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Autore: Evil Daughter    26/06/2011    13 recensioni
Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.
Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.
E sai come sprecare il tuo tempo.
Un pensiero ancora rivolto a lei.
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Vegeta? Un folle omicida. Ma Bulma lo sa bene: mai fermarsi a giudicare unicamente la coda del mostro.
La belva deve essere sempre osservata nella sua interezza.
Periodo trattato: triennio antecedente ai cyborg.
INIZIO RELAZIONE TRA BULMA E VEGETA. STORIA ILLUSTRATA.
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Nuovo capitolo, 18: PROGENIE SEGRETA SOTTO LAMPI DI GUERRA.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Gelo, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Una riga di prefazione: guardate e leggete, leggete e guardate. Semplice.

 

Standby

Capitolo V – L'amore è una belva anaerobica che soffre d'insania.


 

Bulma era cosciente, se ne rendeva pienamente conto: qualcosa, dentro di lei, andava imputridendosi.
I suoi neuroni invece di reagire al volere della ragione, che s’era rappresa in un mucchietto d’omertà in un angolino remoto del cervello, rispondevano direttamente agli ordini del cuore. Impostatosi come un tiranno a manovrare i fili della sua mente.

In atto c'era una pericolosa sobillazione contro la sua capacità d’intendere e volere.

Sarebbe stato un principio valido, questo, se il fenomeno fosse stato osservato con distacco, ignorandone l’introspezione, da un punto di vista behaviorista; in realtà, nell’inconscio, lei sapeva perfettamente cosa voleva.
La sua inconscia scelta però, a causa d’una questione d’etica, quel tipo d’uniformità che includeva spesso un perbenismo da possedere obbligatoriamente per appartenere al proprio gruppo sociale – nel suo caso i buoni della popolazione terrestre – evitando così d’esser schiaffati nell’ignobile reparto dei diversi/cattivi; era la più sbagliata ed ingiustificabile.
Nessuna persona normale andrebbe a perdere la testa per Vegeta – eventualmente, era il saiyan a staccartela via – per uno schizoide con le mani fresche di sangue, bramoso di vendetta e dominato da passioni perverse. Il mostro da tenere in quarantena se non da sopprimere definitivamente.
A maggior ragione, se per seguire tal fugace ed insensata infatuazione verso un simil scellerato, lei calpestava quindici anni di rapporto vissuti con la persona amata, divenuta nientemeno che l’uomo da portare all’altare; quello con cui avrebbe costruito un nido e trascorso un futuro certo e sereno. Nell’inquadratura utopica di un “vissero felici e contenti” per epilogo.

Cosa potrebbe darti una scimmia?

Nessuna risposta, perché non v’era risposta... verbale.
Aveva solo un cuore che le batteva frenetico nel petto.
Le bastava.


Alla chetichella ed accompagnata dalla signora Ansia e dal signor Frettoloso, Bulma scendeva le scale che portavano ai laboratori sotterranei all’edificio della Capsule Corporation. Questi erano disposti su un lunghissimo corridoio a spirale: un’enorme struttura composta da sessantatré reparti diversi dedicati all'ingegneria. 
Dietro di sé, a seguirla, un’allegra compagnia: la sua ombra insieme ai fuorviati pensieri che le affollavano la testa, e tra questi il saiyan era onnipresente.

In quel passaggio isolato, echeggiava solo lo scalpiccio acuto dei suoi tacchi alti. Ritmicamente alternato al respiro affannato che aveva.

Con l’inquietante impressione d’esser seguita aumentò l’andatura, stava quasi correndo.
Le porte scorrevoli a chiusura ermetica, che sezionavano il tunnel per aree, s’aprivano alla sua presenza e si richiudevano silenziose, ma percettibili come fantasmi. Alle spalle, Bulma lasciava coppie di estintori infisse sul lato destro della parete di ciascuna sezione, videocamere a circuito chiuso che impiccione gustavano la sua fuga – suo padre le aveva montate non tanto per una questione di sicurezza bensì per gusto scenico – e spie di allarmi antincendio e i molti ingressi dei reparti di cui s’occupava l’azienda C. Corp.


Ventuno, enorme, a capeggiare in nero sopra la porta-fantasma per contrassegnare il settore. Era riservato alla bioingegneria, dove si progettavano e si collaudavano apparecchiature mediche. Guardandolo, Bulma si sforzò di ricordare se lì dentro ci fossero camicie di forza, preferibilmente della sua misura.

Sei a quarantadue livelli dal rincretinirti e a ventuno dal rinsavire, puoi ancora tornare indietro.
Ogni metro percorso equivaleva ad allontanarsi sempre più dalla ragione-Yamcha avvicinandosi con smania all’inusitata follia-Vegeta.
No, niente retromarcia. Il dietrofront venne sollevato dai comandi.

