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Autore: GirlWithTheGun    16/06/2011    2 recensioni
Sirius è sulla soglia della fuga ma ancora non lo sa: per il momento è un adolescente dall’umorismo caustico preda di maremoti emotivi inimmaginabili;
Andromeda si fa regalare il fumo dal Nato Babbano Ted Tonks, e lo trova curiosamente tenero;
Bellatrix e i suoi avambracci sono intonsi, per ora, ma i suoi legami con l’Oscurità esistono già da un pezzo, e anche il contratto matrimoniale con Rodolphus Lestrange - ahinoi -;
Narcissa annovera i petali delle margherite e i rampolli delle famiglie Purosangue, classificandoli secondo il suo - discutibile? - personalissimo ideale di avvenenza: primo per gradimento, Lucius Malfoy;
Regulus, imprigionato nei suoi cravattini, è la grottesca mascotte delle cugine, l’incompleta replica del fratello maggiore, perfetto per le esigenze di Walburga, disastroso per quelle della vita mondana: in una parola, inadatto.
Nessuno immagina che questa sarà la loro ultima estate insieme. Non immaginano che, dopo, tutto precipiterà nel baratro; che, un giorno, a legarli ci saranno solo addii, patti maledetti, tradimenti, guerre, morte e, alla fine di ogni cosa, l'estinzione.
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Bellatrix Black, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 2

The Other Side

 

 

La polvere. La pelle. La luce che scende lenta fra i capelli. Le sue mani.

Gli occhi di Sirius si spalancarono improvvisamente, contro la sua volontà, come volessero impedire lo scorrere del sogno. Riprendendo conoscenza, non ebbe di che lamentarsi: non ricordava nulla di ciò che stava sognando, ma aveva la netta sensazione che fosse meglio così. Il vago sentore di ansia latente e la spossatezza mentale più intensa del solito parlavano chiaro. Era abituato ai suoi incubi, spesso e volentieri confusi, mai rievocabili in immagini distinte, mai riconducibili a qualcosa in particolare, sempre senza fine e senza principio. C’erano e basta, li faceva da un’eternità. Ciò non significava che gli piacessero. Li detestava, insieme ai camini spenti, ai cravattini, al porridge, a Bellatrix – detestare Bella quanto una scodella di porridge era coerente, come presa di posizione? – e a un’enormità di altra roba che comunque, in un modo o nell’altro, si ritrovava a dover gestire. In realtà, poteva ritenersi fortunato, pensò, arrancando con poca convinzione verso il bordo del letto. I camini si potevano accendere, i cravattini sciogliere, le pappette sgradite farle sparire con almeno una dozzina di trovate fantasiose che aveva sperimentato personalmente. E, da parte, aveva qualche altra centinaia di idee altrettanto geniali per sbarazzarsi dei consanguinei psicotici. Mentre barcollava alla ricerca della porta, in quel delirio post Incantesimo Esplosivo che era la camera di Andromeda, pensò anche che gli piaceva, iniziare le giornate così, tra angosce e piani maligni.

 

Primo giorno a Englefield. Forse avrebbe dovuto cominciare a scrivere un diario, qualcosa tipo ‘racconti dal fronte’, o ‘tre mesi in trincea’. Impiegò quindici minuti buoni a scendere le infinite rampe di scale per raggiungere i piani inferiori. Rotolò giù dagli scalini dell’ultima quando era finalmente arrivato a detestare anche se stesso, e si aggirò confuso da un androne all’altro, cercando la meta agognata. In preda al panico, stava chiedendosi se, dietro qualche angolo, non fossero nascosti altri scalini marmorei da affrontare, quando un elfo domestico gli si Materializzò sui piedi con un crac assordante.

“Oh! signorino! Smoky chiede scusa, signorino, chiede scusa! Stupido Smoky incapace babbeo inetto, non ha preso bene le misure, signorino. Smoky è nuovo, signorino, nuovo vecchio idiota lento Smoky”.

Di tutti i risvegli traumatici che Sirius aveva avuto, quello era sicuramente uno dei peggiori. L’Elfo Domestico dall’enorme testone grigio continuava a gracchiare e piegarsi su se stesso, profondendosi in scuse incomprensibili, il corpicino bitorzoluto strizzato dentro a un guanto da cucina scucito.

