Timeline: da qualche parte circa a un mese
dalla morte di Vicki
Scritta
per il TVG!Fest con prompt Elena/Matt –
La casa sull’albero .
Dedicata ad Anna (Lizzie_Siddal
), perché il suo Matt è sempre incantevolmente e perfettamente IC. E perché il pallino di Matt è scaturito dalla sua fluffo-Maroline (che invito caldamente tutti a leggere).Let it slide..
Let it slide
Let your troubles fall behind
you
Let it shine,
Till you feel it all
around you
And I don't mind
If it's me you need to turn to
We'll get by
It's the heart that really matters in the end
Little wonders. Rob Thomas
“È incredibile.”
Matt sorrise fra sé, chinandosi per evitare di colpire il soffitto con la
testa.
Il lieve scricchiolio del legno inondò il ragazzo di ricordi che
profumavano di burro d’arachidi e gomme da masticare alla fragola: ne era
passato di tempo, dall’ultima volta che aveva messo piede là dentro. Sei o
sette anni, probabilmente. Eppure, da piccolo, non c’era nulla di più prezioso
per lui che la sua sgangherata casetta sull’albero; i bambini del vicinato
venivano a giocarci volentieri e per un ragazzino come il piccolo Matt,
con una complicata situazione economica alle spalle, essere il proprietario di
qualcosa che suscitasse invidia ai compagni di gioco era al tempo stesso inconsueto
e gratificante.
Per di più, la sua casetta, era sempre pulita e ordinata: ogni pomeriggio
Matt accoglieva con un sorriso i piccoli curiosi che si aggiravano nei dintorni
del suo giardino e, verso sera, si premurava di riordinare l’abitacolo con cura,
assicurandosi che ogni oggetto si trovasse al proprio posto. Forse non era un
capolavoro dal punto di vista tecnico (le assi scricchiolavano di continuo), ma
era una casetta accogliente. E, soprattutto, per niente silenziosa: le risate
dei suoi compagni di gioco tenevano compagnia al ragazzino anche la sera,
quando i bambini si preparavano a rincasare in orario per la cena. Forse, se ci
fosse stato un piatto fumante ad attenderlo anche a casa sua, Matt avrebbe
amato un po’ di meno quella casa sull’albero e un po’ di più quella che
accoglieva i suoi sogni la notte.
Con la mente completamente assorta dai vecchi ricordi, il ragazzo si accovacciò
di fronte a un tavolino e scacciò via con la mano un nugolo di terriccio che si
era arenato sulla plastica.
Un sorriso e una lacrima si contesero il suo volto, mentre esaminava i
disegni affissi alle pareti: giocatori di football e automobili erano i
soggetti più quotati.
E volti. Tanti, tantissimi volti sorridenti.
In effetti, si trovò a riflettere Matt, da bambino era stato un tipetto piuttosto
allegro, e non piangeva mai. Quando a otto anni Tyler era arrivato a scuola
esibendo le sue scarpe nuove di zecca, con tanto di luci incorporate a
intermittenza, lui si era complimentato con candida ammirazione, ignorando i
vari buchi nella tela delle sue vecchie Superga.
Quando sua madre aveva rovinato la maglietta autografata dal suo giocatore
di football preferito (un regalo del sindaco Lockwood) si era messo a ridere,
prendendo in giro la scarsa attitudine della donna alle faccende domestiche.
E quando il giorno della festa del papà i suoi compagni avevano preparato
una cornice di pasta di sale da regalare al proprio vecchio, Matt si era messo
al lavoro con espressione tranquilla. In silenzio, aveva preso un foglio e i
suoi pastelli e aveva disegnato due figure: un uomo e un bambino che
sorridevano.
Quella, era la sua foto da incorniciare: quelli erano Matt e il suo papà.
Sorridevano e, di riflesso, sorrideva anche il Matt in carne ed ossa.
A dieci anni di distanza quel bambino ormai cresciuto osservava i suoi
stessi disegni con aria triste, domandandosi perché non fosse più in grado di
sorridere come una volta.
Qual era il segreto del piccolo se stesso?
Sfiorando con la mente la sua infanzia, non faceva altro che trovare delle
falle. Eppure, da bambino, i suoi occhi riuscivano a individuare solo le parti
colorate delle sue giornate. Non c’era il nero, né il grigio: solo dei piccoli
sprazzi di arcobaleno e un alone di entusiasmo nei confronti di una vita che il
piccolo Matt aveva appena incominciato a scoprire, ma che all’epoca considerava
perfetta.
