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Autore: Dira_    23/06/2011    17 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXXV



 
Edward non è cattivo. È solo sbagliato.
(Edward Mani di Forbice, 1990)
 
 
Il vento era così forte, quella sera, che avrebbe potuto staccare la testa dal collo di un uomo.
Così aveva detto Johannes. Non smetteva mai di parlare, Johannes, anche quando sarebbe stato indicato.
Sören invece non era riuscito a dire una parola fino a quel momento, anche avesse dovuto. Un groppo di panico gli aveva attanagliato la gola, come se un ragno di metallo gli avesse artigliato le corde vocali.
La casa in cui stavano per entrare era di una persona importante. Di un americano. Era la prima missione di Sören nel Nuovo Continente. Non la prima per la Thule. In quel caso il mago era un inventore. Aveva scoperto un formula magica per scomporre il proprio corpo e renderlo penetrabile alle sostanze solide.
Aveva ideato, più banalmente, un incantesimo per oltrepassare muri, cancelli… caveau.
Un incantesimo che la Thule voleva. A lui doveva bastare quello. Cos’altro aveva bisogno di sapere del resto?
“Andiamo principino… sta’ a te.” 
Sören aveva toccato il cancello, dove c’era l’apertura, dove avrebbe dovuto entrarci una chiave.
La magia gli aveva incendiato le vene del braccio. Aveva fatto una smorfia, ma non aveva vacillato. Quel Colloportus era davvero complesso.
Normale. È la villa di un inventore che farà brevettare il suo incantesimo tra pochi giorni. Tutto normale.
La porta finalmente si era aperta e lui aveva ritirato la mano.
“Bravo. Ora sta’ dietro a me, e bacchetta alla mano. Non che ti serva… ma sempre meglio nascondere la propria piccola arma segreta, vero? Prendi la bacchetta.”
Sören aveva preso la bacchetta.

Erano entrati nel giardino. Era grande e ben curato, si poteva notare anche nell’oscurità. Gli oleandri ondeggiavano al vento come se stessero danzando. Sören si era distratto a guardarli. Ma solo per un attimo, dopotutto non l’aveva visto nessuno.
La casa, dentro, aveva una grossa scalinata centrale, bianca e di legno, che portava ai piani superiori.
“Dividiamoci.” Aveva detto Johannes. “Può tenere la formula nel laboratorio o nello studio. Tu va’ sopra, io andrò di sotto.”
Sören aveva annuito. Quando l’altro se n’era andato, aveva preso le scale. La casa era silenziosa: era molto tardi, l’inventore e la sua famiglia probabilmente stavano dormendo. Era passato di fronte ad una fila di porte bianche, tutte uguali. In due di esse c’erano nomi con grafia infantile: Logan e Matt. Bambini, suppose. La vernice era piuttosto fresca, quindi era un lavoro recente. Bambini piccoli.   
Non che abbia importanza. Non l’ha mai.
Lo studio era stato chiuso da un secondo Colloportus. Sören l’aveva disincantato con lo stesso metodo. La mano gli bruciava, ma era più sicuro che usare la bacchetta. Johannes gli aveva detto che gli americani erano specializzati in incantesimi di allerta.
Non si aspettano che al posto della bacchetta ci sia una mano, principino.
Era entrato dentro, e aveva cominciato a frugare. Non gli ci era voluto molto: l’incantesimo era dentro un cassetto prima chiuso, scritto in carta da bollo: formula, illustrazione del movimento della bacchetta. Era  pronto per essere inviato all’Ufficio Brevetti per Incantesimi Sperimentali.
L’aveva fatto levitare con la bacchetta fino a lui e poi l’aveva infilato dentro un piccolo tubo di metallo. Se l’avesse toccato a mani nude, avrebbe fatto scattare l’ennesimo allarme.
 
“Fermo dove sei!”


La voce l’aveva fatto gelare sul posto. Una voce di uomo. Nemico.
“Voltati lentamente, tenendo le mani bene in vista.”
Dov’era Johannes? Perché non si era accorto che c’era qualcun altro, oltre a loro?
Si era voltato, tenendo la testa china, il cappuccio del mantello calato a nascondergli il viso. Non che avrebbe funzionato a lungo.
“Butta la bacchetta a terra e calciala nella mia direzione. E togliti il cappuccio.” Appunto.   

L’uomo era un agente della forza di polizia magica americana. Aveva l’uniforme e il viso illuminati di un lumos brillante. Sören aveva obbedito a tutti i suoi ordini, compreso quello di abbassare il cappuccio. Aveva quindi visto sgomento, e poi confusione sul volto dell’altro.
“Ma sei un ragazzino…” Aveva mormorato. Aveva poi riflettuto. “Dov’è il tuo complice?”
“Sono solo.” Gli aveva risposto. Il mago aveva serrato la presa sulla bacchetta: era per il suo accento. Sapevano tutti che la Thule aveva affiliati soprattutto in Germania. Lui era tedesco. Non era una coincidenza. Era un buon’indizio per mantenere la massima allerta invece.

“Non è possibile che mandino…” Si era bloccato. “Quanti anni hai?”
“Sono solo.” Quanto ci avrebbe messo Johannes a rendersi conto che era rimasto bloccato? Quanto?