“Ti prego, smettila”.

Aveva sussurrato, ma Smoky lo sentì ugualmente e si zittì, puntando su di lui un paio di iridi violacee piuttosto inquietanti. Odorava di cibo, però.

“Stavo cercando la cucina e mi sono perso”.

Smoky tirò su e giù il suo cranio gigante un paio di volte, e solo allora Sirius si accorse che teneva tra le manine rugose un cucchiaio sporco di qualcosa che somigliava proprio a…

“Crema al cioccolato, signorino. Smoky mescolava la crema al cioccolato e siete stato Sentito. Smoky è stato mandato a guidarvi, ma Smoky è nuovo e tanto tonto inutile sbadato. Smoky non ha preso bene le misure, stupido sciocco gonzo Smoky”.

Stava per darsi il cucchiaio in testa, ma Sirius intercettò il movimento in tempo per impedirglielo.

“Fermo dove sei, niente autoflagellazioni di prima mattina. E il cucchiaio lo tengo io. Portami in cucina, questa dannata catacomba è un labirinto”.

“Smoky obbedisce, signorino, Smoky obbedisce immediatamente subito ora”.

“Smoky mi scende anche di dosso, per cortesia?”.

Cucchiaio in bocca, seguì Smoky in un dedalo di corridoi che aveva completamente rimosso dalla memoria. Quando finalmente arrivarono in cucina, nel regno degli Elfi Domestici scoppiò il finimondo. Tra inchini, scuse e strepiti, caddero a terra un paio di pentoloni, un Elfo prese fuoco, e Sirius fu circondato da un’orda di esserini adoranti che imploravano il suo perdono.

“Ok. Per favore, non facciamoci prendere dal panico. Tornate tutti al lavoro, con calma”.

Detestava dare ordini, ma aveva imparato a sue spese che gli Elfi non prendevano in considerazione nessun altro modo di comunicare. Da bambino aveva tentato di intraprendere qualche conversazione amichevole con Kreacher, idea che si era rivelata pessima: quando sua madre l’aveva scoperto lo aveva messo in castigo per una settimana e aveva costretto Kreacher al digiuno.

Si trascinò fino al centro della stanza, cercando di non calpestare nessuno durante il tragitto, e andò ad appollaiarsi sulla lunga penisola in muratura cementata nel centro. Guardandosi intorno, realizzò che la cucina era immensa, come qualunque altra cosa in quel mausoleo. Standosene lì, a succhiare il suo cucchiaio al cioccolato, si sentì improvvisamente piccolissimo, un bambinetto. Gli occhi scivolarono sulle mattonelle di cotto, percorrendo i confini che lo circondavano. C’era una grande finestra rettangolare, alla sua sinistra, affacciata sui giardini Nord. La luce divina del sole, là fuori, incendiava fiori e prati fino all’orizzonte. La mente schizzò avanti, rincorrendo un ricordo. Poco prima che i pensieri ne potessero disegnare i contorni, però, una fitta gli spaccò a metà il cervello.

“Per Merlino” sfiatò, trovandosi a guardare i profili ossei delle sue ginocchia a un dito di distanza.

Il cucchiaio si schiantò sul pavimento e, per qualche istante, Sirius lo guardò luccicare, certo di vomitare da un momento all’altro. Invece la nausea passò veloce come era arrivata, lasciandolo di nuovo in preda ai morsi della fame.

Non si chiese cosa fosse successo. Forse perché non voleva ricordare davvero.

“Allora, cosa bisogna fare, qui, per meritarsi una colazione?”.

Forse perché aveva già dimenticato.

 

“Rowle mi ha mandato un gufo, due giorni fa”.

Thorfinn Rowle?”.

Narcissa sollevò la testa, interrompendo la contemplazione delle proprie gambe candide, e i suoi capelli fecero da specchio al sole, costringendo Sirius a distogliere lo sguardo.

