Oltre le colonne di pietra lo spazio era completamente immerso
nella luce nera. Le dimensioni si fondevano e si mescolavano, rendendo
impossibile definire la profondità e lo spazio. Quel nero brillante si
estendeva tutto intorno a loro, intrappolandoli nella sua indeterminatezza. Era
come camminare nel vuoto, anzi sul
vuoto. Sotto di loro avvertivano chiaramente qualcosa di solido, ma era
impossibile distinguerlo da tutto il resto. Avanzavano praticamente alle cieca,
un passo dopo l’altro, pur senza avere l’impressione di procedere. Nulla in
quel limbo cambiava o si muoveva.
Vergil camminava in fretta, incurante di dove lo stessero conducendo i suoi
passi. Il libro gli aveva detto che doveva perdersi e così avrebbe fatto.
Quella luce oscura era impregnata di quell’odio senza fine che aveva percepito
quando l’aveva toccata la prima volta, ma il sentimento non lo aggrediva più
come aveva fatto all’inizio. Gli scivolava sopra, avvolgendolo in un abbraccio
gelido ma al tempo stesso confortante. Non si era mai sentito più a suo agio di
così, con quell’emozione così oscura che cullava la sua anima con una dolcezza
inquietante. La confortava, la accarezzava. Odio, rabbia, rancore,
risentimento, dolore, collera non erano mai stati così tremendamente sublimi.
Un vero incanto, un’oscura melodia soggiogante che si avviluppava intorno a
lui, stregandolo. Sentiva che stava lentamente perdendo la percezione di ciò
che lo circondava, che la sua mente stava pian piano scordando ogni cosa, ma
lui non riusciva a lottare contro quel dolce senso di oblio, quasi non gli
importava farlo tanto agognava di cadere in quella sensazione di buio
smarrimento. Avvertiva che, più essa aumentava, più la distanza che lo divideva
dal potere che tanto desiderava diminuiva. Più la sua anima si abbandonava a
quello stato più lui si sentiva bene, più la sua sicurezza aumentava, più il
caos del suo spirito si calmava, più la sua sete di onnipotenza si placava.
Perché perdendo coscienza di sé gli pareva di acquisire quella della totalità
degli universi.
Aggrappato a lui, Magornak era invece completamente terrorizzato. Si sentiva
risucchiare verso il basso, come se delle mani invisibili e gelide lo stessero
strattonando sempre più giù, e aveva una dannata paura di cadere, anche se era
conscio di avere un qualche tipo di pavimentazione sotto i piedi. In più
quell’atmosfera oscura gli riportava alla memoria i suoi ricordi peggiori,
immagini di sangue e violenza, di solitudine e impotenza, di delusione e
scoraggiamento. Tutte emozioni che avrebbe dovuto evitare se voleva riuscire
nel compito che si era assunto. Il suo unico conforto era avvertire il corpo di
Vergil di fianco al suo. Doveva essere forte se voleva aiutare il suo
protettore. Non doveva assolutamente cedere.
All’improvviso, un lampo di luce più forte degli altri li avvolse e loro si
ritrovarono in un’altra grotta immensa, al cui interno si attorcigliavano file
su file di corridoi di pietra che si muovevano di continuo, in una danza
sfrenata, scontrandosi, attraversandosi, intrecciandosi e delineando così una
progressione di forme in contiua evoluzione, senza sosta. Il Labirinto della
Perdizione. E al centro di quell’immensa struttura giaceva Kasreyon. La si
percepiva chiaramente, quasi come se fosse lì, ad un passo da loro. Il
demonietto alzò istintivamente lo sguardo verso il giovane e vide con orrore
che i suoi occhi si erano tinti di un rosso sangue intenso, pupilla compresa, e
brillavano minacciosi nella semi oscurità. Sul viso del mezzo demone era
dipinto un ghigno soddisfatto e il suo sguardo sembrava perso nel vuoto, quasi
come se non si accorgesse di quello che gli stava accadendo intorno. La
creaturina tremò. Vergil stava già iniziando a perdersi. Ed erano solo
all’inizio del Labirinto. Doveva fare qualcosa. E subito.
“Ricordagli
di chi è figlio, chi era sua madre. Rammentagli che suo fratello lo sta ancora
cercando e che la strada è ancora aperta per lui”. Le parole di Reiyel
gli echeggiarono nelle orecchie, quasi in risposta alla sua muta richiesta di
aiuto. E va bene. Avrebbe parlato. Senza mai fermarsi. Per tutto il tempo del
percorso, se fosse stato necessario. Prese fiato. Prima Sparda, poi Dante.
Sparda, Dante. Sparda, Dante. Le parole gli fluirono dalla bocca molto più
facilemente di quello che aveva creduto: commenti, pensieri sparsi, aneddotti
inventati, dubbi, curiosità, domande. Era più che consapevole che il suo
protettore non lo stava ascoltando, almeno non del tutto, ma sapeva anche che
non poteva permettersi di smettere di parlare, che non doveva per nessun
motivo. E così proseguì il suo monologo mentre imboccavano l’entrata del
Labirinto, incurante di tutto quello che avrebbe potuto succedere di lì a poco.
Vergil abbassò per una frazione di secondo lo sguardo su di lui, ma le sue
iridi rosse erano incapaci di vederlo. Davanti ad esse si estendeva ancora quel
misterioso universo di luce nera e potere vibrante. Avvertiva la sua voce, ma
era come lontana, come se il suo protetto non fosse lì di fianco a lui ma gli
stesse parlando da un luogo estremamente distante. Gli arrivavano solo parti
del suo discorso, e in particolare nella sua mente annebbiata risuonava chiaro
il nome di Sparda. Suo padre. Sapeva che addentrandosi in quel Labirinto stava
firmando irreversibilmente l’atto del suo tradimento verso la volontà di colui
di cui era figlio e che era stato per lungo tempo il suo modello, ormai definitivamente
tramontato nelle Ombre. Quella consapevolezza gli faceva male, gli riportava
nell’anima i sensi di colpa per tutto quello che era accaduto, ma al tempo
stesso evocava in lui una serena rassegnazione che non aveva mai provato prima.
Era come se stesse lentamente accettando uno dopo l’altro tutti i suoi sbagli,
gli errori che per lunghi anni non era mai riuscito a perdonarsi. Restavano
solo un desiderio sfrenato di libertà da quel tormente interiore e un odio
incontrollato che esigeva di essere sfogato. La morte di sua madre, la sua
debolezza così maledettamente umana, il tradimento che aveva scelto più o meno
conscietemente di compiere, la sofferenza che aveva causato a suo fratello in
tutti quegli anni affondavano lentamente nelle tenebre che avevano invaso la
sua mente.
