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Autore: PattyOnTheRollercoaster    04/07/2011    5 recensioni
L torna alla Whammy's House, indeciso se continuare la sua carriera da detective dopo il caso Kira. Near si dà alla filosofia, Mello alla boxe e Matt continua con l'informatica.
Mentre vanno avanti con le loro vite Ryuk scrive un nome sul Death Note, una ragazza trova un quaderno incastrato nel portatile, qualcuno viene ucciso e qualcun'altro rapito. Un nome viene scritto e un'altro cancellato.
Si dice che il battito d'ali di una farfalla può causare un uragano dall'altra parte del mondo. Se una farfalla può causare questo, allora cosa causerà uno Shinigami annoiato?
[Dal capitolo 6]
“Ryuk”, chiamò L.
Lo Shinigami si avvicinò con passo lento. “Sì?”
“Ci sono altri Shinigami che vanno in giro a dare Death Note alle persone?”
Il mostro scosse la testa, gli occhi fissi sul detective. “Non che io sappia.”
“Sei sicuro?!”, intervenne impetuoso Mello. “Allora come cazzo è possibile che una bambina abbia gli occhi dello Shinigami?”
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo uno
The beginning of Annika’s mission





Esiste un luogo lontano dalla mente di tutti gli uomini dove vivono alcuni dei più fondamentali esseri che operano per l’ordine dell’universo. Sono déi, gli unici che possano decidere della vita o della morte di una persona. Sanno come, quando, e perché morirà. Sanno l’ora, il luogo, e la data del decesso. E possono saperlo perché sono loro a deciderlo. Vivono in un mondo arido senza alcuna attrattiva, e così passano il tempo a giocare a carte o a farsi tra loro scherzi idioti. Un tempo questi esseri erano uomini, uomini ormai morti scelti dal caso per divenire Shinigami. Ma ci sono delle regole da seguire per ogni Shinigami appena arrivato: un uomo che diventi Shinigami dovrà accedere al Mu in forma umana, gli sarà consegnato un Death Note e verrà dotato degli occhi, ma non potrà esercitare finché non si trasformerà del tutto. Nel corso della trasformazione l’uomo perde gradualmente la memoria assieme ad essa la sua umanità, sia fisica che mentale. Diventa tutto estremamente più semplice e una mera questione di sopravvivenza uccidere esseri umani quando non si è a conoscenza del fatto di essere stato uno di loro.
Da qualche mese nel Mu era arrivato un uomo nuovo, un tale di nome Stephen Tempor. Non parlava mai con nessuno a parte lo Shinigami Ryuk, il quale gli aveva svelato di essere stato il fautore della sua morte. In realtà tutto faceva parte di un piano più grande, Ryuk era arrivato solo a misfatto ormai compiuto. Aveva visto quell’uomo sul letto dalle coperte bianche e infeltrite dell’ospedale, e aveva considerato quel letto molto simile a molti altri letti di morte. Aveva scritto sul suo Death Note ‘Stephen Tempor, ferita da arma da fuoco’. I medici dicevano che c’era un briciolo di speranza che lui sopravvivesse, fino a che la sua ferita non si era infettata per cause ancora non ben chiarite: da allora il signor Tempor non ebbe alcuna speranza. Se non fosse stato per il tempestivo intervento di Ryuk, che non vedeva perché mai sprecare così un incidente già avvenuto, forse non sarebbe mai diventato uno Shinigami.
“Forse, se avessi saputo che saresti diventato Shinigami, non ti avrei mai ucciso Stephen”, disse Ryuk una volta osservando il paesaggio desertico del Mu. Stavano seduti su una roccia aspra e attorno a loro non c’era altro che la sabbia e la noia.
“Se non lo avessi fatto non sarei mai diventato Shinigami”, aveva replicato l’uomo con logica schiacciante. “Non fartene un cruccio Ryuk, in fondo sei qui per questo.” Stephen aveva sospirato. “Solo una cosa mi spiace: non aver preso quel bastardo che mi ha sparato. Sapevo che dietro questo caso c’era molto più di quel che non apparisse. E l’avevo capito, per davvero! Per questo ora sono qui.” Stephen sospirò e storse il naso, il volto piegato in una smorfia di malinconia.