“Non puoi essere solo!” Era sbottato, guardandosi attorno, come se si aspettasse che il suo partner si materializzasse dalle ombre. Avrebbe potuto, pensò Sören, ma non in quel caso. Sempre tenendolo sotto tiro, l’uomo si era portato alle labbra quello che sembrava un orologio da polso. “Richiedo rinforzi alla villa del Professor Eastwick. Ripeto. Richiedo immediati rinforzi alla villa del Professor Eastwick.”
Se solo si fosse avvicinato abbastanza … Sören non poteva scagliargli uno schiantesimo da quella distanza. Con
l’arma non poteva. No, per funzionare doveva toccarlo.
“Come ti chiami?” L’agente era stato insistente. Sören aveva serrato le labbra, e quello stranamente aveva sorriso. Perché sorrideva?
“Okay. Io mi chiamo Jeremiah. Ho una figlia della tua età… dovresti avere sui quattordici anni, vero?” La bacchetta non si era abbassata, ma le difese di quello stupido mago sì. Glielo aveva letto nella postura. “Senti, non so come sei finito in questa situazione, ma può finire diversamente. Può non finire male.”
Dubito – aveva pensato – ma non per me.
“Devi solo darmi quell’incantesimo. Avanti…” Aveva teso la mano. “Dammi l’incantesimo e andrà tutto bene. Lo vedo che sei spaventato…”
Non era spaventato. Aveva quattordici anni, sì, ma non era spaventato. Era la sua quinta missione quella.

Poi aveva notato che la mano che stringeva il tubo di metallo, la sua mano… stava tremando. E quel sudore che gli aveva coperto il viso? Da dove era venuto fuori?
Era stata quella mano tesa a spaventarlo. Era stata la gentilezza. Quella comprensione. Non aveva senso.
“Andrà tutto bene figliolo…”
Non è vero – aveva pensato una parte di sé, con rabbia. E poi gli aveva afferrato la mano.
L’uomo non aveva fatto in tempo ad allarmarsi che Sören aveva mormorato l’incantesimo: era crollato a terra come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili.
A quel punto era arrivato Johannes. “Ehi! Dannazione, stanno arrivando le teste di latta…” Si era fermato a guardare l’agente, forse perché gli era quasi inciampato addosso. “E questo che diavolo ci fa qui?”
“Doveva essere di sorveglianza alla casa.” Aveva mormorato. “Mi ha sorpreso.”
“Beh, poco importa.” Aveva scrollato le spalle l’altro. “Hai con te l’incantesimo?”
Sören aveva annuito ed era andato ad aprire la finestra, loro via di fuga. Poi un lampo verde. Quando si era voltato, l’agente era nella stessa posizione di prima. Ma non respirava più.  

Perché?” Non si era reso conto di averlo urlato finché l’altro non l’aveva sbattuto contro il muro per tappargli la bocca.
“Perché ti ha visto in faccia, piccolo idiota. E obliviare uno yankee è inutile. Hanno in brevetto un contro-incantesimo anche per questo.” Gli aveva sussurrato. Vedendo la sua espressione, aveva fatto un ghigno. “Che c’è, rimorsi? Io non ne ho. Sei tu che ti sei scoperto ed io ho dovuto ucciderlo. Andiamo, prima di svegliare l’intera casa.”
Sören l’aveva seguito, e buffo, gli era venuto in mente che quell’uomo non avrebbe più teso la mano a sua figlia.

Che spreco farlo con me per l’ultima volta – aveva pensato, mentre si lanciava giù dalla finestra.
 
 
16 Dicembre 2023
Scozia, Hogwarts, Vascello di Durmstrang. Mattina.
 
Sören schiacciò la faccia contro il cuscino, prima di alzarsi in piedi con un unico, fluido movimento.
Odiava il dormiveglia: non era incerto come il mondo dei sogni. C’erano i ricordi, nel dormiveglia.
Poliakoff si voltò insonnolito. “Già in piedi?” Chiese sbadigliando.
“Devo allenarmi.”
“Ti raggiungo.” Annuì l’altro. “Per colazione, intendo.”
“No, salgo ad Hogwarts.”
L’altro ghignò. “Dalla tua bella inglesina?” Perché la sua espressione, solitamente stolida, ora gli ricordava quella di Johannes? Perché gli sembrava che quella domanda contenesse un fondo indagatorio?

Lo stava controllando?
Era una sensazione che aveva da un po’. La sensazione che Kirill non fosse lì solo per assisterlo e fargli braccio destro.
No, zio si fida di me. Non ha motivi per non fidarsi di me. Non ne ha mai avuti.
“Beh, vai da lei?” Incalzò l’altro, ignaro delle sue riflessioni.
Non gli e non si rispose, infilandosi la casacca da allenamento, uscendo.
Il rimedio migliore per un brutto sogno, gli aveva detto una volta qualcuno, era tornare al mondo reale.
Quindi sì, andava da Lily.
 
****
 
Hogwarts, aula undici. Lezione di Divinazione del Quinto anno.
Mattina.
 
Lily lanciò un’occhiata divertita a Fergus che, accanto a lei, dormiva appoggiato al tronco nodoso di un albero. Finto albero. Albero trasfigurato. Quel che era, insomma.
In ogni caso, dei suoi amici, probabilmente era l’unica a seguire con continuativo interesse le lezioni di Divinazione: Hugo e Gail al momento fissavano l’artificiale volta stellata con l’aria remota di chi poco capiva, ma cercava di non darlo troppo a vedere.
Il professor Fiorenzo passava tra di loro, con morbido rumore di zoccoli sulle zolle di muschio umido che facevano da pavimento all’aula. La sua voce musicale parlava di eclissi, stelle e pianeti.
Lily adorava quel posto. Si respirava odore di bosco e le sembrava di tornare bambina quando, dopo un pomeriggio passato a giocare si addormentava sotto le fronde di qualche grande albero del Devonshire.
Detto così, sembrava apprezzasse solo l’ambiente. In realtà, Divinazione era una materia che l’affascinava. C’era qualcosa di misterioso e oscuro, in come Fiorenzo spiegava che gli astri influenzavano, ma non costringevano il corso del Destino.
Lily non credeva esattamente in quel tipo di destino. Ma semplici coincidenze non avrebbero potuto farle conoscere un parente del Principe.  
Corsi e ricorsi storici, aveva pensato dopo la chiacchierata con Ren. Decenni prima due amici di una vita si separavano. Anni dopo lei e Ren si conoscevano e diventavano amici. Non era una coincidenza.
Amici? È questo ciò che siete?
La voce le pungolò un angolo remoto della coscienza: era leggera, ma presente da…
Da un bel po’, mi sa. Solo che prima non la ascoltavo.
Qualche giorno prima era andata ad Hogsmeade per il suo agognato abito. Da Stratchy&Sons, aveva finalmente potuto parlare con Roxanne in santa pace, dato che Rose era infossata in un camerino e Hugo era stato eletto a suo recalcitrante ‘parere maschile’.
Roxanne era il suo metro di giudizio: poteva essere brusca, o dai giudizi senza possibilità di appello, ma anche sincera. E la conosceva meglio di chiunque altro sulla faccia della terra.
E con conoscermi, intendo la vera me. Quella che si riempie di seghe mentali invece di seguire la lezione…
 
“Così ci vai col Campione di Durmstrang.”
Non era una domanda. Del resto era certezza: sarebbe andata al ballo con Sören Luzhin.

