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Autore: LauFleur    13/06/2011    17 recensioni
Edward Cullen: un ragazzo, un figlio, un fratello. Un figlio costretto a rimettere insieme i pezzi di ciò che i suoi genitori hanno frantumato. Un fratello tormentato dal pensiero che la felicità di sua sorella sia minacciata dalla tristezza delle loro vite. Un ragazzo ossessionato da Isabella Swan, la donna che riesce a calmare quel mare in tempesta che è diventata la sua vita.
[Rating rosso per il primo extra.]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Siete sempre più numerosi, non avrei mai immaginato di ricevere tutto questo affetto ed entusiasmo

Siete sempre più numerosi, non avrei mai immaginato di ricevere tutto questo affetto ed entusiasmo.

Grazie, grazie, grazie.

____________________

 

 

Capitolo 4 – Caduta

 

Con due passi, spingendo la sedia a rotelle, Carlisle entrò in casa. Edward, ammutolito, non poté far altro che spostarsi e farli passare. Chiuse la porta dietro di sè e subito l'aria sembrò risucchiata dalla stanza. Nessuno riusciva più a respirare.

"Buonasera." li salutò Carlisle con aria solenne, come se fosse ad uno dei suoi convegni e stesse per esporre una delle sue noiose relazioni. Esme rimase seduta sul divano, pregando in silenzio di venire inghiottita dai cuscini. Rosalie si lasciò cadere sulle cosce il pezzo di stoffa che stringeva tra le mani e cercò subito gli occhi di suo fratello. La ragazza bionda continuava ad elargire sorrisi e Edward si ritrovò a chiedersi se fosse del tutto normale. Ma non ti rendi conto che non c'è proprio un cazzo da sorridere?

Carlisle ignorò con maestria il silenzio agghiacciante dei suoi familiari. "Lei è Tania."

Edward si fece avanti, e quando lo raggiunse gli sembrò addirittura di essere più alto. O forse era suo padre che all'improvviso sembrava basso. Piccolo, codardo e basso. Nonostante si sforzasse di apparire un gigante.

"Tania chi?" Le parole risuonarono nell'aria come una sfrecciata di lama.

Gli occhi di Carlisle si indurirono di colpo. Era come se si fosse accorto soltanto in quel momento che la stanza era carica non solo di silenzio, ma anche di rabbia. Soprattutto di quella di suo figlio.

"La mia compagna."

"Almeno è maggiorenne?" Bentornata, ironia. La sua migliore amica. L'unico modo per affrontare tutto quel dolore. L'unica scappatoia per non crollare.

Carlisle lasciò le spalle di Tania e si mise faccia a faccia con Edward. La durezza degli occhi di uno si mischiava con quella dell'altro.

"So che vi devo delle spiegazioni,"

"Come minimo, cazzo!"

"e ve le darò quando arriverà il momento. Ma adesso ci sono questioni più urgenti da discutere."

Questo stronzo, pensò Edward. Sparisce nel nulla per mesi, ci lascia alla deriva, se ne strabatte della sua famiglia, e poi torna a casa in forma smagliante, portandosi dietro una ragazzina e il suo solito viso da stronzo.

Carlisle si voltò verso il divano, dedicò un sorriso innaturale a sua figlia, che lo stava fissando terrorizzata, e poi si rivolse a sua moglie. "Esme, dobbiamo parlare."

"Non se ne parla!" sbottò Edward, mettendosi fra lui e il divano. Ma Esme si era già alzata.

Rosalie seguì l'esempio della madre, ma lei non si fermò. Continuò a camminare, fino a quando non trovò il fianco di suo fratello. Con un braccio gli circondò le gambe, come se volesse diventare l'ombra dell'unica persona di cui si fidava in quella stanza.

"Oh andiamo, Edward! Non esagerare! È solo una chiacchierata!"

Non esagerare? Ma io ti spacco la testa, ti spezzo le gambe, ti mando a fare compagnia alla tua amichetta a quattro ruote!

Non aveva pietà per nessuno, era furioso, incredulo, incazzato nero. Riusciva a trattenersi dallo scoppiare solo grazie a quella mano, quella piccola mano che gli stringeva i jeans. Una stretta che gli chiedeva aiuto e, allo stesso tempo, lo teneva ancorato all’umanità.

