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Autore: monalisasmile    29/06/2011    1 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 19

 

-      Yamato… -

Il ragazzo si riscosse solo in quel momento dallo stato di apatia in cui era scivolato. Quasi stupito, si accorse di esser ancora nella cucina devastata dei Kitamura. Koushiro e Mimi erano ancora stesi a terra, privi di sensi ma apparentemente in buone condizioni. Caffè uggiolava accanto alla sua padroncina.

Il biondo alzò il volto rigato di lacrime, trovandosi a poca distanza da un muso candido. Apatico, pensò che la digievoluzione di White Foxmon era molto bella.

Più grande del livello intermedio, aveva lo stesso manto candido, quasi argentato, e gli stessi occhi di rubino. Le sue code erano nove, folte e striate alle estremità da linee rosse simili a lingue di fuoco. Anche il capo e le zampe erano decorate dallo stesso motivo. Attorno al collo il pelo era più folto.

A Yamato ricordò le kitsune della mitologia giapponese, volpi intelligenti e magiche che con le loro nove code erano in grado di appiccare fuoco ad intere foreste. Ma al contrario delle creature ambigue della tradizione, gli occhi rossi del digimon che aveva di fronte gli trasmettevano un dolce tepore.

-      Yamato… - si sentì nuovamente chiamare dal digimon – lasciala. –

-      No… - la strinse più forte al suo petto.

Solo all’idea di separarsi da lei si sentiva perso. Quel corpo gelido sembrava diventato la sua ancora di salvezza, senza la quale sarebbe affogato nel mare di rimorso che aveva invaso il suo cuore.

Non era stato in grado di salvarla. Non era stato in grado di fare nulla per aiutarla. Ma, soprattutto, non l’aveva mai realmente capita.

Avrebbe preferito non dar retta alle parole di quel orrendo digimon-troll, ma qualcosa gli diceva che non aveva mentito, o almeno non del tutto. Il fatto che Rumiko fosse in qualche modo coinvolta nell’incidente di un anno fa spiegava molte cose sul suo comportamento, sulla sua ritrosia a parlare di sé e del suo passato.

Solo ora cominciava a rendersi conto dell’angoscia, del dolore, del rimorso e degli incubi che dovevano averla turbata. Il fatto di aver scavato con le sue stesse mani il vuoto che s’era creato non solo nella sua vita ma anche in quella di suo padre doveva esser stato un peso enorme, sebbene non l’avesse fatto intenzionalmente.

Perché di questo era fermamente convinto: Rumiko non era un’assassina. La sua Rumiko, la sua sorridente, sensibile e coraggiosa Rumiko non avrebbe mai fatto del male a nessuno.

-      Yamato… lasciala andare, per favore. –

La voce della volpe era calda e vellutata e Yamato desiderò lasciarsi cullare da quel dolce suono e addormentarsi per sempre, dimenticando l’angoscia e il dolore.

Invece strinse nuovamente a sé il corpo privo di vita di Rumiko.

-      No… -

-      Per favore, Yamato. –

-      Perché? – sussurrò appena, senza guardare la volpe negli occhi magnetici.

-      Perché voglio stringerla anche io. –

Yamato non se la sentiva di lasciarla andare, inconsciamente temeva di vederla svanire sotto i propri occhi. Ma sapeva che era giusto permettere che anche il suo digimon le desse l’ultimo saluto.

-      Io l’amavo… l’amavo… - riprese a singhiozzare, accarezzandole dolcemente le guance.

-      Lo so, Yamato… e te ne sono grata. L’hai resa molto felice. –

-      No, non è vero… Non sono stato in grado di capirla, di consolarla, di salvarla… –

-      Ma le sei stato accanto ed è questo ciò di cui lei aveva bisogno: una persona forte e sicura come te, che le facesse dimenticare, seppur per un momento, le sue angosce. Ma tu hai fatto di più. Tu le hai fatto conoscere l’amore. –

-      Come fai a dirlo? – alzò gli occhi bagnati di lacrime sul digimon.

-      Lo so, Yamato… Perché siamo una cosa sola.  - rispose con semplicità e sicurezza la volpe.