Stephen Tempor lavorava per la CIA, e da sette mesi prima della propria morte aveva seguito un caso all’apparenza facile, che contro tutte le previsioni si complicò sempre di più ogni qualvolta scoprivano qualcosa di nuovo. Proprio quando aveva incominciato a scavare nei documenti giusti, a fare domande alle persone giuste, allora aveva intuito di stare arrivando a loro, quindi loro avevano deciso di eliminarlo. Non lo avevano fatto molto bene, dopo tre giorni i medici dicevano che l’uomo avrebbe potuto riprendersi entro un mese, ma proprio in quel momento era spuntato Ryuk.
“Ci vorrebbe l’aiuto di mia figlia”, disse Stephen guardando il paesaggio brullo e desolato.
“Tua figlia? Perché?”, domandò Ryuk.
“E’ una ragazza molto intelligente”, cominciò l’uomo con orgoglio nella voce, “forse non altrettanto brava con le persone, ma se la cava quel che basta. E’ la più intelligente del suo corso, all’università. Mi piacerebbe poter vedere che fa adesso.”
“Lo puoi fare”, disse Ryuk illuminandosi un poco.
Stephen fece scattare la testa verso di lui. “Davvero?”
“Puoi vederla. Attraverso la finestra che usiamo per arrivare sulla terra. Basta che pensi a lei.”
Detto fatto; dopo aver avuto quella rivelazione Stephen Tempor non poté fare altro dalla mattina alla sera. Sua moglie era morta quando erano giovani, sua figlia adesso aveva diciannove anni, e da qualche mese doveva provvedere a sé stessa da sola. Stephen scoprì, suo malgrado, che non lo faceva per niente bene. Era sempre stata una ragazza un po’ strana a dirla tutta, un po’ asociale, ma scoprire che aveva smesso di andare all’università per rovistare fra i documenti del suo ultimo caso e sul suo computer era per lui motivo di profondo stupore. Si chiese il perché: come mai sembrava così indaffarata, perché la notte dormiva male, perché aveva lasciato il lavoro part-time che aveva trovato poco fa alla biblioteca, e per quale motivo si ostinasse ad andare al suo ufficio per vedersi ogni giorno cacciata via. Sua figlia lo sapeva meglio di chiunque altro quanto il lavoro di Stephen fosse difficile, soprattutto perché non poteva mai parlarne con nessuno, e si rivelava alquanto invadente nella sua vita privata pur essendo così top secret.
Stephen avrebbe tanto voluto parlare con lei, ma non poteva. Così, prese una decisione. “Ryuk, ho bisogno che tu mi faccia un favore.”
“E sarebbe?”, domandò Ryuk.
“Vorrei che tu andassi da mia figlia e scoprissi cos’ha intenzione di fare. Io non posso muovermi di qui, devi farlo tu.”
Ryuk ci pensò su un secondo. “Voi umani avete sempre questa brutta abitudine”, osservò alla fine con tono duro.
“Quale?”
“Sempre a dare ordini, a noi Shinigami. Ma devi sapere una cosa: io non prendo ordini da nessuno.”
“Ryuk, te lo sto chiedendo per favore”, disse Stephen, aggrappandosi all’ultimo raggio di speranza che aveva.
Lo Shinigami fece una smorfia incerta. “E sia!”, esclamò alla fine. Si alzò in volo e attraversò il varco che lo separava dalla terra.
Dopo due settimane Ryuk era di ritorno. La figlia di Stephen Tempor, Annika Tempor, era una di quegli esseri umani che poteva anche valere la pena di ricordare. Ne aveva conosciuti davvero pochi come lei, uno era recentemente morto mentre conduceva una battaglia di intelletti contro l’unico altro essere umano da tenere in considerazione. Tuttavia, quando tornò nel Mu e andò a cercare Stephen, Ryuk vide che la trasformazione aveva fatto passi da gigante. L’uomo si era stranamente allungato, era come dimagrito repentinamente e le sue fattezze erano più cadaveriche che nella tomba.
“Stephen, forse ho qualcosa che potrebbe interessarti”, esordì Ryuk.
L’uomo lo guardò con occhi smarriti. “E cioè?”
“Annika sta tentando di risolvere il caso al posto tuo.”
Di nuovo, Stephen non mostrò di aver capito alcunché. “Cosa stai dicendo?”
“Tua figlia Annika”, insisté Ryuk, a cui non andava giù di aver fatto un viaggio a vuoto. Per un secondo, gli occhi di Stephen si allargarono di comprensione, ma Ryuk pensò di esserselo solo immaginato, perché la loro luminosità sparì così com’era venuta.
