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Autore: Mistryss    29/06/2011    1 recensioni
Correva l'anno 1760 circa, e fra i tetti di una città del paese di Arjanne, si aggirava una misteriosa figura nerovestita.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Era passata ormai più di un ora da quando era salito, alle nove del mattino circa, sulla carrozza che lo avrebbe condotto alla città in cui si sarebbe svolto l’incontro d’affari. La cosa non lo entusiasmava molto, ma che altro avrebbe potuto fare oltre ad accettare? Non aveva motivi seri per poter chiedere di restare a casa, di conseguenza sarebbe stata una richiesta sospetta. Se poi quella stessa notte Black Rose avesse commesso un furto, sarebbe bastato fare due più due e il suo segreto sarebbe stato scoperto in men che non si dica.

Si accasciò sul sedile sospirando. Non aveva intenzione di rinunciare al furto per così poco, insomma, era riuscito a far caricare la sua ultima invenzione fra i bagagli, ora doveva riuscire a trovare il modo migliore per sfruttarla per raggiungere il suo obiettivo. Ma non sapeva ancora se quella creazione avrebbe funzionato o meno, e soprattutto gli sarebbe servito un punto alto da cui poter partire, ma che avrebbe fatto se non lo avesse trovato? Sentendo il nitrito di uno dei cavalli che trainavano la carrozza, si destò dai suoi pensieri e accantonò velocemente l’idea; ci avrebbe pensato a tempo debito, ora era meglio preoccuparsi dell’imminente arrivo in città.

Il viaggio fino a quel momento era stato piuttosto tranquillo, finché, poco dopo essere entrati in città, con un improvviso scossone la carrozza si arrestò e si inclinò in un angolo.

- Accidenti, ma che è successo?! – sentì esclamare Jean dal cocchiere.

Avvertì chiaramente il conducente scendere per controllare la situazione, e vari commenti seccati alla vista di quello che doveva essere il problema, più una serie di improperi vari.

- Signor Bernard, cosa succede? – gli domandò Jean scendendo dalla carrozza.

- Monsieur Jean, succede che abbiamo perso una ruota della carrozza! O meglio, s’è rotta! Evidentemente doveva essere già rovinata ma non me ne ero reso conto fino ad ora…

La ruota posteriore destra era rotta a metà; una parte di essa era ancora attaccata al resto della carrozza, mentre l’altra parte era gettata in mezzo alla strada.

- Crede di riuscire a ripararla? Avrei fretta di raggiungere la casa del conte Lefevre.

Monsieur Lefevre era il cliente dal quale sarebbe dovuto andare per concludere l’affare, nonché la persona che lo avrebbe ospitato nei seguenti tre giorni.

- Beh, ripararlo, in qualche modo posso ripararlo… ma non in tempi brevi, mi dispiace. – si scusò.

- Io però non posso aspettare... – borbottò il giovane nobile.

Diede un’occhiata ai bagagli sul tettuccio della carrozza, e alla strada davanti a sé. Se voleva arrivare in tempo decente alla casa, non gli restava che una cosa da fare.

<< A quanto pare non ho molta scelta: dovrò farmi tutta la strada a piedi… >> pensò rassegnato.

Si affrettò a andare a recuperare la valigia e la cassa con la sua invenzione – non poteva certo permettersi che il cocchiere la aprisse – e con il vento che gli scompigliava i capelli, estrasse dalla tasca della giacca una mappa che aprì per poi mettersi a consultarla cercando di capire dove dovesse andare per arrivare alla dimora di monsieur Lefevre, anche se a fatica dato che non prestava mai grande attenzione alle lezioni di geografia del suo precettore, che ogni tanto comprendevano lo studio e la lettura delle cartine. Una volta individuato più o meno il percorso da seguire, la rimise al suo posto.

- Cosa avete intenzione di fare? – gli domandò il signor Bernard vedendolo armeggiare con la cartina.

- Mi pare ovvio: raggiungerò la casa a piedi! Voi intanto aggiustate la ruota, e una volta sistemata raggiungetemi, non posso certo andare in giro per molto tempo senza carrozza!

- Ma… monsieur, a piedi è scomodo, non potete per lo meno staccare un cavallo ed andare avanti con quello? - domandò preoccupato per le intenzioni del giovane.

- No, un cavallo non reggerebbe il peso di ciò che tengo nella cassa, stramazzerebbe a terra, o comunque, non andremmo molto avanti.. tanto vale che me la faccia a piedi. - e con queste parole prese i bagagli e con questi si avviò.