Yamato si asciugò le lacrime col dorso della mano, annuendo. Poi ripulì la bocca e il mento di Rumiko dai rimasugli del liquido nero con la manica della sua felpa. E la baciò.

 

Era un ultimo bacio. Di quelli che sanno di lacrime e di dolore, di quelli che preannunciano un addio, di quelli che lasciano i cuori spezzati ma pieni di bei ricordi.

 

Si scostò da lei, prendendo il cucciolo in braccio e allontanandosi di qualche passo per lasciare che il digimon si accostasse alla ragazza.

Il cane si dimenava forsennatamente, restio quanto lui ad abbandonare la sua padroncina.

Sentendosi straordinariamente vicino a quella piccola palla di pelo, la strinse forte al petto, tentando di calmarlo per calmare anche se stesso.

-      Buono Caffè, buono… lasciamo che anche lei possa salutarla, non dobbiamo esser egoisti… ci sono altri che le vogliono bene, sai? Non siamo gli unici ad amarla tanto… -

Il digimon si chinò su di lei e accostò il muso al suo volto, strofinandolo gentilmente a occhi chiusi. Le accarezzò in questo modo la fronte, poi scese sulla guancia, proseguì sul mento e poi tornò su, chiudendo il cerchio.

 

Accadde tutto in pochi secondi: il digimon aprì gli occhi e quello che era stato un cerchio immaginario sul volto di Rumiko s’infiammò.

Yamato cacciò un urlo, pronto a soccorrerla, ma il digimon si frappose tra loro, le nove code in fiamme e gli occhi di rubino luminosi come braci ardenti.

-      Che stai facendo?! – le urlò il ragazzo.

-      La porto con me. –

Poi entrambe vennero avvolte dalle fiamme. E scomparvero.

-      RUMIKO! – urlò al vuoto.

Fu ancora la voce della volpe a rispondergli, un eco lontano a mala pena percettibile.

-      Se davvero la ami, allora abbi fiducia in lei, Yamato… -

-      Cosa?! Che vuol dire?! Dove sei?! Dove la stai portando?! Ehiiii! –

Ma questa volta non ottenne risposta.

 

Quando Mimi aprì gli occhi fu quasi accecata dalla luce del neon sulla sua testa. Socchiuse nuovamente le palpebre, ancora intorpidita dalla prolungata immobilità.

Non le fu difficile indovinare dove si trovasse: l’odore di disinfettante degli ospedali era inconfondibile. Ma cos’era successo? Perché si trovava lì?

Ruotò il capo alla sua sinistra e vide che il letto da fianco al suo era occupato da Koushiro. Aveva una flebo al braccio e delle bende attorno al capo.

Improvvisamente si ricordò di tutto e si voltò dalla parte opposta, sconvolta: era stata lei a ferirlo.

Solo allora si accorse di Yamato, seduto in fondo alla stanza a braccia conserte. La stava guardando.

Subito le tornò in mente ciò che aveva fatto anche a lui. E a quella ragazza a cui lui sembrava tenere così tanto, Rumiko…

Lo vide alzarsi e dirigersi verso di lei. Ebbe paura di quello sguardo penetrante che conosceva da tanti anni e istintivamente nascose il capo sotto il cuscino, come una bambina terrorizzata dal severo rimprovero del genitore.

 

Yamato si sedette sul bordo del suo letto e non la sfiorò neppure, vedendola tremare sotto le lenzuola.

La paura di Mimi gli fece compassione.

Inizialmente avrebbe voluto tartassarla di domande, finché non fosse riuscito a capirci di più in quella faccenda. Ma ora l’unica cosa che gli venne in mente di chiederle fu:

-      Stai bene, Mimi? –

 

Lei scoprì il volto e si meravigliò del sorriso gentile e triste sul viso di Yamato.

Le salirono le lacrime agli occhi e si gettò tra le sue braccia.

Lui l’abbracciò gentilmente, accarezzandole il capo per calmare i suoi singhiozzi.

Era tornata la Mimi di sempre.

