Capitolo
1
È l’otto giugno e mancano solo
quattro giorni alla fine della scuola. Fa caldo e senti già l’odore d’estate
nell’aria. Hai voglia di un frappé al cioccolato con panna e vorresti stare in
spiaggia, invece sei seduta sulla stessa sedia e appoggiata allo stesso banco
di sempre, quello che ti tiene compagnia da quando hai iniziato le superiori.
Vicino al muro. Lontano dalla finestra, lontano da ogni distrazione. Guardi
l’orologio, dovrai aspettare ancora dieci minuti prima di uscire da quel
carcere e già sai che quelli saranno gli attimi più stressanti e interminabili
di tutta la giornata. Dovresti ammazzare il tempo in qualche modo, così prendi
una penna ed inizi a scrivere sul tuo banco.
Ieri hai sentito la nuova canzone di
Shakira, quella dedicata ai mondiali, sorridi e la tua penna scorre sulla
superficie di plastica lasciando una scia d’inchiostro nero. Scrivi le uniche
due parole che ti sono rimaste in testa di tre minuti e mezzo di musica.
Mancano due minuti alla fine della lezione e quasi scoppi a ridere guardando
quel WAKA WAKA scritto in stampatello accanto ad una
frase di Robert Plant, ma riesci a trattenerti e
riponi le tue cose dentro lo zaino. La campanella suona e pensi che non esista
suono più angelico di quel trillo infernale.
Esci velocemente dalla tua classe,
ma non sei l’unica a scattare al suono della campana, i corridoi sono pieni.
Pieni di ragazzi che come te puntano verso l’uscita, pieni di sogni, speranze,
dubbi e segreti. Pieni di parole mai dette. Pieni di gioie e dolori. Perché una
scuola, per quanto odiosa possa essere, non è mai vuota.
Oltrepassi il cancello d’entrata o
d’uscita, dipende dai punti di vita. Stai
per attraversare le strisce pedonali quando una macchina ti taglia la strada. È
rosa, completamente rosa e dentro c’è una falsa bionda con un piercing sulla
lingua che ti guarda e sorride come un’imbecille.
“Vittoria, anche oggi senza
macchina?!?” ti chiede con voce stridula e con un pizzico di malizia.
“Vale, anche
oggi senza cervello?!?” rispondi mentre lei ti fa la linguaccia divertita e
alla fine ti invita a salire, non te lo fai ripetere due volte ed entri in quella
Fiesta terribilmente rosa.
Valentina Monati
è la tua migliore amica da sempre. Peccato che siate come il bianco e il nero,
come la pasta al sugo e il tofu, come una Maserati ed una vecchia Fiat 500. Tu
ascolti i Led Zeppelin, lei David Guetta. Tu
frequenti un istituto tecnico, lei un liceo. Lei sogna una famiglia, tu una
carriera. Lei si fa prendere dai sentimentalismi, tu sei cinica. Vi
punzecchiate in continuazione e non siete ancora riuscite a capire cos’è che vi
lega.
“Vieni stasera?” ti chiede cambiando
marcia e dando gas.
“Dove? ”
“All’inaugurazione dell’Artis
von Clere”ti risponde ammiccando. Valentina per te è
come una sorella, ma non appena ti propone di andare ad esplorare qualche
locale strano proprio non la sopporti.
“Non lo so”
“E dai che ti costa?” inizia a
lagnarsi Vale.
“Quattro giorni in compagnia di un
mal di testa martellante ed una nottata intera a tenerti i capelli mentre
vomiti” ribatti prontamente. Non è la prima volta che ti trascina in una
discoteca o cose del genere.
“Se ti giuro che non berrò niente?”
ti guarda implorante, ma tu alzi un sopracciglio e non le credi.
“Rimane il mal di testa…” persisti.
“Prenderai un’aspirina come fanno
tutti” ti sorride e distoglie lo sguardo dalla strada.
Un clacson suona più volte, Vale
frena bruscamente e tu guardi terrorizzata la strada. Una camion stava per
prendervi in pieno.