‘Dante…’. La voce di Magornak aveva iniziato a parlare anche di lui. Commenti
confusi, osservazioni che lui non riusciva ad afferrare. Qualcosa sul fatto che
lo stava venendo a prendere, ne poteva essere certo, sul fatto che voleva
salvarlo. Ma salvarlo da che cosa? Il mezzo demone scosse il capo, confuso. Lui
non aveva bisogno di essere salvato. Se la cavava benissimo da solo. Stava per
ottenere il potere che aveva desiderato da sempre. Lo sentiva fluire lentamente
dentro di sé. Presto non avrebbe più avuto bisogno di niente e nessuno. Doveva
solo lasciarsi sprofondare sempre di più in quell’abbraccio gelido.
Un’immagine gli si affacciò improvvisa alla mente con una nitidezza accecante
fra i contorni confusi dei suoi pensieri. Il ricordo di un avvenimento di
qualche ora prima. Dante che lo tirava fuori dal buio soffocante che prima lo
aveva incatenato e poi aveva cercato di inghiottirlo. Quel freddo, quelle
sensazioni, quella forza oscura…Qualcosa dentro di lui scattò, strappandolo da
quell’esaltante stato confusionale e riportandolo bruscamente alla realtà. Le
emozioni che stava provando, a cui si stava abbandonando erano le stesse che
aveva provato nei momenti in cui la voce gli aveva tolto la padronanza di sé.
Meno violente, più intense ed inebrianti, ma erano le stesse, ne era sicuro.
Come aveva potuto non accorgersene? Quella voglia crescente di onnipotenza non
era altro che la brama insaziabile di potere che lo prendeva quando perdeva il
controllo. Intuendo di colpo cosa gli stava accadendo, abbassò lo sguardo su di
sé: la materia informe che costituiva la prigione di luce in cui era
intrappolato aveva iniziato ad avvolgergli le braccia e le gambe e strisciava
impercettibilmente verso l’alto, determinata ad inglobarlo. Vergil strattonò
violentemente i fasci di tenebre, cercando disperatamente di liberarsi, mentre
avvertiva la rabbia crescere dentro di lui. Non l’avrebbero avuto, non glielo
avrebbe permesso.
Mentre di dibatteva tra quei tentacoli che avevano iniziato a soffocarlo, dalla
luce nera iniziarono ad emergere delle figure spettrali: persone coperte di
sangue e con il corpo orribilmente deturpato, demoni dall’aspetto spaventoso,
ombre dai contorni indefiniti. I suoi incubi, le sue vittime, i suoi sensi di
colpa. Quei volti pallidi, quegli sguardi di tacita accusa. Le persone che
aveva strappato alla vita fin da quando
era ragazzino, durante tutto il corso della sua tormentata esistenza, di
propria volontà o costretto dalla situazione. Poi, tra di essi, una figura.
Come non riconoscerla, come aver dimenticato il colore candido di quel vestito,
seppure ora strappato e quasi invisibile sotto il rosso del sangue, quei lunghi
capelli biondi incrostati dal liquido vermiglio? Sua madre. Eva tese un braccio
verso di lui, la carnagione resa ancora più bianca dalla morte, gli occhi
addolorati che parevano chiedere: “Perché non mi hai salvata, Vergil?”. Il
mezzo demone si sentì soffocare sotto il peso di quello sguardo e si dimenò con
più forza, urlando per la frustrazione e la rabbia, ma invano. I tentacoli
oscuri continuarono ad avvolgerlo sempre di più, mentre la loro forza cresceva
con la sua disperazione e i suoi sensi di colpa.
Magornak capì immediatamente che la situazione, per qualche motivo a lui
sconosciuto, stava precipitando. Di fianco a lui Vergil si era irrigidito e
aveva accelerato ancora di più il passo. E poi avevano iniziato ad apparire
quelle cose. All’inizio non riusciva
a distinguerle molto bene, i loro contorni erano sfocati, ma poi le figure
erano andate facendosi sempre più
definite. Sbucavano dalle pareti e dal pavimento, li accerchiavano e li
seguivano. Non riusciva a capire se volessero attarcarli o cosa dal momento che
si limitavano a fissarli e a seguirli a distanza, mostrandosi in tutto il loro
orrore spettrale. Avanzando si lasciavano dietro una scia rossastra, come il
sangue rappreso, che emanava un insopportabile puzza di morte. Il demonietto
sbiancò, terrorizzato, e perse il filo del discorso che stava facendo,
dimenticandosi per un istante dov’era e perché. Dentro di lui rimase solo uno
strano terrore che gli gelò il corpo, stringendolo in una morsa paralizzante
che gli spezzava il respiro. Quegli spettri lo spaventavano non tanto per il
loro aspetto, quanto più per le loro aure. Non erano oscure come quella di
Kasreyon, ma non era neanche tanto quello a preoccuparlo: avevano tutte
qualcosa di terribilmente familiare, anche se stravolto. Il suo sguardo si
spostò di istinto sul suo protettore. Quei mostri in qualche modo venivano
fuori da lui. Brividi di paura gli corsero lungo la schiena. Com’era possibile
che fosse proprio Vergil ad evocare quelle cose
tanto intrise di buio? No, il mezzo demone non era così, lui lo sapeva, non
poteva essere. Era tutta colpa di quel maledetto Labirinto, di quella dannata spada,
volevano portarlo via da lui, rinchiuderlo per sempre in un Buio dove nessuno
avrebbe potuto raggiungerlo. E il problema era che ci stavano riuscendo.
All’improvviso il fantasma insanguinato di una donna si parò davanti a loro,
più vicino degli altri. Il demonietto la fissò a metà tra lo spaventato e
l’incantato: in vita doveva essere veramente bella, con i lunghi capelli
biondi, che apparivano così morbidi nonostanti i grumi di sangue che li
incrostavano, e i lineamenti del volto che ancora trasmettevano un mesta
dolcezza. Le iridi viola di Magornak incontrarono quelle vuote e opache di lei
e lui sgranò gli occhi, incredulo: erano gli stessi occhi di Vergil, non poteva
sbagliarsi. Certo, privi della freddezza che caratterizzava lo sguardo del suo
protettore, ma erano gli stessi, li avrebbe riconosciuti tra mille. Quindi
quella donna doveva essere…la sposa di Sparda. Cosa ci faceva lei tra quei
mostri? E perché aveva quell’espressione così inquietante e straziata? Aveva un
brutto presentimento.