 

Quando si fu calmata, la prescelta della Purezza si scostò dal petto di Yamato, asciugandosi le lacrime con una manica.

-      Ora, Mimi – la guardò con gentile fermezza lui – vuoi raccontarmi com’è successo? –

-      Vuoi dire come quella cosa… - esitò lei – è entrata dentro di me? –

Il biondo annuì.

-      Non lo so… davvero, non ne ho idea… -

Si sentiva in colpa per non essere in grado di dargli spiegazioni. Ma lui non parve demoralizzato.

-      Dimmi tutto quello che sai, Mimi, tutto ciò che può essere ricollegabile. –

Lei lo guardò un attimo dubbiosa.

-      Credo…anzi, sono sicura che sia cominciato tutto quella notte, la notte della battaglia nella metropolitana di New York. Sai, io ero là vicino quando c’è stata l’esplosione. Stavo tornando a casa dopo una festa a casa di alcuni amici quando è successo: la terra ha cominciato a tremare, intere strade sono sprofondate e alte fiamme si sono levate dalle profondità. –

Yamato la vide serrare i pugni.

-      La gente urlava, gridava e piangeva, disperata, senza capire cosa stesse accadendo. Ma io l’ho vista. –

-      Cosa? –

-      Rumiko, in sella al suo digimon-volpe, che emergeva dalle fiamme e fuggiva. –

Lui guardò quegli occhi nocciola pieni di rancore. E cominciò a capire. Lentamente, i pezzi del puzzle stavano andando al loro posto.

Si alzò, infilando le mani in tasca e avvicinandosi alla finestra.

-      E da quando ti sei accorta di questa… presenza dentro di te? –

-      Beh, non saprei…all’inizio non mi ero nemmeno resa conto che ci fosse qualcosa di strano, sentivo solo delle voci, anzi dei deboli sussurri…solo ogni tanto però… -

-      Quando sono cominciati quei sussurri? – insistette lui, tranquillo ma deciso.

-      Credo poco dopo quella notte… continuavo a sognare quei momenti, a rivedere e risentire il dolore di tutta quella gente… e lei, che fuggiva da ciò che lei stessa aveva fatto, come un’assassina con le mani macchiate dal sangue di innocenti! –

-      È questo che ti sussurrava quella voce? Che lei era un’assassina ignobile? –

Lei non rispose, non ce n’era bisogno: la domanda di Yamato le era parsa evidentemente retorica.

Calò un attimo di silenzio, in cui Mimi era convinta che lui avrebbe quanto meno protestato, dato che si trattava della sua ragazza.

-      Il digimon che ti aveva posseduta voleva vendicarsi di Rumiko e del suo digimon. Ha fatto riferimento diverse volte agli eventi di quella notte nella metropolitana… – commentò lui con calma, come se stesse parlando più a se stesso che a Mimi – Io credo che Rumiko stesse combattendo contro di lui e che l’esplosione sia stata solo un tragico incidente. –

Mimi aprì la bocca per ribattere, ma un’occhiata di Yamato la fece tacere.

-      Perché non ci hai detto che a New York era comparso un digimon tanto pericoloso? –

-      I-io… io non… - balbettò lei, confusa per l’improvviso cambio di argomento.

-      Dov’eravamo noi mentre Rumiko combatteva contro un nemico tanto potente? –

-      Io non ne sapevo nulla, davvero! – protestò lei – Altrimenti ve l’avrei detto di sicuro! –

-      Com’è possibile che tu non ne sapessi nulla?! – alzò un poco il tono lui – Abiti o non abiti in quella città?! –

-      Certo che ci abito, appunto per questo ti dico che non è possibile che vi fosse un digimon nemico in circolazione e io non me ne fossi accorta! Come ti è venuta in mente una simile idea? –

Ma lui parve ignorare la sua domanda, perso nel corso dei suoi pensieri.

-      Sfido che lei ci odi… se fossimo stati lì avremmo forse potuto evitare quella strage… centinaia di persone innocenti sarebbero ancora vive… sua madre sarebbe ancora viva… - disse fra sé e sé.