“Allora vieni?” ti chiede la tua
amica come se niente fosse successo, ma tu non l’ascolti e rimani a fissare la
strada. Hai visto la morte in faccia è tetra, brutta, scheletrica ed ha un
enorme sega elettrica in mano.
“Allora?” ribadisce la tua amica
senza distogliere più lo sguardo dalla strada, evidentemente anche lei si è
spaventata
Ma non dovrebbe avere una falce al posto di una sega?
“Vieni sì o no?” ripete lei, ma tu
non l’ascolti.
Possibile che avesse una sega al posto di una falce?
“Riprenditi mi serve una risposta
prima di questa notte” Vale insiste e ti strattona un po’ togliendo una mano
dal volante.
“Ok, ok vengo, ma guarda la strada”
le dici nervosamente notando la prossimità di un semaforo. E’ rosso e Vale
decide di rallentare, perché per quanto possa essere sbadata, non vuole di
certo avere la vita della sua migliore amica sulla coscienza…
Mentre abbassi il finestrino della
macchina ti senti strattonare violentemente da Vale.
“Oddio guarda guarda
guarda…” ti ribadisce eccitata facendo cenno con la
testa verso sinistra. Guardi nella stessa situazione e capisci subito perché
Vale sta dando di matto.
Una macchina nera si è affiancata
alla vostra e aspetta che il semaforo diventi verde. Alla guida c’è lui,
l’unico essere sul tutto il pianeta che tu sia mai stata in grado di odiare,
l’unico che riesce a farti salire i nervi a mille anche se rimane in silenzio:
Stefano Castelli. Indubbiamente bello. Indubbiamente dannato.
O almeno questo è quello che pensano
di lui tutte le ragazze della tua scuola.
La strada della dannazione pare l’abbia intrapresa qualche mese dopo la
scomparsa del suo coniglietto nano. Dopo essere uscito da un brutto giro di
alcool e droga, ha deciso di darsi alle sommosse studentesche. Non contento ha
dato fuoco alla casa della matrigna cattiva! Povero ragazzo! Pensi ironicamente fissandolo. Guarda
la strada con disinteresse, con una mano tiene il volante mentre con l’altra cicca fuori dal finestrino.
“Quanto è fico” sussurra Vale non
appena il semaforo diventa verde e lui sgomma senza un valido motivo.
“Scusa ma non riesco proprio a
capire cosa ci trovi in lui” rispondi scettica.
“Scommetto che sarebbe un’ottima
scopata” non dici niente. Perché alla fine tu sei una sostenitrice accanita
della libertà di pensiero, ma sai che dando fiato alla bocca non potresti dire
altro se non che persino un rinoceronte sarebbe meglio di Castelli.
“E dopo devi ancora spiegarmi perché
ce l’hai così tanto con lui..” continua Vale iniziando a rallentare con la
macchina.
“Non lo so…
Devo forse ricordarti cosa mi ha fatto quando facevamo il primo superiore?” le
dici mettendo su un broncio da bambina. Vale rimane in silenzio, frena e
accosta al marciapiede. Lei quel giorno era presente. Sa tutto di te e di certo
non può ignorare quello che Castelli ti ha fatto passare tanto tempo fa.
Ricordate tutto come se fosse ieri. Ma oggi è una bella giornata e non vale la
pena di rovinarla.
“Ti vengo a prendere alle dieci ok?”
ti dice Vale cacciando fuori uno dei suoi sorrisi più belli e allegri.
“Ok, siamo solo noi due?” le chiedi sospettosa,
perché sai che la tua amica tende sempre a crearsi un suo harem di ragazzi
ovunque.
“Certo che sì chi altro dovrebbe
esserci?!?”sorride sorniona. Non le credi.
“Ok allora a stasera” le dici
uscendo dalla macchina. Valentina sorride e senza risponderti mette in moto la
sua fiesta e parte.
