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Autore: minimelania    08/06/2011    4 recensioni
Quando la notte scivola sui muri e le cortine di damasco del letto, niente è più al sicuro, neppure la più ferma virtù. E se a decidere di infrangere la strana tregua esiziale è il sogno proibito dell'uomo più casto, non c'è delitto che non possa avvenire. Non c'è virtù che non si possa perdere. Non c'è ossessione che non possa avverarsi.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*

< Nec diu nec noctu

licet

Iudices quiescant >

*

3.

 

- Non capisco cosa significa tutto questo - sorrise il Giudice, posando con un gesto elegante la coppa di vino sul tavolo davanti a sé - Se vuoi capire cosa significa un sogno, devi rivolgerti a una chiromante, o a una strega. Sempre che te ne abbia lasciata qualcuna.
Stavano mangiando qualcosa, in piena notte, nelle cucine. Naturalmente, un'idea di Esmeralda. Fosse stato per il Giudice, mai e poi mai avrebbero lasciato quella stanza. Ma si sa, la grazia femminile finisce sempre per avere la meglio, in un modo o nell'altro. Anche Esmeralda alzò gli occhi dal piatto che stava coscienziosamente spolverando. Stufato di qualcosa di ottimo, sicuramente selvaggina. Roba che lei non vedeva neanche in un milione di anni.
- Allora, questo sogno? - fece lui.
Lei lo guardò, si sottecchi.
- In effetti non ti ho detto tutta la verità. Il sogno era solo una scusa.
- E per che cosa?
- Per raggiungerti e parlarti.
- Vuoi dire che il sogno non l'hai fatto veramente?
- Perché, adesso ti importa?
Lui retrocesse velocemente.
- Ovviamente no. E' solo che non mi piace essere ingannato.
Lei sospirò.
- L'ho fatto davvero. Il sogno, voglio dire. Ma il fatto è che volevo dirti un'altra cosa. Puoi ascoltarmi? Di quello possiamo occuparci dopo, se vuoi. E' importante, ma non quanto questo.
- Continui a non volermi dire come sei riuscita a liberarti. Questo potrebbe essere un modo per cominciare.
Lei sbuffò. Spostò il piatto, si avvicinò appena.
- Claude, ascoltami, è una cosa seria. Sei in pericolo.
Senza pensarci, involontariamente, gli aveva posato una mano sul braccio. Lui rimase un istante come di pietra. Avvertì un brivido, come una lieve puntura in su ogni vertebra della schiena, ma non si mosse. Poi, a bocca stretta:
- Avanti, allora - disse - Ti ascolto. Sentiamo quale terribile pericolo mi minaccia.
Lei fece di nuovo un sospiro, poi cominciò. Parve non cogliere l'ironia.
- Non ti dirò che questo mese passato in cella sia stato il più bello e pacifico che abbia mai passato. Diciamo solo che non sei proprio il tipo più premuroso con i propri ospiti …
- Questo solo perché tu non vuoi essere ragionevole. Ti avevo dato una scelta, lo sai bene.
- … oh, certo, sì. Una scelta. Certo. Ma adesso lasciamo perdere, ascolta. Dicevo che mentre passavo ore in cella completamente sprofondata nel buio ad ascoltare il rumore dei topi che rosicchiano la mia pagnotta ammuffita …
- Noi non serviamo pagnotte ammuffite. Avevo dato preciso ordine che il vitto per te fosse decente. Non sublime, ma per lo meno decente.
Esmeralda alzò gli occhi al cielo, in una comica pantomima di sorpresa.
- E allora  vuol dire che i tuoi ordini contano meno di zero. Perché ti dico che era ammuffita. Comunque, il punto è che la mia cella aveva un foro, non so come, nella parete di destra. Una cosa ributtante che di solito vomitava liquami. Beh, un giorno invece di vomitare liquami cominciano a venire fuori dei suoni. Io lì per lì non capisco cosa sono, ma poi mi avvicino e capisco che sono parole, e vengono dal piano di sopra. La cella ha un foro che evidentemente mette in comunicazione le due stanze. E chi ci sta al piano di sopra, sopra la mia cella?
Il Giudice aggrottò le sopracciglia.
- La stanza delle guardie, penso.
