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Autore: Cla90    06/06/2011    1 recensioni
-Chiara da quanto ci conosciamo io e te?!- chiese retoricamente mentre il suo sguardo sfidava quello di lei, sullo specchio di fronte a loro. –Da tutta una vita, o forse di più.
La ragazza abbassò lo sguardo, confusa di dove volesse andare a parare, mentre pensava che l’amicizia di Diego era una di quelle cose senza le quali non avrebbe potuto vivere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rima di un'altra estate

 



I muscoli delle braccia e delle gambe erano tesi, nella posizione di innaturale immobilità in cui si trovavano.
Il corpo in posizione fetale, la testa quasi toccava le ginocchia, schiacciato contro il parquet di quell’anonima sala di danza.
Respirò lentamente, concentrandosi al  massimo, avrebbe dovuto raggiungere quella perfezione che il giorno seguente avrebbe stupito i giudici dell’audizione che, da mesi, ormai, stava preparando.
Inspirò.
Era una quercia, una di quelle secolari, col fusto largo e la corteccia spessa e crepata dal tempo.
Trattenne un attimo il fiato.
Era un salice, coi suoi rami sottili che sfioravano il terreno, piangendo la loro sorte.
Infine espirò.
Era un filo d’erba, sottile e flessibile, che frusciava al vento, producendo un’impercettibile melodia.
Al primo tocco sul pianoforte a coda che si trovava in un angolo della sala, si sciolse lentamente, immersa in quel mondo che era solo suo, fatto di passi leggeri, nuvole di tulle e sogni ad occhi aperti.
E mentre si muoveva sicura, mentre ogni cellula del suo corpo era fissa su quella musica, ella teneva lo sguardo fisso di fronte a sé.
Non osservava la sua immagine riflessa che svolgeva con accortezza quei movimenti precisi, guardava oltre lo specchio, oltre quello spesso strato di vetro che rifletteva il suo presente.
Pensava al futuro, s’immaginava già l’indomani su quel palco, con l’ansia che la sopraffaceva e l’adrenalina in circolo, con una decina di paia d’occhi puntati sulla sua figura danzante.
I movimenti si fecero più veloci, a rincorrere quella melodia che si era fatta incalzante e melanconica, mentre un rivolo di sudore le percorreva la schiena in quell’afoso pomeriggio d’estate.
I raggi caldi filtravano dalla grande vetrata, illuminando in parte la sua figura stanca, che stingeva i denti e procedeva in quei movimenti armoniosi, mentre minuscoli granelli di polvere le si agitavano intorno in quella vecchia sala.
Sorrise, ripensando che fin dalla sua nascita era stata legata a doppio filo alla musica, che in qualche modo se ne sarebbe avvicinata e ne avrebbe fatto la sua ragione di vita.
Ripensò a suo nonno, che suonava il sassofono e era sempre rimasta affascinata da quello strumento, fin dai suoi primi anni di vita, quando in braccio a suo babbo ballava sulle note del liscio che il complesso di una manciata di elementi di cui faceva parte l’amato nonno suonava in qualche centro ricreativo della provincia.
Percepì un distinto tuffo al cuore, come le succedeva ogni singola volta in cui le si palesavano nella mente quelle immagini con lei protagonista, intenta, a quattro anni o poco più a mettere i piccoli piedini sopra le scarpe del babbo, dal momento in cui si era intestardita sul fatto di voler imparare a ballare, e far vedere al nonno che sapeva farlo.
Così, pian piano, coi piedini sulle scarpe lucide del padre, nel salotto di casa, aveva memorizzato i passi dei balli da sala. Prima il Valzer, il Tango e tutti gli altri a seguire.
E non c’era sabato o domenica che mancava nel seguire il compresso del nonno nelle sue serate.
Si ricordava ancora quando lui scendeva dal palco, la camicia inamidata e il sassofono al collo, suonare quel concerto che anche allora la emozionava, mentre passava tra le coppie danzanti, fino a giungere a lei, al tavolo con i genitori, che lo osservava rapita e orgogliosa di avere un nonno bravo come lui.
Non si stancava mai di sentirlo suonare, né lei stessa di ballare col babbo, anche se ormai era cresciuta, continuava a farlo di tanto in tanto, le scorreva nelle vene.
Non era mai andata a lezione di danza. Non le era mai piaciuto dover seguire una disciplina impostata e rigida come quella, preferiva la fluidità dei movimenti, la propria libertà.
Ed ora era arrivata alla svolta definitiva. Era un dentro o fuori, la prova del nove.
Era tutto il giorno che provava, senza tregua, in quella sala che la madre di una sua amica spesso le metteva a disposizione per allenarsi, in quanto inutilizzata.
Lo sguardo le si appannò per un attimo, ma resistette, mentre la melodia si faceva di nuovo incalzante, continuò a muovere i piedi, in preda all’ultima forza rimasta nel suo corpo, doveva finire quell’esecuzione, doveva finirla, doveva arrivare al finale, doveva essere perfetta. Doveva. Doveva...doveva...perfetta.
Cadde.
Cadde come un bambino a cui hanno fatto lo sgambetto nel cortile della scuola, tra le perfide risate degli altri.
Cadde e volteggiò a terra come il foglio, lasciato scivolare via dalle mani sudaticce di quello studente davvero promettente pieno di vergogna di fronte ad una classe che attende svogliata, in piedi di fianco alla cattedra, giusto per prendere tempo.
Cadde come una modella che sfila col suo meraviglioso abito, per niente sicura su quei tacchi 12, sottili e fragili come lo stelo di un fiore, ed un attimo dopo si trova a terra, tra i flash derisori dei fotografi.