Apri l’armadio. Incroci le braccia e
rimani a fissarlo. Sono le dieci meno cinque e stai ancora in biancheria
intima. Ogni tanto ti avvicini a toccare qualche vestito, ma sono tutti troppo
pesanti, non hai ancora fatto il cambio di stagione. Non hai avuto tempo.
Prendi un paio di jeans neri e li avvicini ad una maglietta a maniche corte
bianca. Comoda e sportiva. Sai che vestendoti così sarà come urlare a qualsiasi
essere: “non avvicinarti se ci tieni alle palle”. Eppure sai che se Vale ti
vedesse in jeans e maglietta inizierebbe ad urlare. Sorridi e nello stesso
momento la porta della tua camera si apre.
“Tesoro indovina che c’è qui
dentro?!?!” urla Valentina mettendoti sotto gli occhi una busta nera. Non ti lascia
il tempo di rispondere e tira fuori un vestitino nero talmente corto che
all’immaginazione di chiunque non lascerebbe proprio niente.
Lo guardi per qualche secondo, poi
ti giri, riapri l’armadio e prendi quei jeans e quella maglietta a cui stavi pensando
prima.
“Cosa stai facendo?”
“Mi vesto?!” rispondi scettica
mettendoti la t-shirt.
“Non vorrai mica venire in discoteca
in jeans e maglietta?” ti chiede storcendo la bocca in una strana smorfia di
disgusto.
“Certo che si!” rispondi convinta.
“No, no non se ne parla proprio,
spogliati! Non voglio vederti morire zitella. Se non altro non metterti una
maglietta con su disegnato Il Grande Puffo” ti dice indignata. Guardi la tua
maglietta e pensi che non ci sia niente di male nel Grande Puffo, stai per
ribattere, ma Vale continua.
“Ti prego fallo per me” implora con
gli occhi lucidi.
“Senti già è tanto se ti ci accompagno in
discoteca, non puoi pretendere che mi metta anche un coso del genere” le dici
indicando il vestito.
“Ok, ma almeno togliti quella maglia
ché è orrenda” ti risponde rassegnata.
“Va bene, ma i jeans me li
tengo”dici convinta d’aver trovato finalmente un compromesso. Vale inizia a
scavare nel tuo armadio e alla fine prende una blusa nera di pizzo e te la
lancia. Velocemente la indossi, prendi la borsa e in pochi minuti ti ritrovi
dentro l’Artis von Clere.
I muri tremano mentre mille o più
cuori battono all’unisono al ritmo di una musica troppo alta per avere una
conversazione con chiunque e probabilmente troppo bassa per sovrastare un
qualsiasi pensiero.
I corpi si muovono al suono di
quella musica petulante, mentre tu…. Tu te ne stai
ferma in un angoletto lontano di tutti e vicina ad un mondo che non conosci. In
mano hai un bicchiere di vodka, non è il tuo, è di Valentina, ma non importa,
lo porti alle labbra e bevi. Bevi avidamente.
Cosa stai facendo?!?! Sei forse impazzita? Devi guidare. Metti quel
bicchiere giù! Urla e
comanda una vocina metallica dentro la tua testa, ma tu la ignori e continui a
bere fino a quando non senti il bicchiere vuoto e la gola ardere.
È ufficiale. Il tuo ultimo neurone è
morto. Si è suicidato, anzi no. Sei stata tu ad ucciderlo.
Stai soffocando. Hai bisogno d’aria
fresca e di una sigaretta. Inizi a camminare verso l’uscita di quel girone
infernale e non appena sei fuori respiri a pieni polmoni. Prendi l’accendino dalla borsa e quando sei
sul punto di accendere la sigaretta, barcolli un po’. Colpa del sonno? O forse
della musica? No. È colpa di quel fottutissimo bicchiere di vodka. Ti lasci
scappare qualche imprecazione tra i denti. Così inizi a fumare nervosa mentre,
accanto a te, un gruppo di ragazzi ride
gutturalmente. Che palle, sapevo che non
sarei dovuta venire. Pensi mentre lasci cadere a terra il mozzicone della
sigaretta ancora fumante. Ti senti osservata e quando alzi lo sguardo incroci
quello di un ragazzo e ti perdi nei suoi occhi blu profondi come due pozzi
senza fondo. Anche lui sta fumando, ma di certo, a giudicare dall’odore, quella che ha in mano
non è una semplice sigaretta.