Arrivata alla sessantatreesima area, l’ultima e centro di controllo di quel mondo nascosto, varcò la soglia del laboratorio annesso: reparto robotica, il suo prediletto.
Ambiente interamente metallico, lo adorava. Privo di finestre era illuminato solo dalle fredde luci delle lampade fluorescenti, queste le mettevano in risalto i capelli azzurri e la pelle chiara – perfetta come porcellana – da far invidia a Hedy Lamarr.
Era il luogo che più la rilassava dislocandola da qualunque problema. Spesso ci passava intere giornate trastullandosi tra materia inorganica e scheletri di robot che attendevano d’esser programmati e portati alla vita in un miracolo tutto artificiale.
Ma non era l’ora del relax, e della cibernetica giocando a fare Dio.
Accese le luci e messa in funzione la ventola per il riciclo dell’aria, Bulma raggiunse la sua scrivania. Questa era inagibile, piena di fogli che riportavano appunti e progetti, con post-it appiccicati intorno allo schermo del suo sofisticato PC,  a formare una cornice di cellulosa colorata su cui spiccavano formule e conteggi. Penne, cancelleria varia, più la sua inseparabile calcolatrice, s’intravedevano fra quelle pile di carta. Ed intruso, però fondamentale, troneggiava anche uno specchio. Ordine e criterio non erano il suo optimum.
Con la furia e l’indole di chi conosceva a occhi chiusi la tastiera, e gli altri mille pezzi del computer, Bulma digitò rapidamente il codice d’accesso per aprire il monitor all’interno della navicella spaziale, nella speranza di avere una rassicurante immagine del solito grugno minaccioso di Vegeta.
Stava rischiando grosso, se l’aguzzino l’avesse colta in flagrante, la pena capitale sarebbe stata assicurata. Prima di farsi martire voleva rendersi certa che il saiyan fosse ancora all’interno della Gravity Room.
Attese alcuni minuti, da aggiungere ai quasi sette impiegati per aver percorso il lungo serpentone sotterraneo – faceva bene suo padre a muoversi per i laboratori con una bicicletta; lei per apparire alta portava zeppe ai piedi, belle e scomode – e bizzarria: la tecnologia, sua fedelissima e protettrice, non le veniva in soccorso.
Schermo nero, decisamente scoraggiante, aggravato da un inesorabile messaggio luminoso d’un verde acido da infilarsi due dita in gola.
La scritta-video suggeriva segnale assente; colpa del brutto tempo.

I laboratori erano anecoici e isolati, Bulma non riusciva a sentire e nemmeno immaginava il putiferio che fuori stava scatenandosi. Non poteva risolvere l’intoppo, il mostrino dell’orologio appeso al muro di fronte a lei sembrava farle scappare i secondi per dispetto.
Avanti, dammi un’inquadratura. Anche una sgranata a bassa risoluzione mi sta bene, ma muoviti!
La sua adrenalina era alle stelle, il piede destro aveva cominciato a battere un tiptap in assolo.
Desiderava ardentemente vedere con i suoi occhi in che condizioni si trovasse il torvo. Col dubbio non ci avrebbe dormito. Inoltre, aveva delle responsabilità nei confronti del saiyan: l’aveva medicato e sicuramente le bende andavano cambiate.
Controllare di persona era l’unica cosa che le rimaneva da fare. Ed in fondo, era quel che segretamente anelava: pure se l’avesse avuto, cosa ci avrebbe fatto con un primo piano del saiyan? Tutti i sensi andavano saziati. Lo voleva tangibile, in carne e muscoli, da odorare.

Dal laboratorio alla navicella con due passi sono arrivata. E senza che mi veda nessuno.

L’uscita dal tunnel emergeva esattamente dov’era posizionato lo shuttle, chiunque si fosse affacciato sulla terrazza che ne dava un'ampia panoramica, non avrebbe potuto scorgerla, occultata com’era dalla navetta stessa.
A rallentarla c'era l’immancabile tentennamento brevettato Bulma Brief.

Ci vado.
No, non ci vado.
Ci vado.
È un rischio, se Yamcha mi stesse seguendo silenziosamente e mi vedesse andare diretta da Vegeta?

Però... Non ci vado.
Un’occhiata, un’occhiatina e basta.


Non stava strappando i petali d’una margherita recitando un monotono m’ama non m’ama in un barbaro rituale, sceglieva lei quante volte dire sì e quante no, ma il paradosso era equivalente.
La vocina non le dava più consigli, forse mancava il segnale anche a lei o, finalmente, s’era offesa e ritirata.
«Vai, sbirci e torni»
Si guardò allo specchio e, già che c’era, si aggiustò il make-up togliendo via i fastidiosissimi grumi di trucco nero vicino alla caruncola lacrimale.
Le labbra, prive di rossetto, perché lo spilungone appiccicoso l’aveva ciucciato fino a farlo sparire, erano di un rosa pallido sgradevole. Se le mordicchiò per gonfiarle e arrossarle un po’.
Sì, per abbellirsi il tempo c’era, soprattutto prima d’incontrare il Principe.
Rassettata anche la gonna, e ricomposti i seni in due coppe taglia C, la scienziata camminò in direzione delle tre rampe di scale che salivano al giardino. Alcuni dei fogli che occupavano il tavolo caddero con qualche capriola nel vano tentativo di seguirla.

