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Autore: manymany    12/06/2011    3 recensioni
Lara. Ha desiderato una vita nuova da sempre ma quando questa arriva non sa come gestirla, spaventata dai cambiamenti troppo repentini.
Liam. Una vita fatta di silenzi.
Due mondi che si incontrano e si travolgono.
Tratto dal primo capitolo:
Si avvicinò ancora di più, intenzionata a scuoterlo violentemente, aveva proprio perso la pazienza. Ma non ci fu affatto bisogno di scuoterlo, non appena la sua mano gli sfiorò il braccio, il ragazzo spalancò gli occhi e sussultò violentemente e lei lo imitò. Le era preso un accidenti, il cellulare squillava da dieci minuti buoni e lui lo ignorava e non appena lo sfiorava lui reagiva così? Il cuore le batteva furiosamente nel petto.
- Ma che sei sordo?- esclamò indispettita.
La risposta di lui la lasciò sbigottita.
- Si. - esclamò con gli occhi blu, confusi, piantati nei suoi.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti  bella gente! Come va?  A poco dalla fine
della mia storia l'Odore del Passato, ritorno (in un periodo di
esaurimento da esami) con un 'altra avventura. Tutto parte da u sogno
che ho fatto qualche giorno fa. Spero che l'idea vi piaccia. Fatemi
sapere se vale la pena continuare a propinarvela! Un bacio a tutti e
buona lettura. Manu


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CAPITOLO I: Mal di testa & “Malafigura”


La testa stava per scoppiarle, ne era certa. Sentiva chiaramente il sangue pulsare nelle tempie, tormentandola. Avrebbe voluto solo sdraiarsi e dormire, per ore, per giorni, per mesi. Solo dormire. Eppure c’erano ancora tante cose da fare, da sbrigare. Tante cose che non aveva previsto. Quel giorno di fine agosto faceva caldo, come è ovvio che sia in agosto, ma era un caldo che toglieva il fiato, che friggeva il cervello e inibiva la capacità di pensiero e come se non bastasse questo a sfiancare anche la persona più in forma, lei aveva fatto tutto di corsa, non per volontà, no, non aveva nessuna voglia di sbrigare quelle cose. Voleva dormire, chiudere gli occhi e non pensare. Ma qualcuno doveva farlo e quel qualcuno poteva essere solo lei. Non c’era alternativa. La testa le pulsava e la camicetta bianca si inzuppava sempre di più per il troppo caldo. Doveva sedersi, doveva bere, doveva dormire. Camminò stancamente fino al binario 8, chiedendosi come fosse possibile che tutti i treni che doveva prendere lei si trovassero sempre così in fondo. In quella stazione ammuffita in cui l’acqua gocciolava dai muri anche nei periodi più secchi, non sapevano nemmeno dell’esistenza di parole come: scale mobili e ascensori. Non se ne vedeva nemmeno l’ombra. C’erano scale da scendere e scale da salire e lei era distrutta. Per fortuna il treno era già al binario, quella stazione faceva da capolinea e non avrebbe dovuto aspettare secoli prima di sedersi. Salì sul treno che doveva aver avuto sicuramente giorni migliori, a occhio e croce molti anni prima quando lei indossava ancora il pannolino e non conosceva nemmeno l’esistenza della parola treno. L’aria era irrespirabile, calda e intrisa di odore di sudore e di altro che non sapeva definire in altro modo se non disgustoso. Nonostante mancassero ancora parecchi minuti alla partenza i vagoni erano quasi tutti occupati dai soliti pendolari che rientravano a quell’ora e che si conoscevano tutti. Urlavano e organizzavano cene di gruppo. In ogni vagone era  la stessa storia. Possibile che si conoscessero tutti? Possibile che dovessero urlare per forza? Possibile che tutti dovessero organizzare cene proprio  quel giorno? Arrivò fino all’ultimo scompartimento, ormai rassegnata a sedersi in mezzo a quella bolgia di lavoratori urlanti e apparentemente ancora pieni di energia nonostante la giornata di lavoro alle spalle e l’aria calda e opprimente che aleggiava in tutto il treno. Come un miraggio, l’ultimo vagone si presentò quasi deserto. C’erano solo una donna anziana con un cagnolino in un trasportino verde, entrambi sonnecchiavano beatamente e un ragazzo con  capelli e barba color ruggine, niente a che vedere con il suo rossiccio scolorito dovuto alla tintura scadente, quello era rosso vero. Se ne stava con il viso premuto contro il finestrino sporco. Sembrava dormire anche lui. Ma che fortuna! Era capitata nel vagone dei dormitori. Spinse la porta di vetro che cigolò svegliando la donna e il cagnolino, le sorrise  per scusarsi e crollò sul primo sedile che incontrò. Era stata una giornata difficile, la prima di una lunga serie. Lo sapeva bene solo che non era ancora preparata. Non era facile da accettare un cambiamento così radicale.