“Non so di che parli Ryuk”, disse Stephen voltandosi e incamminandosi verso degli altri Shinigami. “Vado a farmi una partita a dadi con gli altri. Vieni anche tu?”
“No, grazie.”
Ryuk tornò al grande specchio che usavano come finestra sugli altri mondi e cominciò ad osservare Annika Tempor che, ancora una volta, cercava di distruggere la rete operativa dei computer della CIA. Con scarsi risultati, potrei aggiungere. Fu allora che Ryuk prese una decisione.
Ancora una volta, si stava annoiando.

Annika Tempor era una ragazza estremamente magra e bassa, ma nascondeva una forza da vero elefante, che era andata aumentando nell’ultimo periodo. Da quando suo padre era morto tutto il suo tempo si era concentrato su poche cose essenziali: tentare di scovare informazioni sul caso di suo padre, perfezionare il suo libro sul calcolo infinitesimale che si accingeva a pubblicare (e che le avrebbe fruttato fior fior di quattrini), e la boxe. Abitava ancora nella casa di famiglia, un appartamento abbastanza grande per viverci comodamente in due, che era improvvisamente diventato enorme per una persona sola. Suo padre le aveva lasciato i risparmi di una vita, che le sarebbero potuti bastare per cinque o sei anni, senza lavorare e continuando l’università, ma aveva preferito perfezionare i punti deboli del suo libro e inviarli ad una redazione. La risposta era prontamente arrivata due settimane più tardi: erano entusiasti, ma volevano che approfondisse alcune parti. Avrebbero pubblicato entro breve per un pubblico selezionato di professori e scienziati. Puntavano più che altro sull’audacia di certe affermazioni, e sul fatto che lei non avesse superato l’età adolescenziale per vendere il libro come il primo scritto di un genio diciannovenne.
Erano le sette e faceva già buio quando Annika, la sera del 23 di Dicembre, scese in strada e andò nel negozio all’angolo aperto 24 h su 24 gestito da Juan, un messicano dai folti baffi, per comprare i rifornimenti di Natale. Comprò pane, latte, tre confezioni di pizza surgelata, arance, fagiolini, formaggio fresco, un etto di speck, uova, una confezione di lattine di birra da sei, una pacchetto di Pall Mall blu, una nuova matita per gli occhi, due pacchetti di dentifricio, uno di bagnoschiuma e, concedendosi un lusso per le feste, una bottiglia di spumante. Augurò un Buon Natale a Juan e si avviò verso casa.
Quando rientrò, dopo aver messo a posto la spesa, entrò nello studio dove lei e suo padre tenevano il computer e centinaia di libri, si sedette alla scrivania accompagnata da una birra fresca e un piatto di pasta al ragù. Aprì il portatile e la prima cosa che vide fu un quaderno nero con una scritta bianca, incastrato fra lo schermo e la tastiera. Death Note. A chiunque appartenesse aveva una pessima calligrafia, fu il primo pensiero che ebbe Annika. Poi si bloccò: qualcuno era entrato in casa sua. Era improbabile che quel qualcuno fosse ancora lì, se si era preso la briga di sistemare un quaderno proprio dove sapeva che lei l’avrebbe trovato. Oltretutto, doveva essere qualcuno che la conosceva, altrimenti come avrebbe fatto a sapere che lei utilizzava spesso il computer? Peggio ancora poteva essere qualcuno che la spiava, uno stalker con manie di perversione.
Aprì il quaderno e sulla prima pagina lesse delle assurde regole secondo le quali un nome scritto in quelle pagine avrebbe fatto morire il povero malcapitato che lo portava nel modico tempo di 40 secondi. Si poteva persino decidere che fine avrebbe fatto il poveretto! Quando Annika aprì la prima pagina trovò una scritta, con quella calligrafia orribile ma leggibile: non gridare.
Annika, a quelle parole, raggelò. Voleva dire che lo sconosciuto era ancora in casa, e le intimava anche di non urlare quando l’avrebbe visto. Già che c’era poteva anche chiederle se per cortesia non lo avrebbe denunciato, e se poteva passargli la collezione di swarosky di sua madre. Un rumore fece voltare Annika di scatto. Quel che vide non la fece urlare solo perché tutto il suo corpo, comprese le corde vocali, si era paralizzato. Un mostro alto almeno due metri, con il corpo curvo e una struttura ossea del tutto in vista, e così palesemente sbagliata, stava di fronte a lei. La sua bocca pareva sorridente, di un sorriso malato e pazzo, gli occhi erano grandi come i pugni di un uomo adulto, gialli e sporgenti.
