Capitolo 19
-
Yamato…
-
Il
ragazzo si riscosse solo in quel momento dallo stato di apatia in cui
era
scivolato. Quasi stupito, si accorse di esser ancora nella cucina
devastata dei
Kitamura. Koushiro e Mimi erano ancora stesi a terra, privi di sensi ma
apparentemente
in buone condizioni. Caffè uggiolava accanto alla sua
padroncina.
Il
biondo alzò il volto rigato di lacrime, trovandosi a poca
distanza da un muso
candido. Apatico, pensò che la digievoluzione di White
Foxmon era molto bella.
Più
grande del livello intermedio, aveva lo stesso manto candido, quasi
argentato,
e gli stessi occhi di rubino. Le sue code erano nove, folte e striate
alle
estremità da linee rosse simili a lingue di fuoco. Anche il
capo e le zampe
erano decorate dallo stesso motivo. Attorno al collo il pelo era
più folto.
A
Yamato ricordò le kitsune della mitologia giapponese, volpi
intelligenti e
magiche che con le loro nove code erano in grado di appiccare fuoco ad
intere
foreste. Ma al contrario delle creature ambigue della tradizione, gli
occhi
rossi del digimon che aveva di fronte gli trasmettevano un dolce tepore.
-
Yamato…
- si sentì nuovamente chiamare dal digimon –
lasciala. –
-
No…
- la strinse più forte al suo petto.
Solo
all’idea di separarsi da lei si sentiva perso. Quel corpo
gelido sembrava
diventato la sua ancora di salvezza, senza la quale sarebbe affogato
nel mare
di rimorso che aveva invaso il suo cuore.
Non
era stato in grado di salvarla. Non era stato in grado di fare nulla
per
aiutarla. Ma, soprattutto, non l’aveva mai realmente capita.
Avrebbe
preferito non dar retta alle parole di quel orrendo digimon-troll, ma
qualcosa
gli diceva che non aveva mentito, o almeno non del tutto. Il fatto che
Rumiko
fosse in qualche modo coinvolta nell’incidente di un anno fa
spiegava molte cose
sul suo comportamento, sulla sua ritrosia a parlare di sé e
del suo passato.
Solo
ora cominciava a rendersi conto dell’angoscia, del dolore,
del rimorso e degli
incubi che dovevano averla turbata. Il fatto di aver scavato con le sue
stesse
mani il vuoto che s’era creato non solo nella sua vita ma
anche in quella di
suo padre doveva esser stato un peso enorme, sebbene non
l’avesse fatto
intenzionalmente.
Perché
di questo era fermamente convinto: Rumiko non era
un’assassina. La sua Rumiko,
la sua sorridente, sensibile e coraggiosa Rumiko non avrebbe mai fatto
del male
a nessuno.
-
Yamato…
lasciala andare, per favore. –
La
voce della volpe era calda e vellutata e Yamato desiderò
lasciarsi cullare da
quel dolce suono e addormentarsi per sempre, dimenticando
l’angoscia e il
dolore.
Invece
strinse nuovamente a sé il corpo privo di vita di Rumiko.
-
No…
-
-
Per
favore, Yamato. –
-
Perché?
– sussurrò appena, senza guardare la volpe negli
occhi magnetici.
-
Perché
voglio stringerla anche io. –
Yamato
non se la sentiva di lasciarla andare, inconsciamente temeva di vederla
svanire
sotto i propri occhi. Ma sapeva che era giusto permettere che anche il
suo
digimon le desse l’ultimo saluto.
-
Io
l’amavo… l’amavo… - riprese a
singhiozzare, accarezzandole dolcemente le
guance.
-
Lo
so, Yamato… e te ne sono grata. L’hai resa molto
felice. –
-
No,
non è vero… Non sono stato in grado di capirla,
di consolarla, di salvarla… –
-
Ma
le sei stato accanto ed è questo ciò di cui lei
aveva bisogno: una persona
forte e sicura come te, che le facesse dimenticare, seppur per un
momento, le
sue angosce. Ma tu hai fatto di più. Tu le hai fatto
conoscere l’amore. –
-
Come
fai a dirlo? – alzò gli occhi bagnati di lacrime
sul digimon.
-
Lo
so, Yamato… Perché siamo una cosa
sola.