“Già!” Aveva confermato infatti distratta. “Pensi che dovrei vestirmi in azzurro o in rosso? L’azzurro è il mio colore, ma l’uniforme di Durmstrang è color porpora. Però ho i capelli rossi, e l’insieme sarebbe… troppo rosso. Che ne pensi?”
Roxanne era seduta su uno dei divanetti di fronte ai camerini di prova. C’era un bel viavai, tra studentesse alla ricerca della
mise perfetta e commesse che si aggiravano indaffarate attorno a coloro che, dritte su una pedana, si stavano facendo aggiustare il vestito ad hoc.

Roxanne era seduta e aveva anche il cipiglio delle Grande Occasioni. “Cosa c’è tra di voi?” Aveva buttato fuori senza mezzi termini.
Lily, tra le dita un paio di décolleté color pan di zucchero, l’aveva fissata per mezzo secondo senza capire. “Tra me e Ren?” Aveva detto poi. “Siamo amici, perché?”
“Non sembrate amici.” Aveva ribattuto l’altra. “È la prima volta che parli così tanto di un ragazzo.”

Colpita e affondata. Lily si era sentita arrossire diffusamente, ma aveva ignorato il tutto. Roxie no, da come le aveva servito un sorrisetto consapevole.
“Non è vero. Parlo
sempre di ragazzi!”
“Appunto. Ragazz
i, plurale. È la prima volta che ce n’è solo uno.”
“Ma… perché…” Si era chiesta se Rosie avesse finito di divincolarsi in camerino per entrare nel vestito. Perché le serviva proprio un time-out. “…è un tipo particolare!” Si risolse a dire alla fine. “Non è che stando ad Hogwarts conosci gente nuova! Sono sempre le solite facce!”

“Vero.” Non aveva aggiunto altro, e Lily si era irritata. Talvolta non sopportava l’aria sorniona che la cugina più grande assumeva. Era l’unica persona al mondo a farla sentire… piccola.
“Senti… anche se… e dico se, avessi una cotta per lui, che ci sarebbe di male? Non è la prima volta che mi prendo una cotta!”
“Già.”
“Allora cosa c’è?”
Roxanne aveva scrollato le spalle. “Niente.”
“Non è niente! Non hai la faccia da
niente.”
“Neanche tu.” Aveva ribattuto la mora, poi le aveva fatto cenno imperioso di sedersi. Lily aveva obbedito. “Ascolta… non mi sono mai preoccupata di vederti innamorata del ragazzo sbagliato, come è successo a me più volte di quanto abbia voglia di ricordare.” Aggiunse malmostosa, e Lily pensò che la cugina non avrebbe mai digerito la faccenda Rupert Chang. “Perché, Lils, tu non ti sei mai innamorata.”

“Beh, ho quindici anni, non ho certo voglia di straziarmi per qualcuno. Voglio divertirmi!”
“Ben venga, ma non è questione di voglia… il punto è che non sei mai stata veramente coinvolta. Mentre stavi con qualcuno già pensavi al prossimo.” Roxanne le leggeva troppo bene dentro. 

Lily si era appoggiata con la schiena al divanetto. “Non capisco dove tu voglia arrivare.”
“Ci scriviamo spesso, a volte mi sembra di essere il tuo diario segreto, Rossa.” Usò il loro nomignolo confidenziale e Lily si sentì un po’ più bendisposta. “Sai bene dove voglio andare a parare.”
Roxanne era sempre stata molto protettiva con lei. Forse era il sangue che condividevano, o  proprio le loro diversità. L’altra era stata ragazzina dalle grandi passioni ma dall’irrisolta incapacità di esternarle, e lei una bimbetta curiosa a cui fare confidenze proprio in ragione della sua giovane età. Era da Roxie che aveva capito quanto i ragazzi fossero semplici, ma spesso incostanti come nuvole in balia del vento.
Improvvisamente aveva capito dove voleva andare a parare.
“Non mi sono innamorata di Ren!” Era sbottata, e solo perché il negozio era pieno di voci femminili nessuno l’aveva sentita. Visto che aveva urlato.
L’altra aveva inarcato le sopracciglia. “Davvero.” Odiava quando appiattiva il tono, per far sembrare domande constatazioni. Perché Lily si era accorta che no, forse non era davvero.
Aveva sbuffato, reclinando la testa sull’imbottitura dei cuscini. “… okay, beccata.” Aveva ammesso, sentendo il cuore fare un tuffo. “Forse… e dico forse… Ren è diverso dagli altri.”
“Questo me l’hai scritto circa un migliaio di volte.” Le aveva dato una pacchetta sulla testa. “E poi?”
“E poi… mi sono legata a lui. Per vari motivi.” Non aveva avuto voglia di raccontarle delle loro parentele parallele. Erano una cosa tra lei e Ren, aveva deciso. Si era quindi schiarita la voce, per darsi un tono. “Non vuol dire che ne sono innamorata. E poi cos’è innamorarsi? È così diverso dal prendersi una cotta?” Aveva argomentato, accalorandosi. “Perché finisce sempre nello stesso modo. Ci si molla quando ci si stanca! Ecco tutto! Non è
tanto diverso!”