In quell’istante, quando erano appena a qualche metro dalla figura, Vergil si
bloccò di scatto, interrompendo le sue riflessioni. La creaturina alzò lo
sguardo sul mezzo demone, preoccupato. Il giovane guardava fisso il fantasma
come se non potesse far altro che affogare lo sguardo in quegli occhi pieni di
dolore, più pallido del solito.
“Vergil?”azzardò Magornak, con voce quasi tremante.
L’altro parve udirlo e abbassò lo sguardo su di lui, sconvolto e disorientato.
Le pupille erano tornate nere ma ora la cornea di uno dei due occhi si era
diventata color ebano. “Magornak”. Fece una pausa. Il suo tono era incerto,
come se anche solo parlare gli costasse uno sforzo immenso. La stretta dei
fasci di tenebre gli toglieva il respiro. Stava davvero perdendo il controllo. E
sapeva che se fosse accaduto non sarebbe più stato in grado di riacquistarlo.
Avrebbe ceduto alle Tenebre della voce e ci sarebbe rimasto intrappolato per
l’eternità. “Dobbiamo uscire di qui. Subito”disse ansimando. I sensi di colpa
lo stavo soffocando e aveva iniziato a girargli la testa. “Conosco la strada.
Non ti fermare. E se mi fermo io tirami avanti, va bene? Non possiamo fermarci.
O non usciremo da questo posto”.
Il suo protetto annuì mostrando una decisione che in realtà non aveva. Rimasero
a guardarsi, senza che nessuno dei due avesse il coraggio di iniziare la corsa.
Gli spettri si facevano sempre più vicini. Il fantasma di Eva era ormai a pochi
passi da loro e presto avrebbe potuto allungare un braccio e toccarli. Magornak
capì che Vergil non si sarebbe mosso. E allora doveva farlo lui. Prese fiato.
Aveva la possibilità di salvarlo, di dimostrare che poteva essergli d’aiuto,
che poteva saldare il loro debito. Doveva essere forte. Per sé stesso. Per
Vergil. E anche per Mary. L’immagine della ragazza gli diede coraggio. Forse
una volta conclusa quella pazzia, se lei non l’avesse odiato e le circostanze
l’avessero permesso, avrebbero potuto spendere ancora del tempo insieme. Non
poteva certo morire lì. Non l’aveva neanche salutata. Attese ancora un attimo e
poi si mise a correre, tirando con forza il braccio del suo protettore e
costringendolo a fare altrettanto. Vergil passò attraverso lo spettro gelido di
sua madre e quel contatto gli provocò un dolore tale che non potè impedirsi di
urlare. Ma non si fermò. Avvertiva la mano del demonietto stretta nella sua, le
unghie affondate nella sua carne. Aveva una missione da compiere. E soprattutto
aveva una persona da proteggere. Questa volta si sarebbe dimostrato abbastanza
forte. Avrebbe riportato Magornak a casa sano e salvo.
I fantasmi avevano inziato ad inseguirli, tentando di afferrarli. La
creaturina, per quanto corresse veloce, faceva fatica a seguire il mezzo demone
e più volte fu sul punto di cadere per terra. Il giovane strinse i denti. Non
potevano andare avanti così. Se Magornak cadeva quei mostri sarebbe saltati
loro addosso. E sarebbe stata la fine, lui non era abbastanza lucido per
affrontarli. Lo avrebbero ucciso perché la creaturina era un ostacolo verso il
vero obiettivo di quei bastardi. Lui. Le tenebre lo stavano inghiottendo, ormai
avevano ricoperto quasi tutto il suo corpo. Doveva fare qualcosa. Estrasse
Yamato con la mano libera e interruppe la corsa, colpendo lo spettro più
vicino. Quello si dissolse lanciando un urlo terrificante.
Il suo protetto lo guardò confuso, senza capire perché si erano fermarti, ma
lui non gli lasciò il tempo di fare domande: lasciò la presa sulla sua mano, se
lo caricò in spalla e, dopo aver distrutto un altro paio di fantasmi, riprese a
correre. Sentiva una voce che lo chiamava dalla fine del Labirinto. Una voce
molto familiare purtroppo. Ma non poteva tornare indietro. Reiyel era stato
chiaro: non doveva e non poteva voltarsi indietro. L’avrebbe afforntata e vinta
una volta per tutte. O sarebbe morto nel tentativo di farlo. Tanto ormai aveva
capito chi era quella voce. Era stato uno stupido a non arrivarci prima, ma
ormai era tardi. Non aveva più scelta. Gli dispiaceva solo di aver coinvolto
non solo il suo protetto, ma anche suo fratello in quel dannato casino.
Magornak si lasciò trasportare senza reagire, artigliato al giaccone del suo
protettore. Vergil lo aveva praticamente perso in braccio. Se fosse accaduto in
altre circostanze non avrebbe saputo evitare di commentare la cosa. Ma in quel
momento non era decisamente il caso. Ancora una volta era stato il mezzo demone
a salvare lui. Possibile che, qualunque cosa facesse, fosse sempre e solo un
peso? Uno spettro tentò di afferrarlo di lato e la sua stretta gelida lo
riportò bruscamente al presente. Quel contatto gli bruciò la pelle e lui fu
costretto a mordersi le labbra a sangue per non urlare. E no. Non si sarebbe
fatto prendere. Affondò i denti appuntiti in quella mano coperta di sangue e
non lasciò la presa, nonostante quel contatto gli succhiasse le forze, finchè
non fu il fantasma a farlo. A quel punto gli rifilò un pugno sul volto
deturpato, spedendolo lontano da loro. Il mezzo demone gli lanciò un’occhiata
stanca ma incredula e lui per un secondo si sentì fiero di sé. A modo suo,
anche lui sapeva combattere.
Non seppero per quanto ancora corsero tra i muri mobili del Labirinto,
inseguiti dagli spettri. Vergil svoltava sicuro gli angoli, seguendo la voce
roca che urlava, anzi invocava il suo nome. Era come se potesse prevedere
quando il muro si sarebbe spostato e in che posizione si sarebbe messo. Poi,
all’improvviso, una nuova parete di luce nera. Il giovane ci si tuffò dentro
senza attendere un attimo di più e la materia informe li inghiottì con un lampo
accecante che fece disperdere gli spettri. Non ci fu un limbo di passaggio
questa volta. I due furono spediti diretti su un pavimento di fredda e levigata
ossidiana. Una presenza schiacciante, portatrice di una potenza inaudita li
colpì senza preavviso, tanto violenta da spingerli ancora di più contro la pietra
del pavimento. Vergil alzò a fatica lo sguardo, senza essersi ancora del tutto
ripreso, e la vide: davanti a lui, sospesa a mezz’aria, incatenata nel suo
sigillo eterno che pareva scolpito nella luce, c’era la chiave che l’avrebbe
portato a soddisfare finalmente la sua ossessione. L’oggetto di tutti i suoi
desideri, la sua avversaria, la fonte in cui avrebbe dissetato la sua sete di
potere, la voce che tanto odiava, lì, a pochi metri da lui. Kasreyon.