“Attenta a ciò che desideri perché un giorno potrebbe realizzarsi”.
Mai parole erano state più vere. Quante volte aveva desiderato andarsene dal paesotto di provincia in cui abitava per trasferirsi nella città più grande a cento chilometri di distanza? Aveva sognato un appartamento luminoso in centro, un lavoro che le permettesse di fare la bella vita e le strade pavimentate d’oro. Ma adesso che il suo sogno si era realizzato, o meglio era sul punto di farlo, aveva perso tutto l’entusiasmo. Il monolocale in cui doveva vivere era praticamente uno sgabuzzino buio in cui entrava appena il letto e l’armadio, la cucina e il bagno annessi erano praticamente inesistenti, i mobili erano vecchi e rotti, ovunque c’erano appesi adesivi scoloriti e strappati. L’ascensore era fuori servizio da tempo immemore a detta dei vicini e la sua topaia era al quinto piano. Per non parlare dell’odore indefinito che aleggiava nell’androne e per le scale. Quel giorno era stata lì solo per dargli un’occhiata e appena aveva visto lo squallore non aveva potuto trattenersi dallo scoppiare a piangere sedendosi sul vecchio materasso cigolante. Si era lasciata andare al piagnisteo per una decina di minuti, poi si era alzata, decisa a non lasciarsi abbattere ma nella fretta di ritrovare la prontezza di spirito e aprire una finestra per non morire asfissiata dal caldo inciampò in una prolunga srotolata proprio accanto alla porta della cucina e piombò sul pavimento di pancia. L’urto le aveva tolto il fiato quasi quanto la consapevolezza che avrebbe dovuto vivere in quella topaia. Si alzò e uscì decisa a prendere il primo treno che l’avesse ricondotta a quella che ancora per pochi giorni era casa sua. Il pensiero di lasciare il luogo in cui era cresciuta le strinse il cuore, ma si riprese in fretta, il prossimo treno sarebbe stato dopo quarantacinque minuti. Pregò il dio dei trasporti pubblici affinché facesse arrivare subito un tram.Per quel giorno ne aveva abbastanza. Tutti i suoi piani, i suoi sogni si erano rivelati bolle di sapone e proprio come bolle erano scoppiate schizzando ovunque. Il lavoro che la attendeva non le avrebbe fatto guadagnare abbastanza per potersi permettere i “lussi” che aveva immaginato, doveva gestire una polverosa libreria ed era già tanto se le avesse permesso di sfamarsi. Era aperta dall’inizio del secolo precedente e come diceva un foglio scolorito, appeso alla parete dietro il bancone, tutto era come il primo giorno in cui Enrico Russo, che a quanto pare era il suo trisavolo, aveva alzato la serranda per la prima volta. Mobili di legno polverosi, mattonelle a fondo bianco con inspiegabili e orribili macchie marroni e un sistema di illuminazione che sfidava tutti i principi della logica. Non poteva essere a norma un luogo del genere, con cavi sfilacciati da cui pendevano improbabili lampadari sbrecciati e scaffali enormi e sovraccarichi smangiucchiati dalle termiti. Per non parlare della città. Strade lastricate d’oro? Ma quando mai! Era già un miracolo che fossero lastricate. Non riusciva a capire come non si fosse accorta prima di quanto fosse malandata quel posto. Le mattonelle dei marciapiedi staccate o addirittura sparite, mezzi di trasporto che seguivano orari dettati solo dal caso o da un’entità superiore che non era stata ancora identificata. Bidoni della spazzatura pieni e popolati da colonie di gatti e cani randagi. Quando ci andava con le amiche per lo shopping natalizio le appariva quasi come un luogo incantato, un “paese della cuccagna” in cui si poteva trovare di tutto , dai negozi di biancheria intima grandi quanto i supermercati del suoi paese ai negozi delle marche migliori fino agli empori dei cinesi o degli indiani.