Lo conosci e se vedere Castelli una
volta in una sola giornata per te è qualcosa di ineccepibile, di certo
incontrarlo due volte è un terribile seccatura. Senti i nervi salire a mille,
distogli lo sguardo e tenti di non pensare alla sua presenza. Però dopo qualche
secondo ci ripensi.
Hai passato ben quattro anni ad
evitarlo accuratamente e lui sicuramente neanche si ricorda di te. Non è
cambiato e senti una parte di te che grida spietatamente vendetta.
Ti rigiri a guardarlo, lui non ha
distolto lo sguardo ed ora, senza neanche renderti conto del perché, ti penti
di non aver messo quel vestitino succinto che ti aveva portato Vale. Non sai
ancora bene cosa fare, ma sentire i suoi occhi addosso ti fa sentire sicura. Una parte del tuo cervello ha prodotto
un’idea assurda, impensabile. Un’idea che ti piace, ti eccita e ti impaurisce
al tempo stesso: l’idea di sedurlo.
Forse quel bicchiere di Vodka liscia
ha veramente distrutto tutti i tuoi neuroni perché inizi a muoverti nella
speranza di apparire provocante. Ma sei tremendamente goffa…
e buffa nella tua stupida convinzione.
Ti appoggi ad un muretto senza
distogliere lo sguardo da lui e tutto succede velocemente. Castelli si avvicina
e ti si para davanti. La sicurezza che ti sembrava d’aver acquisito si perde in
un bicchier d’acqua e non puoi far a meno di pensare a quanto sia stata folle
la tua idea di partenza.
“Ci conosciamo per caso?” ti chiede
lui con voce roca e maledettamente sexy.
Ma cosa cavolo volevi fare? Ti chiede l’unica parte di te che sembra essere
rimasta lucida. Ora sei piantata a gambe incrociate davanti a Castelli che ti
guarda come un leone davanti ad una deliziosa bistecca.
Non sai cosa rispondergli e così ti
limiti a scuotere la testa. Le immagini del primo giorno in cui vi siete
rivolti parola si affollano nella tua testa. Lui nel frattempo ti si avvicina
pericolosamente. E quando è a pochi centimetri dal tuo viso chiudi gli
occhi. Continui a sentire la voce di Vale
nella tua testa che ripete con una certa insistenza: “…Una
buona scopata”.
Allora le vostre labbra si sfiorano
prima dolcemente, poi ogni qualsiasi forma di gentilezza va a farsi fottere. Ti
aggrappi a lui e lasci che quel bacio si trasformi in una tortura senza fine.
Senti la sua mano scorrere possessivamente sulla tua schiena mentre con l’altra
ti accarezza rudemente un fianco. Passano secondi, forse ore oppure anni. Non
puoi, non devi lasciare che l’istinto predomini sulla ragione. Devi prendere in
mano la situazione. Gli mozzichi il labbro inferiore e Castelli senza reclamare
continua a stringerti tra le sue braccia. Non sai che diavolo fare perché il
contatto con il suo corpo invece di schifarti, ti eccita.
“Vict?!?”
dice qualcuno dietro di voi. Ti stacchi dalla presa di Stefano e vedi Vale che
ti guarda disorientata quanto non mai. In quel momento se dovesse chiederti
spiegazioni, non sapresti cosa dirle, perché quello che ti è successo è… è assurdo!
Queste cose capitano a lei, non a te.
Mentre sei alla ricerca di risposte,
la tua sanità mentale, già precaria, ti guarda, ti sorride e ti saluta.
Complimenti Vittoria! Hai appena
vinto un biglietto di sola andata per l’inferno.