Oltrepassata la porta protetta da Reiyel, Dante e Lady si
ritrovarono nella grotta circolare che introduceva al Labirinto. I loro sguardi
furono immediatamente catturati dalla sfera di luce che splendeva al centro di
essa. La ragazza si ritrasse istintivamente, mentre brividi gelidi le correvano
lungo la schiena. Qualunque cosa ci fosse dentro quella luce accecante le
insinuava dentro un sentimento di paura che andava a radicarsi nel profondo del
suo animo, aggredendolo dall’interno. Il mezzo demone, invece, si fece avanti
finchè le sue dita non incontravano la barriera invisibile che divideva i due
piani di realtà. Oltre quel muro impalpabile c’era l’oggetto che aveva
riportato suo fratello sulla terra, l’essere che lo aveva tirato fuori
dall’Inferno solo per condurlo sull’orlo di un abisso ancora più profondo e che
cercava in tutti i modi di trascinarlo giù con sé. Ma lui non glielo avrebbe
permesso, non avrebbe lasciato che una stupida arma, per quando potente, gli
portasse via Vergil. Aveva atteso dieci lunghi anni nei rimorsi prima che gli
si presentasse una nuova chance. E ora non se la sarebbe fatta scappare.
Estrasse Rebellion e strinse forte l’elsa, mentre si voltava a guardare la
porta del Labirinto. L’ultimo gradino che lo separava dalla resa dei conti.
Oltre quel sentiero si sarebbe decisa non solo la sorte della vita sua e del
suo gemello, ma il destino dell’intero mondo umano.
“Lady”chiamò, distogliendo la sua amica dalla sua lotta interna. Allungò una
mano verso di lei. “Attaccati a me. Non sappiamo quali schifezze infernali
troveremo là dentro e io non voglio che ti accada qualcosa di male”. Tacque per
un attimo, poi riprese: “Voglio che tu mi prometta una cosa. Quando saremo
davanti a Kasreyon o come si chiama, promettimi che prenderai Magornak e ti
farai da parte. È un avversario troppo fuori dalla tua portata. E tu lo sai. Ci
penseremo io e Vergil, se quel pazzo non si sarà già lasciato prendere. In caso
contrario…Me la vedrò io con entrambi, mentre tu ripercorrerai questo maledetto
labirinto. Capito?”.
Lady fissò la mano che le veniva tesa, esitante. Dante le stava chiedendo di
abbandonarlo se le cose si fossero messe male?! Non lo avrebbe mai fatto. Non
avrebbe potuto. “Dante, non…”cercò di ribattere, ma lui la bloccò.
“Lady, prometti. Altrimenti ti lascio direttamente qui”. Il suo tono si era
fatto duro e i suoi occhi erano freddi e decisi come mai li aveva visti. Uguali
a quelli di Vergil. “Non voglio che rischi la vita per me. Hai già fatto
abbastanza. Non posso chiederti anche questo. Cerca di capire. Immagina come
potrei sentirmi se…se qualcosa dovesse andare storto”.
Lei abbassò lo sguardo. Sapeva che il suo amico voleva solo proteggerla, ma lei
non era da meno. Aveva giurato a sé stessa che lo avrebbe aiutato in ogni
situazione e non aveva nessuna intenzione di rinunciare a quella promessa. Lui
temeva per la sua vita, ma anche lei non voleva perderlo. Per nulla al mondo.
Anche a costo di sacrificarsi per lui. Un sorriso triste le increspò le labbra.
Dieci anni prima non le sarebbe neanche passato per la testa di provare una
cosa simile per un demone. E invece
eccola lì, che andava incontro di proposito a un pericolo mortale, solo per
stare accanto al suo infernale
migliore amico. Perché lei amava il cacciatore di demoni, lo amava come se
fosse non solo l’amico più caro che avesse, ma anche come un fratello, un
membro della sua famiglia. Quella famiglia che aveva perso con sua madre ma che
aveva avuto la fortuna di ritrovare nel mezzo demone. E quindi anche Vergil
faceva parte della sua parentela acquisita, che lei fosse d’accordo o meno. Lo
avrebbero salvato insieme.
Afferrò la mano che Dante le tendeva, senza proferire parole e senza avere il
coraggio di guardarlo negli occhi. Il giovane le sorrise mesto e annuì,
stringendo forte la prese sulle sue dita, sicuro che lei avrebbe fatto come voleva
lui. Ma si sbagliava di grosso. Ma, d’altra parte, Lady preferiva tradire la
sua fiducia che abbandonarlo al suo destino. Si sarebbero urlati addosso
concluso l’affare, sempre che ne uscissero vivi, ma andava bene così. Preferiva
sorbirsi i suoi discorsi idioti piuttosto. Un sorrisetto le increspò nuovamente
le labbra. Tanto, se tutto fosse andato bene, forse non avrebbe dovuto neanche
armarsi della pazienza di sopportare le ingiurie di lui: Dante sarebbe stato
troppo preso dalla presenza di Vergil per pensare a lei.
I due si incamminarono verso la parete di luce nera sul lato opposto della
caverna. Di fianco a una delle colonne giaceva ancora abbandonato il codice. La
donna si chinò e lo raccolse, scorrendo le parole antiche, nel tentativo di
trarne fuori un senso.
“Sembra latino medievale”borbottò sbuffando. “Arkham sapeva leggere questa
roba, io mi sono per ovvie ragioni sempre rifiutata di prendere lezioni da
lui”.
Il cacciatore si sporse per vedere le pagine ingiallite. Probabilmente Vergil
l’aveva fatto apposta a lasciarlo lì. Voleva provocarlo perché sapeva che lui
non ci capiva nulla di latino. Bastardo. Rimpianse di non aver seguito con più
attenzione le lezioni di Sparda quando erano bambini. “Anche mio padre ci aveva
insegnato a quella lingua del cavolo, ma io non l’ho mai studiata: copiavo i
compiti di Vergil…Chi poteva immagirnarsi che un giorno avrebbe potuto
servirmi?!”.