- rispose con
semplicità e sicurezza la
volpe.
Yamato
si asciugò le lacrime col dorso della mano, annuendo. Poi
ripulì la bocca e il
mento di Rumiko dai rimasugli del liquido nero con la manica della sua
felpa. E
la baciò.
Era
un ultimo bacio. Di quelli che sanno di lacrime e di dolore, di quelli
che
preannunciano un addio, di quelli che lasciano i cuori spezzati ma
pieni di bei
ricordi.
Si
scostò da lei, prendendo il cucciolo in braccio e
allontanandosi di qualche
passo per lasciare che il digimon si accostasse alla ragazza.
Il
cane si dimenava forsennatamente, restio quanto lui ad abbandonare la
sua
padroncina.
Sentendosi
straordinariamente vicino a quella piccola palla di pelo, la strinse
forte al
petto, tentando di calmarlo per calmare anche se stesso.
-
Buono
Caffè, buono… lasciamo che anche lei possa
salutarla, non dobbiamo esser
egoisti… ci sono altri che le vogliono bene, sai? Non siamo
gli unici ad amarla
tanto… -
Il
digimon si chinò su di lei e accostò il muso al
suo volto, strofinandolo
gentilmente a occhi chiusi. Le accarezzò in questo modo la
fronte, poi scese
sulla guancia, proseguì sul mento e poi tornò su,
chiudendo il cerchio.
Accadde
tutto in pochi secondi: il digimon aprì gli occhi e quello
che era stato un
cerchio immaginario sul volto di Rumiko
s’infiammò.
Yamato
cacciò un urlo, pronto a soccorrerla, ma il digimon si
frappose tra loro, le
nove code in fiamme e gli occhi di rubino luminosi come braci ardenti.
-
Che
stai facendo?! – le urlò il ragazzo.
-
La
porto con me. –
Poi
entrambe vennero avvolte dalle fiamme. E scomparvero.
-
RUMIKO!
– urlò al vuoto.
Fu
ancora la voce della volpe a rispondergli, un eco lontano a mala pena
percettibile.
-
Se
davvero la ami, allora abbi fiducia in lei, Yamato… -
-
Cosa?!
Che vuol dire?! Dove sei?! Dove la stai portando?! Ehiiii! –
Ma
questa volta non ottenne risposta.
Quando
Mimi aprì gli occhi fu quasi accecata dalla luce del neon
sulla sua testa.
Socchiuse nuovamente le palpebre, ancora intorpidita dalla prolungata
immobilità.
Non
le fu difficile indovinare dove si trovasse: l’odore di
disinfettante degli
ospedali era inconfondibile. Ma cos’era successo?
Perché si trovava lì?
Ruotò
il capo alla sua sinistra e vide che il letto da fianco al suo era
occupato da
Koushiro. Aveva una flebo al braccio e delle bende attorno al capo.
Improvvisamente
si ricordò di tutto e si voltò dalla parte
opposta, sconvolta: era stata lei a
ferirlo.
Solo
allora si accorse di Yamato, seduto in fondo alla stanza a braccia
conserte. La
stava guardando.
Subito
le tornò in mente ciò che aveva fatto anche a
lui. E a quella ragazza a cui lui
sembrava tenere così tanto, Rumiko…
Lo
vide alzarsi e dirigersi verso di lei. Ebbe paura di quello sguardo
penetrante
che conosceva da tanti anni e istintivamente nascose il capo sotto il
cuscino,
come una bambina terrorizzata dal severo rimprovero del genitore.
Yamato
si sedette sul bordo del suo letto e non la sfiorò neppure,
vedendola tremare
sotto le lenzuola.
La
paura di Mimi gli fece compassione.
Inizialmente
avrebbe voluto tartassarla di domande, finché non fosse
riuscito a capirci di
più in quella faccenda. Ma ora l’unica cosa che
gli venne in mente di chiederle
fu:
-
Stai
bene, Mimi? –
Lei
scoprì il volto e si meravigliò del sorriso
gentile e triste sul viso di
Yamato.
Le
salirono le lacrime agli occhi e si gettò tra le sue
braccia.
Lui
l’abbracciò gentilmente, accarezzandole il capo
per calmare i suoi singhiozzi.