“Annika Tempor. Mi chiamo Ryuk, sono uno Shinigami.”
Nonostante il mostro mantenesse un aria calma e pacifica, e molto probabilmente avesse detto quelle cose solo per tranquillizzarla, il fatto che uno Shinigmi sapesse il suo nome rendeva la ragazza solo più nervosa.
“Conosco tuo padre”, continuò Ryuk.
A quelle parole, Annika fu certa che il mondo celasse davvero tante sorprese. Tuttavia siccome si parlava di Stephen non poté fare a meno di chiedere, seppur con voce spezzata: “Come lo conosci? E come sai il mio nome?”
“Anche lui sta diventando uno Shinigami, ma non ricorda già più nulla della sua vita sulla terra. Mi ha mandato qui qualche giorno fa per vedere cosa facevi: voleva sapere per quale motivo ficchi il naso nel suo lavoro. Quando sono tornato stava già dimenticando tutto, e non ha capito una parola di quel che gli ho detto.”
“Perché sei qui?”
“Perché voglio darti una mano. Voglio aiutarti a trovare chi ha ucciso Stephen.”
Annika teneva le sopracciglia corrugate e si muoveva in continuazione, come se non potesse farne a meno. “E come farai?”, sputò lì osservando le mani del mostro.
“Non è che per caso avresti una mela?” Ryuk non ne mangiava da settimane, forse quella ragazza avrebbe potuto dargliene almeno una: stava andare in astinenza.
Annika strabuzzò gli occhi. “Una mela?”
“Io adoro le mele”, disse Ryuk con occhi scintillanti.
“Hm… dovrei averne ancora un paio”, disse Annika pensosa. Voleva accontentare il mostro di nome Ryuk, ma si pentì quando dovette compire il tragitto studio-cucina con le sue zanne lunghe trenta centimetri alle spalle. Trovò le ultime tre mele in fondo alla vaschetta della frutta, le lavò e le mise in un piattino sul tavolo assieme ad un coltello. Si sedette e osservò Ryuk che le mangiava, senza ausilio del coltello, in soli due bocconi.
Mentre lo Shinigami mangiava Annika si prese del tempo per pensare. C’erano dei lati positivi e dei lati negativi in quella faccenda. Lati postivi: il mostro non era lì per farle del male, e a giudicare dalla sua passione per la frutta non l’avrebbe uccisa per sé o per i suoi cuccioli, per di più aveva appena detto di essere lì per aiutarla. Lati negativi: vedere un dio della morte venuto per conto di tuo padre ad aiutarti, dopo aver passato due mesi a ossessionarti sul quel tuo stesso padre morto, non era di sicuro un segno di stabilità mentale. Faceva tanto bambina problematica e il suo amico immaginario, anche se Annika faticava nel vedere Ryuk come un degno amico virtuale.
La ragazza incrociò le braccia al petto. Se Ryuk era lì per darle una mano allora tanto valeva cominciare subito. “Quindi… cosa dovrei fare secondo te?”
Il mostro ingollò il secondo torsolo di mela e la osservò. “Ah… il quaderno che ti ho dato, ora ti appartiene. Ho visto un essere umano utilizzarlo con molto ingegno per portare a termine la sua missione. Hai letto le regole? Sono scritte nella tua lingua.”
La ragazza chinò la testa sul quaderno, che teneva in mano da quando lo aveva trovato nello studio. Aprì di nuovo la pagina ed elencò: “Volto, nome, quaranta secondi, arresto cardiaco…” A quel punto la ragazza fece due più due. Le regole corrispondevano. Alzò lo sguardo su Ryuk e domandò con occhi indagatori e increduli: “Kira?”
“Esatto.”
“Questo quaderno è di Kira? Quello che ha usato per compiere tutti gli omicidi?”, chiese sfogliando le pagine.
“No, quello è uno dei miei quaderni. E’ nuovo, quasi non ci sono nomi.”
Annika lo sfogliò e, assieme ad altri nomi, vi trovò scritto a grandi lettere incerte: Stephen Tempor, ferita da arma da fuoco. Gli occhi le si allargarono per lo stupore, face scattare la testa verso il mostro e domandò: “Sei stato tu?!”