Se Vicki fosse morta quando aveva otto anni avrebbe pianto come stava
facendo in quel momento?
Lo scricchiolio delle assi e un colpo di tosse, lo distolsero dai suoi
pensieri. Matt si asciugò in fretta una guancia e rivolse un sorriso incerto
all’ intrusa.
“Ma qua dentro è sempre stato tutto così piccolo?”
Elena scavalcò maldestramente una pistola ad acqua e agitò la mano destra,
ricoperta da filamenti di ragnatela.
Il ragazzo scoppiò a ridere, aiutandola a raggiungerlo dall’altra parte
della stanzetta.
“Sei tu che sei diventata troppo grande” la rimbeccò lui, slegandosi la
maglia dalla vita per adagiarla su una sedia di plastica. Elena sorrise e prese
posto vicino a Matt. “Questo posto è perfetto.”
La ragazza osservò ammirata i mille disegni che tappezzavano le pareti di
legno: nonostante la polvere e le macchie di umidità, il tempo non aveva
modificato nulla. Era tutto esattamente come lo ricordava. C’erano le tendine
arancioni alle finestre; v’era la corda sfilacciata con cui avevano minacciato
spesso di legare Jeremy, snervati dalla sua presenza costante alle loro calcagna.
E, su una mensola vicino al tavolo, c’era perfino la mini teiera che Elena si
era fatta regalare da Caroline apposta per la casa sull’albero. In quel momento
le venne da ridere, ma all’epoca considerava quell’oggetto estremamente
essenziale al fine di arredare un casetta come quella di Matt.
“Ti ricordi quando decidemmo di venire a vivere qui?” domandò
improvvisamente, evocando un ricordo in particolare. Volse lo sguardo in
direzione di Matt che stava osservando con concentrazione uno dei disegni. Il
sorriso spontaneo che fece capolino sul volto del ragazzo scacciò un po’ di
quella malinconia che si era arenata nel suo sguardo.
“Lo ricordo eccome! Avevi appena avuto una strana litigata con tua madre.”
“Ero furiosa!” confermò la ragazza. “Anche se non ricordo il perché.”
Elena tentò di fare mente locale, non riuscendo tuttavia a ricordare nulla,
al di fuori del suo broncio e dell’espressione comprensiva di Matt.
Matt che era comunque riuscito a confortarla, proponendole di trasferirsi
nella casetta sull’albero assieme a lui.
Matt che avrebbe condiviso con lei il suo tesoro più prezioso, pur di
vederla sorridere.
Matt che quando erano bambini, con quegli occhioni blu e quei capelli
biondi sempre arruffati, le aveva rapito il cuore.
“Quanto tempo abbiamo resistito qua dentro? Due ore? Tre?”
“Tre al massimo.”
Matt annuì con vigore.
“Sfortuna volle che proprio in qul giorno si fosse
scatenato su Mystic Falls il più disastroso acquazzone di tutti i tempi.”
“ E oltre alla delusione per l’essere stati costretti a batterci in
ritirata, ci siamo perfino buscati un bel raffreddore” concluse Elena, ridendo
al ricordo. Matt rise con lei, e per un istante, tutti i pensieri che
appesantivano il suo animo si affievolirono.
“Non sarebbe male come casa però” scherzò con un sorriso, fingendo poi di
analizzare la stanzetta con occhio critico. “Qualche ritocchino qua e là e
potrei pensare seriamente di venirci a vivere. Per lo meno mi sarei liberato
delle bollette.”
“Non penso che gli scoiattoli approverebbero” lo canzonò la ragazza con
aria divertita, prima di appoggiare il capo sulla sua spalla.
Matt contemplò quel contatto in silenzio, evocando con un sorriso il lieve
rossore delle guance e la sensazione di farfalle che aveva provato molte volte
in passato sentendola così vicina. Erano sentimenti ormai sfumati, ma che erano
stati sostituiti con qualcosa di altrettanto intenso. Qualcosa in grado di
cancellare qualsiasi forma di impaccio o imbarazzo fra di loro.
Elena era stata la prima bambina che aveva preso per mano. La prima ragazza
che aveva baciato. La prima persona che aveva voluto vicino, quando gli era
stata annunciata la notte di Vicki.
Elena faceva parte di quel passato dove il mondo pareva sorridergli ovunque
si voltasse. Poco importava se non aveva un padre o se dovesse alzarsi presto
la mattina per servire ai tavoli del Grill. Aveva un progetto: qualcosa modesto,
ma comunque in grado di allontanare le ombre e la negatività delle sventure
quotidiane nelle sue giornate. Avrebbe lavorato sodo e un giorno si sarebbe
svegliato con un gruzzolo sufficiente a pagarsi la retta per il college. Si
sarebbe laureato a pieni voti, aumentando le prospettive di un buon lavoro.
