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Nec diu nec noctu
licet
Iudices
quiescant >
*
3.
-
Non capisco cosa
significa tutto questo - sorrise il Giudice, posando con un gesto
elegante la
coppa di vino sul tavolo davanti a sé - Se vuoi capire cosa
significa un sogno,
devi rivolgerti a una chiromante, o a una strega. Sempre che te ne
abbia
lasciata qualcuna.
Stavano mangiando
qualcosa, in piena notte, nelle cucine. Naturalmente, un'idea di
Esmeralda.
Fosse stato per il Giudice, mai e poi mai avrebbero lasciato quella
stanza. Ma
si sa, la grazia femminile finisce sempre per avere la meglio, in un
modo o
nell'altro. Anche Esmeralda alzò gli occhi dal piatto che
stava
coscienziosamente spolverando. Stufato di qualcosa di ottimo,
sicuramente
selvaggina. Roba che lei non vedeva neanche in un milione di anni.
- Allora, questo sogno? - fece
lui.
Lei lo guardò, si
sottecchi.
- In effetti non ti ho
detto tutta la verità. Il sogno era solo una scusa.
- E per che cosa?
- Per raggiungerti e
parlarti.
- Vuoi dire che il sogno
non l'hai fatto veramente?
- Perché, adesso ti
importa?
Lui retrocesse
velocemente.
- Ovviamente no. E' solo
che non mi piace essere ingannato.
Lei sospirò.
- L'ho fatto davvero. Il
sogno, voglio dire. Ma il fatto è che volevo dirti un'altra
cosa. Puoi
ascoltarmi? Di quello possiamo occuparci dopo, se vuoi. E' importante,
ma non quanto questo.
- Continui a non volermi
dire come sei riuscita a liberarti. Questo potrebbe essere un modo per
cominciare.
Lei sbuffò. Spostò il
piatto, si avvicinò appena.
- Claude, ascoltami, è una
cosa seria. Sei in
pericolo.
Senza pensarci,
involontariamente, gli aveva posato una mano sul braccio. Lui rimase un
istante
come di pietra. Avvertì un brivido, come una lieve puntura
in su ogni vertebra
della schiena, ma non si mosse. Poi, a bocca stretta:
- Avanti, allora - disse -
Ti ascolto. Sentiamo quale terribile pericolo mi minaccia.
Lei fece di nuovo un
sospiro, poi cominciò. Parve non cogliere l'ironia.
- Non ti dirò che questo
mese passato in cella sia stato il più bello e pacifico che
abbia mai passato.
Diciamo solo che non sei proprio il tipo più premuroso con i
propri ospiti …
- Questo solo perché tu
non vuoi essere ragionevole. Ti avevo dato una scelta, lo sai bene.
- … oh, certo, sì. Una
scelta. Certo. Ma adesso lasciamo
perdere, ascolta. Dicevo che mentre passavo ore in cella completamente
sprofondata nel buio ad ascoltare il rumore dei topi che rosicchiano la
mia
pagnotta ammuffita …
- Noi non serviamo
pagnotte ammuffite. Avevo dato preciso ordine che il vitto per te fosse
decente. Non sublime, ma per lo meno decente.
Esmeralda alzò gli occhi
al cielo, in una comica pantomima di sorpresa.
- E allora vuol
dire che i tuoi ordini contano meno di
zero. Perché ti dico che era ammuffita. Comunque, il punto
è che la mia cella
aveva un foro, non so come, nella parete di destra. Una cosa ributtante
che di
solito vomitava liquami. Beh, un giorno invece di vomitare liquami
cominciano a
venire fuori dei suoni. Io lì per lì non capisco
cosa sono, ma poi mi avvicino
e capisco che sono parole, e vengono dal piano di sopra. La cella ha un
foro
che evidentemente mette in comunicazione le due stanze. E chi ci sta al
piano
di sopra, sopra la mia cella?
Il Giudice aggrottò le
sopracciglia.
- La stanza delle guardie,
penso.
- Esattamente. E guardie
erano, in effetti. Mi accosto e comincio a sentire cose che non ti
piaceranno
per niente.
- In che senso?
