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Autore: Ariadne Oliver    12/03/2006    1 recensioni
Un ciclo che si chiude ed un altro, di segno opposto, che si apre. I grandi cambiamenti possono scombussolare la vita, al punto da non capire più cosa si è e cosa si desidera... ma forse non si è mai stati tanto lucidi...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Contraddizione

-Perché ti sei fatto fare tutto questo?-
-Perché lo volevo almeno quanto te.-

Ho provato a cercare in quello sguardo malizia, provocazione, lussuria… niente.
Ho trovato solo una sincerità disarmante, peggio di una coltellata al cuore.

-Perché non riesci mai a mentirmi?-
-Perché non posso più permettermi di farti altri favori.-
-Vaffanculo.-

Mi sono rimesso in tutta fretta pantaloni e scarpe e sono uscito dal suo appartamento sbattendo con violenza la porta d’ingresso. Degna conclusione di degna serata. Il sabato sera più assurdo della mia vita, quello che mai e poi mai mi sarei aspettato di ritrovarmi a vivere.[/p] [p]Claudio era dichiaratamente, sfacciatamente, ostentatamente omosessuale. Uomo che degli altri uomini ama tutto, vuole tutto e tutto assorbe con voracità insaziabile. “Succhiare il midollo della vita” è un’espressione che gli si addice a meraviglia, la sua naturale definizione. Io invece, Matteo “l’Ombroso” (“O Skotheinòs” come mi chiama lui, accostandomi impietosamente al filosofo greco Eraclito) ero, al contrario, dichiaratamente, ostinatamente, irrinunciabilmente eterosessuale. Per di più, lievemente omofobo. Per la verità, visibilmente in crisi. Primo anno di università in una città nuova, Roma, capace di disorientare seriamente chiunque non riesca a fare proprio il suo esuberante spirito. Amici lontani, rimasti fedeli al confortevole calore del paese, da cui il capoluogo di provincia (dotato di un discreto ateneo) distava appena una quarantina di chilometri. L’ideale per chi sogna di impiegarsi nello studio legale del proprio zio o di qualche altro parente. Elena, la mia ragazza, quell’appendice che mi si era tenacemente appiccicata addosso ai tempi della seconda media, stava riconsiderando i suoi piani: per dirla in maniera poetica, aveva appena scoperto che il ruolo di Penelope non le si addiceva affatto; per dirla in parole povere, mi aveva appena scaricato. Ovviamente per un altro. Tale Massimo, sedicente assicuratore di belle speranze. Mercedes scintillante e niente grilli per la testa. Roma? Città buona per farci una vacanza, e giusto se ti piacciono i musei. Al massimo, ci si può andare col pullman della parrocchia a vedere il Papa che recita l’Angelus. Insomma, per dirla in parole povere, ad uno come quel Massimo l’idea di lasciare il paese non sarebbe mai passata neanche per l’anticamera del cervello. E così Elena avrebbe evitato la spiacevole sensazione di sentirsi messa da parte, tornando ad essere il centro attorno a cui doveva ruotare il microcosmo di cui si sentiva sovrana indiscussa. Nonostante tutto il dolore (per l’abbandono) e la confusione (per ciò che ne è seguito) sento di avere scampato un grande pericolo.