Aperta a fatica la pesantissima porta d’emergenza, Bulma si trovò davanti la baldoria di una tromba d'aria in orchestra: circa duecento i metri che la separavano da lui, e tanta acqua e vento da pigliare per raggiungerlo. Omettendo qualsivoglia oggetto ne venisse trasportato.
Dai Bulma, tu puoi andare dappertutto, non conosci ostacoli, sai superare tutte le crisi. Sei incrollabile!
Aveva affrontato cataclismi più gravi – il prolasso del pianeta Namecc era stato uno dei molti – e ne era uscita sempre illesa. Cosa potevano farle un soffio di vento e qualche goccia d’acqua?

E così, correndo al gelo, evitando di fare ruzzoloni sull’erbetta fattasi melmosa e scivolosa – neanche un giacchetto a coprirla dalla pioggia battente – fra raffiche che per poco se la portavano via, Bulma giunse alla navicella.
Aveva il fiatone e stava morendo di freddo, tanto per cambiare; pena crudele per sfoggiare un fisico da schianto.
Il suo aspetto era inqualificabile: capelli appiccicati e scomposti in tante ciocche, fanghiglia sui polpacci e a inzaccherarle le scarpe per aver sgambato... e il completino da “galeotta” ridotto a un cencio aderente come una seconda pelle! Sgradevolissimo.
Non era giornata, aveva preso acqua ritornando dalla gita nel circolo della finzione e stava continuando a prenderne a secchiate. Si sentiva lievemente sudicia.
Cercò di non pensarci, Vegeta aveva la completa priorità.

Non c'era nessuna luce rossa lampeggiante a segnalare la funzione dell'alternatore di gravità, la camera gravitazionale da fuori appariva spenta; quindi, salita la passerella di collegamento della navicella – dove la pioggia scivolava a cascata – Bulma s’allungò sulle punte dei piedi per scorgere qualcosa dall’oblò sull’entrata dello shuttle.
Ciò che vide le invertì la circolazione sanguigna: il simulatore di gravità non era attivo, ma il saiyan se ne stava riverso a terra come un cadavere, senza accennare segni di vita. Da un autolesionista come lui c’era da aspettarselo.
Immediatamente, su una piccola pulsantiera che si trovava chiusa in uno sportello accanto all'entrata della capsula,
la scienziata compose la serie di otto cifre per aprire il portellone della navetta spaziale. O, almeno, ci provò. Perché pensato un numero il dito vacillante pigiava quello poco più a destra, appena sotto o sulla sinistra. Così, sbagliata una cifra, ricominciava daccapo.
Potrebbe già essere morto, non è il momento d’andare in tilt!
La vista le si stava occludendo ai lati degli occhi, tanti puntini neri a non farle vedere più nulla.
Al quarto tentativo il portellone dello shuttle s’aprì. Sessanta secondi erano previsti prima che questo s'abbassasse completamente, un processo che, in quel frangente, le risultò tanto lento che s’appuntò mentalmente di ricordare a suo padre di migliorarne la funzionalità.
Ovviamente, Bulma non attese: s’arrampicò come poté sul portellone e rotolò dentro. La manovra semi acrobatica le costò un paio di smagliature sulle calze. In altre occasioni avrebbe imprecato, in quell’istante nemmeno ci fece caso: di collant ne aveva un’infinità di paia, di Vegeta uno solo.

All’interno dello shuttle la investì un forte odore, come d’aria viziata. Era una preoccupante anomalia: andavano revisionati i serbatoi criogenici d’ossigeno. S’annotò pure questo e sì calamitò sul saiyan steso a terra.
Panico: «Vegeta, mi senti?! Apri gli occhi, ti prego!»
Il bieco non le rispondeva, mostrava un volto esangue.
La paura la pervase: tutto quel che aveva imparato prima di lanciarsi nello spazio su “come muoversi per un primo soccorso” – nel caso le sarebbe servito – divenne uno schermo completamente bianco, una tabula rasa.
Da maleducata che era mandò la calma a farsi benedire: si gettò diretta con l’intenzione di una rianimazione, senza accertarsi se Vegeta respirasse o meno.
Una rianimazione bocca a bocca.

Veloce, può darsi che non sia...
Sarà come baciarlo.
Potrò baciarlo.
Devo baciarlo.