Erano sempre state le piccole cose, ad alimentare le speranze di Matt. Il pensiero
del matrimonio, di una famiglia. L’immagine di una madre improvvisamente orgogliosa
e di una sorella finalmente pronta a mettere la testa a posto.
Ma da quando Vicki era morta, Matt aveva osservato i suoi sogni affievolirsi
giorno dopo giorno, fatta a pezzi dalla consapevolezza di non potersi
permettere nemmeno dei sogni così semplici. Non sarebbe andato al college: non
nell’immediato, per lo meno. I suoi voti stavano peggiorando drasticamente e i
soldi che aveva messo da parte nel corso degli ultimi anni erano serviti in
gran parte per contribuire al funerale di Vicki.
E poi c’erano le spese. Le bollette e un mucchio di altre questioni in
sospeso, che per ora si accontentava di catalogare sotto la voce ‘casini’, per
nulla intenzionato ad affrontare anche quelle.
“Sei pensieroso.”
La voce di Elena lo distolse ancora una volta dalle sue riflessioni,
strappandogli un sorriso.
“ Sono solo un po’ giù di tono, tutto qui” ammise, stropicciando i capelli
della ragazza con le nocche. Elena rise, allontanandosi dalla sua presa prima
di sollevarsi a fatica dalla minuscola sedia.
“Mi è venuta in mente una cosa” esclamò infine, prendendolo per mano. “Dai,
alzati!”
“Ma cosa…”
Matt si lasciò trascinare, ridacchiando degli sbuffi di polvere che si
sollevavano a ogni passo. Lo scricchiolio del legno li accompagnò fino a quando
non giunsero all’esterno casetta. I due ragazzi, appoggiarono i piedi sulla
piattaforma che circondava la piccola abitazione.
“Siediti” ordinò Elena, accovacciandosi. Matt si inginocchiò e batté le
nocche su un asse con aria diffidente.
“Non è che mi fidi molto della resistenza di questa ca
…”
“Siediti e basta.”
Se c’era una cosa che aveva imparato crescendo assieme a Elena, era il
fatto che difficilmente si riusciva a evitare di venire coinvolti nelle sue
iniziative. Succedeva lo stesso con Tyler, ma fortunatamente le idee di Elena
erano in genere meno pericolose. Se non altro, qualche volta, anche era
riuscito a declinare le proposte dell’amico. Con Elena, invece, era una
battaglia persa in partenza.
“Dunque?” domandò, mentre con un sorriso vispo la ragazza prendeva posto
accanto a lui, lasciando penzolare le gambe nel vuoto.
“Uhmmm…ti ricordi di quel gioco che facevamo da
bambini?” chiese la giovane, tirandogli un calcetto che venne subito
ricambiato. Le scarpe da ginnastica dei due amici rimbalzarono più volte per
via del contatto. “A turno, uno di noi, doveva calarsi a testa in giù attraverso le barre
della piattaforma, mentre gli altri lo tenevano per le gambe…”
“Era una specie di prova di coraggio, credo” ricordò Matt. “Tua madre è
praticamente svenuta, quando ha visto Jeremy ciondolare nel vuoto con le
braccia a penzoloni”
“Pensava che lo stessimo torturando!” ricordò Elena, lasciandosi sfuggire
un risolino. Ritirò le gambe sulla piattaforma e le incrociò.
“Ma se rideva come un matto!” obiettò Matt. “Al contrario di Caroline...”
“Non la biasimo se strillava così tanto” commentò Elena. “Tyler le aveva rubato le
scarpe. Quella peste non gliele restituì nemmeno per tornare a casa.
Dovetti prestargliene un paio delle mie….”
“E Caroline lo detestò cordialmente per il resto della settimana” concluse
Matt, tornando a ridere. Altri dettagli della sua infanzia fecero capolino
nella sua testa, contornando quelli già affiorati nel corso del pomeriggio. Si
era dimenticato quanto fosse piacevole lasciarsi alle spalle il presente e
tuffarsi nei ricordi più sereni del passato. Era incantevole, evocarli in
compagnia di Elena. Stare con lei, gli dava l’impressione che non dovesse sforzarsi
di fare del suo meglio. Con Elena poteva semplicemente starsene lì, con le
gambe a penzoloni, le spalle adagiate alla parete di una sgangherata casetta di
legno e i vestiti impolverati.