"Va tutto bene, Edward." Era sua madre, era la voce di sua madre. Incredibilmente calma e controllata. Passandogli accanto gli accarezzò un braccio e poi si avvicinò alla porta della cucina, facendo cenno a Carlisle di entrare.

"Allora vengo anch'io." sentenziò, fermo e deciso. Esme lo guardò, scosse la testa e poi accennò un sorriso. Edward avrebbe voluto urlare, prendere a pugni suo padre, pregare sua madre di salire in camera, mettersi a dormire e fingere che l'ennesimo cambiamento non fosse avvenuto. Che il traballante equilibrio che avevano raggiunto a fatica non fosse in pericolo. Ed invece, ricordandosi all'improvviso di quanto potesse essere meschino suo padre, disse soltanto: "Non firmare niente."

Tania si voltò all'improvviso. Ad Edward sembrò che lo guardasse male, ma se ne fregò.

"Non le fare firmare niente." ripetè ancora più risoluto, rivolgendosi di nuovo a suo padre.

Carlisle spalancò le braccia, come fanno nei film quando vogliono assicurarti che non sono armati, ed entrò in cucina seguito da Esme. Prima di sparire al di là della porta, però, lanciò un ultimo sguardo a Tania, che rimase lì, in silenzio, parcheggiata in mezzo al salotto.

 

Restarono soli. Edward, Rosalie e la nuova compagna del padre. Soli, imbarazzati e persi.

Edward indietreggiò fino a trovare il divano, ci si lasciò cadere come se le forze lo avessero abbandonato all'improvviso. Aveva bisogno di calma, silenzio, ordine. Doveva pensare, riflettere, pianificare la prossima mossa. O almeno intuire quelle di suo padre. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, dormire dodici ore di fila, dimenticare quanto quell'uomo riuscisse a farlo incazzare. Avrebbe voluto chiamare Bella, sentire la sua voce, dirle portami via.

Invece si voltò verso sua sorella, che gli si era seduta accanto. Lo guardava come per dire: E ora?.

Non lo so Rose, non ne ho idea.

Le posò una mano sulla testa, le lasciò un bacio sulla fronte.

"Non ti preoccupare, andrà tutto bene." le sussurrò sui capelli. E se lo ripetè un'altra volta nella testa, in silenzo, per crederci davvero.

Tania, quella ragazza giovane e strana, guidò la sedia a rotelle fino a raggiungerli. Si piazzò di fronte a loro, tra i due grandi divani, si portò le mani in grembo e sorrise. Lo stesso sorriso imbarazzato e fuori luogo che aveva accolto Edward alla porta.

Edward la guardò, le sembrò spaesata quanto lui, e per un attimo gli fece pena. Ripensò a come si era comportato, provò a vedersi con gli occhi della ragazza: non aveva salutato, aveva urlato, e con una battutina idiota aveva dato a lei della minorenne e a suo padre del pedofilo. Per un istante si vergognò, ebbe paura che quella sconosciuta pensasse che sua madre non gli avesse insegnato la buona educazione.

Poi guardò di nuovo sua sorella, il suo sguardo perso nel nulla, il suo corpo rintanato contro il suo, e la vergogna scomparve. Non aveva salutato per un motivo, aveva urlato per difendere sua madre, era stato maleducato perché negli ultimi mesi aveva camminato nella merda in cui l'aveva lasciato suo padre.

"Mi dispiace esservi piombata in casa così, senza neanche avvisare."

Era la prima volta che sentivano la sua voce, la prima volta che parlava.

Rosalie si irrigidì ancora di più. La schiena un pezzo di cemento contro lo schienale del divano. Guardò suo fratello e cominciò a pregarlo, in silenzio. Ti prego, parla te. Io non so cosa dire, non so nemmeno chi è. Parla te, parla anche per me. E come se la potesse sentire, come se quelle preghiere silenziose fossero arrivate dritte alle sue orecchie, Edward parlò. E pronunciando quelle poche parole a quella sconosciuta, in quel momento di imbarazzante silenzio, quando tutto quello che Rose capiva era che il suo piccolo mondo sarebbe cambiato di nuovo, fu come se l'abbracciasse. Sì, parlando l'abbracciava. Le sorrideva, le accarezzava i capelli, le cantava 'Ehi Jude' e gli ripeteva Ci penso io, penso a tutto io.

