6- On
this ground
Il
sole che
brillava faceva male agli occhi.
Ma
non si
sarebbe mai sciolto nulla.
O
perlomeno
in quel posto.
Mentre
da
qualche parte nel mondo, già spuntavano i fiori.
***
Fece
uscire una mano dalle coperte,
cercando a tentoni la sveglia.
La
stanza era fredda.
Avrebbe
voluto girarsi dall'altra
parte e riaddormentarsi di nuovo. ma non poteva: quell'essere malefico
gli si
era infilato accanto, pacificamente intento a ronfare mordicchiandogli
il
cuscino.
Rimase
immobolizzato per qualche
lungo secondo. Poi decise che una piastrella congelata sarebbe stata
meno
peggio di una grassa palla di pelo. Morbida e calda, ma pur sempre una
detestabile palla di pelo.
Scattò
in piedi, scrollando il
cuscino a cui quella cosa si era attaccata con le unghie. Sottolineando
con
soffi contriti la poco gentile sveglia mattutina.
"Tu
saresti il gatto: se non te
ne sei ancora accorto inizia a pensarci" aveva sbottato, sentendosi
piuttosto stupido nell'iniziare la giornata parlando con un famiglio
viziato
"Staccati, per favore..."
Riuscì
finalmente a farlo scivolare
a terra sul suo grosso sedere peloso. E restò a guardare
sconsolato le perfette
striscie verticali con cui i suoi artigli avevano artisticamente
squartato la
sua roba. Ma l'idea di mettersi addirittura a
litigare di prima mattina
con un gatto lo faceva deprimere ancora di più.
Decise
di lasciar perdere.
Infilò
la divisa, alzando la
cerniera fino al mento. Sistemò le maniche e la piega dei
pantaloni.
Controllò
che il famiglio non avesse
pasteggiato anche con le sue scarpe.
Infine,
lucidò gli occhiali. La
fastidiosa incrinatura all'angolo non era guarita nemmeno con un
Curaga:
avrebbe dovuto aspettare la fine degli esami, la fine della vacanze
estive, la
fine di tutti i Festival insensati e forse avrebbe potuto tentare di
proporre
la domanda per un paio di lenti nuove. Vedendosela approvata quando lui
fosse
diventato Seed di Livello A. Nella migliore delle ipotesi, naturalmente.
La
palla di pelo aveva iniziato una
delle sue lagne grattando lo scorrevole. Lo fece uscire, guardandolo
trotterellare col suo grasso sedere nella saletta comune per poi
ricominciare
la sua nenia contro la porta accanto: "Sarà già
andata nella Hall" lo
aveva informato, felice di poter ottenere una piccola rivincita contro
quell'essere.
Per
tutta risposta gli aveva
lanciato un'occhiata fin troppo storta.
Rinunciò
a continuare una poco
razionale lotta fatta di sguardi e preferì uscire. Inseguito
prontamente da
quella presenza, esattamente tre passi più indietro.
Tentò
di non prestare attenzione ai
gridolini di sdilinquimento che qualcuno era in grado di emettere a
quelle ore
del mattino. La sua pressione bassa e la carenza di zuccheri dalla
notte
successiva erano in grado di azzerare qualsiasi e impossibile moto di
affetto
da parte sua per quella palla di pelo.
Oltrepassò
la Mensa, ignorando lo
stomaco affamato che aveva iniziato a gorgogliare.
Quello
sarebbe stato uno dei pochi
giorni in cui avrebbe potuto mangiare un pasto senza dover sgattaiolare
verso
il tavolo più nascosto, cercando di non farsi notare troppo
dai soliti
teppisti. E si stava lasciando sfuggire l'occasione.
Non
sapeva con esattezza se fosse un
buon motivo quello per cui non ne stesse
approfittando. Razionalmente,
non lo era affatto.
A
ogni nuova primavera, la scena era
sempre la stessa. Ne aveva intraviste molte, strascicando i piedi nel
corridoio.
Ma
non aveva mai avuto un motivo per
farmarsi troppo a lungo nella Hall.
Non
c'era mai stato nessuno da salutare.
Nessuno a cui augurare buona fortuna!, in bocca al lupo!, ganbatte!,
torna vincitore e fammi infiltrare al Ballo di Balamb!
Avanzò
ancora di qualche passo, il
famiglio alla sua solita distanza: se avesse anche solo accennato di
fare
marcia indietro, probabilmente lo avrebbe ridotto alla stregua del suo
cuscino.
Forse
era proprio quello il buon
motivo per cui ora si trovava nella Hall. Ma nemmeno lui ne era troppo
sicuro.
Per
gli altri studenti attorno era
diverso. Qualcuno non aveva dormito, altri avevano passato la notte a
rivangare
le stupidaggini combinate negli anni passati ed erano scoppiati a
ridere e a
singhiozzare tutte le lacrime possibili.
Assieme
alle persone con cui avevano
condiviso fino allora la loro vita.
Lui
non sapeva cosa fare. Perchè
come al solito la sua situazione era diversa. E del tutto nuova.
Non
sapeva cosa fare perchè era
troppo abituato a qualcosa che si ripetesse, sempre uguale negli anni.
Come
la neve in inverno.