Ryuk fece segno di sì con la testa mentre prendeva l’ultima mela dal piattino. “Non mi accusare tanto in fretta piccola umana. E’ il compito di noi Shinigami, esistiamo proprio per questo.”
Annika boccheggiò. “Ma tu… se tu…”.
Ryuk non le per permise di terminare la frase: “Il mondo non è stato fatto con i ‘se’. Non ho colpa di quello che è il mio compito.”
La ragazza abbassò lo sguardo e ricacciò indietro a forza delle lacrime insidiose che aveva minacciato di uscire. Fece un profondo sospiro, ma non disse nulla. Rilesse velocemente le regole del Death Note tanto per dare tempo al groppo che aveva alla gola di sparire, poi domandò: “Quindi… vuoi dire che per trovare le informazioni che voglio devo uccidere delle persone? E’ questo il piano per caso?”
“E’ un inizio.”
“Io non sono un’assassina, non voglio uccidere nessuno”, disse duramente Annika scuotendo la testa.
“Non volevi vendicare tuo padre? Ti basterebbe sapere volto e nome di quella persona per poter finalmente riabilitare la sua memoria.”
Annika strinse le labbra. Ryuk sapeva dove stava la piaga, e non esitava a rigirarci il dito per il proprio divertimento. Annika non era mai stata una persona troppo sentimentale. Quando era morto suo padre certo era stata molto triste, e lì lì per cadere in depressione, ma nemmeno quattro giorni dopo sapeva benissimo cosa doveva fare. A cosa serviva starsene con le mani in mano? Così aveva tentato di scoprire a cosa lavorava suo padre e aveva scovato un po’ di materiale, ma non bastava. Aveva tentato, senza troppe speranze, di aggrapparsi al buon animo dei colleghi che avrebbero potuto fornirle informazioni, ma quello era un lavoro top secret, e l’unica cosa che ottenne furono diverse chiamate alla sicurezza per farla uscire dall’edificio. Aveva persino provato ad introdursi, tramite il portatile di suo padre, alla rete informatica della CIA, ma lei non era un esperta di computer, se la cavava e basta giusto per semplici lavori, e quando aveva capito che poteva lasciare tracce del suo passaggio aveva lasciato perdere. Adesso aveva una nuova possibilità, che appariva tanto potente quanto distruttiva, ma anche lì non sapeva da dove cominciare. Decise che avrebbe dovuto sapere di più su quel fantomatico Death Note.
“Dimmi, qual è la fregatura? Cosa succede se faccio fuori una persona con questo?”, e sventolò il sottile quaderno sotto le zanne di Ryuk.
“B’è… prima di tutto, devi stare molto attenta”, cominciò Ryuk prendendo un’altra mela, “perché chiunque tocchi il Death Note potrà vedermi e sentirmi. Se lo usi, alla tua morte non accederai né al Paradiso né all’Inferno. Andrai nel Mu.”
“Che cos’è il Mu?”, domandò Annika, già orripilata solo all’idea.
“Nulla. E’ una specie di limbo.”
“E poi? C’è altro?”
“Mh… per il modico prezzo di metà della tua vita potrai avere gli occhi di uno Shinigami, e conoscere il nome di una persona non appena la vedrai in faccia.”
Annika sbuffò. “Non sono così disperata. E di sicuro non mi servono per ora.” La ragazza lanciò il quaderno sul tavolo e si mise le mani nei capelli. Non poteva essere accaduto sul serio: doveva saperlo fin dal principio che non era sano stare troppo davanti al pc, così come lo erano tutte le pizze che aveva mangiato: alla fine era diventata pazza. “Non mi va di andare nel Mu”, disse, traendo le sue conclusioni. Sospirò e guardò Ryuk. “Mi piacerebbe solo poter sapere a cosa lavorava mio padre, poi potrei decidere se ne vale veramente la pena.”
“Ti servirebbe conoscere qualcuno che può avere queste informazioni.”
“Quello della CIA era papà, non io. Nessuno mi dirà nulla, nemmeno il suo migliore amico.”
“Ah, ma io credo di avere un modo: devi solo trovare la persona adatta.”
Annika alzò lo sguardo, certa che ci fossero altre complicazioni. “Davvero?”, domandò scettica, “Cioè?”