Smoky lo aveva guidato fino alle porte dei giardini Est, rifiutandosi però di oltrepassare il perimetro murato della casa e farsi vedere dalle padroncine. Terrorizzato, aveva farfugliato qualcosa riguardo alla ‘signorina Narcissa’ e alla ‘signorina Bella’, prima di Smaterializzarsi. Così, era stato costretto ad aggirarsi come un’anima in pena nel parco, fino a che aveva sentito il cicalare di Andromeda e Cissy oltre una macchia di betulle. Ridacchiavano come due ragazzine, sedute lungo il bordo della piscina.

“Quanti Rowle conosci?”.

“Beh, Thorfinn ha un fratello niente male”.

“Ma non avrà nemmeno quattordici anni!”.

“E quindi?”.

“Quindi sei un’assatanata. A saperlo mi sarei portato dietro Peter”.

Dromeda gli sorrise, guardandolo sbucare dal boschetto, Narcissa storse un po’ la bocca in quello che voleva essere un saluto cordiale.

“Non sono così assatanata”.

“Altrimenti c’è sempre il buon Regulus a portata di mano”.

Suo fratello si aggirava indeciso sul bordo opposto, un paio di mutandoni impermeabili e verdastri addosso. Quando si accorse che tutti e tre lo fissavano, rispose con uno sguardo torvo.

“Lascialo in pace”.

Fu Narcissa a parlare. Sirius scrollò le spalle.

“Comunque Thorfinn non è male” disse Dromeda, mentre lui si arrotolava i pantaloni del pigiama attorno alle ginocchia, prima di mettersi a mollo accanto a lei.

“Ma è così…”.

“… vichingo?” si intromise Sirius.

Dromeda gli rivolse un’occhiata maliziosa.

“E dove sarebbe il problema?”.

“Ti prego, l’ho visto concentrarsi per contarsi le dita dei piedi. E non ha idea di cosa sia la lingua parlata. Si esprime a grugniti, perlopiù”.

“In effetti non ho capito molto di quel che mi ha scritto” fece Narcissa, titubante, studiando l’acqua.

“E va bene, se siete così decisi a depennare Rowle… Però, Cissy, sei troppo esigente, quasi tutti gli amici di Bella ti hanno chiesto di uscire, in un modo o nell’altro. Chi manca all’appello?”.

“Rosier, Mulciber, Tiger…”.

“E Malfoy”.

Sirius intercettò lo sguardo scocciato che Cissy indirizzò a Dromeda.

“Tutte personcine per bene, insomma”.

Il suo commento passò nell’indifferenza generale, con suo sommo disappunto.

“Beh, escludiamo Rosier e Mulciber, non mi convincono per niente e poi sono affetti da egolatria fulminante. Tiger, ti scongiuro, no. Ti interesserebbe Tiger?”.

Le labbra di Narcissa si arricciarono come se avesse appena ingoiato pus di bubotubero.

“Rimane Malfoy”.

“Disgustoso”.

“Taci, tu. Non sono affari che ti riguardano”.

“Non lo so, non ci ho mai pensato”.

 Invece doveva averci pensato, e parecchio, visto il modo in cui aveva abbassato gli occhi appena Andromeda l’aveva nominato. Sirius, sempre più nauseato, prese a spogliarsi.

“Io non capisco che problemi avete, voi femmine Black. Tra tutti i Maghi in circolazione sicuro come l’oro che andrete a impantanarvi con i peggiori”.

“Rettifico, zio Orion avrebbe dovuto pensare seriamente a Cassandra”.

“Cosa stai facendo?”.

Narcissa era chiaramente inorridita dal fatto che stesse sfilandosi le mutande.

“Un paio di giri di corsa intorno alla vasca e poi qualche miglia a cavallo”.

“E forza, Cassie, metti a bagno quelle chiappe secche”.

Dromeda lo spinse giù con una manata energica e Sirius precipitò di schiena nella piscina.

 Nuotò sott’acqua per un lungo minuto, poi si lasciò riportare pigramente a galla e rimase a contemplare il cielo, pancia all’aria come i pesci che Bella aveva assassinato. Da quella prospettiva le cime degli alberi parevano protendersi all’infinito, davano le vertigini a guardarle.