Si agitò sul sedile sporco e scomodo del treno, decisa a non pensarci. Per qualche minuto avrebbe anche potuto staccare la spina e cercare di farsi passare quel mal di testa atroce. Il treno iniziò a muoversi lentamente, cullandola fino a che non si addormentò.
C’erano migliaia e migliaia di papaveri, danzavano al vento leggero, incrinando la corolla a destra e sinistra. Chissà se i fiori provano felicità? Era sicura di si, se sei una creatura libera, rossa e selvaggia come il papavero non puoi che essere felice. Erano i suoi fiori preferiti.
I papaveri si annerirono, sparì tutto il campo e perfino il cielo terso e luminoso, tutto fu avvolto dal nero. Spalancò gli occhi smarrita. Si era addormentata. Avvertì subito il motivo per cui era stata strappata al suo paradiso personale. Un cellulare stava squillando proprio alle sue spalle, nel posto in cui doveva essere seduto il tizio con i capelli rossi. Perché non rispondeva? Si voltò e dallo spazio tra i due sedili vide che il ragazzo stava dormendo ancora, sembrava non accorgersi per niente dello squillo insistente del cellulare. Il mal di testa che con il sonnellino si era sopito iniziò a bussarle prepotentemente alle tempie, poi il cellulare smise di suonare.
“ Dio grazie!”- disse tra sé per poi sprofondare di nuovo contro lo schienale del sedile. Non ebbe nemmeno il tempo di chiudere gli occhi che il suono insistente ricominciò a farsi sentire e ancora una volta il ragazzo continuò a dormire beatamente.
Doveva avere proprio il sonno pesante!
Si alzò in piedi e si guardò intorno, la donna con il cagnolino non c’era più, doveva essere scesa in una delle prime fermate quando anche lei dormiva. Chiunque ci fosse dall’altro lato del telefono non voleva saperne di smettere di chiamare. Il dolore alle tempie si faceva ancora più insistente. Doveva far tacere quel telefono. Subito.
Il treno correva veloce sui binari e il suo senso dell’equilibrio non era molto sviluppato così si avvicinò traballante al sedile del ragazzo. Tossicchiò un paio di volte, per darsi un tono e cercando, invano di attirare  l’attenzione del bell’addormentato nel bosco.
“ Beh bello..non esageriamo..casomai carino..” pensò tra sé e sé, poi scosse la testa.
- Scusami!- chiamò, ma niente, il giovane continuava a dormire indisturbato.- Ehi! Scusa!
Ogni tentativo riscuoteva lo stesso successo ovvero l’indifferenza. Non si muoveva, non cambiava posizione, non sbuffava, non si lamentava. Continuava a dormire, beatamente. Si avvicinò ancora di più, intenzionata a scuoterlo violentemente, aveva proprio perso la pazienza. Ma non ci fu affatto bisogno di scuoterlo, non appena la sua mano gli sfiorò il braccio, il ragazzo spalancò gli occhi e sussultò violentemente e lei lo imitò. Le era preso un accidenti, il cellulare squillava da dieci minuti buoni e lui lo ignorava e non appena lo sfiorava lui reagiva così? Il cuore le batteva furiosamente nel petto.
- Ma che sei sordo?- esclamò indispettita.
La risposta di lui la lasciò sbigottita.
- Si. - esclamò con gli occhi blu, confusi, piantati nei suoi.

  
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