La ragazza lo guardò sollevando un sopracciglio. “E Vergil ti lasciava
copiare?”chiese.
“Be’, all’epoca non era antipatico, scontroso ed egoista come adesso. E poi io
sapevo sempre come prenderlo…”rispose Dante con l’aria di chi la sa lunga.
Sorrise appena ripensando a quei tempi così infinitamente diversi dalla sua
attuale situazione. Sembravano immagini di un’altra vita, come se non fosse
stato lui a viverli ma qualcun altro.
Lei trattenne a stento una risata. Non ce lo vedeva il suo amico a convincere
Vergil a fare qualcosa. Per non parlare del fatto che, alla luce di quello che
era quasi certa di aver visto nel salotto della “Devil May Cry”, quella frase
poteva suonare decisamente male.
Il cacciatore di demoni parve intuire i suoi pensieri perché le rifilò
un’occhiata assassina, senza però esprimersi. Non era il momento adatto per
riaprire quel discorso spinoso. “Basta chiacchiere. Non abbiamo tempo da
perdere. Potrai chiedere conferma a Vergil dopo che lo avremo riportato a
casa”sentenziò, spostando l’attenzione dal libro alla porta di luce. Allungò
cauto un braccio fino a sfiorarne la superficie con le dita. Incredibilmente la
sua mano affondò senza incontrare resistenza nella parete in apparenza
impenetrabile. A quanto pare il passaggio doveva essere rimasto aperto dopo che
Vergil ne aveva varcato la soglia. Un flusso di emozioni negative, rapido e
violento, attraversò tutto il suo corpo in un attimo, come una scarica
elettrica, sconvolgendolo. Fece istintivamente un passo indietro, ritraendo di
scatto il braccio. Ancora quelle sensazioni oscure che aveva avvertito lungo la
scalinata. Centuplicate in potenza. Non sarebbe stato facile attraversare
quella barriera maledetta. La vista gli si sfuocò per un attimo e lui si portò
la mano libera alle tempie avvertendo il suo equilibrio vacillare.
“Dante? Ti senti bene?”si affrettò a domandare Lady, preoccupata.
“Sì, tranquilla”rispose lui, sbattendo piano le palpebre. Maledizione. Se
quella luce faceva quell’effetto a lui, cosa avrebbe fatto alla ragazza? “Però
questa roba è pericolosa, sta’ attenta quando la tocchi”.
La donna annuì ed allungò a sua volta una mano verso il portale. Le sue dita
sfiorarono incerte ma decise la luce gelida. L’odio e la rabbia di Kasreyon la
aggredirono, terrorizzandola. Ma a parte questo non avvertì alcun malessere
fisico. Quelle sensazioni, per quanto forti fossero, alla fine le scivolavano
addosso, travolgendola, ma la abbandonavano con altrettanta velocità,
colpendola in ondate continue. Come se in fondo non potessero toccarla.
“Andiamo”disse cercando di farsi forza e tirando al tempo stesso la mano del
suo compagno. “Dobbiamo salvare una persona!”.
Dante annuì, stupito dal fatto che Lady fosse stata turbata da quelle emozioni
in apparenza meno di lui, ma decise di non pensarci e seguì la sua amica
attraverso la parete di luce. Forse, invece, avrebbe dovuto farlo.
Il limbo senza dimensioni li inghiottì nella sua densa atmosfera,
disorientandoli. Lady cercava di camminare guardando dritto davanti a sè, ma lo
sguardo le cadeva inevitabilmente verso il basso, in direzione del vuoto che si
estendeva nero ed informe sotto i loro piedi. Durante la sua scalata di
Temen-Ni-Gru di dieci anni prima aveva già sperimentato la sensazione di cadere
nel vuoto, ma in quel momento era diverso: la volta precedente poteva vedere il
suolo che, seppur lentamente, si avvicinava, mentre adesso la voragine si
apriva infinita sotto di lei. La prima volta sapeva che sarebbe morta nel giro
di poco se non fosse riuscita a trovare un appiglio, ora invece non aveva
neanche la prospettiva di poter frenare in qualche modo una possibile caduta.
Avrebbe continuato a precipitare per sempre. E quella prospettiva la spaventava
molto di più. Strinse istintivamente la mano del mezzo demone in cerca di
conforto. Non doveva pensarci. Presto avrebbe avuto di nuovo un pavimento sotto
i piedi. O almeno così sperava. Rabbrividì. Tutte quelle emozioni negative non
la aiutavano. L’atmosfera buia e intrisa di rabbioso dolore le riportava alla
mente i suoi ricordi peggiori. Gli esperimenti di Arkham, l’ossessione di suo
padre per i demoni, l’immagine straziante del corpo senza vita di sua madre.
Scosse il capo, cercando di scacciare quei pensieri. Avrebbe lottato anche
contro i suoi demoni. Doveva farlo o davvero non ne sarebbero usciti vivi.
Di fianco a lei anche Dante era perso in una sorta di lotta interiore.
Camminava meccanicamente, senza badare più di tanto a quello che gli stava
intorno o al vuoto sotto di lui. Era troppo impeganto a cercare di capire cosa
gli stava succedendo.Non si era mai sentito così strano in vita sua. Era come
se la sua anima si agitasse, presa da una furiosa battaglia contro sé stessa.
Avvertiva qualcosa di oscuro crescergli dentro, ma era sicuro che non
provenisse dall’atmosfera del limbo. Veniva dal profondo del suo animo.
Comunque, qualunque cosa si trattasse, aveva la sensazione che stesse
diventando sempre più forte ad ogni passo.
Prima che potesse capirlo, però, il lampo di luce che segnava la fine del limbo
li avvolse in uno splendore accecante, che li costrinse a serrare gli occhi.
Quando furono in grado di riaprirli, il Labirinto della Perdizione si presentò
a loro in tutta la sua misteriosa imponenza, avvolto dalla semi oscurità e da
una fitta foschia. I muri spessi scivolavano incredibilmente silenziosi nella
loro vorticosa danza e un silenzio sacrale avvolgeva la caverna che li
conteneva. La forza oscura di Kasreyon ora era ben percepibile e con essa tutti
i suoi propositi di vendetta, che si infrangevano su di loro in una tempesta di
emozioni violente.
‘Vergil…Arrivo’pensò il mezzo demone, stringendo i denti, gli occhi fissi
sull’ingresso monumentale della struttura.
I due si scambiarono un’occhiata per farsi coraggio a vicenda e, senza mollare
la presa uno sulle dita dell’altra, presero un respiro e si inoltrarono in quel
groviglio danzante di pietra.