Uno sciabordio discreto lo distrasse.

Regulus nuotava nei suoi dintorni, lanciandogli di tanto in tanto degli sguardi indecifrabili. A volte Sirius non riusciva davvero a capire cosa passasse per la testa di suo fratello, e ancor più raramente credeva si trattasse di faccende interessanti. Era per via di quel distorto equilibrio tra incomprensione e indifferenza, che lui e Reg o battibeccavano fino allo sfinimento – altrui, solitamente – o tacevano per ore ed ore, ed ore.

“Sbaglio, o c’è un verme nudo che galleggia nella mia vasca?”.

Non si premurò nemmeno di alzare la testa per dare il benvenuto alla nuova arrivata.

Mio, mio, mio, per Bella tutto quel su cui posava gli occhi le apparteneva di diritto.

La ignorò deliberatamente, continuando a galleggiare beato sull’acqua.

“Che ci fai con il mantello da viaggio?”.

Sirius riconobbe lo stesso tono che Andromeda usava con lui quando non era d’accordo su quello che stava per fare: di una tranquillità quasi naturale che avrebbe ingannato qualsiasi orecchio estraneo.

“Starò via tutto il giorno. Ho lasciato le istruzioni ai Domestici: stasera ci saranno i miei amici. Non voglio piantagrane tra i piedi” rispose, secca, Bella “Ci siamo capiti, verme?”.

Sirius portò le braccia dietro la nuca, pacifico.

“Scusami? Non ti stavo ascoltando”.

“Fai vedere la tua faccia e ti Affatturo”.

Le lanciò un gran sorriso insieme a un bacio volante, prima di vederla ruotare su se stessa e scomparire, lasciandosi dietro l’eco della minaccia.

“Chi verrà?” domandò subito Regulus, aggrappandosi al bordo vasca.

“Crouch” rispose Narcissa, con indolenza “Forse Dolohov, ma spero di no, è così volgare. Certamente Avery, Mulciber e Evan. Wilkes segue Evan dappertutto, quindi ci sarà anche lui. Travers è quasi sempre presente, come Rowle. E ieri Bella mi ha detto che Lucius porterà Rabastan e Rodolphus”.

Sirius levò gli occhi su Andromeda, disperato.

“Ti prego dimmi che in questo deserto c’è qualche pub Babbano dove possiamo andare a sfondarci di birra”.

Sua cugina rispose con un sorriso furbo.

“Pensavo a qualcosa di più divertente”.

 

“Sai come le chiamano, i Babbani, le tipe vestite così?”.

Sirius chiuse la porta della camera di Andromeda alle sue spalle e vi si appoggiò.

Sua cugina si stava studiando nello specchio. La guardò muovere le gambe, lasciate scoperte da un paio di hot-pants a fiori rossi e blu, poi controllare il profilo, tirando in dentro la pancia nuda, che spuntava da sotto il top striminzito in cui si era intrappolata.

“Chi ti insegna queste cose?” gli domandò lei, puntando la bacchetta tra i capelli per intrecciare qualche ciocca qua e là.

“Harvie Phillips. Tipo in gamba, è del mio stesso anno. Una volta ha fatto esplodere le mutande ad Avery”.

“Ah, quindi è proprio un problema generazionale” fu la risposta, poi sua cugina salì su un paio di zoccoli dall’aria scomoda e piuttosto pericolosa, e gli si avvicinò allacciandosi un nastrino attorno al capo.

“A che servono questi cosi se non riesco nemmeno ad essere più alta di te?”.

“A farti cadere rovinosamente davanti alla folla di gorilla che rimorchierai stasera?”.

“Ma piantala” berciò lei, cercando qualcosa in un mucchio di abiti appallottolati ai piedi dell’armadio.

“No, sul serio” disse Sirius, seguendola nel centro della stanza “Oltre ad essere un cervello sopraffino sono anche un duellante eccellente, ma davanti a un’orda di ragazzoni con la bava alla bocca non saprei come reagire”.

“Rilassati, cervello sopraffino” sbuffò Dromeda, piantando le mani sui fianchi e guardandosi intorno, confusa.