"Immagino non sia colpa sua." mormorò.

Le dette del lei. Perchè non la conosceva, perché non la voleva conoscere, perché la voleva tenere a distanza.

"Siete davvero bellissimi. Carlisle me l'aveva detto, ma credevo che i suoi occhi di padre esagerassero. Invece aveva proprio ragione!"

Per Edward fu come un calcio dritto sullo stomaco.

È così che ti ha parlato di noi? Così che ci ha descritti? Cos'altro ti ha raccontato? Che ti ha detto di me, di mia sorella, di mia madre?

"I suoi occhi di padre..." sussurrò Edward, dondolando la testa con un sorriso amaro sulle labbra.

Tania si zittì, capì che aveva scelto le parole sbagliate. Il primo passo falso con i figli del suo compagno. Si maledì e desiderò di tagliarsi la lingua. Ma decise che non era giusto fermarsi al primo ostacolo, prima o poi ce l'avrebbe fatta a conquistarli. Le avrebbero sorriso, avrebbero risposto con entusiasmo alle sue domande. Magari non stasera, stasera era troppo presto. Prima o poi.

"Ti chiami Rosalie, vero?" ci riprovò. Decise di rivolgersi alla piccolina, perché le sembrava avesse gli occhi gentili e, sicuramente, era meno arrabbiata del fratello. Non poteva sapere, però, che quel silenzio e quella compostezza nascondevano molto più dolore delle urla e della rabbia di Edward.

Rosalie alzò la testa con uno scatto. Capì che quella volta toccava a lei, Edward non poteva rispondere al posto suo. Non poteva, vero?

Biascicò un sì stiracchiato, annuendo più volte per dare alle parole quella forza che mancava nella voce.

"Vostro padre mi detto che sei molto brava a scuola,"

"Sì, è bravissima." sbottò suo fratello. "Siamo tutti bravi e belli. Proprio come le ha detto nostro padre."

La testa di Tania tornò ad abbassarsi, Rosalie tirò un sospiro di sollievo, Edward si rese conto di essere stato un'altra volta maleducato, ma ancora una volta se ne fregò.

Per un attimo ebbe paura che tornasse a tartassarli di domande, e allora gli venne l'istinto di cominciare per primo: Chi sei? Quanti anni hai? Come l'hai conosciuto? Perché sei su una sedia a rotelle? Dove vivete? Dove siete stati per tutto questo tempo?

Ma notò che lei rimaneva a testa bassa, senza aprire bocca, non sembrava volesse domandare qualcos'altro. Anzi, sembrava proprio che le fosse passata la voglia di chiacchierare. Allora Edward lasciò che il silenzio regnasse nella stanza, e serbò le domande per un altro momento.

Liberò un respiro più profondo degli altri, si sistemò meglio sul divano. Rosalie si stava torturando le unghie con i denti, Edward se ne accorse e le allontanò la mano dal viso. Lei tenne stretta quella del fratello e, con un sorriso complice, iniziò quel giochino che lui detestava: mano chiusa quasi a pugno incrociata con quella dell'altro, un giocatore deve improgionare il pollice dell'avversario e l'altro prova a non farsi acchiappare il dito. Uno spasso, insomma. Ma Rosalie sembrava già più spensierata. Contava solo questo.

Il cellulare vibrò all'improvviso nella tasca. Smise di giocare all'istante e lo prese tra le mani come se bruciasse. Sul display vide il suo nome e per un attimo gli mancò il fiato. Fece per alzarsi per andare a parlare con lei fuori, o in camera sua. Aveva bisogno di privacy mentre le spiegava che stasera non potevano vedersi. Era quasi in piedi, poi si rese conto che sua sorella sarebbe rimasta sola con quella Tania, allora restò seduto sul divano.

"Pronto?" Rosalie e Tania distolsero lo sguardo, gli concessero quel minimo di riservatezza che potevano offrirgli.