Era
tornata
Quando
si fu calmata, la prescelta della Purezza si scostò dal
petto di Yamato,
asciugandosi le lacrime con una manica.
-
Ora,
Mimi – la guardò con gentile fermezza lui
– vuoi raccontarmi com’è successo?
–
-
Vuoi
dire come quella cosa… - esitò lei –
è entrata dentro di me? –
Il
biondo annuì.
-
Non
lo so… davvero, non ne ho idea… -
Si
sentiva in colpa per non essere in grado di dargli spiegazioni. Ma lui
non
parve demoralizzato.
-
Dimmi
tutto quello che sai, Mimi, tutto ciò che può
essere ricollegabile. –
Lei
lo guardò un attimo dubbiosa.
-
Credo…anzi,
sono sicura che sia cominciato tutto quella notte, la notte della
battaglia
nella metropolitana di New York. Sai, io ero là vicino
quando c’è stata
l’esplosione. Stavo tornando a casa dopo una festa a casa di
alcuni amici
quando è successo: la terra ha cominciato a tremare, intere
strade sono
sprofondate e alte fiamme si sono levate dalle profondità.
–
Yamato
la vide serrare i pugni.
-
La
gente urlava, gridava e piangeva, disperata, senza capire cosa stesse
accadendo. Ma io l’ho vista. –
-
Cosa?
–
-
Rumiko,
in sella al suo digimon-volpe, che emergeva dalle fiamme e fuggiva.
–
Lui
guardò quegli occhi nocciola pieni di rancore. E
cominciò a capire. Lentamente,
i pezzi del puzzle stavano andando al loro posto.
Si
alzò, infilando le mani in tasca e avvicinandosi alla
finestra.
-
E
da quando ti sei accorta di questa… presenza dentro di te?
–
-
Beh,
non saprei…all’inizio non mi ero nemmeno resa
conto che ci fosse qualcosa di
strano, sentivo solo delle voci, anzi dei deboli
sussurri…solo ogni tanto però…
-
-
Quando
sono cominciati quei sussurri? – insistette lui, tranquillo
ma deciso.
-
Credo
poco dopo quella notte… continuavo a sognare quei momenti, a
rivedere e
risentire il dolore di tutta quella gente… e lei, che
fuggiva da ciò che lei
stessa aveva fatto, come un’assassina con le mani macchiate
dal sangue di
innocenti! –
-
È
questo che ti sussurrava quella voce? Che lei era
un’assassina ignobile? –
Lei
non rispose, non ce n’era bisogno: la domanda di Yamato le
era parsa
evidentemente retorica.
Calò
un attimo di silenzio, in cui Mimi era convinta che lui avrebbe quanto
meno
protestato, dato che si trattava della sua ragazza.
-
Il
digimon che ti aveva posseduta voleva vendicarsi di Rumiko e del suo
digimon.
Ha fatto riferimento diverse volte agli eventi di quella notte nella
metropolitana… – commentò lui con
calma, come se stesse parlando più a se
stesso che a Mimi – Io credo che Rumiko stesse combattendo
contro di lui e che
l’esplosione sia stata solo un tragico incidente. –
Mimi
aprì la bocca per ribattere, ma un’occhiata di
Yamato la fece tacere.
-
Perché
non ci hai detto che a New York era comparso un digimon tanto
pericoloso? –
-
I-io…
io non… - balbettò lei, confusa per
l’improvviso cambio di argomento.
-
Dov’eravamo
noi mentre Rumiko combatteva contro
un nemico tanto potente? –
-
Io
non ne sapevo nulla, davvero! – protestò lei
– Altrimenti ve l’avrei detto di
sicuro! –
-
Com’è
possibile che tu non ne sapessi nulla?! – alzò un
poco il tono lui – Abiti o
non abiti in quella città?! –
-
Certo
che ci abito, appunto per questo ti dico che non è possibile
che vi fosse un
digimon nemico in circolazione e io non me ne fossi accorta! Come ti
è venuta
in mente una simile idea? –
Ma
lui parve ignorare la sua domanda, perso nel corso dei suoi pensieri.
-
Sfido
che lei ci odi… se fossimo stati lì avremmo forse
potuto evitare quella strage…
centinaia di persone innocenti sarebbero ancora vive… sua madre sarebbe ancora viva…
- disse fra sé e sé.
-
Yamato?