Estrogeni, e una dose massiccia d’androgeni liberi e scorrazzanti, le stavano confondendo desiderio d’altruismo con desiderio sessuale; la vocina utile aveva scelto di fare la negligente nel momento meno opportuno.
E inginocchiata lateralmente al saiyan, Bulma si chinò avvicinandosi a quel rude viso: una mano andò sotto la cute per tenere la testa di Vegeta dritta e ferma, l’altra gli aprì prima la bocca e poi si spostò a chiudergli il naso.
La scienziata era pronta ad insufflare aria.
E gli avrebbe sfiorato le labbra, se una presa assassina non le avesse accalappiato il collo sbattendola giù, con tutta la non delicatezza possibile.
Questi li conoscevi? Sono i suoi riflessi omicidi. Su, saluta e stringi loro la mano. Un po’ d’educazione!
Il bieco, da morto, s’era tramutato in finto morto.

«Cosa stavi cercando di fare, eh?»

Dura, aspra la sua voce, un latrato. Ma almeno il cagnaccio era vivo ed il cuore della scienziata poteva ricominciare a battere su tempi regolari, recuperando anche una naturale eupnea… No, non le era permesso: Vegeta le stava a pochi centimetri dal naso e le stringeva la gola con una mano, facendo in tal modo pressione col suo corpo per  tenerla ferma sul pavimento. Bulma quasi boccheggiava.
«Allora, che ti era saltato in mente? Non rispondi?»
Voleva, anzi, era sull’orlo di mandarlo a quel paese, le signorine come lei non dovevano esser trattate in maniera così inelegante. Non era un sacco di patate! Ma con la lingua immobile, che non faceva il suo dovere credendosi un muscolo involontario, non le usciva alcuna parola.
Lo sguardo del saiyan l’aveva impietrita fin nelle ossa.
Occhi di furibondo, definirli a tal modo sapeva d’eufemismo. Erano feroci, venosi e arrossati con iridi tanto nere ed intense che la luce riflessa li faceva brillare di un bagliore proprio. E non stavano un attimo fermi: si muovevano nervosi a scansionarle ogni millimetro del viso. Se avevano lo scopo di spaventarla, a lei stavano sortendo l’effetto opposto: la incantavano.

È questo lo sguardo che mostri ai tuoi avversari prima di ucciderli, Principe dei Saiyan?

Mai li aveva osservati da così vicino, neppure quando l’aveva medicato.
L’emozione che le scaturiva fissandoli era ineffabile.
Impossibile leggervi quali sentimenti celassero, apparivano come una minuscola rifrazione del suo mondo: arcano, inaccessibile, disgraziatamente tetro ed infelice; ma anche smodato, ruggente, senza regole, distruttivo.
Meravigliosi occhi.
Cominciava a sentirsi trascinare da quel concentrato di perdizione, ne era risucchiata.
Prima di bagnarti, di saliva, rispondigli.
Qualcuno aveva recuperato il segnale radio, alla buonora.

«C-credevo fossi, pressoché mort- in fin di vita! V-volevo… salvarti... »
Bulma si pronunciò sincera, a stento; escludendo l’incanto, la stretta di Vegeta le stava veramente togliendo il respiro. Poi, si sentì come se l’avessero messa a indossare un costume ridicolo e, in piedi, davanti alle luci della ribalta, avesse commesso una gaffe stratosferica di fronte a un pubblico senza testa. Di cui non vedeva il volto ma ne sentiva lo scherno. Un orrore.
Svegliati! Ce l’hai dinanzi, è sopra di te il tuo“pubblico”.
Vegeta non aveva mai riso di cuore, lei non glielo aveva sentito fare neanche una volta da quando l’aveva accolto in casa; ritrovarsi bersaglio di un’ilarità maligna ed offensiva, fu per lei un’esperienza da infilare tra quelle da non ripetere mai più.

Sempre che il suo cuore non sia malvagio, altrimenti riderebbe di… Aspetta, ma lui ce l’ha un cuore?

«Morto? Che sciocchezze, sei ridicola! Inventane un’altra, questa, per quanto faccia ridere, non ha attecchito. Tsk, addirittura salvarmi, tu! È evidente che non sai con chi hai a che fare, ragazzina.»

Ok, portatemelo via; e ricompratemi le calze.

«Ho pensato davvero che lo fossi, te ne stavi stecchito sul pavimento e quando t’ho chiamato non mi hai risposto! Cosa avrei dovuto dedurre?!»
Offesa, Bulma si sforzò di raccogliere fiato per farsi sentire.
«Che stavo riposando. In ogni caso, non ho l’obbligo di rivolgerti la parola o darti spiegazioni.»
Mentiva. Lui, Vegeta, si stava giustificando con una che rimava con ficco-il-naso-in-ogni-dove.
In realtà, era svenuto: spento l’alternatore gravitazionale e rivestitosi per uscire aveva perso i sensi. Un dettaglio risolutamente trascurabile. Era sprofondato nell’oblio con l’allucinazione di lei, risvegliarsi, trovandosela umanamente presente, non era stato un toccasana per il suo umore. Perlomeno, non le era crollato davanti – non lo avrebbe sopportato – e fortunatamente la ferita aveva smesso di sanguinare da sola evitando di provocare un’esondazione dalle bende alla tuta e spargere un fiume di sangue al suolo della navetta.
«No, di rispondermi non ce l’hai l’obbligo... Ma di farmi stare tranquilla sì! Come facevo ad immaginare che sei così matto da schiacciare un sonnellino qui?! Oh, hai ragione tu… Avrei dovuto ricordare che da scimmia ti comporti come tale.»
Non stuzzicarlo troppo, potresti pentirtene.
Però, l’ultima battuta spettava a lei. Era quasi stramazzata dallo spavento, le aveva fatto prendere un bel colpo.