- Esattamente. E guardie erano, in effetti. Mi accosto e comincio a sentire cose che non ti piaceranno per niente.
- In che senso?
Lei fece una breve pausa, per scostare una ciocca di capelli e riportarla dietro l'orecchio. Poi continuò:
- C'erano due, e parlavano abbastanza piano da non farsi sentire. Ma io dal mio buco sentivo tutto. Uno di certo era il carceriere, lo riconosco perché balbetta. L'altro non lo so. Comunque parlavano … indovina di cosa?
Il Giudice arricciò un poco il labbro, indispettito. Prese di nuovo il calice, per bere.
- Sono qui per ascoltarlo dalle tue delicatissime … ehm, labbra.
- Stavano parlando di te - annunciò lei trionfante, puntandogli un dito contro il petto. Nella foga dimenticò il giuramento che mai, mai, lo avrebbe toccato - Dicevano che vogliono ucciderti.
Al Giudice andò il vino di traverso.
- Cosa? E perché mai dovrebbero fare una cosa del genere?
- Perché qualcuno li ha pagati, zuccone. Qualcuno che ti vuole morto.
- E tu? Ammesso che tutto questo sia vero, perché lo stai venendo a dire proprio a me? Perché dovrei fidarmi? Hai le prove?
Ma in cuor suo il Giudice era piuttosto turbato. Esmeralda lo capì.
- Ascolta bene, non mi riesce difficile immaginare che tu abbia dei nemici, molto nemici. In generale sei una persona odiosa, e lo dimostri anche adesso, mentre io sto cercando di salvarti la vita. Dico davvero, quei due parlavano di un certo tizio che li aveva contattati perché ti facessero fuori. Deve aver dato loro un sacco di grana.
- E chi sarebbe il tizio?
- Non ne ho la più pallida idea. Però so che i carcerieri continuano a discutere, perché sono già tre notti che li sento. Forse non sono del tutto convinti, o non hanno in mente nessun piano. Forse basta che li fai catturare e loro ti dicono tutto.
Per un istante sulle pallide labbra del Giudice passò un sorriso di interesse. Come quando si fa vedere un bel giocattolo a un bambino, ma poi considerazioni più stringenti ripresero il sopravvento.
- No. Impossibile. Non posso far arrestare due miei uomini solo per le accuse folli di una zingara. Intanto hai riconosciuto il carceriere ma non il suo complice, e poi chi mi dice che non te lo sia sognato?
- Non ti fidi di me?
- Neanche un po'.
Lei mise il broncio. Restarono qualche tempo in silenzio, lei a giocherellare con una mollica di pane, lui a far girare distrattamente il vino dentro al bicchiere.
- Ho un'idea - disse infine Esmeralda.
Lui alzò gli occhi.
- Sono tutto orecchi.
- E se ci appostassimo, insieme? Potresti venire domani notte nella cella, metterti in ascolto, con me. E allora vedresti se dico bugie!
Lui la fissò come se non capisse. Alla zingara aveva dato di volta il cervello? Forse la troppa prigione, si rimproverò. Come era anche solo immaginabile che lui accettasse una cosa del genere? Rinchiudersi in cella, con lei, per ascoltare dei mormorii da un buco? E poi c'era ancora - irrisolto - il motivo per cui lei lo faceva? Cos'era, carità cristiana? Si era per caso innamorata di lui? Ma andiamo! No, il fatto era che puzzava tutto di marcio. Davvero, tremendamente, di marcio.
- Allora? Cos'hai deciso, è una buona idea?
- Non penso proprio, mia cara. No. La mia risposta è che tu  forse dovresti …
Ma non fece in tempo a finire la frase. Esmeralda si alzò in piedi, indispettita, e andò verso la porta.
- Ah, è così? Non credi a quello che dico? Peggio per te, non ti interessa? Crepa!
Poi, con un fruscio della veste scomparve esattamente da dove era venuta. Stavolta il Giudice non si dette neanche il pensiero di chiedersi come avrebbe fatto a rientrare nelle segrete. Non governava più quella ragazza. Non aveva potere su di lei. Questo bisognava ricordarselo, e cercare di porvi rimedio.

 
  
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