Roxanne l’aveva guardata con indulgenza. E poi aveva usato una delle sue frasi trincianti.
“Benvenuta nel club.”
Non era riuscita a ribattere.
 
Poi per fortuna Rose era uscita dal camerino e la questione era finita lì.
Ma Lily ci rimuginava sopra da trentasei ore. Era davvero innamorata di Sören? E se sì, che cavolo di futuro poteva avere un sentimento del genere se l’altro viveva normalmente a miglia da lei?
Ma sto andando troppo avanti… non so neanche cosa lui provi per me.
Era anche quello il problema. Normalmente, se si prendeva una cotta per qualcuno, era perché quel qualcuno le aveva già dimostrato di ricambiare il sentimento. Nessuna incertezza percepita.
Ren invece…
Sì, teneva a lei, questo era riuscito a capirlo – grazie tante, poteri – ma nient’altro. Era un enigma vivente, chiuso in uno scrigno e gettato dentro una fossa atlantica.
Per eufemizzare.
Quella mattina, ad esempio, era venuto a far colazione come sempre, ma era rimasto zitto tutto il tempo, limitandosi ad ascoltarla parlare con gli altri. Quando gli aveva chiesto cos’avesse l’aveva guardata con stupore, quasi non si fosse accorto del suo attacco di asocialità.
Era strano, Ren. Era come se un’inquietudine continua gli scorresse sottopelle. Non poteva dimenticare ciò che aveva visto sulla vascello, la furia angosciata con cui si allenava. A volte, poi, lo beccava a fissare il nulla con aria smarrita.
Beh, sarà per il Tremaghi. Pressioni, rischio della vita. Sarà preoccupato per la Seconda Prova.
Ma non era quello. Quando parlava del Torneo era distratto, sembrava quasi non interessargli.
E ad aggiungere stranezza al quadretto, più di un paio di volte aveva sorpreso Tom a spiarli.  
Cosa diavolo mi sto perdendo? È come l’anno scorso? Succedono delle cose e io non le capisco?
Non era una bella sensazione, e cercò di scacciarla per l’ennesima volta.
È solo una roba mia. Dentro la mia testa. Pensa al ballo. Pensa al Ballo del Ceppo.
Sentì le persone muoversi accanto a sé e si rese conto che la lezione era finita.
Perfetto. Non ho seguito affatto. E se devo affidarmi a Hugo o Gail…
Fece una smorfia: era colpa sua però, c’era poco da fare. Si alzò, mettendosi la borsa a tracolla, pronta a seguire gli altri fuori dall’aula
“Lily Potter, una parola, prego.”
La voce del professore la riscosse, e si voltò per incrociare i suoi grandi – e piuttosto inquietanti – occhi color zaffiro. Sì, stava parlando con lei. Del resto chiamava tutti per nome e cognome, non ci si poteva sbagliare.

Deve essersi accorto che ero distratta. È ingiusto però, non dice mai niente a nessuno di solito!
Annuì con un sorriso colpevole, facendo un cenno di commiato agli amici.
Comunque è una mania, fermarmi dopo le lezioni. Tra lui e la McGrannitt…
Il centauro gli fece cenno di chiudere la porta e Lily obbedì. Aveva un buon rapporto con il docente. Di solito, era una delle poche a non fissarlo sperduta durante le lezioni.
Le stelle sono luminose stasera…
“Senta, mi dispiace, so che avrei dovuto seguire, ma…” Era una nuova tecnica: sembrava che i docenti fossero positivamente colpiti dal suo cambio di rotta verso la sincerità.
Beh, di solito sono la regina delle scuse.
“Non ero questo ciò di cui volevo parlarti.”
Lily ammutolì, guardandolo incuriosita: a volte con Fiorenzo si aveva l’impressione che non fosse davvero lì, in quell’aula, ad insegnare. Ma nella sua foresta. Parlava di costellazioni, di comete e avvicendarsi dei pianeti, e loro ascoltavano, bruciando in salvia e malva. Erano lezioni strane. Fergus e Abigail, che avevano la madre Nata Babbana, le avevano detto che quelle lezioni erano praticamente astrologia in pillole. Ma lì non si trattava di predire il campionato di Quidditch o l’esito di una verifica. Il centauro parlava di macro-eventi, bene contro male e roba del genere.
Lily adorava Divinazione.
Si sedette su uno dei tronchi tagliati che facevano da sedile a chi non aveva voglia di sporcarsi l’uniforme d’erba. Aspettò, perché un centauro non aveva esattamente la stessa concezione del tempo di un essere umano.
È mooolto più rilassata…
“Marte è crescente. Sono anni che non succede.” Disse dopo un po’. Lily lo guardò perplessa.
“Okay… è una brutta cosa, giusto?” Mormorò, senza capire perché lo dicesse proprio a lei. “Stiamo parlando di guerra?” Chiese poi, inquieta. “Sa, Marte…”
Marte. Pianeta. Il pianeta rosso. Marte, il latore di battaglie.
“Le stelle influenzano, non…”
“… costringono¹.” Concluse al suo posto, facendolo sorridere.

“Sei una buona studentessa, Lily Potter. Credi nel Destino.”
Okay, ma che cavolo vuol dire?!
Era così parlare con Fiorenzo.  
Adoro questa materia. Però a volte è dannatamente frustrante.
“Sì… ci credo.” Convenne. “Senta… sta cercando di dirmi che corro qualche pericolo? Io o qualcuno che conosco?” Cercò di intuire, di pescare a caso nel mare delle possibilità che la frase gli offriva.
Marte è crescente. Marte non è un gran bel pianeta, e non dovrebbe crescere. Proprio no.
Il centauro le sorrise. “Come ti ho spiegato, leggere i transiti dei pianeti è una scienza che richiede a volte anni per capire il significato di ciò che si vede. Nessuno ha la certezza di comprendere con precisione. Neppure noi centauri.” 
“Okay…” Non avrebbe ricavato nient’altro. Ma il solo fatto che l’avesse detto a lei…
Significa che in questa storia di Marte c’entro.
Sarà per quello che è successo nell’ultimo periodo? Tom è stato rapito… e poi quei serpentoni, e i Dissennatori. Di certo Marte è un bel po’ agguerrito di questi tempi.
“È molto vicino. Ma lo è anche Venere.”Aggiunse il centauro con quel suo tono pacato. “Presta attenzione, Lily Potter.”
Uscì dall’aula con una sensazione di ansia indefinita; Fiorenzo non era tipo che avrebbe messo angoscia ad uno studente per esibire le sue capacità, come suo padre le aveva raccontato facesse la precedente professoressa. Se le aveva detto quelle cose, era perché credeva che le sarebbero servite.