Gli ci vollero circa tre quarti d’ora a piedi per arrivare a destinazione, fra il fermarsi a ricontrollare la cartina e il trascinarsi dietro la pesante cassa con la sua invenzione, soprattutto fra gli sguardi divertiti dei passanti: non era cosa da tutti i giorni vedere un nobile sgobbare per la strada come un facchino! Le risa, più di una volta gli fecero rimpiangere di non aver preso con sé il cavallo, ma ormai era tardi.

Arrivato davanti alla casa, controllò che l’indirizzo fosse giusto, e ancora con i bagagli in mano, si diresse alla porta per farsi annunciare. Ad aprirgli venne un anziano servitore, era alto non più di un metro e cinquanta, doveva avere circa sessant’anni.

- Il signore desidera..? – domandò guardandolo con sospetto: di certo Jean non era in un bello stato, data tutta la camminata che s’era fatto, e ciò evidentemente portava il vecchio servitore a pensare male.

- Dica al suo padrone che è arrivato Jean Jacques De la Rou, figlio del conte De la Rou. Sono qui per concludere un affare iniziato da mio padre con il suo padrone.

L’anziano servitore lo guardò di storto, era ancora sospettoso. Ma come dargli torto? Jean aveva già capito cosa stava passando per la testa di quell’uomo: normalmente un conte, un nobile, non si occupava di affari, non lavorava, al massimo era proprietario di qualche terreno che comprava e vendeva a quelli delle classi sociali inferiori, di certo non si occupava di affari con altri nobili. Ma suo padre era diverso. Era sì un conte, ma il padre aveva perso tutti i soldi, e così monsieur De la Rou s’era ritrovato a malapena con il titolo nobiliare e la casa che aveva ricevuto in eredità dal nonno, mentre il lusso era tutto da riconquistare. Per questo s’era dato al commercio, per poter riavere ciò che gli doveva spettare, e per poter dare ai figli un certo tenore di vita.

- Lasci stare le domande e faccia come le ho detto, vedrà che il suo padrone saprà comportarsi di conseguenza… - tagliò corto.

Il servo ancora poco convinto, fece come gli era stato detto, e sparì dalla soglia della porta chiudendola in faccia al giovane.

<< Grazie, molto gentile, eh! >>

Poco dopo, la porta si aprì nuovamente, e un altro servitore lo invitò cortesemente ad accomodarsi. La casa era grande e luminosa, la porta d’ingresso dava su una sala con un enorme lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto. Sotto di esso un uomo di circa trent’anni, probabilmente il proprietario, sorrideva affabile a Jean.

- Vi do il benvenuto, voi dovete essere il figlio di monsieur De la Rou! Vostro padre mi aveva avvisato del vostro arrivo. Perdonate la scortesia del mio maggiordomo, sfortunatamente capita spesso che si presenti alla mia dimora gente che sostiene di conoscermi quando sono solo degli straccioni. Ma state tranquillo, sarà punito a dovere.

- No, no, per favore, lasciate perdere! – disse immediatamente Jean. – In fondo, ha solo fatto il suo lavoro.

- Beh, come volete. Piuttosto, a giudicare dallo stato in cui siete, dovete aver fatto un viaggio faticoso. Permettete che un mio servitore vi accompagni nella stanza in cui alloggerete in questi giorni.

- D’accordo, vi ringrazio. – disse per poi seguire il servitore verso un corridoio laterale, mentre un secondo uomo si occupava di trasportare la cassa e la valigia. Improvvisamente però si voltò verso il proprietario.

-  Ah, per favore, mandate qualcuno ad aiutare il mio cocchiere, quando siamo entrati in città la carrozza s’è rotta, e dato che ci sarebbe voluto un po’ troppo per riparare la ruota, io sono andato avanti da solo. - chiese ricordandosi del suo cocchiere.

-  Va bene, voi intanto seguite il mio maggiordomo. Se volete riposarvi, fate pure, quando vorrete parleremo d’affari.