Come
le partenze in primavera.
Si
alzò sulle punte, in direzione
della voce del professore che parlava concitato dalla gradinata, ma per
la
prima volta nella sua monotona vita di studente medio e rappresentante
del
Comitato di Disciplina non era interessato al discorso.
Spostò
lo sguardo sugli studenti in
divisa radunati in file ordinate: era curioso di
poterla vedere.
Tutti
gli altri avevano le loro
storie più varie, più disperate, più
assurde possibili. Ma lei era la storia
più stramba di tutte.
Sentì
qualche vertebra schioccare
mentre cercava di farsi spazio oltre le teste: non riusciva a vederla.
Perchè
non c'erano nè nero a
quantitativi impressionanti, nè stupidi volant e fiocchetti
assortiti.
Lei
stava in una fila come tante
altre, una studentessa come tante altre. Chiusa nella divisa grigia, il
fiocco
viola ben stretto sotto il colletto.
Niente
calzette strambe, nè tacchi
improbabili e importabili da qualsiasi e autentico essere
umano.
Considerare
la cosa come una delle delusioni più cocenti che avesse mai
provato era pure
scarsamente accettabile.
Rimase
in silenzio, continuando a
guardare insistentemente davanti a sè.
Qualcuno
gridò di rompere le file e
uscire dal Garden, altri si mossero accanto a lui.
Poi
all'improvviso se ne rese conto.
Anche se non lo aveva degnato di uno sguardo mentre si dirigeva verso
l'uscita,
solo scrollando la mano in aria.
Le
sue unghie. A teschietti. Fucsia.
Sentì
qualcosa muoversi nel suo
stomaco. Ma non sapeva bene come farlo uscire fuori.
Si
limitò a lasciarsi sfuggire uno
sbuffo, per poi mettersi a inseguire il famiglio che lo aveva
sorpassato.
Correva
sul marmo luccicante nel
sole del mattino, scivolando sotto decine di gambe, ignorando
altrettante
centinaia di strilli. Ma chi dei due fosse effettivamente il
più disperato in
quella corsa non avrebbe saputo dirlo.
Studenti,
divise, aiuole, pezzi di
marmo.
Il
portone d'ingresso.
Il
gelo fuori dalla Hall lo colse
alla sprovvista: il gatto frenò bruscamente con le zampine,
affondando nella
neve qualche metro più in là; lui venne
attraversato da un brivido lungo tutta
la schiena.
Per
un po', rimasero entrambi
immobili nella spianata deserta, sotto il cielo azzurro.
Attorno
non c'era nessun altro.
Erano tutti partiti.
Sistemò
gli occhiali sul naso e
avanzò nella neve, osservando la coda della palla di pelo
che sbucava dal
cumulo bianco in cui era scomparso. Prese fiato e la tirò di
peso, scrollando
il suo proprietario a mezz'aria: "Come Cavaliere sei disastroso..."
Lo
fece ricadere a terra, evitando
di venire assassinato da qualcuna delle sue unghiette. Dopo l'ennesima
occhiataccia d'odio, con uno sbuffo il famiglio spiaccicò il
suo grasso sedere
a qualche passo da lui, fissando torvo davanti a sè.
E
stupidamente si ritrovò a
imitarlo.
Anche
se razionalmente tutto quello
non aveva alcuna logica.
Però
era un bel ricordo, da
appuntare sul block-notes: insieme al suo debito per la cioccolata, era
il
secondo appunto che non avrebbe avuto a che vedere con il Regolamento
Scolastico Interno.
Di
nuovo, qualcosa gli si mosse
nello stomaco. Un gorgoglio che indicava come il suo scarso livello di
zuccheri
mattutini stesse raggiugendo quota zero. In semplici parole, aveva una
fame da
non aspettare che la Mensa si svuotasse del solito gruppo di teppisti
per poi
precipitarsi a prendere gli avanzi della mattinata.
Dietro
di lui risuonò il carillon di
inizio giornata: mancavano solo 364 giorni a un nuovo marzo.
Abbassò
lo sguardo sul grosso gatto
nero che gli stava accanto.
"Sei
rimasto solo anche tu,
eh?"
Gli
aveva rivolto un'occhiata
scocciata. E lui aveva fatto lo stesso.
"Torniamo
al Garden"
sospirò, infilando le mani nelle tasche "E non ti porto
sulla spalla, non
ci contare"
Aveva
miagolato sommesso,
sicuramente meditando qualche vendetta felina nei suoi confronti. Poi
aveva
finalmente alzato il suo peloso didietro dal suolo gelido.
La
neve
crocchiava sotto i loro passi.
Sarebbe
stata una lunga e difficile convivenza.
***
*Asterisco dell'Autrice: non mantengo mai le promesse che faccio ai lettori. Mi piace mantere questo genere di shot-fiction sul vago, vago vaghissimo. Oh, ma siccome mi sono sentita in colpa... Nella prossima pagina *udite!udite!* troverete le schede dei personaggi che avevo scritto mooolto tempo fa. Giusto perchè considero importantissimo fare le schede dei miei personaggi, anche se poi non scrivo mai dettagliatamente quando, dove e cosa. Me ne dimentico.
Grazie per aver letto questa storia un po' fluff! :D