Marte e Venere. Okay, mi servirà saperlo. Ma sapere cosa?
Mi sto davvero perdendo qualcosa?
 
****
 
Hogwarts, Biblioteca.
Dopopranzo.

 
Tom aveva pensato, non troppi giorni prima, che stimava Scorpius Malfoy, al di là del loro diverso modo di vedere il mondo.
Al momento attuale si sarebbe rimangiato tutto con piacere. Scorpius Malfoy era un babbuino.
“Mi stai rallentando…”
“Ti sto aiutando nel risolvere l’indovinello!”
“Non ho l’abitudine di pensare in compagnia, Malfoy.”
“Si vede. Ti dà fastidio persino che respiri!”

Si fissarono ostili dai lati opposti di un tavolo della Biblioteca. Da quando la Pince era andata in pensione il regime di terrore era finito. Non che fossero permessi gli schiamazzi Alla Malfoy – termine da lui coniato circa cinque minuti prima - ma si poteva perlomeno parlare.
Almeno, io ho un dispaccio speciale. Non ne vado fiero, ma resta il fatto.
La nuova bibliotecaria era la ragazza che aveva corrotto l’anno prima per entrare nella Sezione Proibita. Non lo guardava in faccia per la vergogna, e quindi riteneva improbabile che sarebbe venuta a dir loro di smorzare i toni. Era una situazione ideale.
Lanciò un ennesimo sguardo esasperato al grifondoro, che per tutta risposta incrociò le braccia al petto. Non me ne vado -  sillabò senza voce.
Tom ebbe l’impulso di colpirlo ripetutamente, e con forza, con la costola di un libro; del resto ce n’erano molti sul tavolo. Si cullò brevemente nel cruento pensiero e poi diede un ennesimo sguardo al fazzoletto sporco che Malfoy si era faticosamente sudato. Le parole erano stiracchiate, quasi illeggibili.

Devono essere stata scritte con una soluzione che prevedeva una reazione chimica con il sangue.
Posso dire che è disgustoso?
Ihcco ilg non erouc li ottelfir.” Lesse con una smorfia disperata l’altro. “Che lingua è per le sottane di Merlino? Sembra runico tradotto male!”
“Non è runico.” Tom sospirò, sfogliando svogliato l’ennesimo dizionario di qualche lingua morta. “E  neppure goblinese, greco antico, latino, norreno, gallico o…” Si fermò, perché l’altro aveva l’aria di uno che voleva suicidarsi. “Troveremo una soluzione.”

Troverò. Va’ ad esercitare i tuoi muscoli rosso-oro. Qua ci penso io.
Scorpius si succhiò un labbro con aria concentrata, ignorando i suoi ordini mentali. “Lo spero… perché okay, manca più di un mese, ma queste prove mi sembrano sempre più complicate!”
“Se mi lasciassi lavorare in pace…” Tentò di nuovo. Scorpius lo guardò come se l’avesse appena offeso.

“Sono il Campione. Tu sei il mio assistente. Assisti.” Batté significativamente un palmo sul tavolo. “Sono io che devo arrivare alla soluzione, non tu!”
“Cosa credi che facciano gli altri campioni? Delegano.” Suggerì insinuante, ma l’altro assunse un’espressione orrendamente eroica.
No.
“Penso che finirò per ucciderti.” Gli confessò senza mezzi termini.

Scorpius sorrise deliziato. “Ah, Dursley… lo sanno tutti che non mordi davvero.” L’istinto di provocargli ferite gravi con un libro riapparve prepotente. “Anche se, confessione per confessione, non so come tu faccia a non prenderti un pugno in faccia ogni volta che apri bocca. Sei insopportabile.”
Si guardarono nuovamente, con tensione da film western – Tom ne aveva visti tanti, volente o nolente, durante la sua infanzia.
E poi il vistoso tatuaggio di quel cretino. Da lì sembrava proprio un serpente che, stilizzato, si inerpicava lungo il collo in inchiostro nero. Tom odiava i serpenti.
Penso di aver conseguito un trauma psicologico di rilevante entità grazie ai Naga, l’anno scorso.
Mi si può dunque biasimare?
“Quello è un serpente?” Si informò, perché la puntigliosità era il suo forte.
“No, è un drago. È parte dello stemma araldico della mia famiglia.” Fu la risposta.
Ah.
Tom comunque lo detestava; ma doveva far buon viso a cattivo gioco.  
Ho preso un impegno e se non lo mantengo, niente Durmstrang.
“Collaboriamo?” Capitolò quindi. L’altro gli fece un gran sorriso soddisfatto.
Questo è parlare!”
 
Mezz’ora dopo Tom aveva di nuovo leggermente cambiato idea.
Scorpius Malfoy era ancora un primate, ma se non altro, sapeva stare in silenzio. Aveva anche appuntato della parole che potevano somigliare a quelle scritte sulla pezzuola, ma ogni volta che ne scriveva una sembrava sempre meno convinto; quando incrociarono gli sguardi, entrambi eruppero nello stesso sospiro.
“Secondo me, stiamo sbagliando approccio.” Esordì Scorpius, ma lo disse talmente serio che Tom fu disposto a concedergli udienza.
“Che intendi dire?”
“Non sembra una lingua straniera! Guarda il non, Dursley. È non… è nella nostra lingua!” Picchiettò la stoffa. “Potrebbe essere un rebus.”
“Tipo una sciarada?”
“Tipo, sì.” Confermò, inclinando la testa, quasi potesse avere una visuale migliore. “Magari parole mischiate a caso.”