–
-
Mimi,
io credo che tu sia stata raggirata sin dall’inizio. Le tue
convinzioni, i tuoi
pensieri e probabilmente i tuoi stessi passi sono stati pilotati da
quel
digimon. –
-
C-cosa?
– corrugò la fronte lei.
-
Ti
ha tenuta lontana da lui per esser certo che nessuno di noi
interferisse coi
suoi piani, ma ti ha costretta ad assistere a ciò cui lui voleva che tu assistessi. Ti costringeva
a rivivere continuamente
quei momenti per far sì che quella dolorosa ferita non si
rimarginasse mai. Ti
ha convinta che la colpevole di tutto ciò fosse Rumiko, al
solo scopo di far
nascere in te rancore e desiderio di vendetta. –
Lei
distolse lo sguardo.
-
Dimmi,
Mimi, perché sei qui? Perché sei venuta qui in
fretta e furia senza preavviso?
Avevi tanta nostalgia di noi e della tua città natale da non
poter attendere
nemmeno che passassero le feste, non è vero? Sei saltata
sull’ultimo
sovraffollato aereo prima di Natale perché volevi
riabbracciarci, non è vero? –
Mimi
sentì gli occhi inumidirsi e abbassò il capo,
vergognosa.
-
La
verità è che le hai dato la caccia per molto
tempo, non è vero? Tenendoci
all’oscuro di tutto. E come un segugio, appena hai fiutato la
pista giusta ti
sei fiondata all’inseguimento della tua preda. –
Lei
tentava invano di trattenere le lacrime, ma già le sentiva
scorrere sulle sue
guance.
-
Possibile
che non te ne rendi conto? Possibile che tu non ti renda conto di quanto quella creatura ti stesse
controllando?! –
Le
si avvicinò, prendendola per le spalle. Ma lei tenne la
testa bassa,
continuando a piangere in silenzio.
-
Mimi,
quel digimon ti ha ingannata e usata! Ti ha costretta a tenere segrete
le tue
intenzioni e a mentire ai tuoi amici e compagni! Ti ha fatto lottare
contro di
me e contro Koushiro, che darebbe una mano per te! Ti ha convinta che
Rumiko fosse
un’assassina e che tu avessi tutte le ragioni per odiarla con
tutto il cuore!
Ma davvero era questo ciò che desideravi?! Davvero il tuo
rancore era tanto da
spingerti ad ucciderla?! –
Mimi
credette di svenire, cosa che avrebbe accolto con gioia. Invece quella
vertigine la fece solo ricadere nel letto, come un peso morto ma
perfettamente
cosciente.
Yamato
chinò il capo. Non avrebbe voluto dirglielo in questo modo.
Ma aveva perso il
suo abituale sangue freddo.
-
Non
è colpa tua… - le disse, sentendosi colpevole ma
senza guardarla – Eri
posseduta da quel digimon… -
Tuttavia
persino alle sue orecchie quelle parole erano prive di convinzione.
Erano
passate alcune ore da quando avevano lasciato quel appartamento per
esser
portati al pronto soccorso, eppure la ferita al cuore di Yamato non
aveva
ancora accennato a smettere di sanguinare.
Scuro
in volto, lasciò la stanza.
Si
sedette su una sedia lungo il corridoio, appoggiò la testa
al muro alle sue
spalle e volse lo sguardo agli spicchi di cielo incorniciati dalle
finestre di
fronte a lui. Aveva ripreso a nevicare e i suoni dall’esterno
gli parevano
ovattati.
Si
sentiva completamente privo d’energie, eppure avrebbe smosso
mari e monti se vi
fosse stata anche solo la più piccola possibilità
di stringere nuovamente a sé
la persona che amava.
“
Rumiko…”
Possibile
che se ne fosse andata veramente? Possibile che tra loro fosse tutto
finito
ancor prima di iniziare? Possibile che il loro amore non avesse mai
avuto futuro?
“
Possibile che sia tutto finito… così?”
Qualcosa
dentro di lui urlava un disperato dissenso. Qualcosa che lui temeva
rispondesse
al nome di “disperazione”. Sì, non
poteva che esser la disperazione a farlo
ancora sperare…
“
Eppure il suo digimon ha detto di aver fiducia in
lei…”
Non
aveva ancora avuto modo di pensarci seriamente, ma ora prese a
interrogarsi
sullo strano comportamento della volpe.