Fu presto chiaro che tra quelle mura in continuo movimento era impossibile non
perdere l’orientamento. Già dopo pochi minuti dal loro ingresso nella struttura
non avrebbero più saputo dire da dove erano entrati. I corridoi che finivano di
percorrere venivano sbarrati dalle pareti di pietra, che parevano voler
impedire loro di ritornare sui propri passi. Sembravano quasi divertirsi a
sbarrare loro la strada costringendoli a fare le deviazioni più improvvise ed
assurde. Non c’era modo di capire se stavano avanzando o tornando indietro, se
stavano proseguendo nella direzione giusta o se stavano irrimediabilmente
girando intorno.
Non ci volle molto perché Dante iniziasse a perdere la pazienza. Sentiva di
provare un odio profondo per quelle mura di pietra che parevano ridere dei suoi
sforzi di trovare una via d’uscita, sentiva il desiderio di sollevare Rebellion
e radere al suolo quel luogo maledetto. Una rabbia violenta aveva iniziato a
bruciargli dentro, una collera repressa che non aveva mai saputo di avere.
Chiuse gli occhi per un attimo, cercando di scacciare quei sentimenti che
aumentavano solo la sua frustrazione e che lo intralciavano, impedendogli di
concentrarsi su quello che doveva fare. Inoltre il turbamento interno che aveva
iniziato a provare fin dall’ingresso nel limbo era andato crescendo, divenendo
sempre più nitido: una brama di distruzione che non aveva mai provato, mista a
quella stessa sete di sangue che leggeva negli occhi dei demoni che combatteva
per lavoro. Quel maledetto Labirinto, o forse l’influenza di quella dannata
spada, stava risvegliando la sua parte demoniaca dandole una potenza tale da
fargli temere che prima o poi avrebbe perso il controllo come era successo a
Vergil. Strinse l’elsa di Rebellion, cercando di respingere quell’istinto che
esigeva violenza e sangue. Le immagini delle stragi compiute da suo fratello
gli invadevano la mente senza pietà. Una parte di lui desiderava ardentemente
che fosse stato lui a compierle, lui ad assaggiare quella carne, lui a godersi
tutto quel sangue.
‘NO!’si impose, scuotendo il capo e riaprendo gli occhi. Non si sarebbe
lasciato schiacciare da quell’oscurità, non avrebbe lasciato che lo prendesse.
“Dante…”la voce di Lady lo riportò bruscamente alla realtà. La ragazza lo
fissava a metà tra lo spaventato e il preoccupato. “Ehm…”.
“Che cazzo c’è adesso?!”rispose bruscamente lui, cercando di simulare il suo
solito caratteraccio per non far trasparire le sue paure. Ci mancava solo che
la sua amica si accorgesse dello stato in cui era. Sperò che il Labirinto non
stesse avendo qualche effetto anche su di lei o sarebbe stata la fine sul
serio. Lui non poteva difenderla. Faceva fatica a tenere a bada sé stesso.
La rispostaccia parve dare alla ragazza un po’ più di coraggio. Almeno era
certa che la persona che le stava accanto era ancora il cacciatore di demoni.
“Dante, i tuoi occhi…”riuscì a dire titubante.
Il mezzo demone la guardò interrogativo e poi volse la sua attenzione sulla
lama della sua spada che gli rimandava il riflesso di metà del suo volto. Sotto
i ciuffi di capelli bianchi l’iride brillava di un rosso sangue intenso. Dante
imprecò pesantemente tra i denti. Forse la situazione era più grave di quanto
pensasse. “Non ti preoccupare, Lady, va bene. Riesco a gestirmi, non finirò
come mio fratello, non temere”rispose dopo un attimo di esitazione. ‘O almeno
lo spero’.
Lei lo guardò scettica e ancora un po’ spaventata. Se il suo amico avesse
davvero perso il controllo per lei sarebbe stata la fine. Non aveva chance
contro di lui in forma demoniaca. E poi convincersi a lottare contro il suo
migliore amico non sarebbe stata una cosa facile, neanche se c’era in gioco la
sua vita. “Spero che non manchi tanto all’uscita perché sinceramente non so
quanto a lungo potrai tenerti a bada. Se non c’è riuscito Vergil figuriamoci se
ci riesci tu!”lo apostrofò.
“Ma che grande considerazione che hai di me! Vergil, mia cara, ha ceduto più
facilmente perché la sua anima è decisamente più nera della mia! Quindi, se mi
permetti, ho più possibilità io di lui di resistere”la rimbeccò il giovane,
quasi offeso. Ma bene. Era tutta lì la fiducia che gli sapeva dare quella che
avrebbe dovuto essere la sua migliore amica?!
“Non lo metto in dubbio, ma conoscendo il livello del tuo autocontrollo…Be’,
scusami se mi preoccupo per la mia sopravvivenza!”.
“Che stai insinuando?! Che io non mi so controllare?!”.
“Diciamo che non è il tuo forte”.
Dante aprì la bocca per ribattere ma fu interrotto. Improvvisamente un’ombra
emerse da uno dei muri e gli si gettò sopra. Lui agì d’istinto: sollevò
Rebellion e trafisse la creatura che si dissolse con un urlo disumano.
I due si bloccarono sul posto. Lady estrasse la pistola guardandosi intorno,
mentre la mano del cacciatore di demoni corse all’impugnatura di Ivory.
“Cos’era quella roba?!”chiese a bassa voce il giovane mentre il grido di dolore
dell’ombra gli risuonava nelle orecchie.
“Non lo so e qualcosa mi dice che non voglio saperlo”rispose nervosamenete la
sua compagna. Quell’affare non era un demone, questo era sicuro. L’aveva visto
solo di sfuggita eppure le era parso che avesse forme decisamente umane. Rabbrividì.
No, non voleva saperne di più.
Ripresero ad avanzare, attenti al minimo rumore o movimento sospetto. Poi,
senza preavviso, il muro davanti a loro si spostò, rivelando un esercito di
spettri. I due rimasero a fissarli inorriditi: mostri, demoni, persone
orribilmente mutilati e coperte di sangue li fissavano con le loro orbite vuote
e al tempo stesso piene di odio e dolore. La puzza di morte li prese a
tradimento alla gola.
“Merda”riuscì a dire il mezzo demone, prima che quelle creature gli si
scagliassero contro.
La lotta si fece disperata fin da subito. Lady svuotava i caricatori su quelle
figure spettrali senza però riuscire anche solo a scalfirle, nemmeno con Kalina
Ann: i colpi si infrangevano sulle creature, che arretravano per il
contraccolpo per poi riprendere inesorabili la loro avanzata verso di lei.