Tom sentì una spiacevole sensazione di deja-vu. L’anno scorso proprio una sciarada l’aveva trascinato in una situazione orrenda. L’altro gli lanciò un’occhiata.
“Dici che è una stronzata?” Interloquì  fraintendendo il suo silenzio.  
“No, non direi.” Non che lo avrebbe mai ammesso, ma era proprio negato nel riconoscere quel tipo di indovinelli. Scrutò la scritta, poi fece una smorfia. “Proviamo a combinare le parole, allora.”

Si rimisero al lavoro. Ma Tom ormai aveva la testa da un’altra parte. Probabilmente ci sarebbero voluti anni per smettere di associare cose assolutamente innocue alle sue orrende esperienze.
Stai andando nella tana del lupo. Dove Hohenheim ti vuole. Sei più stupido di Cappuccetto Rosso.
Serrò le labbra, appoggiando la penna fuori dal foglio per non macchiarlo di inchiostro. Scorpius intercettò il suo sguardo, e si grattò un sopracciglio. “Sei preoccupato per la faccenda… sai. Della Thule?”
“No.” Mentì. Aveva dovuto dirgli la verità per farsi dare il posto di assistente ma non era tenuto a continuare a farlo. L’altro scrollò le spalle: impossibile capire se gli avesse creduto o meno.

“Siamo comunque più avanti rispetto agli altri Campioni!” Tentò di consolarlo. “Domi non ci sta lavorando, lo so perché mi ha detto che il suo assistente è tutto preso dal ballo. E per quanto riguarda il tedesco…” Arricciò il naso. “Luzhin è strano”
“… in che senso?” La sua attenzione lasciò completamente la pergamena per concentrarsi sull’altro ragazzo. Era quello che lui diceva da settimane. E Malfoy la pensava come lui?
Interessante.

“Beh.” Iniziò Scorpius dondolandosi sulla sedia. Non riusciva a stare fermo per più di un attimo, aveva notato. “A parte il fatto che segue la piccola Potter come un cagnolino innamorato.” Stirò un ghignetto. “Ehi, lo posso capire. Lilian è carina, e si dice in giro che le tipe di Durmstrang siano le controparti femminili dei maschi. E hai visto i maschi che razza di torri sono?”
“A parte il fatto?” Lo incalzò.

L’altro scrollò le spalle. “Non sembra uno studente. È … come se non gliene fregasse nulla del Torneo. Non è normale. Io ci penso sempre, ventiquattr’ore non stop, e così fa Dominique, anche se non sembra. Persino il giorno della Prova sembrava pensare ad altro.” Prese la piuma e se la rigirò tra le dita con una certa destrezza. “E poi usa continuamente l’Occlumanzia.”
“L’Occlumanzia?”  

Il biondo annuì. “Come te la spieghi quell’aria costipata altrimenti?” Sghignazzò e persino a Tom uscì un mezzo sorriso. “A parte gli scherzi… tra Occlumanti ci si annusa a miglia di distanza. Quello lì si protegge neppure fosse la Gringott.”
“Perché?” Non aveva senso usare una tecnica così stancante dal punto di vista emotivo, in un contesto studentesco in cui nessuno, per quanto ne sapeva lui, padroneggiava il Legimens. Lo zio dell’attuale Capocasa di Serpeverde, il professor Lumacorno, era stato peraltro l’ultimo docente ad averla padroneggiata. Ed era in pensione da anni.

Scorpius sembrò intuire le sue perplessità. “L’Occlumanzia a volte si attiva senza che tu te ne accorga. È una difesa naturale come, chessò, cadere con le mani avanti per proteggersi la faccia.” Mimò il gesto. “Secondo me, ha paura che qualcuno scopra qualcosa su di lui e inconsciamente… bam! Si chiude.”
Tom fece una smorfia. Non era convinto. Luzhin gli aveva dato l’idea di un soldato. Un tipo che non sprecava energie inutilmente.  
Si accorgerebbe se usa una tecnica che non gli serve a nulla. Ne avrebbe ragione.
Forse sbagliava a crede di capirlo fino a quel punto.
Ma non credo. È più simile a me di quanto non voglia. Ed io farei così, se avessi la sua preparazione.
“Oppure…” Lo riscosse Scorpius. “… c’è un Legimante nelle vicinanze e la sua magia lo percepisce. E quindi si attiva in automatico fiutando il pericolo. Se sei abbastanza potente e portato, succede.”
Legimante nelle vicinanze…
Tom si sarebbe dato dell’idiota. Si trattava di collegare due fatti, che peraltro Scorpius gli aveva sottolineato pochi momenti prima.
Segue la piccola Potter come un cagnolino. Si protegge manco fosse la Gringott.
Lily era una Legimante Naturale: dormiente per la sua stessa sicurezza, ma comunque tale. Capace, in linea teorica, di leggerlo.
È da lei che si protegge. La percepisce come un pericolo perché potrebbe scoprire qualcosa su di lui. Ormai è chiaro. Nasconde qualcosa.
Ne avrebbe parlato ad Harry, se avesse avuto delle prove concrete alla sua tesi. Che era poi molto semplice.
Luzhin potrebbe essere coinvolto con la Thule. Proprio perché è il Campione: chi sospetterebbe mai di un giovane mago scelto per i propri meriti a concorrere ad un Torneo?
I colpevoli di solito sono proprio di chi non si sospetta.
Ma, come si auto-ripeteva fino alla nausea, non aveva prove: con i sospetti non si accusava nessuno.
“Dursley?” Malfoy gli tirò una pallina di carta, che schivò con irritazione. “Sei dei nostri?”
“Stavo solo pensando.”