E trasportata dall’impeto di una delle sue fugaci e caratteristiche isterie femminili, Bulma non s'accorse dell'intensità con cui gli stava parlando. Né si preoccupò di mascherare quanto tenesse a lui.


Colpo basso, gli aveva dato del matto e della scimmia. Fosse accaduto un anno prima l’avrebbe eliminata all’istante, di routine il saiyan uccideva per molto meno.
Sfortunatamente però, in quel momento, lo spietato principe pativa uno strano effetto cryovac: si sentiva sigillato in un sacchetto sottovuoto che gli bloccava i movimenti e gli provocava un’ipossia da alterargli funzioni cerebrali e lucidità mentale.
Era la presenza di quella ragazzina a frenare i suoi istinti saiyan. Non v’era alcun dubbio. Ma era vietato ammetterlo.
Impedito, fece una smorfia irrigidendo le dita attorno al collo della scienziata. Pratica che gli conferiva una certa, non indifferente, sensazione di potere; gli piaceva da impazzire il potere.
«Dovresti imparare a stare zitta, potrei tagliartela quella linguaccia che hai.»
Imprescindibile mantenere un’aria intimidatoria, ma evitò di discutere gli “obblighi”che lei blaterava di avere; dalla sera passata aveva udito a sufficienza da arrivare alla conclusione che la terrestre s’era fatta idee strane.

«E tu lasciami, che mi stai… soffocando»
No, continua pure.
Era in ipnosi Bulma. Incavolata e innamorata. Sola nella tana del mostro, con il mostro. Ci fosse stata un’altra persona al suo posto questa si sarebbe vista spacciata; lei, malgrado la posizione scomoda, oltre che pericolosa, e la testa dolorante per la grazia di rinoceronte con cui Vegeta se l’era scrollata di dosso, stava bene. In uno stato soave leggermente eccitato. Non c’era altro posto in cui voleva trovarsi. I fatti avevano oltrepassato i suoi desii: lo vedeva – gli occhi del bieco erano interamente per lei – ci stava litigando e le sue mani le erano addosso. I sensi la ringraziavano all’unisono nello stesso modo di un giradischi inceppato: grazie-grazie-grazie.

Assolutamente non doveva lasciarla, anche a costo di strangolarla.

«Chi ti dice che non lo voglia fare?»
Il tono del saiyan era cambiato in un sussurro. Roco, per la voce baritonale. La mano a ganascia invece l’aveva ancora ben salda dov’era.
«So che non lo faresti.»
Era tentata dal metterlo alla prova, voleva osare, testare quanto poteva avvicinarsi. Non aveva timore.
«Allora, sciocca… ti sbagli di grosso.»
Sì, come no.
«Se tu avessi voluto, l’avresti già fatto.»

Adesso ti mangia, ti fa a pezzettini e ti mangia, ed il brutto è che proverai piacere.

Attesa.

Bulma l’aveva messo sotto scacco e Vegeta era lì dal buttare tutto all’aria.
Il saiyan inclinò la testa da un lato per scrutarla di traverso, aggrottando maggiormente il suo cipiglio.
«Che sei venuta a fare qui? Dimmelo subito! Continui a spiarmi?»
Argomento cambiato, partita abbandonata; a lui toccava il privilegio di farla sporca ma qualcuno aveva barato al posto suo.
S’era incartato e la colpa era della terrestre: lo stava spiazzando. Non capiva dove trovasse tanto coraggio, tanta arroganza priva di terrore da provocarlo e, in specie, non arrivava a comprendere perché iniziava a non dargli fastidio averla sotto di sé.
Non c’era piacere. A parte il gusto del dominio, naturalmente.
Era l’odore di lei a rilassarlo?
O forse erano i suoi occhi, in quell’istante della stessa tinta di un cielo cobalto che il saiyan ricordava aver visto molti anni prima, su un pianeta che lui stesso aveva distrutto.
Erano questi a stregarlo?
Non capiva, non ci arrivava e non gli era mai capitato nulla del genere.
Allentò di poco la presa delle dita su quel collo di cigno facile da spezzare, per consentire alla terrestre di avere aria e per farla parlare meglio. Di mollarla del tutto non ne aveva l’intenzione, perché darle la vinta? Lui non era quel che la sciocca ragazzina credeva, e le avrebbe dimostrato di che pasta malefica era fatto.