Non
si chiese come mai gli avesse mentito. Entrambi sapevano bene che
Yamato non si
sarebbe mai allontanato dal suo corpo se avesse saputo che sarebbe
scomparsa
sotto ai suoi occhi.
Ora,
a mente fredda, riusciva anche a capire come mai non gli avesse detto
quali
fossero le sue intenzioni: non voleva illuderlo inutilmente. Si sa, le
false
speranze possono fare tremendamente male, specialmente a un cuore
infranto.
Tuttavia
si chiese cosa mai potesse fare il digimon-volpe per salvarla. Dubitava
fortemente che esistesse un digimon in grado di resuscitare i morti. E
Rumiko
era morta, l’aveva constatato lui stesso.
“
E ora cosa dico a suo padre?”
Già,
perché la polizia non aveva trovato segni di Rumiko:
né sangue né bruciature
che potessero indicare il suo coinvolgimento in quella scena. Prima o
poi il
padre avrebbe però denunciato la sua scomparsa.
E
Yamato, che sapeva la verità, cosa avrebbe dovuto dirgli?
Che sua figlia era
stata uccisa da una ragazza posseduta da un mostro digitale e che il
suo
cadavere era stato trafugato dal suo stesso digimon, le cui intenzioni
erano
tanto assurde quanto misteriose? O avrebbe dovuto tacere, limitandosi a
esprimere il suo cordoglio per il presunto rapimento della sua unica e
preziosa
figlia?
Si
prese il capo tra le mani, disperato e pieno di dubbi.
-
YAMATO!
–
Il
ragazzo alzò a mala pena il capo al sopraggiungere di suo
padre e dei suoi due
migliori amici.
Un
pensiero irrilevante gli passò per la mente:
“
Alla fine era destino che Taichi e Sora stessero
insieme…forse era anche
destino che io e Rumiko venissimo separati così
presto…”
Il
padre si chinò di fronte a lui, poggiandogli entrambe le
mani sulle spalle. Il
suo volto gli parve più vecchio di quanto ricordasse.
“
Quanto faccio preoccupare il mio vecchio…”
-
Yamato,
stai bene? –
La
sua voce apprensiva e lo sguardo preoccupato degli amici lo fecero
crollare
definitivamente.
-
No…
- disse a bassa voce, abbandonando la testa sconfitto – No,
non sto affatto
bene… -
-
Cos’è
successo? – parlò ancora suo padre.
-
Siamo
stati attaccati da un digimon… -
-
Un
digimon?! – esclamò Taichi – Ma non
è possibile, non abbiamo rilevato nulla di…
-
-
S’era
impossessato di Mimi… - lo interruppe Yamato, cupo
– Credo che si sia servito
di lei per un anno intero, al solo scopo di esser condotto qua e
potersi
vendicare… di Rumiko. –
-
Di
Rumiko? – s’intromise questa volta Sora.
-
È
stata lei a sconfiggerlo… un anno fa a New York… -
-
Aspetta,
vuoi dire che Rumiko è una digiprescelta?! –
Yamato
annuì con rabbia alla domanda di Taichi. Domande e domande,
mai una risposta!
Seguì
un attimo di silenzio, in cui tutti, probabilmente, si stavano ponendo
la
stessa domanda.
Fu
Sora a formularla.
-
E
lei… dov’è ora? –
Yamato
rise senza gioia.
-
Vorrei
saperlo anche io, sai? Vorrei proprio saperlo… -
-
Ma
sta bene, vero? –
Questa
volta lui non rispose.
-
Yamato…
-
La
voce di Sora tremava, ma lui non la guardò in volto. Non se
la sentiva.
Silenzio.
Un
rumore di passi. Qualcuno si sedette accanto a lui.
-
Allora,
Yamato, cos’è successo a mia figlia? –
Il
tono di Hiroshi Kitamura era stato tranquillo e gentile come una
carezza.
Yamato
spalancò gli occhi per la sorpresa. Alzò lo
sguardo sull’uomo seduto al suo
fianco e sentì le lacrime rigargli le guance.
Improvvisamente
gli parve un gesto ignobile mentire a quel uomo sulla scomparsa di sua
figlia.