Appena chiusa la porta, mi sono appoggiato ad essa con la schiena nuda e mi sono acceso una sigaretta, tanto per fare un dispetto al cartello “Vietato Fumare” che avevo di fronte. Piegate (si fa per dire) sul braccio sinistro avevo una camicia nera ed una giacca bianca, in evidente contrasto tra loro, perfetto simbolo dello stato di confusione mentale in cui versavo. In bocca avevo ancora il sapore della pelle di Claudio, intenso e deciso come lui non era affatto, in testa l’immagine del suo volto sfigurato dal piacere e dal dolore. Nello stomaco, infine, un forte senso di disgusto e troppi Breezer all’arancia. Gettai a terra la sigaretta appena aspirata, schiacciandola con la punta del piede su quello zerbino idiota con Bart Simpson che mostra con un sorriso beato le sue chiappette gialle a chiunque sia tanto cretino da fissarlo per più di due secondi. Mi facevo rabbia. Mi facevo schifo. Il mio sentirmi dopo tanti anni un cane sciolto, libero da ogni sorta di freno inibitorio dettato dalla convivenza forzata con due genitori asfissianti mi aveva portato, in quei primi, folli mesi d’Università ad avvicinare persone stravaganti quali erano, appunto, gli amici di Claudio. Nonché Claudio stesso, che però si era rivelato, alla lunga, l’unico essere in grado di lenire realmente il mio dolore e di placare l’inquietudine che mi stava lentamente divorando. Con mia grande sorpresa l’ultima persona a cui mi sarei sognato di rivolgere la parola si era rivelata, al contrario, l’unica in grado di domare i miei demoni. Tutto ciò esigeva un prezzo, almeno così mi aveva suggerito il mio orgoglio ubriaco. Fu così che quella sera mi ritrovai a “domare” lui con una foga ed un desiderio che mai avrei immaginato di possedere. Come sarebbe andata a finire tra di noi era ancora tutto da decidere. Come fosse realmente cominciata ancora tutto da capire. Per il momento, avevo deciso di andarmene rivestendomi alla bell’e meglio per le scale. Non riuscivo a smettere di pensare al sapore della sua bocca, un sapore forte, vero, di sigarette (come la mia), che richiamava alla realtà ogni singolo istante. Mentre facevamo l’amore, il sapore di quella bocca sembrava gridare disperatamente che sì, ciò che stava accadendo era tutto vero. La bocca di Elena, invece, con quel suo profumo di fragole, sapeva solo di bambina che si rifiuta di crescere. Mi ero chiesto spesso, durante la durata interminabile dei nostri baci, se quel profumo fosse frutto dell’uso di qualche diavoleria cosmetica oppure della mia immaginazione. Ma con lei, tanto, si viveva così, sempre in bilico fra sogno e favola (di realtà neanche a parlarne). Lasciandomi dopo tutti quegli anni si era limitata solamente a svegliarmi, sia pure in maniera brusca. E grazie a quella notte di follia con Claudio, avevo definitivamente accettato quel fatto come una cosa positiva. Mi era piaciuto farci l’amore. Sono eterosessuale eppure mi era piaciuto fare l’amore con il mio migliore amico. Forse era lui che mi era piaciuto davvero, fin dal primo istante. Col suo piccolo orecchino d’argento a forma di farfalla, la sua aria da eterno cazzeggiatore, il suo branco di amici (per alcuni avevo il sospetto che si trattasse di amanti, tutt’al più ex. Quasi sicuramente ex. Come si fa a rimanere amici di un proprio ex? E a radunarne più di qualcuno fino a formare una comitiva? E io? Come c’ero finito lì in mezzo io? Mistero…), il suo ballare sui tavoli dei pub il sabato sera completamente ubriaco. Completamente pazzo. Io sentivo, giorno dopo giorno, di avere sempre più bisogno di quella pazzia. La aspiravo avidamente, come il fumo di una sigaretta a lungo agognata. Come uno spinello di cui non si vuole far sapere nulla ai propri genitori. Non mi piacevano gli omosessuali, ma di Claudio amavo ogni particolare. Persino quella sua orripilante (e spelacchiata) sciarpa viola che diceva essere un regalo della nonna ultraottantenne. Persino il fatto che avevo dovuto penetrarlo là dove non avrei mai permesso neanche alla più lasciva e convincente Elena di avvicinarsi, fosse stato anche per gioco. E lui, invece, mi si era abbandonato tra le braccia con una fiducia degna del più ingenuo dei bambini…

-Senti, Cla, per quanto riguarda quello che è successo tra di noi ieri notte…-
-Lascia perdere, eri ubriaco e disperato come solo un “casalingo disperato” può esserlo.-
-“Casalingo disperato”?-
-Assolutamente! La ragazza t’ha lasciato, il tuo coinquilino pure, ti sei scolato troppi [i]Breezer[/i] all’arancia e, dulcis in fundo, ti sei fatto una sana scopata… con un uomo. Dimmi tu se per un esemplare di maschio bianco, etero e single questa non è disperazione!-

Touché.

-Matteo, ci sei ancora?-
Clic!
-Sei proprio un perfetto imbecille! Dovrebbero darti il marchio D.O.C., lo sai?-

Claudio aveva perfettamente ragione su tutto. Ero un debole, un egoista, un autentico, perfetto imbecille da manuale. Ed ero, per giunta, innamorato di lui. Non poteva essere diversamente, visto che avevo ancora una voglia matta di fare l’amore con lui.

-Mi dici che vuoi, adesso?-
-Scopami.-
-Ma sei scemo?!-
-Fammi quello che ti ho fatto io ieri sera.-
-Ok, procediamo con calma. Di nuovo Breezer all’arancia?-
-Cazzo, devi sempre reagire così? Non ci arrivi? Io voglio capire se ieri notte mi è piaciuto davvero, se è davvero TE che voglio! Vorrei scoprire se riuscirei sul serio ad accettare tutto di te, come ho fatto per anni con Elena…-
-Ho capito, adesso! Tu sei completamente andato fuori di testa! Matteo, ascoltami bene: TU NON SEI GAY. Non potresti MAI esserlo, perché gli uomini ti fanno troppo schifo. Tu vuoi me solo perchè sono il miglior surrogato in circolazione della tua ex, e questo non è bello. La verità è che tu detesti gli uomini e non ti fidi più delle donne, e visto che io sono a metà strada tra queste due categorie allora hai deciso che per te sarei il compagno ideale. E’ così?-
-Colpito e affondato.-

Adesso sono io quello che non ha più voglia di mentire.

-Però… credi davvero che tutto ciò sia un male? Il fatto che io ti trovi il compagno ideale… insomma, io non la vedo come una cosa tanto negativa… o almeno non più come all’inizio…-
-In linea teorica neanch’io la vedo come una cosa tanto sbagliata, ma la pratica è tutta un’altra cosa…-

Già, la pratica. Ancora siamo qui a discuterne. Intanto, sono passati tre mesi da quella fatidica notte, che non si è affatto rivelata un episodio isolato. Fare l’amore, per noi, è diventata una piacevole abitudine, quasi un rito. Il sacro sigillo di un rapporto sempre più unico. Chi è “l’uomo” e chi “la donna”, chi è gay e chi no, che cosa amiamo o odiamo, da chi siamo attratti o meno (perché, c’è qualcuno oltre Claudio che mi attragga?) si rivelano, giorno dopo giorno, domande sempre più effimere e prive di importanza. A volte mi chiedo se questa relazione avrà mai un senso. Ma, forse, questo è un dettaglio senza importanza.

   
 
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