Non
capitava da anni ormai, che qualche animale ferito urlasse alla luna il suo
dolore nella foresta che circondava la baracca di Bill.
Stava
cenando, un piatto di fagioli caldi e grossi, come piacevano a lui, e tutto
d'un tratto un grido. Un urlo stridulo che lo fece sobbalzare sulla squallida
sedia di legno su cui era seduto. Con il cucchiaio a mezz'aria, la bocca aperta
in un ghigno di disapprovazione, mormorò:
"Accidenti
e ora mi tocca uscire con sto tempaccio a vedere che cazzo succede!"
Posò il
cucchiaio, e si alzò con passo lento e stanco, diavolo, aveva quasi 60 anni
ormai! Non era più un ragazzino. Brontolando come la pentola su cui aveva cotto
i fagioli poco prima, inziò a vestirsi, la sua calda giacca invernale da
cacciatore, prima una manica, poi l'altra. Prese anche il cappello foderato di
piume d'oca e se lo calcò sui capelli brizzolati. Stava per dirigersi verso la
porta, mentre le assi di legno del pavimento scricchiolavano sotto di lui, poi
gettò un'occhiata verso la parete alla sua sinistra e al caminetto che ardeva
calmo e scoppiettante. 'Mi piacerebbe stendermi ora, davanti a quel fuoco, e
invece porco cazzo devo uscire in quella tormenta!' - pensò. Poi alzò lo
sguardo sopra il caminetto, e vide il suo fedele calibro 12 che aspettava solo
che lui lo prendesse in mano, freddo e rassicurante del suo peso mortale. Lo
sganciò dai supporti sulla mensola sopra il camino, poi se l'accollò a mò di
zaino dietro la schiena.
Finalmente
uscì alla luce della luna, luce molto fioca, anzi, quasi inesistente. La neve
turbinava vorticosamente tutto intorno, e poteva sentire l'urlo del vento che
gli mulinava nelle orecchie la solita storia, una storia che conosceva da anni
e credeva di conoscere perfettamente. Intanto gli urli erano cessati. "Chissà
che razza di animale è" - pensò incamminandosi. Riflettendoci sopra un
istante, gli sembrava potesse essere stato un grido umano; ma no, non era
possibile. Era di sicuro un cervo, o una volpe incappata in qualche sua
trappola. Al limite un lupo, volendo essere fantasiosi. Ma di lupi ce n'erano
sempre di meno in quella regione, col passare degli anni. E poi, se fosse un
uomo, con quale cervello avrebbe avuto il coraggio di inoltrarsi nella foresta
con sto tempaccio? No, si disse, doveva per forza essere un animale, ferito e
probabilmente morente.
Sull'onda
di questi pensieri, si accorse di essere già entrato nel fitto della foresta di
abeti che circondavano la sua baracca. Anche il vento pareva calmarsi, quasi si
fosse perso anche lui nel corso dei pensieri dell'uomo. D'un tratto gli si
incastrò il piede in qualcosa nel terreno, e, spaventato, si lasciò scappare un
grido che lo colse alla sprovvista.
Una
maledetta tanta di volpe, dannazione! Era inciampato con la gamba malata,
oltretutto. Rise nervosamente alla sua goffaggine, e pensò che stava
invecchiando. Riprese il cammino, e arrivò alla radura di Yharman. Quella
radura si chiamava così in nome dell'antico capo indiano che si diceva fosse
stato seppellito li, centinaia di anni addietro, quando il tempo si contava a
passo di lune e di tramonti. Su quel piccolo spazio aperto, coperto di erba
verdeggiante e incolta, delimitato circolarmente tutt'intorno dal bosco, si
accorse che c'era qualcosa disteso tra gli steli al centro della radura. Ma era
grosso... Un alce? Non diciamo cazzate Bill, lo sai benissimo che le alci non
arrivano fino a qua. Il primo e ultimo alce che William Perham incontrò in
quella foresta risaliva alla lontana estate del 1965, e quell'anno l'estate era
stata davvero molto calda, e l'alce era venuto fin lì alla ricerca di un posto
in cui potesse trovare riparo dalla calura estiva.
"Non
è un alce, cristo santo" - pensò, mentre apriva la bocca e si sforzava di
scrutare meglio il terreno dinanzi con i suoi poveri occhi stanchi.
"C'è
qualcuno là? Hey!" - gridò, e si spaventò per il suono della sua voce.
Cazzo, sono diventato anche un cagasotto, pensò malinconicamente. Era vero.
Bill ormai si spaventava per nulla, e trasaliva anche solo a guardare una scena
cruenta di un film horror di serie B.
Ma
nonostante ciò, in uno slancio di coraggio, avanzò verso la figura stesa a
terra. Nel mentre, sembrava quasi che la tormenta stesse calando di intensità.
Beh almeno questo, si disse. Arrivò a due metri dalla figura sul terreno, e
quando capì cosa stava fissando, sentì le gambe cedere sotto il peso di quel
corpo non più giovane ed elastico.
"Oh
mio Dio, no..."
Equipaggiò
il fucile e lo tenne spianato. Ma non riusciva a distogliere gli occhi da
quell'ammasso di carne e sangue che giaceva apparentemente senza vita
nell'erba.
"Ma
che cazzo è successo qui, porca..."
Fortunatamente
(o sfortunatamente), grazie alla provvidenziale migliorìa del tempo, Bill
poteva scorgere il corpo straziato di un uomo, vestito da cacciatore, anche se
intrisi di sangue. Era in una posizione innaturale, e... Non aveva braccia.