Cadde e pianse.
Rotolò su quel pavimento, e versò lacrime amare, lanciando maledizioni contro la propria inettitudine, la propria incapacità.
Nel bel mezzo dei singhiozzi, udì dei passi che si avvicinavano al suo corpo esausto e scosso dai singhiozzi, ed un’ombra che si chinava su di lei.
Un corpo scivolò a terra di fianco a lei e ben presto un paio di braccia la strinsero e la fecero rotolare contro di lui.
Continuò a piangere sulla sua spalla, imbevendogli la maglia di lacrime amare, mentre il respiro finiva per regolarizzarsi e sul suo viso rimanevano soltanto i segni del trucco sciolto e scie salate sulle guance.
Si tirò su a sedere, incrociando le gambe e si sistemò alcune ciocche umide dietro le orecchie, prima di trovare il coraggio di voltarsi verso di lui.
-Pensi che stia esagerando, non è vero?- mormorò fissando i listelli di legno che formavano il parquet ed tastandone la superficie liscia con i polpastrelli.- Pensi che sia una stupida ballerina a cui crollerà il mondo se solo domani non passa quel dannato provino, giusto?
Lo disse con rabbia, rigettandogli addosso quella frustrazione accumulata in quell’ultima settimana, senza pensare a tutto il sostegno e l’aiuto che invece il ragazzo le aveva dato, sempre e comunque, rimanendo in un angolo, in silenzio, senza pretendere niente in cambio.
-No, non è vero. E lo sai anche tu.- ribattè dolcemente il ragazzo, avvicinandosi a lei, e sfiorandole le guance arrossate, con quelle dita che fino a qual momento avevano prodotto quella melodia al pianoforte.- Solo che ora non te ne rendi conto. Non ti rendi conto di molte cose in realtà.
Chiara, persa nei suoi pensieri, a mala pensa sentì le parole del ragazzo, continuando a crogiolarsi nella propria ansia e frustrazione.
-Domani è meglio se non mi presento, Diego. – esclamò decisa, mentre si alzava da terra e si scioglieva i capelli, per poi legarli nuovamente in una coda più ordinata e severa. – Farei soltanto una pessima figura.
Dette quelle parole, raccolse da terra la sua roba, infilandola alla rinfusa nel borsone, a testa bassa, prima che una mano glielo strappasse di mano e lo lanciasse al centro della sala.
-Che cazzo ti prende?- esclamò rabbiosa, mentre lo fronteggiava, impettita.
Diego le si avvicinò, le folte sopracciglia scure aggrottate in un’espressione infuocata.
-Che cazzo prende a te, piuttosto!- le urlò contro, additandola. – Ti sembra questo il modo? Abbandoni baracca e burattini, a tanto così da avercela fatta, a tanto così dal realizzare i tuoi sogni, per cosa?
Punta sul vivo della propria fragilità, si avvicinò ancora, conscia della ragione di lui, in tutto e per tutto, ma pronta a qualsiasi cosa pur di smentire quella verità che le faceva troppo male.
-Ma tu che ne sai, eh?- gridò, e la sua voce rimbombò in quella sala vuota, facendola sentire ancora più piccola, di quanto già non si sentisse.- Non sai NIENTE, niente di quello che provo!
Si voltò e rimase qualche minuto a testa bassa, immersa nel silenzio, ascoltando solo il proprio respiro affannoso, e la finta tranquillità del ragazzo a cui dava le spalle.
-Chiara da quanto ci conosciamo io e te?!- chiese retoricamente mentre il suo sguardo sfidava quello di lei, sullo specchio di fronte a loro. –Da tutta una vita, o forse di più.
La ragazza abbassò lo sguardo, confusa di dove volesse andare a parare, mentre pensava che l’amicizia di Diego era una di quelle cose senza le quali non avrebbe potuto vivere.
Era sempre stata restia a qualsiasi legame profondo, conscia che più forte era il sentimento che la legava a quella determinata persona, maggiore sarebbe stato il dolore, nel momento in cui quella persona le avrebbe fatto del male. Era matematico.
Ma Diego no. Non c’era mai stata sofferenza. C’era sempre stato, col suo sorriso, con le sue braccia aperte, col suo cuore a disposizione.
-So quanti sacrifici hai fatto per arrivare fin qui. Quanto sudore, quanta fatica hai provato. –riprese, più vicino di prima, mentre rifuggiva il suo sguardo penetrante nello specchio.- Quante volte hai detto di non essere capace di non essere portata ed altrettante volte ti sei rialzata, più forte di prima. Quindi credimi, quando ti dico che anche questa volta ce la farai.
L’ennesima lacrima le rigò la guancia, mentre si voltava verso di lui e si copriva il volto con le mani, scuotendo la testa a destra e sinistra.
-Ti conosco più di quanto conosca me stesso.-continuò in tono deciso, mentre prendeva le mani di lei tra le sua, scontandogliele dal viso. –E ti amo più di quanto possa amare qualcun altro.
A quelle parole smise di respirare, smise di pensare e di piangere.
Era come se il mondo avesse deciso di girare al contrario, perché si sentiva sbilanciata, in preda al panico, ed entusiasta, al contempo.
Sentiva la musica, l’assordava, era troppo, troppo alta, non riusciva a percepire altro.
O era il battito del suo cuore, che sentiva pulsare, battito dopo battito?
O il passo cadenzato dei suoi piedi nudi sul parquet, mentre metteva fine alla distanza tra i loro corpi?
La musica incalzava, le note si rincorrevano, impazzite.
Era l’amore sussurrato su quelle labbra che l’avevano trovata, finalmente.
Lo schiocco di labbra gemelle che si univano.
La rima baciata di una poesia d’amore di un’altra estate.
  
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