Jean fece come gli era stato detto, e si diressero in uno stretto corridoio lungo cui si affacciavano due alte finestre che davano luce a tutto il percorso. La pavimentazione era coperta da mattonelle bianche, perfettamente lucide, segno che venivano sempre pulite a fondo, probabilmente ogni giorno; il soffitto era costellato da piccoli candelabri in oro, in modo che quando non fosse la luce solare a illuminare quel luogo, ci pensassero loro; le pareti invece erano ricoperte da carta da parati color panna, con alcuni decori a forma di rampicanti, di colore argentato. Avanzarono lungo esso per pochi istanti, finché non si fermarono di fronte a una stanza, evidentemente si trattava di quella di Jean.

- La vostra stanza, monsieur. – disse il maggiordomo, aprendola, mostrandone così l’interno.

Il giovane nobile tranquillamente ci entrò in modo da poterla osservare meglio. Non era particolarmente grande, ma di certo non era piccola: era tappezzata completamente di carta da parati dello stesso tipo di quella del corridoio, al centro della stanza invece, con la testa appoggiata al muro, si trovava un grosso letto circa 2x2 o quasi, con una lunga coperta rossa intessuta di fili dorati perfettamente appoggiata su esso, come un drappo, senza stropicciature o grinze, ma perfettamente liscia; dalla parte opposta al letto si trovava un armadio in noce perfettamente intagliato, le ante presentavano delle piccola incisioni che ricordavano delle foglie, mentre il decoro che si trovava come rifinitura sulla cima dell’armadio, aveva un motivo arabesco. In un angolo invece era situato un tavolino di forma circolare in mogano, con sopra un centrino bianco in pizzo e ovviamente accanto a esso una sedia dello stesso legno, con dei cuscinetti in velluto rosso cuciti sullo schienale e la parte per sedersi. Un’ampia finestra dava sulla città, situata più in basso rispetto alla villa, che si trovava su una collina, e illuminava perfettamente la stanza.

Jean si voltò verso il maggiordomo, che probabilmente attendeva un suo commento riguardo alla sistemazione.

- Oserei dire che è stupenda, ringrazi il suo padrone. – gli disse gentilmente sorridendo.

- Sarà fatto. – rispose l’uomo con un piccolo inchino, per poi allontanarsi dalla stanza, seguito dall’altro servitore, che aveva appena posato i bagagli nella stanza.

Il giovane, stanco, si lasciò cadere sul letto come morto, talmente era sfinito dalla sfacchinata: era un nobile, non un mulo da soma, non era di certo abituato a portare cose così pesanti! Incrociò le mani dietro la nuca, rimanendo disteso sul letto, e iniziò a riflettere sul da farsi: di tentare il furto quella stessa sera, non se ne parlava assolutamente, anche perché non poteva certo collaudare sul momento la sua invenzione, perciò volendo avrebbe potuto rilassarsi una volta sistemata la questione dell’affare, ma non poteva di certo battere la fiacca.

<< E se mi facessi un giro per la città, in modo da vedere se trovo qualcosa da poter sfruttare per il furto? >> si domandò, incerto sul da farsi.

Infondo, avrebbe potuto anche farlo la sera o la notte, le tenebre gli avrebbero permesso di non farsi vedere, il che sarebbe stato molto comodo. Ma ripensandoci su, in realtà neanche lui in effetti avrebbe potuto poi però vedere la città nel modo migliore. Forse era meglio prima ispezionare di giorno, e di notte occuparsi del collaudo dell’invenzione.

Con uno scatto si tirò su dal letto, e si cambiò i vestiti sporchi e sudati con altri puliti presi dalla valigia che nel frattempo disfava, dopodiché si diede una sistemata, e andò dal conte Lefevre, in modo da iniziare a parlare d’affari: prima avrebbero iniziato, e prima avrebbero finito, e quindi prima avrebbe potuto andare in città. Aveva un solo problema: il conte non gli aveva detto dove lo avrebbe potuto trovare, quindi che poteva fare? L’unica soluzione era chiedere a qualche servo dove egli si trovasse. La fortuna volle che ne trovò uno proprio verso l’ingresso, che gli spiegò dove trovare monsieur Lefevre.

- Lo può trovare nel suo studio, salga le scale a sinistra, e nel corridoio svolti a destra, lo studio del padrone è la seconda porta alla sua destra. – gli spiegò cortesemente il servo.

Jean ringraziò per le indicazioni, e si diresse nella direzione indicatagli, per poi arrivare dopo un paio di minuti allo studio dell’uomo. Arrivatoci davanti, alzò la mano destra, la chiuse a pugno, e bussò.

- Conte, posso entrare? Sono qui per l’affare. – spiegò bussando, e attendendo una risposta dal nobile.