“Scusa, per curiosità, dov’è che pensi di mettere la bacchetta?”.

“Tu pensa a dove metterti la tua” replicò, sbrigativa, lei “Accio borsetta!”.

Sirius schivò per un soffio la mezza dozzina di borse che sfrecciarono verso di loro da ogni angolo della camera.

“Ok, siamo pronti!” esclamò Dromeda, infilandosi a tracolla uno straccetto di corda che pareva sottratto agli Elfi Domestici “Prendimi il braccio”.

Obbedì, docile.

“Dov’è che andiamo?”.

Prima di ricevere risposta, venne risucchiato nel tunnel vorticante e vomitato su qualcosa di duro.

Quando riuscì a rimettere a fuoco la vista, lo stomaco in subbuglio e l’espressione sconvolta, si ritrovò sul fianco di un colle erboso. Sua cugina lo guardava dall’alto in basso, un sorriso mefistofelico a incurvarle le labbra. Ecco, forse così somigliava un poco, ma proprio poco, a Bella.

“Ottery St. Catchpole” rispose, affrontando il declivio con la massima disinvoltura.

Sirius si rimise in piedi e le andò dietro. Tutt’intorno a loro i profili bruni delle colline si stagliavano contro il cielo notturno, limpido. La luna era grande, segata a metà, e illuminava ogni cosa di un tenue bagliore perlaceo. Più giù, le luci del villaggio parevano sparse a caso, una manciata di chicchi dorati fatti rotolare giù dal pendio. C’era anche un fiume, poco lontano, che si dipanava quieto come un filo d’argento, fino a disperdersi nell’orizzonte.

Ai piedi del colle si allargava una macchia di alberi, e fu proprio in quella direzione che si diresse Andromeda, sicura. Avvicinandosi, Sirius riuscì a cogliere dei baluginii tra le fronde.

“E’ una specie di festa d’inizio estate” fece sua cugina, affiancandolo “Almeno, così ha detto Ted”.

“Chi è Ted?”.

Dromeda scrollò le spalle.

“Tonks. Un tipo simpatico, era qualche anno più avanti di me a Hogwarts”.

“E come lo hai conosciuto?”.

“Cassie, ti prego, sembri mia madre” lo canzonò lei “In un pub Babbano, a Tinworth. Lui era lì con il suo gruppo, io con il mio, e alla fine ci siamo fusi”.

“Un pub Babbano, eh? Bella sarebbe fiera di te”.

Dromeda non poté rispondere con niente di più di un’occhiata eloquente, perché appena superarono i primi due alberi la musica esplose intorno a loro, stordendoli.

Il boschetto era invaso da lanterne coloratissime che svolazzavano a mezz’aria, creando pozze di chiarore intermittente che spariva veloce, lasciando dietro di sé una semioscurità. Tra buio e luce si muovevano sagome indistinte, gente continuava ad arrivare loro addosso e a scusarsi tra risate e sorrisi confusi. Dromeda lo prese per mano, temendo probabilmente di perderlo, e pian piano si spostarono verso una zona dove gli alberi erano più radi e alti. Di tanto in tanto sua cugina si fermava a salutare qualcuno. L’ultima persona in cui incapparono fu un ragazzo smilzo evidentemente alticcio che pretese di regalarle un bracciale incantato: a lui Dromeda chiese dov’era Ted e quello rispose con un cenno vago, indicando un angolo della radura dal quale si alzavano densi fumi violetti e rossastri. Quando giunsero in prossimità della meta, un tipo alto, con una lunga e foltissima chioma di capelli biondi, alzò una mano in segno di saluto e sorrise. Avevano trovato Ted Tonks.