-      Yamato? –

-      Mimi, io credo che tu sia stata raggirata sin dall’inizio. Le tue convinzioni, i tuoi pensieri e probabilmente i tuoi stessi passi sono stati pilotati da quel digimon. –

-      C-cosa? – corrugò la fronte lei.

-      Ti ha tenuta lontana da lui per esser certo che nessuno di noi interferisse coi suoi piani, ma ti ha costretta ad assistere a ciò cui lui voleva che tu assistessi. Ti costringeva a rivivere continuamente quei momenti per far sì che quella dolorosa ferita non si rimarginasse mai. Ti ha convinta che la colpevole di tutto ciò fosse Rumiko, al solo scopo di far nascere in te rancore e desiderio di vendetta. –

Lei distolse lo sguardo.

-      Dimmi, Mimi, perché sei qui? Perché sei venuta qui in fretta e furia senza preavviso? Avevi tanta nostalgia di noi e della tua città natale da non poter attendere nemmeno che passassero le feste, non è vero? Sei saltata sull’ultimo sovraffollato aereo prima di Natale perché volevi riabbracciarci, non è vero? –

Mimi sentì gli occhi inumidirsi e abbassò il capo, vergognosa.

-      La verità è che le hai dato la caccia per molto tempo, non è vero? Tenendoci all’oscuro di tutto. E come un segugio, appena hai fiutato la pista giusta ti sei fiondata all’inseguimento della tua preda. –

Lei tentava invano di trattenere le lacrime, ma già le sentiva scorrere sulle sue guance.

-      Possibile che non te ne rendi conto? Possibile che tu non ti renda conto di quanto quella creatura ti stesse controllando?! –

Le si avvicinò, prendendola per le spalle. Ma lei tenne la testa bassa, continuando a piangere in silenzio.

-      Mimi, quel digimon ti ha ingannata e usata! Ti ha costretta a tenere segrete le tue intenzioni e a mentire ai tuoi amici e compagni! Ti ha fatto lottare contro di me e contro Koushiro, che darebbe una mano per te! Ti ha convinta che Rumiko fosse un’assassina e che tu avessi tutte le ragioni per odiarla con tutto il cuore! Ma davvero era questo ciò che desideravi?! Davvero il tuo rancore era tanto da spingerti ad ucciderla?! –

 

Mimi credette di svenire, cosa che avrebbe accolto con gioia. Invece quella vertigine la fece solo ricadere nel letto, come un peso morto ma perfettamente cosciente.

 

Yamato chinò il capo. Non avrebbe voluto dirglielo in questo modo. Ma aveva perso il suo abituale sangue freddo.

-      Non è colpa tua… - le disse, sentendosi colpevole ma senza guardarla – Eri posseduta da quel digimon… -

Tuttavia persino alle sue orecchie quelle parole erano prive di convinzione.

Erano passate alcune ore da quando avevano lasciato quel appartamento per esser portati al pronto soccorso, eppure la ferita al cuore di Yamato non aveva ancora accennato a smettere di sanguinare.

Scuro in volto, lasciò la stanza.

 

Si sedette su una sedia lungo il corridoio, appoggiò la testa al muro alle sue spalle e volse lo sguardo agli spicchi di cielo incorniciati dalle finestre di fronte a lui. Aveva ripreso a nevicare e i suoni dall’esterno gli parevano ovattati.

Si sentiva completamente privo d’energie, eppure avrebbe smosso mari e monti se vi fosse stata anche solo la più piccola possibilità di stringere nuovamente a sé la persona che amava.

“ Rumiko…”

Possibile che se ne fosse andata veramente? Possibile che tra loro fosse tutto finito ancor prima di iniziare? Possibile che il loro amore non avesse mai avuto futuro?

“ Possibile che sia tutto finito… così?”

Qualcosa dentro di lui urlava un disperato dissenso. Qualcosa che lui temeva rispondesse al nome di “disperazione”. Sì, non poteva che esser la disperazione a farlo ancora sperare…

“ Eppure il suo digimon ha detto di aver fiducia in lei…”

Non aveva ancora avuto modo di pensarci seriamente, ma ora prese a interrogarsi sullo strano comportamento della volpe.