“Perché non vai a cercare L?”
Annika sbuffò. “Che ne sai tu di L? Magari potessi trovarlo così facilmente.”
“Ho avuto l’occasione di incontrarlo, una volta, e anche lui dovrebbe ricordarsi di me. Ne conserva la memoria.”
“E chi mai potrebbe scordarsi di te?”, domandò Annika con una smorfia.
Ryuk ridacchiò. “Se tu decidi di rinunciare al Death Note e non usarlo mai più perderai tutti i ricordi su di esso.”
“Quindi... vuoi dire che L quando ha smascherato Kira è venuto a sapere tutto sul Death Note?” Annika riordinò le idee.
Da quasi un anno di Kira non si sapeva più nulla, il mondo stava lentamente ritornando alla normalità. Alcuni credevano che si fosse solo preso una pausa, altri che fosse scomparso così misteriosamente com’era venuto. Ma la polizia non aveva detto nulla riguardo alla sua morte o alla sua cattura, così il mondo proseguiva in congetture azzardate.
“L ha smascherato Kira quindi. Sa tutto del Death Note e si ricorda di te. E Kira?”
“Morto.”
“Menomale.”
“Quindi? Hai deciso cosa vuoi fare?”
“Puoi portarmi da L?”
“Posso dirti dov’è adesso, ma non ti dirò chi è né qual è il suo nome.”
“Perché no?”
“Potresti minacciarlo di ucciderlo con il Death Note, in quel caso è compito tuo scoprire il suo nome. E ti dirò: non è un compito facile.”
Annika ci rimuginò su. In fondo, che cosa aveva da perdere? Se non lo avesse trovato almeno poteva dire di averci provato, e se lo avesse trovato avrebbe fatto un grande passo avanti. “All’utilizzo di questo tuo quaderno ci penserò dopo, per ora dimmi dove si trova L.”
“Whammy’s House. Londra.”

La vigilia di Natale fu un giorno impegnativo per Annika Tempor. Andò in banca a ritirare dei soldi, prenotò via internet un posto su di un aereo di linea che partiva dall’aeroporto internazionale Boston Logan e atterrava a Londra, Heathrow. Poi fece le valigie, riempiendo un grosso borsone del peso di 13 kg e 8 che avrebbe fatto imbarcare, e un bagaglio a mano che conteneva il portatile del padre, soldi, documenti, un cambio d’abiti, un libro, il manoscritto che stava revisionando a mano, il pacchetto di Pall Mall, un paio di mele e un pacchetto di grissini.
Dopo aver scoperto che il mostro doveva restare appiccicato a lei almeno finché non rinunciava al Death Note o fino alla sua morte, aveva chiesto a Ryuk se avrebbe viaggiato nell’aereo o l’avrebbe terrorizzata facendosi vedere ogni tanto svolazzare fuori dagli oblò, al che lui aveva risposto: “Non ho mai viaggiato in aereo.” Il che non rispondeva assolutamente alla domanda di Annika, ma preferì non continuare il colloquio. Era già abbastanza irritata con Ryuk a causa della giornata infernale che le aveva fatto passare: in giro per tutta la città facendo finta di non vedere né sentire quel mostro chiacchierone che la distraeva di continuo. Era sicura di aver fatto almeno un paio di figuracce per starlo a sentire.
Annika Tempor uscì di casa con largo anticipo il 25 di Dicembre, diretta all’aeroporto. Arrivò tre ore prima della partenza del suo volo e rimase ad attendere per un ora e mezza, con qualche pausa ogni tanto per fumare una sigaretta, andare in bagno, o nascondersi in un angolo per far mangiare Ryuk. Poi imbarcò la valigia, fece il check in e rimase in attesa, rileggendo attentamente il suo manoscritto. Quando il volo partì non era per nulla nervosa, aveva viaggiato altre volte e l’unica cosa che davvero la preoccupava era che Ryuk combinasse qualche guaio. Quando erano ormai a duemila metri d’altezza, guardando Ryuk con al coda dell’occhio che ficcava la testa fuori dall’aereo si diede della stupida: lei non era certo responsabile per un dio della morte, che di sicuro doveva essere molto più vecchio e responsabile di lei.