 

Superata la diffidenza iniziale, Sirius tirò le somme: Tonks era un bel tipo. Robusto, parlava a voce alta e quando sorrideva gli si illuminava tutta la faccia. Portava una barbetta biondiccia che gli dava un’aria trasandata e indossava una camicia ampia dal disegno impossibile - che Sirius non avrebbe indossato nemmeno sotto Incantesimo - ma, tutto sommato, era ok.  L’unico suo problema stava nella cotta palese che aveva per Andromeda. La guardava in continuazione ricordandosi saltuariamente del rischio di passare per un idiota e di dover distogliere lo sguardo. Le ronzava intorno e in un modo o nell’altro riusciva sempre a tornare nei loro paraggi, anche se non aveva nessun motivo per esserci. Due o tre volte, durante le conversazioni con lei, si era impappinato ed era ripartito a caso con delle osservazioni totalmente inopportune. Dromeda, in compenso, sembrava non accorgersi di nulla e continuava a chiacchierarci con piacere. Osservandola, Sirius ebbe modo di riflettere: non l’aveva mai vista così a suo agio in famiglia. Se anche lei l’avesse visto in compagnia di James, Remus e Peter avrebbe certamente pensato la stessa cosa. Proprio mentre era immerso nelle sue elucubrazioni, inopportune tanto quanto le frasi demenziali di Tonks, nei loro paraggi cominciarono a spuntare come funghi lunghissime pipe fosforescenti, che passarono di mano in mano con una rapidità impressionante. Se ne trovò tra le dita una ancora prima di capire cosa dovesse farci.

“Ecco” Tonks si infilò un bocchino verdissimo tra le labbra e tirò fuori dalla tasca una bustina.

Lui e Dromeda lo guardarono aprirla e pigiarne il contenuto nel fornello.

“Ma è ganja!” esclamò Sirius, dopo essersi avvicinato abbastanza.

“E tu che ne sai?” fece sua cugina, sorpresa.

“Diciamo che Harvie Phillips non si occupa solo di far esplodere le mutande altrui. Qualche volta porta della roba Babbana, quando torna dalle vacanze di Natale. La frega a suo padre. E James la frega a lui”.

“Bel soggetto, questo James… e poi tormenti Bella per le sue compagnie”.

“Non fare paragoni blasfemi”.

“La roba che usiamo noi, comunque, non è pura. Ce la tratta un pozionista a Nocturne Alley. È strepitosa” spiegò Ted, mentre il fornello si accendeva autonomamente.

Sirius lo guardò ardere per un istante e poi sbiadire raffreddandosi. Un denso fumo viola si sollevò e li avvolse. Lo sentì scendergli attraverso le narici, quasi fosse materia solida, colare in gola stuzzicando appena le papille gustative. Aveva sapore, non meramente odore. Era qualcosa che gli fece venire voglia di masticare.

Tonks sorrise di piacere e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, nelle iridi gli si vedeva qualche bagliore violetto.

“Fantastico. Qui dentro c’è sicuramente qualcosa che ha a che fare con l’Amortentia, ma non ho ancora capito in che quantità. Il bello è che di tutto il pacchetto lascia lo stravolgimento e basta”.

“Te ne intendi, di Amortentia?”.

L’occhiata che Dromeda lanciò a Tonks lasciò Sirius interdetto. Ted invece rise tranquillamente, lasciandolo a interrogarsi su come Merlino avesse fatto a non capire quello sguardo.

“Che tu ci creda o no, c’è stata una ragazza capace di somministrare al sottoscritto un filtro d’amore. Incredibile, no?”.

Un trentatré giri virò sopra le loro teste, facendoli piegare.

“Scusate, Paul è in trip con i vinili Babbani. Se solo non li Incantasse potrei anche giustificarlo”.

“Figurati” disse Dromeda, sorridendogli “Comunque non è incredibile”.

Tonks si immobilizzò nello sforzo evidente di rintracciare il filo logico della conversazione, mentre Sirius tentava di mimetizzarsi con il prato. Sarebbe stato anche facile, se magari qualcuno avesse soffiato un po’ di fumo da quella parte…

“Cosa?”.

“Che qualcuno voglia rifilarti un filtro d’amore. Voglio dire…”.

Finalmente Ted comprese e per poco la pipa non gli cadde per terra; Sirius cercò un pretesto qualsiasi per sfuggire a quella parentesi di flirt selvaggio, nella quale sua cugina sembrava peraltro sguazzare benissimo; a sottrarre entrambi dal limbo fu poi la stessa Andromeda, con un colpo da maestro.

“Mi piace questa canzone” commentò “Balliamo?”.