«Io non ti spio! Sono solo venuta a vedere come stavi.»
«Magnificamente.»
«Sicuro? A me nonsembra, ti vedo smunto. Se durante gli allenamenti non fai delle pause finirai per esaurirti e non potrai muoverti. La stanchezza ti porterà a essere disattento... E le mie non sono parole, mi basta guardare la tua spalla.»
Ci ho ripensato, ora la strozzo. Le schiaccio la laringe e la guardo agonizzare.
La ragazzina aveva ragione... ed era irritante. Infatti, il saiyan non aveva ottenuto cambiamenti e stava male, molto; ma pigliarsi la ramanzina alla sua età – due, tre anni aggiunti ai trenta, più una ricca esperienza nel campo della belligeranza – ramanzina che veniva direttamente dal pulpito di una terrestre come ficco-il-naso-in-ogni-dove, si palesava oltraggioso. Denigratorio per un combattente d’assalto del suo calibro.
Voleva arrabbiarsi con lei, era già infuriato: a causa sua era svenuto! Lei, con quelle gambe, gli aveva fatto perdere la concentrazione! Gambe morbide che avvertiva muoversi e sfiorarlo.

«Dammi retta, sfiancarti non ti porterà a nulla. Non vorrei un giorno vedermi costretta a soccorrerti di nuovo.»
«Basta! Taci! Mi pare di averti già fatto capire che non ho bisogno del tuo controllo e tantomeno del tuo aiuto! Piantala d’immischiarti in cose che non ti riguardano!»
S’era spazientito, doveva sminuirla, che capisse: certi trucchi da strega non si facevano al Principe degli orgogliosi saiyan.


Il cane è malato di rabbia, e abbaia.
Ottimo, curiamolo.


Vittoriosa nella consapevolezza che non le avrebbe torto nemmeno un capello, Bulma s’arrischiò con la manina leggera a tirare giù la zip del giacchetto della tuta che Vegeta indossava, per scorgere le fasciature che lei stessa s’era prodigata a mettergli ed accertarsi delle loro condizioni.
Fare mosse azzardate stava diventando solluchero per Bulma. Vegeta, al contrario, rimaneva incredulo.
«Che intenzioni hai?», le chiese, vedendosi spogliare.
«Nulla, tranquillo, devo solo controllare una cosa.»
Quella sfrontatezza lo stava scioccando. No, non gliel’avrebbe permessa tanta confidenza. Le afferrò la mano per stritolargliela… Sì, gliel'avrebbe spappolata. 
E anche la mano sinistra della scienziata s’aggiunse ai “tenuti in ostaggio dal saiyan”, insieme al povero collo che il bieco non voleva liberare.
«Se non stai ferma te la spezzo! Sappi che faccio sul serio, quindi, non farmelo ripetere.»
«Devo guardarti le bende, sono sicura che vanno cambiate. Non vorrai macchiarti nuovamente i vestiti o farti venire un’infezione?»
«Sei dura di comprendonio? Io non ho bisogno di te! E non mi importa nulla delle tue medicazioni! Ficcatelo in testa!»
Obiettò Vegeta, ostile e un po’ esausto. La loro diatriba stava continuando senza che nessuno dei due provasse ad alzarsi dal pavimento.
«Sì, ma non è una questione di cosa tu voglia o meno, io le devo cambiare. Non fare il ritroso. O magari non vuoi perché ti dà fastidio che lo faccia una donna?»
Questa poi!
Fu l’esclamazione chiusa in una nuvola pensiero di un Vegeta esterrefatto.
Era insistente quella terrestre di cui non voleva ricordarsi il nome ma delle gambe sì; da nausea. Cocciuta forse peggio di lui, fatta di una determinazione impressionante.
Voleva giocare? Ebbene, l’avrebbe accontentata. E con lo stesso tipo di “stregoneria”.
Le avrebbe fatto passare lo sfizio di fare la presuntuosa impertinente.

«E dimmi, avresti voglia di farlo qui?»
La incalzò, avvicinandosi tanto al viso di Bulma che sembrava desiderasse baciarla. Però il programma non era quello.

«Perché se volessimo, potremmo... »

La lascivia di Vegeta era irresistibile; un predatore, un diavolo tentatore a caccia d’anime pure da divorare. Non lo immaginava capace anche di questo.

Non cascarci, conosce la tua posizione, vuole approfittarsene. Fa il docile ma è sul punto di soffocarti. Fa' attenzione!

Certo, a cosa?