Gli avrebbe raccontato tutto, a costo di rivelargli cose che una
persona
normale non dovrebbe sapere, a costo di venir odiato da quel uomo
gentile per
non essere stato in grado di salvare la sua unica figlia.
Koushiro
aprì gli occhi e voltò il capo alla sua destra.
Nel letto accanto al suo, Mimi
singhiozzava silenziosamente, abbracciandosi le ginocchia come una
bimba
spaventata.
Il
rosso avrebbe voluto abbracciarla e rincuorarla, ma non poteva muoversi
dal
letto.
-
Mimi…
- la chiamò dolcemente.
Lei
sembrò fermarsi un attimo, come in attesa.
-
Mimi,
non piangere… -
La
ragazza si alzò e azzerò la distanza tra loro,
tuffandosi nel suo caldo
abbraccio.
Pianse
forte, appoggiata al suo petto. Koushiro la cullò
dolcemente, stringendola
forte a sé, felice di aver ritrovato la persona per lui
più importante: la sua
amata Mimi.
Yamato
s’abbandonò contro lo schienale della seggiola e
voltò il capo verso suo padre
e gli amici, che avevano deciso di attendere a rispettosa distanza
dalla
coppia. Il signor Ishida annuì al figlio in segno
d’approvazione: poteva esser
fiero del coraggio che aveva appena dimostrato. Eppure lui si sentiva
semplicemente svuotato di ogni emozione.
Attese
ancora qualche minuto, concedendo al signor Kitamura il tempo di
realizzare
quanto gli era appena stato riferito.
Lasciò
che il suo sguardo azzurro si perdesse tra i fiocchi di neve che
continuavano a
scendere, mentre l’alba stentava a sorgere su Tokyo.
Pensò a quanto triste
sarebbe stata quell’aurora, a quanto vuoto e dolore avrebbe
portato il nuovo
giorno.
I
minuti passavano lenti, nel silenzio quasi assoluto. Con la coda
dell’occhio
vide Taichi chinarsi su Sora e bisbigliarle qualcosa
all’orecchio. Lei annuì
debolmente, tamponandosi gli occhi bagnati di lacrime con un
fazzoletto.
Ipotizzò che il prescelto del Coraggio di fosse offerto di
andare a prenderle
qualcosa di caldo.
Ora
che ci pensava, quel corridoio era piuttosto freddo. Notò
per la prima volta la
rarefatta nuvoletta che compariva a ogni sua espirazione, per svanire
pochi
istanti dopo.
Si
concentrò su quel particolare. Tentò di contare
il tempo che restava sospesa
per aria, ma dovette presto arrendersi. Allora immaginò di
poterla afferrare,
di poterla stringere nel pugno e inumidire il palmo della sua mano.
Fantasticò
di poterla seguire, librandosi sempre più in alto,
più leggero dell’aria.
Immaginò di potersi dissolvere come quella nuvoletta di
vapore.
-
Hai
detto che è…svanita? –
Dapprima
non riuscì a collegare un soggetto a quella voce. Poi si
riscosse, voltandosi
stupito verso il signor Kitamura.
-
Sì…
- esitò un attimo, perplesso – è
scomparsa nel nulla senza lasciare la minima
traccia… -
-
Insieme
a Kitsunemon. –
-
Come,
scusi? –
-
Kitsunemon,
l’evoluzione del suo digimon. –
Il
signor Kitamura s’alzò in piedi, avvicinandosi
alla finestra pensieroso. Yamato
lo seguì con lo sguardo.
-
Lei
dunque sapeva che Rumiko era una digiprescelta, conosceva il suo
digimon… -
-
No,
non la conoscevo. – gli rispose l’uomo, dandogli le
spalle – Dunque è così che
vi fate chiamare, voi ragazzi “speciali”:
digiprescelti… -
-
Come
fa lei a… -
-
Si
tratta pur sempre di mia figlia, no? – gli sorrise amaramente
– Chi credi che
rappresenti la foto che lei ti ha regalato per Natale? –
Yamato
ripensò alla figura dai lunghi capelli in cima al
grattacielo. Allo strano
copricapo con due punte sulla cima, al lungo bastone in una mano.
-
Quella
è il suo digimon evoluto, non è vero? –
chiese il ragazzo.