Tonks la guardò per un momento lunghissimo.

“Ok”.

Dromeda gli prese la pipa e la rifilò a Sirius, per poi afferrargli una mano e trascinarlo in mezzo alla radura, tra le altre coppie che danzavano sulla melensa hit. Lui rimase a guardarli per un po’, mentre ballavano vicinissimi e parlavano fitto di chissà cosa. Riusciva a vedere Tonks inciampare nelle frasi anche da lì e gli fece quasi tenerezza. Quando però la distanza tra i due si ridusse ulteriormente, fu costretto a concentrare la sua attenzione altrove. Vagò tra la folla di sconosciuti, un po’ malinconico, fino a che trovò un albero libero e vi si abbandonò contro, sedendosi a terra. La pipa verde era ancora accesa: gli sembrò una buona idea approfittarne.

Alla prima boccata il fumo gli scese dentro, invadendogli questa volta la bocca. Aveva un sapore tutto particolare, molto più ben definito e tuttavia irriconoscibile. Sirius non ricordava di averlo mai gustato altrove. Scendeva, scendeva, fino a esplodergli nei polmoni in una nuvola di polvere leggera che lo fece tossire. Era fantastico sul serio.

Dopo la quarta boccata cominciò a vedere sfocato.

Alla settima il mondo era un rincorrersi di lampi violacei.

Alla decima, solo buio.

 

“Ti piace questa canzone?”.

Sirius si immobilizzò. Il trenino Incantato che teneva tra le manine continuava a fischiare sommessamente, ma lui non se ne curava.

“Ti piace questa canzone?” ripeté, di nuovo, la voce.

Era dolce, dolce. Sirius sorrise quando una folta massa di capelli morbidi gli finì sul viso, oscurando gli orizzonti enormi della stanza.

“Vuoi ballare con me, eh, piccolo? Vuoi ballare?”.

I capelli si allontanarono, definendosi in scurissimi boccoli bruni, e un paio di occhi lo studiarono. Erano dolci anche quelli, tutto era dolce e grigio come i temporali.

Bellatrix sorrideva nella luce bianchissima che precipitava dalle vetrate, allungando le braccia verso di lui.

“Vieni, vieni”.

Sirius le andò incontro, cadendole addosso all’ultimo. Lei lo strinse un po’ a sé.

“Sai di buonissimo”.

“Anche tu sai di buonissimo, piccolo” mormorò, sistemandogli il colletto della camicia “E adesso balliamo!”.

Si alzò in piedi e gli parve grande, grandissima. Gli prese le mani tra le sue, calde e rassicuranti, e ballarono, ballarono insieme. E a Sirius venne da ridere.

Rise, rise, rise. Bella lo prese tra le braccia e lo coccolò un poco.

“Sai di buonissimo” gli disse, mentre lo teneva seduto sulle sue gambe, e tutti e due se ne stavano a terra, e tutto il resto lo era davvero, grandissimo “Sai di buonissimo, piccolo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA: ritardissimo, vergogna, capitolo demenziale e non corretto. Mi sto divertendo molto a scrivere questa ff, devo dire la verità. Giusto per chiarire le mie intenzioni ai poveri lettori che passano di qui, l’esperimento dovrebbe essere una sorta di “origini del male”, cioè tipo perché Bellatrix desidera così ardentemente ammazzare Sirius e ci riesce pure, come Andromeda Black è diventata Andromeda Tonks, con quale strategia quella furbastra di Narcissa ha accalappiato il buon vecchio Lucius e, in questo circo a tre piste, quali saranno le sorti del povero Regulus (che a ben vedere è l’unica vera vittima di tutto il teatrino). L’insieme condito da psicosi, ossessioni, incantesimi su consanguinei e via dicendo. E trovate kitsch tipo le pipe fosforescenti – lo so, lo so, abbiate pietà, esco da una sessione d’esami terribile -. Spero troverete il tempo per dirmi la vostra (:

Alla prossima!

 

P.S. ah, e la hit melensa, che si prospetta come Canzone-di-Ted-e-Andromeda-Tonks, è My Love di Paul McCartney & The Wings :3

   
 
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