Attese alcuni istanti, e finalmente sentì una risposta da parte dell’uomo: via libera. Immediatamente quindi aprì la porta della stanza, venendo così accolto a braccia aperte dal conte, anche lui pronto a sistemare almeno per quel giorno l’affare.

 

Era ormai il primo pomeriggio quando Jean, terminato per quel giorno ciò che riguardava l’affare, ovvero mettersi d’accordo su quali parti di terreno cedere o no, a che prezzo, e molte altre questioni, riuscì a fare quattro passi in città. Non voleva dare nell’occhio, per cui indossava solo la camicia e i pantaloni, come un qualunque altro cittadino. Aveva lasciato la casa di monsieur Lefevre con la scusa di fare quattro passi nei dintorni, ma in realtà appena si era accertato di non essere visto, si era tolto gli indumenti da nobile e s’era affrettato a raggiungere la città, da dove avrebbe probabilmente potuto individuare un qualche punto di lancio e collaudo per la sua invenzione. La città era piuttosto vivace e colorata, le case non avevano un aspetto tipico di quelle della nazione, erano più simili a quelle dell’Allemagna, con tetti piuttosto stretti, fatte completamente in legno con vari decori di quel materiale sulle facciate; si vedeva proprio che quella era una città strappata al paese confinante nella guerra passata. Camminò a lungo per quelle strade a lui sconosciute, notando che erano costellate di molti negozi: botteghe di artigiani, negozi di abiti, di spezie, e molto altro ancora. Non sembrava che ci fosse una classe povera, ma solo i nobili e un ceto medio che probabilmente si guadagnava da vivere con ciò che era esposto nei negozi che aveva incontrato fino a quel momento. Continuando a camminare, arrivò in una piazza di grosse dimensioni, sovrastata da un campanile piuttosto alto quanto vecchio e bizzarro, dato il posto. Né nell’Arjanne, né in Allemagna i campanili erano in uso, evidentemente chi aveva fatto costruire la città doveva aver viaggiato anche per il mondo. Quella torre campanaria non aveva alcun tipo di protezione nel luogo in cui stavano le campane, evidentemente il campanaro non si avvicinava mai al bordo, ma era comunque una cosa strana quanto utile: da quell’altezza, avrebbe potuto facilmente lanciarsi con la sua invenzione e probabilmente, arrivare nella sua città in poco tempo, dato che in linea d’aria, erano piuttosto vicine, e da quello che aveva constatato, dalla casa di monsieur Foster ci si sarebbe potuti lanciare, la zona stando alle mappe sarebbe dovuta essere sostanzialmente pianeggiante, per cui non avrebbe dovuto avere troppi problemi a fare il percorso a ritroso, ma dal’altezza della villa, era impossibile che raggiungesse di nuovo il campanile, quindi sarebbe dovuto atterrare prima o dopo. Osservò meglio il campanile: esso era privo di campane, evidentemente erano state rubate tempo addietro e mai più recuperate ne sostituite, e la cosa giocava a suo favore, perché le campane sarebbero state ingombranti se ci fossero state, ma in questo caso era molto più comodo. Facendo finta di nulla si avvicinò al campanile per cercarne l’ingresso, che trovò poco dopo, ma sfortunatamente era chiuso. Si guardò intorno, in modo da accertarsi che nessuno stesse facendo caso a lui, dato che un tizio che si aggira nei pressi del vecchio campanile in disuso, sarebbe stato non poco sospetto. Lì vicino c’era il mercato, dunque chi passava di lì puntava dritto ad esso, mentre a Jean non faceva caso, e ciò significava per lui che avrebbe potuto agire indisturbato. Si mise il più possibile vicino alla porta, con un po’ di forza riuscì a scardinarla facilmente e quindi a entrare nella costruzione. L’interno era ovviamente spoglio, si limitava a una scala a chiocciola che saliva fino alla cima, dove avrebbero dovuto esserci le campane. Decise di salirla per dare un’occhiatina dall’alto alla città, in modo da accertarsi che la sua idea fosse fattibile. La salita non fu particolarmente lunga, ma di certo non era facile, soprattutto su una scala a chiocciola, ma una volta arrivato in cima, il giovane poté godere della vista che c’era da quell’altezza: dal campanile, si riusciva a vedere tutta la città, ognuno di quei tetti a punta, con i loro balconcini e le finestrelle con i vasi di fiori, le strade e il fiume che ha visto passando in carrozza. Da quell’altezza, dato che la città non era molto lontana, non avrebbe dovuto avere difficoltà ad arrivare, ma questo lo avrebbe scoperto solo quella sera stessa, una volta preparatosi al collaudo. Osservò ancora per qualche istante l’interno del campanile, e una volta deciso che era soddisfatto, scese nuovamente e si avviò verso la villa, con fare noncurante per cercare di dare nell’occhio il meno possibile.