I ricordi regnavano su quella piattaforma, mentre il presente lo attendeva
ai piedi della scaletta di corda. Aveva bisogno di accantonarlo in un angolo –
almeno per un po’. Giusto il tempo sufficiente per riprendere fiato.
“E poi c’era la questione del desiderio” comunicò infine Elena, distendendo
le gambe e incrociando i piedi fra loro. “Te la ricordi?”
Matt inclinò leggermente il capo, mentre un sorriso catturava gli angoli
delle sue labbra.
“Se non hai paura di cadere…” snocciolò a memoria.“…allora sei
invincibile. E se sei invincibile…”
“… Qualsiasi tuo desiderio si avvererà” terminò la frase per lui Elena,
scimmiottando il tono serio con cui si divertivano a pronunciare quella frase
da bambini.
“Un tempo funzionava” ricordò Matt, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
“Forse funziona ancora” ribatté Elena, prima di sollevarsi e di appoggiare
entrambe le mani sulle spalle dell’amico.
“Coraggio, provaci” gli suggerì, indicando la piattaforma con un cenno del
capo.
“Che? Scordatelo.”
Matt scoppiò a ridere sollevandosi in piedi a sua volta.
“La mia vita sarà anche incasinata, ma non ho intenzione di tentare il
suicidio!”
“Matthew Donovan, ti sfido a penzolare a testa in giù da questa
piattaforma: ora.”
Elena incrociò le braccia sul petto e gli scoccò un’occhiata di sfida. Quel
tipo di espressione coincideva in maniera buffa ai suoi lineamenti, ricordando
il volto di una bambina pestifera più che quello di una ragazza ostinata.
Matt roteò gli occhi, prima di sospirare rassegnato.
“Lo faccio solo perché so che mi assilleresti tutto il giorno in caso
contrario” si arrese infine, sbirciando con la coda dell’occhio il vuoto che
colmava la sua visuale. Sospirando, si sedette con la schiena rivolta verso il
bordo della piattaforma.
“Sei non hai paura di cadere…
Elena si accoccolò sulle gambe di Matt per bilanciarne il peso,
aggrappandosi ai suoi jeans.
…Allora sei invincibile….”
“Coraggio, datti lo slancio. Ti tengo io, smidollato!”
Il sorriso divertito di Elena gli provocò l’improvviso impulso di scoppiare
ridere. Ridere e osare al tempo stesso.
Matt chiuse gli occhi e si arrese a un ultimo breve respiro. Dopodiché,
accumulò in fretta il coraggio che si aggiravano senza meta lungo il suo corpo
e si lasciò andare.
“…E se sei invincibile…”
La sensazione di vuoto gli rimbombò con violenza nello stomaco, mentre il
mondo si capovolgeva in un istante. Incominciò a oscillare, esultando e ridendo
al tempo stesso, come il bambino di otto anni che era stato un tempo.
“E adesso esprimi un desiderio!”
Udì la voce di Elena mescolata alle risa di entrambi, affievolita dal
rumore del vento.
Sventolò le braccia per abbracciare il nulla, inspirò a fondo e si sforzò
di evocare con la mente le parole esatte per descrivere il tipo di desiderio
che aveva in mente.
“… Qualsiasi tuo desiderio si
avvererà.”
14 anni dopo.
Matt controllò un’ultima volta che la macchina fosse chiusa e ripose le
chiavi in tasca. Fischiettando, si introdusse nel vialetto che portava a casa
Donovan, ignorando il caldo pungente del sole di luglio.
Nel momento esatto in cui fu sul punto di entrare nel cortile, si accorse
di non essere solo: fece appena in tempo a individuare un visetto vispo e un paio
di occhietti vispi, che il bimbetto dai capelli scuri si allontanò da lui
ridendo.
“Che hai combinato oggi, Ricki?” domandò l’uomo con un sorrisetto
divertito, prima che la sua attenzione venisse catturata da una voce
proveniente dalla direzione opposta.
“Papà!”
Quella parola lo accarezzò con dolcezza, mentre gli occhi di Matt si
muovevano rapidi, alla ricerca della provenienza di quel grido. Un ragazzino
dai capelli arruffati si aggirava per il giardino con aria seccata: un buon
osservatore avrebbe sicuramente notato che aveva i piedi scalzi.
“Papà, l’ha fatto di nuovo!”
Matt scoppiò a ridere di gusto, scompigliando la zazzera bionda del
bambino.