Probabilmente gli erano state strappate o... morsicate. Poteva vedere la carne
dilaniata e il bianco dell'osso che spuntava in mezzo a quel rosso scuro.
L'uomo era riverso sulla schiena, e sul viso - doveva essere un viso un tempo,
pensò terrorizzato - aveva una specie di apertura, come un grosso cratere che
gli aveva asportato mezza testa.
"Oh
no...Dio no...Che cazzo sta succedendo...!" gridò tremolante nella notte,
e nella sua voce si sentiva una punta di disperazione e panico puro. "Ok,
devo stare calmo, niente panico, col panico non si risolve nien...".
Non
riuscì a finire di mormorare quella frase tra sè e sè che il suo stomaco gli si
ribellò, e respinse al mittente tutti quei bei fagioli che aveva mangiato fino
a poca fa. Si girò rapidamente, e cadde carponi mentre il primo conato gli
squassava il ventre. Vomitò tutto, e nel chiarore della notte gli sembrò pure
che iniziasse pure ad espellere bile. Gli sembrava dovesse vomitare anche
l'anima. Poi finì, e, sfinito, si rimise in ginocchio e riprese fiato. Si girò
a guardare il morto, era ancora là, orrido e sventrato, con la faccia scavata e
terribilmente straziata, no, non era un brutto sogno. Sentì il panico
percorrergli nuovamente il corpo, e si rimise in piedi mentre teneva il fucile
spianato per proteggersi da eventuali sorprese. Qualsiasi cosa avesse attaccato
quell'uomo, poteva essere ancora lì intorno, poteva anche stare a osservarlo
anche in questo momento, famelica e assetata di sangue.
"CHI
CAZZO C'E' QUA? EH?! ESCI FUORI FIGLIO DI PUTTANA! CHI TI HA DATO IL PERMESSO
DI VENIRE A SCASSARE IL CAZZO A ME, FIGLIO DI PUTTANA! ESCI FUORI!" - ma
si rendeva conto di essere patetico. La sua presa sul fucile tremava, ed aveva
iniziato pure a sudare, nonostante i 2 gradi di quella notte. Si girava di
continuo, compiva rapidi spostamenti circolari su sè stesso cercando di
sforzarsi di tenere sotto controllo la situazione, guardando a 360° intorno
nella radura. Lentamente, si era riavvicinato al margine della foresta da cui
era arrivato allo spiazzo... Si girò di nuovo verso il corpo, da lontano
sembrava ancora una massa informe e immobile... Represse un altro conato,
mentre cercava di non ricordare quel volto sfigurato...Ma sapeva che l'avrebbe
sognato fino alla sua morte. La paura era ancora a livelli estremi, si appoggiò
ad un albero con la spalla, e adesso gli doleva la gamba malata, quella destra,
che anni prima aveva subito un delicato intervento chirurgico, e che con l'età
non era mai andata completamente apposto.
"Oh
no, non ora, porca puttana! Non ora cazzo!"
Il
dolore divenne insopportabile, e nel giro di due secondi cadde riverso sul
terreno, mentre cercava con le mani di lenire quella fitta al ginocchio. Cerco
di rimettersi in piedi, ci provò, ma la gamba era bloccata. Niente da fare
vecchio mio.
Sentì
dietro di lui qualcosa muoversi nel sottobosco.
Si
immobilizzò. Fermo, come una statua, pronto a cogliere il minimo rumore. Gettò
sguardi alla sua destra e alla sua sinistra, poi lentamente cercò di recuperare
il suo calibro 12, che l'aveva lasciato cadere quando si era presentata la
fitta. Mentre stava per raggiungerlo, ecco, era li, prima con un dito, poi
avvicinandolo gli mise sopra l'intera mano... E poi sentì uno sbuffo caldo
sulla sua guancia. Paralizzato dal terrore, si accorse della presenza di un..
qualcosa di fianco a lui, terribilmente troppo vicino. Con una lentezza
onirica, William girò la testa. E fu così che vide quello che sembrava una
specie di cane, ma non lo era propriamente... Era molto più grosso, con una
testa nera senza occhi nè orecchie. Solo una grossa mascella aperta munita di
denti lunghissimi e dai quali pendevano ancora brandelli di carne, il fiato
caldo che quella bestia emetteva odorava di sangue, e di paura... Un terrore si
impadronì di Bill, che temette di essere sul punto di svenire, poi la bestia
grugnì di soddisfazione, mentre fulminea si accingeva a mordere la testa di
Bill. In un gesto disperato, l'anziano cacciatore cercò di ripararsi il viso
con il braccio e il fucile che teneva in mano, ma invano. Il cane-bestia
affondò le sue grosse fauci nella testa di William Perham, il quale si sorprese
di sentire lo scricchiolio scomposto delle sue stesse ossa facciali che si
frantumavano sotto il morso potente della Cosa. Non ebbe nemmeno il tempo di
urlare, che dopo un lampo acceccante tutto divenne nero, nero come il cielo che
stava sopra di lui, nero come il pelo del cane-bestia che intanto continuava a
"sgranocchiare" la testa di William, ... Nero come la morte che
s'impose sulla sua vita, senza speranza, una morte annullatrice e violenta,
sotto turbini di neve e chiarore fioco di luna, e tutto continuava, la neve
cadeva, e il vento fischiava e portava lento, ululando, presagi oscuri.