Lei fece una breve pausa,
per scostare una ciocca di capelli e riportarla dietro l'orecchio. Poi
continuò:
- C'erano due, e parlavano
abbastanza piano da non farsi sentire. Ma io dal mio buco sentivo
tutto. Uno di
certo era il carceriere, lo riconosco perché balbetta.
L'altro non lo so.
Comunque parlavano … indovina di cosa?
Il Giudice arricciò un
poco il labbro, indispettito. Prese di nuovo il calice, per bere.
- Sono qui per ascoltarlo
dalle tue delicatissime … ehm, labbra.
- Stavano parlando di te -
annunciò lei trionfante, puntandogli un dito contro il
petto. Nella foga dimenticò
il giuramento che mai, mai, lo avrebbe toccato - Dicevano che vogliono
ucciderti.
Al Giudice andò il vino di
traverso.
- Cosa? E perché mai
dovrebbero fare una cosa del genere?
- Perché qualcuno li ha
pagati, zuccone. Qualcuno che ti vuole morto.
- E tu? Ammesso che tutto
questo sia vero, perché lo stai venendo a dire proprio a me?
Perché dovrei
fidarmi? Hai le prove?
Ma in cuor suo il Giudice
era piuttosto turbato. Esmeralda lo capì.
- Ascolta bene, non mi
riesce difficile immaginare che tu abbia dei nemici, molto nemici. In
generale
sei una persona odiosa, e lo dimostri anche adesso, mentre io sto
cercando di
salvarti la vita. Dico davvero, quei due parlavano di un certo tizio
che li
aveva contattati perché ti facessero fuori. Deve aver dato
loro un sacco di
grana.
- E chi sarebbe il tizio?
- Non ne ho la più pallida
idea. Però so che i carcerieri continuano a discutere,
perché sono già tre
notti che li sento. Forse non sono del tutto convinti, o non hanno in
mente
nessun piano. Forse basta che li fai catturare e loro ti dicono tutto.
Per un istante sulle
pallide labbra del Giudice passò un sorriso di interesse.
Come quando si fa
vedere un bel giocattolo a un bambino, ma poi considerazioni
più stringenti
ripresero il sopravvento.
- No. Impossibile. Non
posso far arrestare due miei uomini solo per le accuse folli di una
zingara. Intanto
hai riconosciuto il carceriere ma non il suo complice, e poi chi mi
dice che
non te lo sia sognato?
- Non ti fidi di me?
- Neanche un po'.
Lei mise il broncio. Restarono
qualche tempo in silenzio, lei a giocherellare con una mollica di pane,
lui a
far girare distrattamente il vino dentro al bicchiere.
- Ho un'idea - disse
infine Esmeralda.
Lui alzò gli occhi.
- Sono tutto orecchi.
- E se ci appostassimo, insieme?
Potresti venire domani notte
nella cella, metterti in ascolto, con me. E allora vedresti se dico
bugie!
Lui la fissò come se non
capisse. Alla zingara aveva dato di volta il cervello? Forse la troppa
prigione, si rimproverò. Come era anche solo immaginabile
che lui accettasse
una cosa del genere? Rinchiudersi in cella, con lei, per ascoltare dei
mormorii
da un buco? E poi c'era ancora - irrisolto - il motivo per cui lei lo
faceva?
Cos'era, carità cristiana? Si era per caso innamorata di
lui? Ma andiamo! No,
il fatto era che puzzava tutto di marcio. Davvero, tremendamente, di
marcio.
- Allora? Cos'hai deciso,
è una buona idea?
- Non penso proprio, mia
cara. No. La mia risposta è che tu
forse
dovresti …
Ma non fece in tempo a
finire la frase. Esmeralda si alzò in piedi, indispettita, e
andò verso la
porta.
- Ah, è così? Non credi a
quello che dico? Peggio per te, non ti interessa? Crepa!
Poi, con un fruscio della
veste scomparve esattamente da dove era venuta. Stavolta il Giudice non
si
dette neanche il pensiero di chiedersi come avrebbe fatto a rientrare
nelle
segrete. Non governava più quella ragazza. Non aveva potere
su di lei. Questo
bisognava ricordarselo, e cercare di porvi rimedio.