L’unica cosa che riusciva a fare era tenerli a distanza. Molto più efficace
invece si dimostrò fin da subito la lama di Rebellion: un colpo, due al
massimo, e le creature si dissolvevano, lanciando tutte lo stesso grido
inquietante e spaventoso. Gli spettri, dal canto loro, si limitavano a tendere
le braccia verso i due nel tentativo di toccarli. Un paio di volte le dita di
uno di essi raggiunsero il braccio del mezzo demone, infondendogli un gelo spettrale
nell’anima e alimentando la forza della sua parte demoniaca che era ormai così
vicina ad uscire che al giovane pareva quasi di sentire il suo fiato sul collo.
Dante cercava in tutti modi di aprire la strada a sé stesso e alla sua amica
tra quella folla di incubi. Alcuni di loro avevano volti vagamente familiari,
visi di persone che gli pareva di aver già incontrato, ma le espressioni
deformate dall’odio e dalle ferite gli impedivano di collegare quella
sensazione a dei nomi o a delle immagini ben definite.
Solo dopo una serie di furiosi combattimenti i due si ritrovarono finalmente
oltre quella schiera di figure spettrali. Senza bisogno di parlarsi, si volsero
e iniziarono a correre a caso, cercando di seminare gli spettri che si erano
lanciati immediatamente al loro inseguimento. Lady afferrò la mano del suo
amico e la strinse. Dante non era più completamente in sé, glielo leggeva in
faccia. Stava a lei condurlo fuori da quel posto infernale e doveva farlo in
fretta, prima che lui si perdesse del tutto. Il problema era che non aveva la
più pallida idea di che direzione prendere. Iniziava a mancarle il fiato e
faceva fatica a non farsi sopraffare dalla disperazione che le avevano
trasmesso gli spettri. Sentì le lacrime pungerle gli occhi, ma le ricacciò indietro
e strinse i denti, senza rallentare l’andatura. Doveva pensare solo a trovare
una via d’uscita.
Svoltarono un angolo di corsa e la ragazza avvertì il braccio del suo compagno
tirarla fino a costringerla a fermarsi. Gli occhi del mezzo demone erano fissi
su una figura che si era parata loro davanti e il suo respiro si era fatto
veloce e ansioso. La ragazza voltò di nuovo lo sguardo di fronte a sé e i suoi
occhi ne incontrarono un altro paio azzurri, straziati e gelidamente vuoti.
Occhi che le erano così familiari.
Eva tese un braccio verso suo figlio, in un muto rimprovero addolorato. Dante
si portò le mani alle tempie e serrò gli occhi, urlando, mentre la sua parte
demoniaca lo assaltava. Udiva la voce di sua madre che lo accusava di non
averla salvata, di averla lasciata morire. Attraverso le dita con cui si era
coperto la faccia vide lingue di buio strisciargli sul corpo e avvolgerlo, nel
tentativo di soffocarlo. Era finita lì. Si sarebbe perso in quel Labirinto
maledetto e Lady con lui. Avrebbe ceduto alle Tenebre che gli si annidavano
dentro, sarebbe diventato un mostro come quelli che avevano distrutto la sua
famiglia. Vergil aveva ragione: non potevano rinnegare la loro vera natura.
Già, Vergil. Non lo avrebbe salvato, aveva fallito, aveva deluso non solo sé
stesso ma anche tutte le persone che avevano creduto e credevano in lui. Si
sarebbero ritrovati in quell’Inferno oscuro, condannati per l’eternità a
consumarsi nell’Oscurità, senza speranza di rivedere la luce.
Accanto a lui, Lady era come paralizzata. Non riusciva a muoversi e soprattutto
non sapeva cosa fare. Dietro di loro l’esercito di spettri si faceva sempre più
vicino e Dante non dava segno di riprendersi dalla sua crisi. Per un attimo fu
certa che la sua esistenza sarebbe terminata in quel luogo senza che lei fosse
riuscita a concludere veramente qualcosa. Strinse i pugni, frustrata. Era una
fallita, non megliore di quel pazzo di suo padre. O forse no. Ripensò a quello
che aveva fatto negli ultimi anni, alla vita che aveva condotto. Non era stata
il massimo, sempre lottando per trovare i soldi per pagare l’affitto e per
salvare la pelle, ma l’aveva vissuta come si doveva. Trascorsa al fianco di
persone a cui si era legata, con cui aveva condiviso esperienze di ogni tipo.
Tra i suoi pensieri fece capolino l’immagine di Magornak. Il demonietto le
sorrideva in tutta la sua innocente ingenuità. “Che fai, Mary? Non vorrai
lasciarti andare così! Io so che ce la puoi fare. Avanti, io ho bisogno di te e
Vergil ha bisogno di Dante. Glielo devi portare”le parve che le stesse dicendo.
“Ci sono passato io tra quei mostri orribili, figuriamoci se non puoi farlo
tu!”. La voce delle verità. La ragazza si riscosse. Non poteva lasciarsi andare
così. Magornak aveva ragione. Si era data un compito, non poteva mica mollare
alla prima difficoltà. Quel demonietto le aveva ridato forza. Che tempismo.
Meglio di un angelo custode.
“Dante, smettila di fare il coglione, abbiamo qualcosa di più serio delle tue
crisi di identità di cui preoccuparci!”esclamò rivolta al mezzo demone. Vedendo
che lui non pareva averla minimamente sentita, intrappolato tra le tenebre,
Lady scostò le mani e gli rifilò un sonoro ceffone. “Che cazzo fai?! Vuoi
arrenderti così?! Per uno spettro che non è nemmeno reale?! E Vergil? Vuoi
lasciarlo a quella bastarda di Kasreyon? Vuoi che se lo prendano? Non credo! E
allora reagisci, o davvero non potrete mai avere l’idillio amoroso che tu tanto
desideri!”.
Il giovane sussultò preso alla sprovvista dal colpo. Si rese immediatamente
conto di aver quasi ceduto. Ci era cascato. Se non ci fosse stata Lady si
sarebbe perso davvero. Non l’avrebbe mai ringraziata abbastanza. Lottò con
forza contro la sete di sangue e l’odio che lo avevano invaso, la mente
occupata dall’immagine di Vergil e da quella della sua migliore amica. Doveva
farlo per loro. Doveva salvarli, proteggerli. Era l’unico in grado di farlo.