Bulma aveva una libido accalorata e scalpitante da soddisfare, se per appagarla doveva vestire i panni della preda indifesa poteva accettarlo. D'altronde, il vestito da coniglietta indossato molti anni fa lo aveva conservato, in più, aveva scoperto d’essere una naïf della recitazione. Già immaginava la scena: lui il cacciatore d’anime pure che la braccava, lei la preda immacolata da violare. E l’ultimo fornicante e movimentato atto a svolgersi nel suo tempio: il laboratorio.
Se l’avessero vista i suoi amici l’avrebbero condannata d’eresia e messa al rogo senza indugi, probabilmente.
Il Diavolo non ama, ma vuole essere amato; Vegeta era il male incarnato, un nefando, in esso non vi poteva esistere il bene. Questa era una legge inconfutabile, un assioma. Ma Bulma era una miscredente e andava fiera della scienza esatta. A suo parere le leggi andavano sempre verificate.
Per la posizione non c'erano problemi, a parte la scomodità d’essere su un pavimento gelido e sporco, si faceva così l’amore.

Spostata e sporcacciona. Accostare un assassino ai sentimenti è aberrazione, renditene conto!
Le bestie non conoscono amore, quel che provi per lui non lo è. Non hai più sedici anni per dar retta a una cotta da adolescente, piuttosto smorza questa orrida creatività e cerca di liberarti!

Bulma si sentì avvampare. Non seguì la coscienza, il cuore le comandava d’arrivare fino in fondo.


E poi... Spifferi poco gradevoli entrarono dal portellone rimasto aperto e per contrasto le fecero battere i denti; la massa informe dei suoi capelli era fredda e umida e i vestiti le si stavano asciugavano addosso. Con quegli sbalzi di temperatura le sarebbe venuto un raffreddore.

«Stai tremando.»
Evidenziò il saiyan.
«Sento freddo.»
«Oppure, hai paura di me?»
«Figurati, nell’inutile tentativo di soccorrerti mi sono completamente bagnata, sotto la pioggia, non lo vedi? Perciò, se non mi lascerai alzare mi beccherò un’influenza e la colpa sarà unicamente tua.»
Oppure potresti darmi un po' del tuo calore.
«Ah, mi dispiace… »
Disse ironico Vegeta, appiattendosi quasi del tutto su di lei per… annusarle i capelli.
Era serio? Le stava giocando un brutto tiro? L’enigma aveva importanza zero per Bulma: il suo cervellino assorbente memorizzava ogni attimo immortalandolo sulla pellicola dei momenti magici, assoluti.
Oramai conosceva il respiro leggero del torvo, il profumo della sua pelle... e stava imparando a conoscere anche la sua massa corporea. Lo sentiva bollente su di lei, era una specie di termosifone ambulante su cui legarsi e scaldarsi. Desiderava raccogliere dati anche sulla consistenza del suo corpo, ma si trovava pressappoco fissata al suolo della navicella. Difficile toccarlo, qualora lui le avesse concesso di farlo.
Posso accontentarmi.
Un contratto non scritto a cui sarebbe stata beatamente dannata, per il resto della vita.
La disturbava solamente non essere al massimo della pulizia e della compostezza. Si chiedeva che odore sentisse il saiyan, a fine giornata e dopo la scossa d'adrenalina – tralasciando i vari agenti atmosferici intercorsi – non credeva di vantare aromi esotici o di profumare come una rosa, ma neanche di emanare puzze tremende.
Spero non si faccia un’idea sbagliata, sono pulita io.
Purtroppo, il momento d’estasi fu breve: Vegeta le sfiorò con la punta del naso una guancia, avvicinandosi pericolosamente alle sue labbra, lei non seppe resistere e ansimò, forte. Il saiyan sogghignò di sghembo.
«Se è per questo, mi tolgo volentieri.»
Il torvo  concluse la sua recita e come d’improvviso aveva schiantato a terra la terrestre, con lo stesso impeto, s’alzò veloce liberandola da ogni morsa.
S’era preso gioco di lei ribaltando la situazione, la giornata aveva riacquistato un senso.
Prima di andarsene, la squadrò un’ultima volta: la ragazzina aveva gli occhi chiusi e la labbra arricciate ad aspettare chissà cosa. Constatò che osservarla dall’alto verso il basso era una visione piacevolmente gratificante.
Dopo, sparì. Evitando di collassare ancora.

 

~ ~ ~

 

Annebbiata dai fumi del suo stravagante e licenzioso spazio onirico, Bulma era rimasta stesa al suolo della capsula spaziale come uno stoccafisso: con le mani raccolte sotto il viso nella parodia di chi vorrebbe discolparsi da una colpa non commessa.
Che è successo? Dov’è andato? Perché non lo sento più?
È successo che s’è stufato di giocare con te e t’ha lasciata come una tonta. Alla fine non t’ha trovata così “anima appetibile”.