Atterrò all’aeroporto di Heathrow alle sei e ventidue del pomeriggio del giorno di Natale, chiamò un taxi e si fece portare nel pieno centro città, in Osborne Street numero 17. La Whammy’s House. Il taxi l’abbandonò nel freddo del tardo pomeriggio londinese, davanti al cancello in ferro battuto.
L’edificio a parere di Annika era cupo e solitario, a vederlo chiunque avrebbe detto che si trattava di un luogo inospitale e triste. Decise che non voleva entrare subito, si rifugiò nell’unico caffè che trovò aperto a Natale, gestito da un vecchio dall’aria burbera, e accese il pc. Dopo una breve ricerca su internet apprese che la Whammy’s House era un orfanotrofio, fondato dall’inventore -recentemente deceduto- Quillish Whammy nei primi anni sessanta. L’edificio ospitava 245 stanze per bambini e ragazzi, singole o doppie ognuna completa di servizi, più di 15 alloggi per il personale che desiderava alloggiare sul posto di lavoro, ed inoltre era fornito di una vasta biblioteca, 20 aule, compresa quella ospitante i computer, una mensa, le cucine, degli spazi riservati alle attività ricreative e anche una piccola cappella. Annika apprese che ai bambini veniva data un’istruzione molto buona, ma non riuscì a trovare nient’altro che riguardasse l’orfanotrofio a parte alcune leggende metropolitane: a quanto pareva potevano accedervi ragazzi e bambini con un quoziente intellettivo pari a quello di Einstein, ma non si sapeva nulla di concreto riguardo a queste peculiarità dell’orfanotrofio. Il tutto risultava molto contraddittorio. Perché aprire un orfanotrofio per bimbi intellettualmente dotati e non farlo conoscere al mondo intero? Quanti orfani superdotati dovevano esserci in giro per il mondo? Di sicuro abbastanza perché la Whammy’s House ricevesse ingenti sussidi da parte del governo. Ai governi piace avere dei geni sul loro territorio, ancora di più se sono geni controllabili come dei bambini. Annika arrivò alla conclusione che la Whammy’s House doveva aver ospitato L da bambino, e che per qualche motivo ci era tornato. Si alzò dal tavolo, pagò il suo caffè macchiato e uscì, con Ryuk che la seguiva da vicino.
Camminando verso l’orfanotrofio si rivolse allo Shinigami: “Ryuk, anche se vuoi mantenere un profilo basso in questa storia, non è che potresti dirmi qualcosa in più su questa Whammy’s House?” Le sembrava di dover entrare in un covo di persone pericolose, quelle storie dal taglio misterioso l’avevano suggestionata.
“Ti dirò una cosa fondamentale, che non sa nessun’altro. Sai perché la Whammy’s House ospita bambini con intelligenza superiore al normale, e perché è così riservata?”
“Perché?”
“Perché ci è stato L. E adesso negli orfani ospiti di quel posto cerca un erede. Per questo tutti là dentro usano degli pseudonimi.”
“Pseudonimi.”
“Si. I loro nomi non sono registrati da nessuna parte. Metti caso ad esempio che un bambino venga abbandonato dalla famiglia, e arrivi ad un orfanotrofio con il nome di… Timothy Ulrich.”
“Si”, disse Annika concentrata.
“Se per caso venisse trasferito alla Whammy’s House non verrebbe registrato, tutto qui. Timothy Ulrich esisterebbe ancora sì, ma per gli anni trascorsi alla Whammy’s House, se facessimo su di lui un’attenta ricerca, non troveremmo niente, ci sarebbe un buco nella sua vita. Tutti i bambini che sono lì dentro… è come se non ci fossero, in realtà. Non esiste alcun tipo di documentazione su di loro.”
“Cioè… la Whammy’s House  educa bambini intellettualmente dotati senza che nessuno ne sappia nulla?”
“Esattamente.”
“E hanno un soprannome.”
“Per non far sapere a nessuno la loro identità.”
“Nel caso diventassero eredi di L.”
Annika era arrivata di nuovo di fronte all’edificio, che adesso aveva acquistato un nuovo, inquietante significato. Una orfanotrofio fantasma, che di fatto non esisteva. O meglio, non esistevano i suoi inquilini. Un orfanotrofio infestato dai fantasmi.