Non poteva rinunciare. Con uno sforzo immane riuscì a ricacciare la sua parte
demoniaca e le tenebre iniziarono a scivolare via dal suo corpo. Sollevò lo sguardo
verso di lei. “Che palle che sei, ancora con questa storia?!”sbottò, irritato
ma con un mezzo sorriso sulle labbra.
La ragazza sorrise a sua volta, anche se doveva ammettere che vedere il
cacciatore di demoni con quegli occhi rosso sangue la metteva a disagio. Faceva
quasi paura. “Ne discutiamo in un altro momento, ora non mi pare il
caso”rispose lanciando uno sguardo a in direzione degli spettri che erano ormai
a pochi metri da loro.
Lui annuì e si voltò a fronteggiare il fantasma insanguinato di sua madre.
Convincersi che non fosse veramente lei gli risultava alquanto difficile. Ma
prima che potesse ricadere nel dubbio, la sua amica lo afferrò e lo trascinò in
un vicolo che si era aperto di fianco a loro, costringendolo a mettersi a
correre e allontanandolo dal suo incubo.
“Dove stiamo andando?!”le urlò il giovane, preso nuovamente alla sprovvista.
“E che ne so?! Verso l’uscita spero!”fu la risposta.
Dante sospirò esasperato. Erano punto e a capo. Avrebbero anche potuto vagare
in eterno per quanto ne sapeva. E prima o poi quei dannati mostri li avrebbero
presi, non potevano fuggire per sempre. Proprio mentre stava per mettersi a
imprecare contro tutto il creato, gli parve di avvertire qualcosa. Ci mise
qualche attimo a capire di cosa si trattava. Era qualcosa che lo chiamava in un
sussurro, una sorta di presenza debole ed impalpabile. Qualunque cosa fosse non
poteva non capire a chi apparteneva. Li avrebbe condotti fuori dal Labirinto,
dritti verso di lui. Strattonò Lady per un braccio, facendole cambiare direzione.
“Che cazzo fai adesso?! Così torniamo indietro!”lo aggredì lei.
“Non ti preoccupare, so dove dobbia andare”rispose lui con calma. Poi, notando
il suo sguardo interrogativo, aggiunse: “Fidati. Mio fratello aveva detto che
ci avrebbe reso le cose più semplici. E io sono certo che lo farà anche
adesso”.
La ragazza lo guardò poco convinta ma non ribattè.
Corsero a perdifiato lungo i corridoi, sempre braccati dagli spettri. La
presenza si faceva sempre più forte e nella mente di Dante si faceva sempre più
chiaro il percorso che dovevano fare. Vergil, non sapeva se volontariamente o
meno, lo stava guidando da lui. Strinse i pugni. Presto sarebbero stati di
nuovo faccia a faccia e lui avrebbe scoperto se sarebbero stati alleati o
nemici nello scontro finale. Una sola cosa era certa: lo rivoleva con lui,
qualunque fosse stato il prezzo da pagare. O avrebbe ottenuto la morte dalla
lama gelida di Yamato.
Finalmente davanti a loro si spalancò l’uscita. Senza pensarci due volte i due
giovani si immersero nella luce nera che li avvolse, trascinandoli lontano dal
Labirinto della Perdizione e dagli incubi in esso racchiusi.
Gli spettri urlarono e si dissolsero tra urla strazianti. Ormai non aveva più
senso esistere per loro: le persone che li avevano evocati erano riuscite a
fuggire. I muri di pietra rallentarono sempre di più la loro danza mentre
l’energia che Damaer aveva infuso a quel luogo maledetto si esauriva per
sempre.
Vergil, tuo fratello è arrivato. È ora di
chiudere la partita. Tu sei mio, nessuno potrà dividerci. Dante, è inutile, tuo
fratello mi appartiene! E tu non potrai farci nulla!
Una risata terribile si innalzò tra le pareti ormai congelate nella loro
immobilità. Erano arrivati allo scontro finale. Ora si sarebbe visto chi
avrebbe trionfato. L’Oscurità o il sangue di Sparda, Cavaliere Oscuro difensore
della luce. Poi un silenzio di morte tornò a regnare sovrano sulle profindità
del Labirinto.
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Hi, guys!!
Sto postando ogni volta sempre più tardi…Ma il fatto è che più l’estate avanza
meno tempo ho per scrivere…c’è sempre qualcosa che mi impedisce di farlo!!
>.
Allora, be’, finalmente un po’ di
cose serie. A momenti perdevamo Vergil per strada. Dobbiamo ammettere che
Kasreyon non è male a usare le ossessioni e l’anima divisa del nostro mezzo
demone contro lui. Fargli vedere tutti quei fantasmi, quello di Eva per primo,
ha rischiato di farlo crollare sul serio. Meno male mai avrei pensato di
dirlo XD che c’è Magornak!! A quanto pare inizia ad essere utile anche lui,
anche se alla fine è Vergil quello che li tira fuori dal casino in cui si erano
cacciati, come sempre d’altra parte. Inoltre il nostro demonietto ha tirato
fuori dai guai anche Dante, sebbene indirettamente presentandosi alla mente di
Lady come incoraggiamento a reagire. Certo che tra tutti e due i figli di
Sparda sono messi malaccio. La loro parte demoniaca da un sacco di problemi.
Infatti Lady non è stata toccata più di tanto dalla luce infernale e dall’aura
di Kasreyon, mentre a momenti anche Dante finiva come suo fratello!! Però
diciamo che anche il nostro cacciatore di demoni si è riscattato riuscendo a
respingere i suoi istinti, cosa che invece sembra essere quasi impossibile per
il suo gemello. Potrebbe culminare in una tragedia tutta questa serie di lotte
interne!! >.
In chiusura abbiamo un nuovo
intervento della nostra spada demoniaca e maledetta che afferma il suo diritto
di proprietà sull’anima di Ver…Arma che finalmente si vedrà in tutto il suo
orrendo splendore nel prossimo capitolo. A proposito, preparatevi
psicologicamente a una possibile tragedia…
Un bacio Xeira_, doc11 e Alice
Mudgarden che sono sempre lì a qualunque ora del giorno e della notte XD, a FiretearsAngel e a Neik!! E ovviamente alla mia Rakelle
adorata (I miss ya!)! Un abbraccio anche a LadyVergil, Bloody Wolf e Pride_, che son sempre lì pure loro
(credo…scherzo XD)! Grazie anche a chi legge e tiene la storia tra le
preferite/ricordate! Scusate l’ennesimo commento inutile ed idiota lungo peggio
della catena degli Appennini…-.-“ Non so trattenermi!! >.
Alla prossima, my dears!
Love,
quella
pazza di Mystic