-
Sì
e no… quella foto rappresenta Rumiko e il suo digimon, come
una cosa sola… -
parlò quasi fra sé e sé
l’uomo.
-
Che
significa? –
-
Significa
che non so quanto sia forte il legame tra te e il tuo digimon, ma il
loro senza
dubbio lo è molto… Dimmi, Kitsunemon ti ha forse
detto qualcosa prima di
scomparire? –
-
Sì…
- esitò un attimo lui, incerto se era il caso di illudere
quel uomo – Mi ha
detto di avere fiducia in Rumiko… -
Il
signor Kitamura sorrise benevolo.
-
Allora
dobbiamo fidarci… di entrambe. – si
voltò a guardare l’orizzonte – Sono
sicuro
che torneranno. –
Yamato
lo guardò sbigottito: possibile che la sua fiducia fosse
davvero incrollabile?
Aggrottò
la fronte, distogliendo lo sguardo da quel volto colmo di speranza, e
strinse i
pugni con rabbia.
“
Io però non ci riesco! Rumiko è morta e nessuno
può resuscitare i morti!”
In
un luogo difficilmente accessibile, eppure sorprendentemente vicino,
Kitsunemon
posò il corpo senza vita di Rumiko sulla sponda di un lago
immoto, i cui
confini si perdevano nella nebbia.
S’accucciò
accanto alla ragazza, poggiando il capo sulle zampe anteriori e
fissando il
lago in un punto indefinito nella nebbia.
Nessuno
avrebbe saputo dire se fosse stato giorno o notte, ma la cosa non era
rilevante. Ammesso che il tempo in quel luogo esistesse, probabilmente
non vi
era sole che sorgesse o luna che illuminasse la notte.
D’altronde nell’Oblivion
World non viveva nessuno e non vi era nulla, al di fuori della nebbia e
di quel
lago immoto: lo Specchio del Limbo.
Era
in quel luogo indefinito che venivano raccolte le anime di coloro che
ancora non
s’erano completamente staccati dal mondo reale, vuoi
perché con delle faccende
ancora in sospeso, vuoi perché morti impropriamente.
Lo
Specchio era una finestra ambigua su quel luogo oscuro e brumoso. Ma
occorreva
una grande forza di volontà e un profondo attaccamento alla
vita perché
un’anima riuscisse a emergere dalla sua superficie. E non
solo.
Kitsunemon
strinse i denti, frustrata. Nessun morto poteva tornare alla vita come
niente
fosse, nemmeno se il suo corpo era perfettamente integro: una volta
toccati
dalla gelida mano della Morte non si poteva far marcia indietro. Non
senza un
adeguato rimborso. E
Chinò
di nuovo il capo sulle zampe, accarezzando il corpo di Rumiko con le
sue folte
code. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
Avrebbe
pagato qualunque prezzo per rivederla sorridere felice.
Perché la felicità di
lei era la sua. Perché senza la sua prescelta, la sua
migliore amica, la sua
anima gemella, lei non aveva motivo di vivere. Perché lei
era la sua ragione di
esistere.
Dunque
l’avrebbe riportata in vita e poi condotta nel suo mondo, da
suo padre e dai
suoi amici. O sarebbe morta nel tentativo e nessuno l’avrebbe
mai saputo.
D’altronde,
quello era il Mondo dell’Oblio in cui tutto si perdeva nella
nebbia.
Continua…
N.d.a
Kitsunemon
è un digimon di mio invenzione. Il nome è poco
originale, ma ci tenevo a
sottolineare la differenza tra lo stadio intermedio e quello campione.
Come
accennato nel capitolo, il riferimento è la kitsune della
mitologia giapponese.
Si tratta di una volpe ambigua e intelligente, magica e in grado di
entrare nei
sogni delle persone. Spesso gioca dei brutti tiri agli uomini,
tramutandosi in
bellissima donna e seducendo le sue vittime per poi abbandonarli al
loro
destino quando questi meno se l’aspettano, a volte persino
alla morte. Le sue
nove code possono incendiarsi e appiccare fuoco alle foreste o alle
abitazioni
degli uomini.
La
mia Kitsunemon però non è malvagia: possiede i
poteri delle kitsune giapponesi,
non il loro temperamento!
Arrivederci
al prossimo capitolo…e grazie della recensione lovegio92!
Monalisasmile