Non si chiese come mai gli avesse mentito. Entrambi sapevano bene che Yamato non si sarebbe mai allontanato dal suo corpo se avesse saputo che sarebbe scomparsa sotto ai suoi occhi.

Ora, a mente fredda, riusciva anche a capire come mai non gli avesse detto quali fossero le sue intenzioni: non voleva illuderlo inutilmente. Si sa, le false speranze possono fare tremendamente male, specialmente a un cuore infranto.

Tuttavia si chiese cosa mai potesse fare il digimon-volpe per salvarla. Dubitava fortemente che esistesse un digimon in grado di resuscitare i morti. E Rumiko era morta, l’aveva constatato lui stesso.

“ E ora cosa dico a suo padre?”

Già, perché la polizia non aveva trovato segni di Rumiko: né sangue né bruciature che potessero indicare il suo coinvolgimento in quella scena. Prima o poi il padre avrebbe però denunciato la sua scomparsa.

E Yamato, che sapeva la verità, cosa avrebbe dovuto dirgli? Che sua figlia era stata uccisa da una ragazza posseduta da un mostro digitale e che il suo cadavere era stato trafugato dal suo stesso digimon, le cui intenzioni erano tanto assurde quanto misteriose? O avrebbe dovuto tacere, limitandosi a esprimere il suo cordoglio per il presunto rapimento della sua unica e preziosa figlia?

Si prese il capo tra le mani, disperato e pieno di dubbi.

 

-      YAMATO! –

Il ragazzo alzò a mala pena il capo al sopraggiungere di suo padre e dei suoi due migliori amici.

Un pensiero irrilevante gli passò per la mente:

“ Alla fine era destino che Taichi e Sora stessero insieme…forse era anche destino che io e Rumiko venissimo separati così presto…”

Il padre si chinò di fronte a lui, poggiandogli entrambe le mani sulle spalle. Il suo volto gli parve più vecchio di quanto ricordasse.

“ Quanto faccio preoccupare il mio vecchio…”

-      Yamato, stai bene? –

La sua voce apprensiva e lo sguardo preoccupato degli amici lo fecero crollare definitivamente.

-      No… - disse a bassa voce, abbandonando la testa sconfitto – No, non sto affatto bene… -

-      Cos’è successo? – parlò ancora suo padre.

-      Siamo stati attaccati da un digimon… -

-      Un digimon?! – esclamò Taichi – Ma non è possibile, non abbiamo rilevato nulla di… -

-      S’era impossessato di Mimi… - lo interruppe Yamato, cupo – Credo che si sia servito di lei per un anno intero, al solo scopo di esser condotto qua e potersi vendicare… di Rumiko. –

-      Di Rumiko? – s’intromise questa volta Sora.

-      È stata lei a sconfiggerlo… un anno fa a New York… -

-      Aspetta, vuoi dire che Rumiko è una digiprescelta?! –

Yamato annuì con rabbia alla domanda di Taichi. Domande e domande, mai una risposta!

Seguì un attimo di silenzio, in cui tutti, probabilmente, si stavano ponendo la stessa domanda.

Fu Sora a formularla.

-      E lei… dov’è ora? –

Yamato rise senza gioia.

-      Vorrei saperlo anche io, sai? Vorrei proprio saperlo… -

-      Ma sta bene, vero? –

Questa volta lui non rispose.

-      Yamato… -

La voce di Sora tremava, ma lui non la guardò in volto. Non se la sentiva.

Silenzio.

Un rumore di passi. Qualcuno si sedette accanto a lui.

-      Allora, Yamato, cos’è successo a mia figlia? –

Il tono di Hiroshi Kitamura era stato tranquillo e gentile come una carezza.

Yamato spalancò gli occhi per la sorpresa. Alzò lo sguardo sull’uomo seduto al suo fianco e sentì le lacrime rigargli le guance.