"Ti prego dimmi che sei già per strada! Non vedo l'ora di vederti!" La sua voce, le sue parole, furono una fitta al cuore. Avrebbe voluto andarci di corsa da lei, anche in ginocchio se fosse stato necessario. Ma era bloccato nel salotto di casa sua.

"Purtroppo c'è un problema," sussurrò. "Non posso muovermi, non posso uscire."

"Ah." Sentì la delusione nella sua voce, e si agitò ancora di più sul bordo del divano. "Ma va tutto bene, vero? Non mi far preoccupare!"

No, non va tutto bene. È tornato quel pezzo di merda di mio padre.

"Sì, tutto apposto. Ti spiego tutto appena ci vediamo."

"State bene?" Parlava al plurale. Parlava di loro, di Edward e di Rosalie.

"Alla grande, signorina Swan." Bella si arrabbiava sempre quando la chiamava così perché non voleva infastidire la bambina, aveva paura che quella situazione la disturbasse. Rosalie, invece, non ci pensava nemmeno lontanamente a farsi disturbare: il suo meraviglioso fratello e la sua maestra preferita si piacevano e parlavano per ore al telefono, era euforica.

"Edward!" Si indispettì come sempre. La sua voce arrivò anche alle orecchie di Rosalie, che sorrise divertita a suo fratello.

"Sicura che non sia un problema?"

"Non scherzare... Ci vedremo domani, un giorno in più non è niente!" Non era vero, non vedeva l'ora di vederlo, di baciarlo, di farsi stringere tra le sue braccia. Ma lo disse lo stesso, con tutta la naturalezza di cui era capace.

"Ci sentiamo domani, allora?"

"Certo. Buonanotte, Edward."

"Buonanotte, signorina Swan." Lei rise, lui si godè la sua risata e poi riattaccò.

 

Quando i suoi genitori uscirono dalla cucina, Edward cercò subito gli occhi di sua madre. Non riuscì a trovarli: erano bassi, fissi sul pavimento. Si appoggiava al muro, come se avesse bisogno di aggrapparsi a qualcosa di solido. Suo padre, intanto, si avvicinò a Tania. Le fece un sorriso che suo figlio non gli aveva mai visto sulle labbra e la spinse fino a raggiungere la porta. 

"Allora è deciso," Carlisle si rivolse ad Esme. "Domani pomeriggio alle due, davanti allo studio del mio avvocato."

Edward rimase impietrito, c'erano così tante parole sbagliate in quella frase. Senza contare che sembrava quasi un ordine. Impiegò qualche secondo per abituarsi all'idea dei suoi genitori davanti ad un signore in giacca e cravatta. Uno sconosciuto che, a quanto pare, avrebbe messo fine a tutti quegli anni di matrimonio.

Esme annuì, con la testa ancora bassa e la schiena appoggiata alla parete.

"Buonanotte, ragazzi." nemmeno li guardò, era già al di là della porta. Arrivò anche la voce di Tania che li salutava, e poi la porta si chiuse dietro di loro.

Se ne andarono così, lasciandoli nel silenzio nel quale li avevano fatti sprofondare.

Edward guardò sua madre, con la disperazione in agguato. Con gli occhi la supplicò di non crollare, di restare con loro, di tornare ad insegnare l'uncinetto a sua figlia. Cazzo mamma, ce la puoi fare.

Ma lei ricambiò quello sguardo con la disperazione che ormai aveva preso il sopravvento. Un occhio perse una lacrima, che le accarezzò la guancia e poi si lanciò nel vuoto. A passi affranti raggiunse le scale e si rintanò nella sua stanza.

Quella sera, ebbe la sua prima ricaduta.

 

"Posso leggere un po'?" Edward era così furioso che anche la voce di sua sorella riusciva ad innervosirlo.

"No, Rose. Falla finita. È tardi, devi andare a letto."

"No!" urlò, rovesciando su suo fratello tutta la voce che aveva trattenuto nell'ultima ora. "Voglio leggere! Non rompere!"

"Vuoi farmi incazzare anche te, eh? Fai come cazzo ti pare!" Afferrò il libro di Harry Potter appoggiato sulla mensola sopra il camino e lo buttò sul divano, accanto alle gambe di sua sorella.