Del saiyan non era rimasto nemmeno l’ologramma e lei non l’aveva percepito andarsene. Supervelocità aliena, uno svantaggio.
Sedotta e abbandonata.
Concetto che rimbalzava come una pallina da ping-pong da una parte all’altra nella testa della scieziata, ed era la sua coscienza a schiacciarle i rovesci più difficili da ribattere.
Dovevi aspettartelo, credevi veramente che provasse qualche forma d’attrazione nei tuoi confronti?
Quello è il peggior figlio di buona donna che tu abbia mai incontrato.
Ringrazia che non abbia fatto sul serio. Poteva ucciderti, il disgraziato.

Il rimprovero della vocina cadeva con la stessa risonanza di un inutile monocorde bla bla bla, anche se aveva pienamente ragione: deglutire e respirare le costava fatica.
Bidonata una seconda volta…
Esser stata burlata la toccava, di striscio, ma il vero uppercut arduo da incassare era sentire di già la mancanza del torvo.
Con lui aveva un conto in sospeso e degli obblighi umanitari, non poteva sfuggirle. Inoltre, s’era accorta di un particolare spiacevole: sul volto duro ma perfetto del saiyan sfiguravano brutte occhiaie. Prova inequivocabile di notti insonne.
Qui servono provvedimenti, sta male, se continua in questo modo...
Saperlo a soffrire perfino d’insonnia aumentò la sua apprensione. Ma all'ennesima folata di gelo, Bulma decise di alzarsi. Tra i lividi della scorsa notte e la botta in testa appena presa – urgeva un po’ di ghiaccio sul bernoccolo che sentiva pulsare nella zona occipitale del capo – le doleva ogni centimetro del corpo.
Ecco la risposta a cosa poteva darle una scimmia: traumi e dolori; brividi... e la forza di sentirsi una fiera, di non aver paura di niente.
Non poté fare a meno di massaggiarsi il collo e la mano sinistra che aprì e chiuse ripetutamente per far rifluire correttamente il sangue.
Arrivata alla soglia del portellone, l’assalì la sensazione di essere stata poco attenta, la stessa che s’avvertiva uscendo da un luogo affollato di gente.
C’era qualcosa di sbagliato, di mancante.
Continuò ad osservarsi massaggiandosi la mano: unghie perfette, laccate del solito rosso che le piaceva tanto; il cerottino, che nel giro di un giorno le avrebbe lasciato il segno della colla appiccicosa difficile togliere, pure lui era lì, fermo a coprire l’esito di una piccola distrazione e… Il cappio?! Dov’era il cappio?
Dov’era finito l’anellino arrivato inaspettatamente a scombinarle la vita? Che l’aveva fatta sentire un’immeritevole disgustosa traditrice, il fardello da portare dov’era?
Non c’è più.
Vegeta poteva saperne qualcosa.
Questo le venne in mente. Ma fece una scelta, una conscia.

L’ho perso, l’ho perso io, ed è un guaio.

Dovrebbe dispiacermi... No, non ci riesco.


 


 

Continua…

Note:

1.Ad esergo i loro sguardi: uno schizzo che obbligatoriamente andava infilato per farvi entrare nella loro ottica. E poi, era ora di mostrarvi gli occhi del Principe.
2.Hedy Lamarr? Era un genio, un’attrice. Una donna gotica in tempi lugubri. Come si può non ammirarla?
3. Il papà di Bulma se ne va in giro per la Capsule Corporation con una bici. No, non l’ho inventato: sesto numero del manga, Goku raggiunge la città dell’ovest per farsi riparare il Dragon Radar da Bulma e vediamo il signor Brief comparire pedalando all’interno della grande villa. Sono piccolezze, ma io me le segno.
4.Il vestito da coniglietta è quello che le dà Olong. Che Bulma l’abbia veramente conservato non ne ho idea, a me faceva brodo così.
5. Disegno ufficioso: quella che vedete in basso non è una playmate del vasto harem del signor Hugh Hefner, solo non ho saputo resistere alla tentazione di disegnarla “intera” vestita da coniglietta. Per essere giusti è bene citare anche Christian Louboutin: sì, io adoro le sue scarpe col fondo rosso.
6. Disegno ufficiale: CLICCATE PER VEDERE LA FANTASIA DI BULMA.
Attenzione! Ho scelto di non pubblicare direttamente questo disegno, che non ha nulla di scandaloso – rimaniamo in un rating arancione – ma non si sa mai come potreste prenderla, poiché la scena è esplicita. Cliccando vi assumete automaticamente tutte le eventuali responsabilità.
7.Contente/i? L’anello non è durato nemmeno un pomeriggio, vi lascio la scelta di decidere dove sia finito e come e chi l’abbia fatto sparire.
8.All’interno del capitolo chi è attento noterà frasi prese dalla traduzione italiana dell'anime.

9.Sì, capitolo aggiornato più tardi che mai, inconvenienti si sono frapposti tra me e la mia periodicità.
10.Ringrazio i lettori, i recensori, e chi mi segue.

   
 
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