarono
l’uno contro l’altro, lasciandoli a una distanza ridicola.
Kim sorrise tra sé. «Questo è di
troppo.» sussurrò, prendendo tra pollice ed indice la visiera del cappello di
N e sfilandoglielo. Cautamente, ma con
uno sguardo negli occhi che sottointendeva una certa fretta, lui fece lo stesso
col suo. Ora non c’erano più impedimenti.
Quel dolore tremendo doveva
smettere.
Gli diede una testata.
Una testata forte come non ne aveva
mai data una in tutta la sua vita.
Kim dovette ricorrere a tutta la
sua forza di volontà, o forse a una riserva nascosta di adrenalina, per
costringere le sue gambe a non cedere, mentre N cadde a terra, completamente
steso dal colpo. Anche se, con tutta probabilità, era stata la botta morale a
stenderlo, più che quella fisica.
«N non è più in grado di
combattere.» dichiarò Kim, con un filo di voce. «La vittoria va a Kim.»
Dopodiché, cadde a terra a sua
volta.
*******
«Sei una deficiente. Una completa
deficiente. Sei così incredibilmente deficiente che, se istituissero un premio
per la ragazza, ma che dico, per l’essere
umano più deficiente del pianeta, tu vinceresti a tavolino!»
«E ho un déja vu...» aggiunse Kim, con una tranquillità dettata unicamente
dalla tremenda emicrania che l’aveva assalita.
Erano sul bordo del campo e Lee
stava cercando di medicarle il morso di Galvantula sulla gamba. Operazione che,
per altro, si stava rivelando alquanto dolorosa: il ragazzo era troppo impegnato
a sgridarla, per lavorare delicatamente.
«E dire che ne hai fatte, di cose
stupide, da quando ti conosco.» stava appunto dicendo. «Ma questa le batte
tutte, hai superato ogni mia aspettativa. Inizio a dubitare che tu possieda un qualunque istinto di conservazione!»
esclamò, strattonando la garza con cui le stava fasciando la gamba.
«Ahia! Fa’ piano!» si lamentò Kim.
«Lo sai come sono fatta. Nei momenti di crisi non penso, non -»
«Esatto: tu non pensi!»
«AHIA! E chi è che mezz’ora fa ha
detto che è proprio questa la mia forza?»
Lee rimase interdetto, perciò
decise di sorvolare il discorso. «Non hai il minimo criterio.» continuò. «E la
sai un’altra cosa? Le scemenze peggiori le fai sempre quando c’è di mezzo N.
Quel maniaco ha un brutto ascendente su di te.»
Kim fu sorpresa da
quell’affermazione. Se era vero, non se n’era assolutamente accorta. «Ma
che...? E perché mai dovrebbe essere così?»
«La prima volta che abbiamo
combattuto insieme contro N, a Zefiropoli: hai mandato a fuoco l’intero campo,
rischiando di ucciderci tutti.»
Kim si morse un labbro. Vero.
Assolutamente vero.
«La seconda volta, a Ponentopoli:
hai usato uno dei cannoni di Anemone per sparare Porchetta in aria; quella
volta, per un pelo non hai ucciso lui.»
Di nuovo, stramaledettamente vero.
«Terza volta, a Bo-»
«Ok, ok, ho afferrato il concetto!»
sbottò Kim, rossa come un peperone. «Ma io sono io. Posso fare queste cose.»
«E, per l’amor di Dio, smettila di nasconderti dietro a quella
frase!»
Lee si alzò in piedi e d’istinto Kim
chiuse gli occhi, temendo che volesse darle uno schiaffo. Invece, le arrivò un
secco, forte pizzicotto alla guancia, che le fece venire voglia di piangere.
«È il tuo modo di svalutarti. E mi
fa davvero, davvero incavolare.»
Kim abbassò lo sguardo. Quello era
un discorso che avevano già fatto tante volte, ma che non portava mai a nulla.
Era un discorso che non voleva affrontare.
«Scusa.» disse soltanto,
abbracciandosi le ginocchia.
Lee sospirò. «Scema.» disse,
mettendole una mano sulla testa. «Ho creduto davvero che saresti morta, questa
volta.»
«Scusa.»
«Poi, ho creduto che fossi
completamente impazzita, che forse sarebbe stato anche peggio.»
«Scusa.»
«E poi, di nuovo che saresti morta.
Mi hai fatto perdere vent’anni di vita.»
«...scusa.»
«Scema.» ripeté Lee, un po’ meno
duramente della prima volta. «E hai pure perso, alla fine.»
Kim alzò la testa, d’un tratto più
combattiva. «Su questo punto, ci terrei a richiedere il parere di un avvocato.»
sbuffò, serissima. «Dopo tutto, N ha detto: “Se riuscite a sconfiggermi”...»
«Ma Emolga era già K.O., quando hai
steso N. Se anche il mettere fuori combattimento un allenatore fosse legale –
e, credimi, non lo è – la tua posizione sarebbe in ogni caso indifendibile.»
«Ma...!»
«Sei una scema e basta, inutile
discutere oltre.» capitolò Lee, tornando a sedersi di fronte a lei. «E ora,
vediamo di finire questo bendaggio. Abbiamo un mondo da salvare, a quanto
sembra.»
«Di nuovo.»
«Già, di nuovo.»