Improvvisamente gli parve un gesto ignobile mentire a quel uomo sulla scomparsa di sua figlia. Gli avrebbe raccontato tutto, a costo di rivelargli cose che una persona normale non dovrebbe sapere, a costo di venir odiato da quel uomo gentile per non essere stato in grado di salvare la sua unica figlia.

 

Koushiro aprì gli occhi e voltò il capo alla sua destra. Nel letto accanto al suo, Mimi singhiozzava silenziosamente, abbracciandosi le ginocchia come una bimba spaventata.

Il rosso avrebbe voluto abbracciarla e rincuorarla, ma non poteva muoversi dal letto.

-      Mimi… - la chiamò dolcemente.

Lei sembrò fermarsi un attimo, come in attesa.

-      Mimi, non piangere… -

La ragazza si alzò e azzerò la distanza tra loro, tuffandosi nel suo caldo abbraccio.

Pianse forte, appoggiata al suo petto. Koushiro la cullò dolcemente, stringendola forte a sé, felice di aver ritrovato la persona per lui più importante: la sua amata Mimi.

 

Yamato s’abbandonò contro lo schienale della seggiola e voltò il capo verso suo padre e gli amici, che avevano deciso di attendere a rispettosa distanza dalla coppia. Il signor Ishida annuì al figlio in segno d’approvazione: poteva esser fiero del coraggio che aveva appena dimostrato. Eppure lui si sentiva semplicemente svuotato di ogni emozione.

Attese ancora qualche minuto, concedendo al signor Kitamura il tempo di realizzare quanto gli era appena stato riferito.

Lasciò che il suo sguardo azzurro si perdesse tra i fiocchi di neve che continuavano a scendere, mentre l’alba stentava a sorgere su Tokyo. Pensò a quanto triste sarebbe stata quell’aurora, a quanto vuoto e dolore avrebbe portato il nuovo giorno.

I minuti passavano lenti, nel silenzio quasi assoluto. Con la coda dell’occhio vide Taichi chinarsi su Sora e bisbigliarle qualcosa all’orecchio. Lei annuì debolmente, tamponandosi gli occhi bagnati di lacrime con un fazzoletto. Ipotizzò che il prescelto del Coraggio di fosse offerto di andare a prenderle qualcosa di caldo.

Ora che ci pensava, quel corridoio era piuttosto freddo. Notò per la prima volta la rarefatta nuvoletta che compariva a ogni sua espirazione, per svanire pochi istanti dopo.

Si concentrò su quel particolare. Tentò di contare il tempo che restava sospesa per aria, ma dovette presto arrendersi. Allora immaginò di poterla afferrare, di poterla stringere nel pugno e inumidire il palmo della sua mano. Fantasticò di poterla seguire, librandosi sempre più in alto, più leggero dell’aria. Immaginò di potersi dissolvere come quella nuvoletta di vapore.

-      Hai detto che è…svanita? –

Dapprima non riuscì a collegare un soggetto a quella voce. Poi si riscosse, voltandosi stupito verso il signor Kitamura.

-      Sì… - esitò un attimo, perplesso – è scomparsa nel nulla senza lasciare la minima traccia… -

-      Insieme a Kitsunemon. –

-      Come, scusi? –

-      Kitsunemon, l’evoluzione del suo digimon. –

Il signor Kitamura s’alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra pensieroso. Yamato lo seguì con lo sguardo.

-      Lei dunque sapeva che Rumiko era una digiprescelta, conosceva il suo digimon… -

-      No, non la conoscevo. – gli rispose l’uomo, dandogli le spalle – Dunque è così che vi fate chiamare, voi ragazzi “speciali”: digiprescelti… -

-      Come fa lei a… -

-      Si tratta pur sempre di mia figlia, no? – gli sorrise amaramente – Chi credi che rappresenti la foto che lei ti ha regalato per Natale? –

Yamato ripensò alla figura dai lunghi capelli in cima al grattacielo. Allo strano copricapo con due punte sulla cima, al lungo bastone in una mano.

-      Quella è il suo digimon evoluto, non è vero? – chiese il ragazzo.

-      Sì e no… quella foto rappresenta Rumiko e il suo digimon, come una cosa sola… - parlò quasi fra sé e sé l’uomo.