“A giudicare dalle tue calze luride, direi che questa volta ti ha nascosto
le scarpe” commentò, prendendolo in braccio e solleticandogli il calzino
macchiato d’erba. Il ragazzino si divincolò fra le sue braccia, ridacchiando.
“Un giorno lo incalstrerò, papà!” annunciò,
lasciandosi depositare a terra. Raggiunse di corsa la sua cesta dei giochi e ne
recuperò un pallone da football.
“Jeffrey, non credo arriverà presto
il giorno in cui qualcuno riuscirà a fregare quel birbante di Ricki Lockwood”
commentò Matt con un sorriso, incassando il passaggio del figlio e
rilanciandogli la palla subito dopo. “Ma quando quel momento arriverà, allora a
fregarlo sarai sicuramente tu.”
“Ricki mi ha chiesto se possiamo salire alla casa sull’albero, ogni tanto” comunicò
in quel momento Jeffrey, schiacciando la palla a terra e voltandosi in
direzione della scaletta di legno.
“Beh è un’idea grandiosa” rispose il padre. Raggiunse il bambino e gli
scompigliò i capelli con affetto, fermandosi a sua volta ad osservare la casetta.
Jeffrey rimase in silenzio per qualche istante, prima di infilare la manina in
quella più grande e spessa del padre.
“È che ho un po’ paura a salire così in alto” ammise
infine. Lo disse in tono di voce talmente sottile che Matt fu costretto a
chinare il capo per riuscire a distinguere le parole del figlio. “E se poi
cado?”
Matt si inginocchiò di fronte al ragazzino e gli sfiorò la punta del naso.
“Ehi” mormorò, facendo combaciare le sue iridi con quelle scure del
figlioletto. “Ma non lo sai che alla
paura è vietato salire sulla nostra casetta sull’albero?” domandò, beandosi poi
del sorriso timido che aveva fatto capolino sul visetto del bambino. “Quando
sali lassù, nulla può farti paura. Nemmeno il pensiero di cadere. Se non hai
paura di cadere…”
“… Allora sei invincibile.” continuò la frase per lui il piccolo Jeffrey,
d’un tratto ravvivato.
“E se sei invincibile…” riprese il padre, posandogli una mano sulla spalla.
“… Qualsiasi tuo desiderio si avvererà” terminò il piccolo Jeff, dando un
calcio al pallone da football con espressione soddisfatta. “Questo me lo dici sempre,
papà.”
“Te lo dico, perché è vero” gli ricordò Matt. Lo prese per mano e i due si
incamminarono verso il cortile. “E lo scoprii proprio grazie a quella casetta.”
Per un istante, la sua mente sfiorò l’immagine di un adolescente che accarezzava
il vuoto con il cuore: finalmente libero dalle preoccupazioni di tutti i
giorni.
Quel ragazzo era solo un ricordo ormai.
E lo erano anche le sue paure.
Let it go, let it roll right
off your shoulder
Don’t you know the hardest part is over?
Let it in, let your clarity define you
In the end we will only just remember how it feels
Little Wonders. Rob Thomas
Note dell’autrice.
Prima di tutto, ringrazio al solito la Mary (Fiery)
per il betaggio <3
In secondo luogo vi chiedo scusa per la pista lunghissima di aneddoti a
sproposito che è questo racconto. Io vi giuro che ho cercato di eliminare tutto
il superfluo (e ho già in cantiere uno spin off sull’infanzia di Matt e Tyler
che sicuramente vi propinerò molto presto).
[Edit: lo spin off è pronto e si trova qui: la maglietta
di Chandler.]
So che Matt è un personaggio poco amato. Però mi sta molto a cuore, perché
è uno dei pochi personaggi rimasti a rappresentare il lato “umano” di TVD. Matt
mi ha colpito sin dalla prima stagione, per quella sua dolcezza e il suo buon
cuore, forse per questo è stato facile immaginarlo da bambino. Lo immagino come
uno di quei bambini sempre sorridenti, che vede in ogni occasione il lato bello
nelle cose anche se la loro situazione non è delle migliori. Avevo bisogno di
saperlo felice, alla fine. E Jeffrey mi ha aiutato a dare vita a questo mio
pensiero. Nel caso ve lo foste chiesti Richard “Ricki” Lockwood Jr è il
figliolo di Tyler ed è il migliore amico di Jeff. Tutto suo papà *rotola*.
Grazie per aver dedicato un po’ del vostro tempo a me, ma soprattutto
a Matt!
Un abbraccio
Laura