Non importava, Annika era lì per ben altro motivo. Doveva trovare L e convincerlo a dargli una mano. Forse con l’aiuto e i suggerimenti di Ryuk avrebbe anche potuto avere qualche vantaggio in più. Il fatto che fosse coinvolto lo Shinigami doveva far pensare al detective che ci fosse anche un Death Note, e se in giro ce n’era uno L non poteva restare impassibile. Forse avrebbe avuto paura di lei. In effetti non era sua intenzione spaventare il più grande detective del mondo, al contrario doveva essere gentile.
“Ryuk, ti spiacerebbe non farti vedere da L per il momento?”
“Devo starti vicino.”
“Non ti dico di andartene dall’altra parte del mondo. Solo, lontano da L.”
“D’accordo.”
“Grazie.”
Annika guardò un secondo l’edificio, poi suonò il campanello.




















Ed ecco qui per voi, miei piccoli Shinigami, il primo primissimo capitolo della storia!

Spero vi sia piaciuto questo cambiamento improvviso e radicale di scena. Mi serviva per andare ad introdurre il nuovo personaggio. Ho pensato che una ragazza, in questo mare di feromoni maschili, ci stesse bene, giusto per dare un tocco di femminilità (anche se Annika è tutto fuorché femminile, verrà descritta nel prossimo capitolo). Riguardo a questo personaggio vi chiedo un favore enorme: dovete assolutamente dirmi se è ben costruito. Insomma, ho paura che possa essere una Mary Sue coi fiocchi, anche perchè ha già due caratteritiche tipiche della Mary Sue DOC: è ricca, è intelligente. L'unico modo in cui giustifico queste peculiarità della mia creatura è:
-primo; è ricca perchè suo padre è della CIA. Mi pare che li debbano pagare bene quelli, altrimenti chi glielo fa fare di rischiare la vita ogni due per tre?
-secondo; volevo che fosse al livello intellettuale degli altri protagonisti, altrimenti ce li vedo benissimo i quattro geni dell'orfanotrofio a declassarla come mente inferiore. Che cattivoni! u_u
Spero che quando il personaggio verrà descritto meglio potrete capire se è fatto bene si o no ^^
La scena fra Annika e Ryuk è stata abbastanza complicata da scrivere, perchè proprio non riuscivo ad immaginare come si può reagire in una situazione del genere (sapete com'è, mai avuto uno Shinigami in casa XD). Insomma, alla fine ho fatto civilmente parlare i due senza troppi sconvolgimenti emotivi del tipo "Oddio, c'è un mostro nel mio salotto, non è possibile", e ho preferito concentrarmi sulla faccenda del padre di Annika.
A parte questo vorrei precisare che questo primo capitolo si svolge a Natale, mentre il Prologo era ambientato in primavera. E' molto importante il tempo trascorso, ma si capirà più avanti il perchè.
Riguardo alla notizia sugli uomini che diventano Shinigami, devo ammettere di non essermelo inventata del tutto. A questo punto della lettura c'è un'avvertenza: spoiler sullo speciale da due ore di Death Note. Nella puntata aggiuntiva uno Shinigami mai visto prima d'ora parla con Ryuk. Alcuni hanno ipotizzato che si tratti di Light. Allora ho pensato: nel caso Light fosse diventato Shinigami, perchè non fare che gli Shinigami sono uomini ormai morti scelti a caso per diventare dèi della morte? E così è nata l'idea di Stephen Tempor.
Un punto saliente: la Whammy's House non si trova a Londra, bensì a Winchester. E' vero, è imperdonabile. Non so come giustificarmi per questo, non c'è una vera giustificazione, ho dato per scontato che fosse lì... non so bene per quel motivo. Comunque la collocazione dell'edificio è ben poca cosa nella storia. Le notizie riguardo alla costruzione sono inventate, ovviamente, siccome non ci è dato sapere nulla di particolare sull'orfanotrofio.
Vorrei fare una piccola precisazione: Light è morto. Me l'hanno chiesto e, nel caso qualcun'altro volesse avere la certezza, lo dico qua così lo leggete tutti.
Vi lascio lo spoiler al capitolo due: se siete curiosi cliccate qui.

Bene, ringrazio moltissimo le due persone che hanno commentato il Prologo, e spero che qualcuno si aggiunga nello scrivere anche solo un piccolo parere ^^ Tutto è bene accetto e risponderò sicuramente!

A Lunedì prossimo miei piccoli Shinigami! Mi raccomando, tante mele altrimenti poi andate in astinenza! XD Ciao ciao!
Patrizia
   
 
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