“Fai qualcos’altro da quando sei nato?” Lo prese in giro, girando poi la pezzuola verso di lui. “Avanti, pensa a questo.”
Tom sbuffò, ma focalizzò di nuovo la sua attenzione sul fazzoletto. Distolse però lo sguardo, dato che un raggio di sole, che si era riflesso sulla finestra davanti a loro, lo aveva abbacinato.
Riflesso.
Avrebbe detto ‘eureka’ se fosse stato dignitoso. Balzò invece in piedi, afferrando la borsa di Malfoy e frugandoci dentro. “Hai uno specchio comunicatore. Quando è spento funziona come uno specchio, vero?”
Ehi!” Esclamò l’altro sbalordito. “Sì, me l’ha regalato Jamie, ma che stai…”
Lo tirò fuori e lo aprì con uno scatto secco, posizionandolo davanti alla pezzuola. La superficie di vetro riflesse la scritta. Al contrario.

“Leggi.” Ghignò trionfante. “Credo che adesso abbia senso.”
Scorpius si sporse, perplesso, e poi sgranò gli occhi. “Rifletto il cuore, non gli occhi! Ha senso!” Esclamò sbalordito. “Grande Dursley!” Berciò, e si beccarono entrambi una caterva di sibili inducenti al silenzio.

Si risedettero quieti, ma, notò Tom divertito, con due sogghigni speculari.
Rifletto il cuore, non gli occhi…” Ripetè l’altro contento. “Beh, già meglio! Non so che cavolo vuol dire, ma…” Alla sua espressione irritata, scrollò le spalle. “Comunque sei stato grande. Era una stronzata da decifrare, ma come al solito, quando ce l’hai sotto il naso…” Gli fece un gran sorriso. “Dovresti averne sempre, di queste illuminazioni!”
Tom fece un mezzo sorriso in risposta. Sì, avrebbe dovuto davvero averle.
Così trasformerei i miei sospetti in certezze. Perché Luzhin deve giocare un ruolo in questa partita. Solo non so qual è.
Tom era un tipo che amava fare tutto da solo. Di solito. Ma in quel momento, si chiese se non fosse meglio farsi dare una mano. Non poteva avvicinare direttamente Luzhin – non ne avrebbe ricavato niente.
Segue la Piccola Potter come un cagnolino…
Ma c’era una persona che sembrava conoscerlo bene.   
 
****
 
Germania del Nord, sera.
Residenza Estiva dei Von Hohenheim.
 
Bretch Van Der Linde nella vita di tutti i giorni era uno stimato mago olandese. Purosangue da ben sette generazioni – oltre non era saggio andare – commerciava in legname per bacchette. Attività redditizia che si integrava fecondamente al titolo di nascita. Viaggiava verso i sessanta ma, come amava ripetere, il buon sangue magico lo manteneva ancora attraente per le giovani streghe della società mittle-europea.
Questo era Bretch Van Der Linde per il consesso magico.
Quello che nessuno sapeva era che quel mago dall’aria mite faceva parte della Thule. Quello che nessuno sapeva era che la fitta rete di amicizie che l’Organizzazione gli aveva offerto su un piatto d’argento aveva dato modo alla sua ditta di sviluppare contratti che l’avevano reso famoso in tutto il globo.
C’era tanto che il mondo magico non sapeva, su Bretch Van Der Linde.
Invece, qualcuno ancora ricordava che aveva frequentato Durmstrang negli stessi anni di Alberich Von Hohenheim e gli era stato amico.
Per questo in quel momento sedeva nell’anticamera del suo studio.
Era preoccupato. Ma di una preoccupazione strategica, condivisa con altri membri dell’Organizzazione.

Attendeva e sapeva che era tutta scena: il tedesco lo stava faceva attendere solo perché poteva.
Irritante bastardo… - Pensò senza troppo livore, dato che non era nella sua indole.
La porta si aprì, segno che finalmente  aveva deciso di riceverlo.
All’interno dello studio ardevano malamente braci spente e il gelo invernale filtrava dalle spesse tende, ben tirate. Quindi quasi non vide Hohenheim avvicinarglisi. “Bretch.” Disse questi.
Lo trovò dimagrito. Quel genere di considerazioni, a dirla tutta, mal si adattavano sulla figura di un uomo che aveva rifondato una società come la loro. Ma era la verità: Hohenheim aveva visibilmente perso peso e aveva esattamente lo sguardo che temeva di trovargli addosso.
Quello di un uomo mangiato da un’ossessione.
“Alberich, amico mio…” Gli tese la mano e gliela strinse, valutandone la presa. Quella dell’altro era salda come sempre. Fece dunque un breve sorriso tirato. “Ti trovo bene.”
“Vale lo stesso per te.” Replicò quietamente. “Prego, siediti. Posso offrirti qualcosa?”

Convenevoli inutili, ma tra purosangue non potevano mancare.
L’olandese fece un cenno dismissivo. “Perché no? Hai ancora quel vino elfico della nostra ultima cena? Era una delizia.”
“Lo faccio portare.”

Dato l’ordine, Hohenheim gli offrì del tabacco turco e si accese la propria pipa di rimando. “La tua visita mi giunge inaspettata…” Esordì. Se c’era una cosa che si poteva dire di lui, era che non amava usare giri di parole. “Se non sbaglio, il prossimo incontro si terrà tra un mese. E so che ami passare il Natale in famiglia.”
“Ed è ciò che farò.” Convenne con un nuovo sorriso. Faceva davvero freddo in quel maledetto studio. Perché l’altro non ordinava di ravvivare il fuoco? Tirò la propria pipa. “Tuo nipote tornerà per le vacanze?”
“Com’è ovvio che sia.”
Non c’era modo di iniziare la conversazione partendo da un argomento neutro, pensò Bretch sentendo il nervosismo filtrargli dai pori. Ma era naturale: stava parlando ad un uomo che leggeva le debolezze altrui fin troppo bene.