 

Calata la sera, o meglio la notte, il giovane nobile lasciò di nascosto la villa di Monsieur Lefevre calandosi dalla finestra, chiedendo ai servi di non disturbarlo poiché era molto stanco. Aveva lasciato la cassa con l’invenzione nelle scuderie, sepolta sotto un mucchio di paglia in un angolo. Fortunatamente a quell’ora non c’era nessuno che si occupasse dei cavalli, quindi non ebbe problemi a recuperare la sua creazione e a dirigersi verso il campanile, ed entrarci nello stesso modo di quel pomeriggio. Stavolta salire le scale con quella cosa ingombrante non fu per niente facile: l’invenzione di per sé era pesante, e trasportarla su per una scala a chiocciola, gradino per gradino, era un supplizio!

- Dove sono i servitori quando servono? - borbottò a denti stretti Jean mentre a fatica trasportava su la cassa.

Ci mise almeno un quarto d’ora abbondante a percorrere tutta la rampa, e arrivato in cima, non gli dispiaceva l’idea di lasciar perdere tutto e andarsene a dormire. Ma velocemente cercò di riprendersi e accantonare l’idea: era salito lassù apposta per collaudare la sua creazione, non poteva mollare ora! Prese un martello e come meglio riuscì, tolse i vari chiodi dalla cassa di legno, in modo da poterla aprire e usare la sua invenzione: si trattava di una specie di ala, simile a quella dei pipistrelli, formata da uno scheletro in legno cavo, e ricoperta da tela cerata, con alcuni fili necessari per aggiustare la direzione. Per farlo entrare nella cassa lo aveva dovuto smontare in due parti, ma non fu difficile rimetterlo insieme dato che le parti da unire erano a incastro e tenute poi insieme da delle viti. Velocemente quindi montò la sua creazione con curata attenzione per ogni minimo particolare, non poteva scordarsi nulla di nulla, non doveva omettere controlli su niente, perché già l’esperimento era pericoloso di suo, se poi l’avesse fatto con leggerezza, al minimo errore sarebbe potuto finire a terra, perdendo così con tutta probabilità la vita. Trasse un respiro profondo, dopodiché salì sulla sua invenzione, ci si aggrappò, e la spinse giù dal campanile. Per un momento gli sembrò di cadere, era certo che non ce l’avrebbe fatta, ma poi eccolo invece librarsi in volo come un uccello, o un pipistrello, data l’ora. Cercò subito di stabilizzarsi con le corde, in modo da riuscire a volare senza troppi problemi per raggiungere la sua città. Si aspettava un volo turbolento e rischioso, invece tutto sommato gestiva quell’invenzione con abbastanza tranquillità.

<< Chissà se l’uomo che l’aveva progettata all’inizio l’ha mai provata? >> si domandò mentre con le corde continuava a stabilizzare il volo.