Lei lo afferrò rapida, lo aprì, incastrò il segnalibro sotto la copertina ed iniziò a leggere. Come per magia, riuscì subito a liberare la mente, ad immergersi in quel mondo stupendo che non era il suo. Sentì i muscoli della faccia rilassarsi, le spalle non erano più rigide. Era ad Hogwarts, e non c'era più bisogno di sentirsi minacciati.

Non riusciva, però, ad ignorare quella fastidiosa sensazione di senso di colpa. Alzò la testa e guardò suo fratello, che cammina avanti e indietro davanti a lei con il cellulare in mano.

"Leggo solo qualche pagina, poi vado subito a letto. Te lo prometto."

Edward la guardò male, le fece la linguaccia e lei ridacchiò.

"Mi dispiace averti risposto male. E mi dispiace anche che non hai potuto vedere la signorina Swan."

"Già," borbottò lui. "Dispiace tanto anche a me." Si lasciò cadere di nuovo sul divano, accanto a lei.

"Ma questi libri non sono troppo per te?" le chiese, un po' confuso.

"Troppo che?"

"Boh... troppo lunghi, troppo difficili. Hai sette anni, Rosalie!"

Lei spalancò gli occhi indispettita. "Quasi otto, e ho fatto la primina! La signorina Swan ha detto che ho talento e che posso farcela. E mi ha detto anche che se mi accorgo che non ce la faccio, posso smettere senza problemi e leggerli tra qualche anno."

Edward si rese conto che l'aveva offesa, che in qualche modo rischiava di scoraggiare la sfida che animava sua sorella. Le sorrise sincero, le spettinò i capelli. "Sono sicuro che ce la farai."

Lei, soddisfatta, si rituffò tra le pagine. Edward chiuse gli occhi per un istante, ascoltò il suono del suo respiro leggermente affannato e poi li riaprì. Le dita erano già sui tasti del telefono.

Jacob, scusa per l'ora. Ho avuto un contrattempo, domani non potrò esserci per il turno del pranzo. Spero non sia un problema, mi dispiace per il poco preavviso. Buonanotte, e scusa ancora per il disturbo.

Non l'aveva mai fatto. Non aveva mai preso un giorno di ferie, non aveva mai saltato neanche un turno, non aveva mai chieso una sostituzione. Ma questa volta era obbligato: il giorno dopo doveva presentarsi ad un appuntamento dall'avvocato di suo padre.

Guardò il telefono. Voleva farsi sentire, ma aveva paura di sembrare un poppante. Dopo attimi di indecisione, accantonò le seghe mentali e decise di correre il rischio.

Non ti ho nemmeno chiesto com'è andato il volo. Sono imperdonabile.

Rosalie era ancora persa tra le pagine del libro, con la testa appoggiata su una mano e le gambe incrociate.

"Sei sicura che non ti dia fastidio che io esca con Isabella?"

"Sì." Non alzò nemmeno lo sguardo.

"Sì cosa? Sì sei sicura, o sì ti da fastidio?"

Sollevò la testa scocciata, roteò gli occhi al cielo come se avesse a che fare con un bambino di tre anni che fa i capricci. "Sì, sono sicura che non mi dia fastidio. Ora posso tornare da Harry, Ron e Hermione che sono molto più interessanti di te e la signorina Swan?"

Le sorrise, ma lei non se ne accorse: aveva già riaffondato la testa tra le pagine.

Il cellulare vibrò. Edward aspettò qualche secondo prima di leggere per godersi la meravigliosa sensazione che l'attesa delle sue parole riusciva a creare.

Hai ragione, domani dovrai impegnarti parecchio per farti perdonare.

Quella notte, rigirandosi tra le coperte, non fece altro che ripetersi quelle parole.

Ignorava la sensazione di incertezza, la paura di nuovi pianti, la fatica di nuove battaglie. Ignorava perfino sua madre che vomitava nella stanza accanto. Con fatica, ma per qualche minuto riuscì a non pensare che in quella casa era ricominciato a scorrere l'alcool e il veleno.

Pensò soltanto a lei.

Domani l'avrebbe rivista.

 

 

  
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