-      Che significa? –

-      Significa che non so quanto sia forte il legame tra te e il tuo digimon, ma il loro senza dubbio lo è molto… Dimmi, Kitsunemon ti ha forse detto qualcosa prima di scomparire? –

-      Sì… - esitò un attimo lui, incerto se era il caso di illudere quel uomo – Mi ha detto di avere fiducia in Rumiko… -

Il signor Kitamura sorrise benevolo.

-      Allora dobbiamo fidarci… di entrambe. – si voltò a guardare l’orizzonte – Sono sicuro che torneranno. –

Yamato lo guardò sbigottito: possibile che la sua fiducia fosse davvero incrollabile?

Aggrottò la fronte, distogliendo lo sguardo da quel volto colmo di speranza, e strinse i pugni con rabbia.

“ Io però non ci riesco! Rumiko è morta e nessuno può resuscitare i morti!”

 

In un luogo difficilmente accessibile, eppure sorprendentemente vicino, Kitsunemon posò il corpo senza vita di Rumiko sulla sponda di un lago immoto, i cui confini si perdevano nella nebbia.

S’accucciò accanto alla ragazza, poggiando il capo sulle zampe anteriori e fissando il lago in un punto indefinito nella nebbia.

Nessuno avrebbe saputo dire se fosse stato giorno o notte, ma la cosa non era rilevante. Ammesso che il tempo in quel luogo esistesse, probabilmente non vi era sole che sorgesse o luna che illuminasse la notte. D’altronde nell’Oblivion World non viveva nessuno e non vi era nulla, al di fuori della nebbia e di quel lago immoto: lo Specchio del Limbo.

Era in quel luogo indefinito che venivano raccolte le anime di coloro che ancora non s’erano completamente staccati dal mondo reale, vuoi perché con delle faccende ancora in sospeso, vuoi perché morti impropriamente.

Lo Specchio era una finestra ambigua su quel luogo oscuro e brumoso. Ma occorreva una grande forza di volontà e un profondo attaccamento alla vita perché un’anima riuscisse a emergere dalla sua superficie. E non solo.

Kitsunemon strinse i denti, frustrata. Nessun morto poteva tornare alla vita come niente fosse, nemmeno se il suo corpo era perfettamente integro: una volta toccati dalla gelida mano della Morte non si poteva far marcia indietro. Non senza un adeguato rimborso. E la Morte, si sa, è tutt’altro che generosa.

Chinò di nuovo il capo sulle zampe, accarezzando il corpo di Rumiko con le sue folte code. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.

Avrebbe pagato qualunque prezzo per rivederla sorridere felice. Perché la felicità di lei era la sua. Perché senza la sua prescelta, la sua migliore amica, la sua anima gemella, lei non aveva motivo di vivere. Perché lei era la sua ragione di esistere.

Dunque l’avrebbe riportata in vita e poi condotta nel suo mondo, da suo padre e dai suoi amici. O sarebbe morta nel tentativo e nessuno l’avrebbe mai saputo.

D’altronde, quello era il Mondo dell’Oblio in cui tutto si perdeva nella nebbia.

 

 

 

Continua…

 

 

 

N.d.a

Kitsunemon è un digimon di mio invenzione. Il nome è poco originale, ma ci tenevo a sottolineare la differenza tra lo stadio intermedio e quello campione.

Come accennato nel capitolo, il riferimento è la kitsune della mitologia giapponese. Si tratta di una volpe ambigua e intelligente, magica e in grado di entrare nei sogni delle persone. Spesso gioca dei brutti tiri agli uomini, tramutandosi in bellissima donna e seducendo le sue vittime per poi abbandonarli al loro destino quando questi meno se l’aspettano, a volte persino alla morte. Le sue nove code possono incendiarsi e appiccare fuoco alle foreste o alle abitazioni degli uomini.

La mia Kitsunemon però non è malvagia: possiede i poteri delle kitsune giapponesi, non il loro temperamento!

Arrivederci al prossimo capitolo…e grazie della recensione lovegio92!

Monalisasmile

 

  
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