L’idea per quell’invenzione non era sua, affatto, aveva trovato i progetti, anche se leggermente diversi, nello studio di un collezionista di oggetti antichi, durante un viaggio in Gialia. L’ideatore era un uomo di nome Da Vinci, pare che avesse pensato a molte altre cose, ma quella era l’unica che a Jean fosse interessata. Non voleva prenderla al collezionista, così lo aveva convinto a prestargliela per qualche tempo, per poi restituirla. Doveva avere un espressione di chi non stava mentendo, se quel tizio s’era veramente fidato. Ma non era quello il momento per rivangare vecchi ricordi, doveva fare attenzione solo al percorso, in modo da non incontrare ostacoli imprevisti. Ben presto sorvolò un torrente, probabilmente lo stesso che in carrozza aveva oltrepassato quella mattina, e dopodiché un vasto bosco, che doveva essere probabilmente la tenuta di caccia di qualche signorotto della zona. Non gli ci volle ancora molto, che riuscì a scorgere la sua città. Ora non restava che prepararsi ad atterrare quanto più prima possibile. Tirò ancora una volta le funi e cercò di seguire le correnti d’aria, arrivando così a scorgere anche la villa di monsieur Foster, che raggiunse in meno di cinque minuti, atterrando poi senza particolari problemi sul tetto. Scese dal suo mezzo e si guardò intorno: quella notte tutto taceva, dalla villa nessun segno di vita, evidentemente data l’ora erano tutti a dormire, e anche dalle case lì intorno non c’era molta attività, e le poche persone che passavano in strada, non avevano minimamente notato il suo arrivo. Sembrava la notte perfetta per i suoi piani. Osservò il circondario ancora una volta, dopodiché risalì sull’oggetto volante, e si lanciò giù dal tetto, tornando a volare come era accaduto prima, stavolta in direzione contraria. Il ritorno fu più complicato, siccome era partito da un’altezza minore, era più complicato cercare di salire, e mentre volava doveva anche cercare un punto d’atterraggio, dato che il campanile non era sicuramente raggiungibile. Il tempo impiegato a tornare fu più lungo che quello ad andare, si iniziava a intravedere la cittadina, il che significava che il tempo stringeva, ma di un posto dove atterrare, fino a quel momento non se n’era intravista nemmeno l’ombra. Non poteva certo atterrare nella piazza, perché sì, era grande abbastanza da farci stare quella macchina volante, ma lui aveva bisogno di un punto più spazioso, in caso non riuscisse perfettamente l’atterraggio, il problema era che un posto del genere in una città non era facile da trovare, se non impossibile. Ben presto sorvolò la città, a quel punto, se non avesse trovato un altro posto dove scendere, la piazza sarebbe stata la sua ultima spiaggia. Girò in tondo per alcuni minuti, quasi come un avvoltoio su una preda, e alla fine riuscì a scorgere lo spazio ideale per atterrare, non troppo distante dalla piazza: si trattava dei resti di un paio di case, ormai rase al suolo perché probabilmente troppo vecchie, e il terreno su cui giaceva era quasi del tutto sgombro, se non per alcune macerie delle due abitazioni, che probabilmente erano state abbattute da poco tempo. Le dimensioni erano più che sufficienti per il suo scopo, quindi non restava che arrivarci. Velocemente iniziò a scendere di quota, avvicinandosi sempre di più al terreno, finché finalmente atterrò, anche se a fatica: manovrare quel coso per atterrare non era facile! Una volta atterrato, smontò da quell’oggetto, e prese una profonda boccata d’aria, volare non era così facile, e in realtà gli metteva addosso una leggera fifa, perché in fondo, rischiava grosso ad ogni tentativo. Sentì in lontananza il rintocco delle campane di qualche paese lì vicino: erano le undici di sera, e lui era decollato dal campanile che erano passate da una decina di minuti le dieci, il che significava che fra andare e tornare, ci aveva impiegato circa cinquanta minuti, meno di quanto gli ci era voluto quella mattina par arrivare in carrozza.  Nonostante l’iniziale timore, il volo era andato a gonfie vele, il posto per decollare c’era, e quello per atterrare pure. Alla villa di monsieur Foster non aveva avvertito nessun movimento, e la notte era ancora giovane tutto sommato, e ciò gli fece balenare in mente un’idea. Prese quindi la sua invenzione, la smontò nuovamente in due, e si diresse nuovamente verso il campanile: quella sera avrebbe commesso il furto alla villa Foster, o almeno una parte di esso.

           Fine capitolo 6



Ok, ecco qui il capitolo 6, dopo 6 mesi ce l'ho fatta a scriverlo... come avevo annunciato nel 5, non avevo molte idee per questo, quindi ho faticato ancora di più a buttare giù qualcosa. -.-'' E per di più mi sa anche di noioso... chiedo profondamente scusa a quei pochi che leggono e a volte recensiscono se ci ho messo così tanto tempo, e anche per il prossimo capitolo temo dovrete aspettare tanto ^^'' Però chiedo per favore, che vi piaccia o non vi piaccia la storia, di farmi sapere che ne pensate, perfavore! T_T Anche perchè le critiche costruttive sono sempre ben accette. Ah, dimenticavo una cosa: in caso non si fosse capito, l'invenzione di Jean è il deltaplano, più o meno simile a quello di Leonardo Da Vinci. Non so se con i materiali che aveva in mente lui avrebbe voltato o meno, io ho immaginato di sì, e quindi eccolo qui nella storia.
  
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