La bottiglia di vino elfico fu portata e stappata. Bretch notò che l’altro assaggiò appena il calice.
“Riscalda il palato e rinfranca lo spirito…” Osservò. “Dovrei procurarmene una cassa.”
Hohenheim non ribatté. “Perché sei qui?” Ripeté invece.    
Era arrivato il momento. Tirò fuori il suo miglior sorriso di rappresentanza. “Noi fratelli… ci stiamo chiedendo come stia andando al missione del tuo promettente nipote.”
“Bene.”

Gli occhi di Hohenheim erano la prima cosa che notavi, quando lo avevi davanti; del colore del mare in tempesta, trasmettevano lo stesso gelo che avrebbe provato un naufrago in balia della furia degli elementi. Sin da quando erano ragazzi, aveva sempre pensato che Alberich fosse furia pura, trattenuta. Passione, legata dai fili della razionalità.
“Noi fratelli ci chiediamo…” Bevve un altro sorso per evitare di sembrare in una posizione di debolezza, quando non lo era. Alberich era il fondatore. Non il loro capo. Se lo ripetè più volte. “Qual è il tuo piano? I Doni sono ormai irraggiungibili, le ricerche parlano chiaro.”
“Non sono i Doni il mio obbiettivo.” Interloquì l’altro senza scomporsi. “Rivoglio mio figlio. Credevo fosse chiaro.” Il tono si fece improvvisamente sferzante.

L’olandese posò il calice panciuto sul tavolo. “Lo è. Quello che non capiamo, Alberich, è se tu rivoglia un esperimento che non avrebbe mai dovuto lasciare la culla dell’Organizzazione o…”
“Dov’è la differenza per voi?” Lo interruppe, schernendolo con un sorriso. “O meglio, cosa stai cercando di dirmi? I nostri fratelli…” Il tono era puro sarcasmo. “… non sono contenti di come sto gestendo la cosa?”
L’uomo tentò di dominare il nervosismo. Alberich non era un mago più potente di lui. Alberich non poteva reclamare nessuna obbedienza. Eppure.

Eppure il carisma, il carisma… quello che te l’ha fatto seguire finita la scuola…
“Non sto dicendo…”
“È ciò che sembra.”
“Alberich.” Sbottò passandosi una mano trai capelli. “Sono qui in veste di amico, ma anche come portavoce di un’inquietudine comune. Stai esponendo troppo l’Organizzazione alle luci della ribalta. Gli auror inglesi non sono maghi da prendere sottogamba. Li comanda Harry Potter. Abbia avuto modo di vederlo in azione l’anno scorso, non è solo una vecchia gloria di guerra! E per quanto ne sappiamo, hanno persino aiuto da oltre oceano.”

“Gli americani non faranno di più di ciò che hanno sempre fatto. Arrivare sempre un passo dopo a me.” 
A me? A me! Sta usando mezzi dell’Organizzazione, fondi, e quel povero sfortunato di suo nipote per un suo desiderio cieco!
Serrò la mascella, furioso all’espressione controllata che mostrava l’altro. “Vogliamo solo tu sia più cauto…”
“È un desiderio o un ordine?”

“La tua iniziativa ci porterà alla rovina!” Sbottò infine, saltando in piedi e sentendo il cuore accellerare di paura e frustrazione.
Alberich sorrise. “Ecco, mio caro. Ora siamo arrivati al vero nocciolo della questione.”
Bretch aveva sempre pensato di poter riconoscere un folle, avendocelo davanti. Ma in quel momento, si chiese se Alberich avesse davvero perso contatto con la propria sanità mentale come si vociferava nell’Organizzazione.
Perché la follia non poteva avere un volto così lucido.
“Capiamo i tuoi crucci…” Mormorò tentando di nuovo, perché non era solo un ambasciatore.
Non possiamo permettere che ci trascini nel fango… ma dobbiamo essere accorti. Molto accorti.
Perché tutti loro, i fratelli, erano maghi che per l’opinione pubblica erano magnati, politici, gente che nulla aveva a che fare con un organizzazione che abbatteva ogni barriera morale in nome dello sperimentalismo magico.
Ricordava Alberich nella stanza che dividevano all’Istituto, mentre con gli occhi infiammati parlava di conoscenza, di frantumare le eterne e bigotte leggi della magia, a sperimentare nuove frontiere.
Quanto lo aveva ammirato allora…
Ma il tempo dei sogni di gloria senza risvolti economici sono finiti. E Alberich non è mai passato oltre quel giorno di diciotto anni fa.
“La Thule non è stata creata per crociate individuali, quale questa è.” Riprese. “Non era per i Doni, non è vero? Non lo è mai stato.”
Il tedesco non rispose: non che se lo aspettasse.

“Io riavrò mio figlio. Io gli ho dato la vita, io lo rivendico.” Disse invece e negli occhi c’era la stessa febbricitante determinazione della loro gioventù. “Ma se volete fermarmi, temo che potrebbe non piacervi il modo in cui andrò avanti.” Si sporse appena, ma sembrò che incombesse. Il tono di voce era velluto, e Bretch ricordò perché, anni prima, fosse stato disposto a donargli reputazione e capitali. “Perché se cado, mio buon amico, porterò tutti voi giù con me.”



****
 
Note:
Le dolenti note. Sappiamo qualcosina in più su Alberich. È diverso da come pensavate che fosse? Beh, dopotutto l’abbiamo visto solo attraverso qualche ricordo e gli occhi intimoriti di Ren. ;)

1. Frase detta da Tommaso d'Aquino.
A proposito, una foto mi ha ispirato il pezzo di Ren quindicenne. Questa, un Ben Barnes (il volto prestato al nostro crucco) piccino davvero. Ren quindicenne .
Qui la canzone.

E ora un po’ di fan-art adorabili.
Da Elezar81 Snowball War, Tell me e Tom e Sy . Dalla disponibilissima SwNok Albus and Thomas .
Come si fa a non essere super-riconoscenti? :D
  
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