Prologo.
La vita – quella vera – doveva solo iniziare.
Fino
ad allora quello che chiamava vivere era stato
solo un continuo susseguirsi di eventi che avevano portato man mano,
come un gomitolo
di lana che si avvolge su se stesso, alla
creazione di ciò che era. Draco non era
mai stato altruista, non era mai stato buono, non aveva mai pensato a
ciò che
potevano pensare agli altri.
Era un egocentrico.
C’era lui, c’era ciò che suo padre gli
comandava, c’era
l’amore infinito di sua madre che aveva riservato in lui ogni
speranza. C’era
Blaise, il suo migliore amico, colui che gli stava sempre accanto.
C’era
Theodore, che con il suo rispettoso silenzioso costituiva una presenza
immutabile e fissa, il punto a cui fare riferimento. C’erano
Goyle e Tiger che
eseguivano ogni suo ordine, c’era Pansy. Pansy che lo
seguiva, che lo
perseguitava a tal punto… con la passione cuocente di un
desiderio mai
soddisfatto e con quell’ingenuità che solo gli
sciocchi possiedono.
E l’ingenuità è così
divertente.
C’era Daphne, e solo il nome consisteva
nell’incipit
di quanto bella fosse. Come un ninfa. Una ninfa dorata.
C’era lui.
E lui chi era? Chi era se non il risultato di quel
gomitolo che pian piano si era avvolto su se stesso, che avrebbe
continuato a
rotolare…rotolare…fino a costruire ciò
che sarebbe stato alla morte. Ma allora –
in quel momento- lui era il prodotto delle sue esperienze, del suo
vissuto. E le
esperienze fatte fino ad allora gli
comandavano ciò che credeva di essere.
Era attraente. Era narcisista, era arrivista. Era
orgoglioso, suo malgrado, era un calcolatore. Era cinico.
Non era ingenuo. Per quanto i suoi genitori lo
avessero cresciuto negli allori lui sapeva bene quanto le persone
potevano
essere infide, crudeli. E ben presto aveva imparato che gli ingannatori
vincono,
il più delle volte, e che la sincerità paga.
Aveva costruito i suoi valori in
base a ciò che vedeva intorno a sé, in base a
ciò che vedeva vincere.
Non era sciocco. Perché per ingannare ci vuole
tutto te stesso. È un continuo confrontarsi con gli altri,
per vincere,
vincere, vincere. E non c’è pietà per i
perdenti. Per ingannare ci vuole
ingegno, ci vuole spirito critico.
Non era un romantico. Aveva conosciuto l’amore- con
sua madre- e aveva conosciuto la passione. Purtroppo,
non aveva mai padroneggiato
entrambi. Contemporaneamente.
Fino ad allora.
Non era un ingenua.
Certo
su certe cose cadeva, ad esempio sul curare il proprio aspetto,
ma era consapevole delle proprie possibilità. Si sentiva
unica. Ed era il più
bel dono che potesse fare alla propria autostima. Si piaceva. Era
perfettamente
cosciente delle proprie capacità, era pienamente consapevole
delle proprie opportunità.
Sapeva quale erano i suoi limiti. E
uno
di essi erano gli altri.
Non era carismatica. Non aveva mai avuto una abilità tale da
convincere
qualcuno a fare ciò che lei desiderava. Non era riuscita a
convincere Ron a smettere
di copiare i compiti, figurarsi se poteva riuscire in altro. Ma il
problema- il
vero problema – era che non riusciva a convincere se stessa. Non riusciva ad impedirsi di
essere così debole,
a volte, non riusciva a trattenere quell’ansia che la
possedeva ogni volta che
era al centro dell’attenzione. La sofferenza era duplice:
l’ansia, e la
consapevolezza di non riuscire a frenarla. Eppure era tanto insicura e
debole
in certe cose quanto sicura e forte in tante altre.
Era una strega. Era una strega, per quanto altri
potessero
credere che non fosse così. Aveva dei poteri, ed era
qualcosa che poteva
percepire, sentire, vedere. Era reale. Lei era una strega al pari di
qualsiasi
altro dentro quella scuola, e non si sentiva da meno.
Era consapevole delle sue capacità, e sapeva sfruttarle in
pieno.
Voleva conoscere, conoscere, conoscere, perché quella
scuola, quella bacchetta,
quella vita, l’avevano resa diversa. L’avevano resa
unica. E lei aveva quella
sete di conoscenza che la divorava.
Aveva Harry. Quel bambino che gli sorrideva timido in un treno diretto
verso una destinazione fantastica, incredibile, irreale. Quel bambino
che
conosceva la sofferenza, quel bambino che non era più.
Aveva Ron. Quel
ragazzo
impacciato, che sembrava essere l’unico per lei. Colui che
aveva creduto di
amare, e lo pensava davvero.
Ma ben presto scoprì, con grande rammarico, che
ciò che chiamava amore era una
costruzione data dal tempo, lei doveva essere sua….ma era
affetto.
Non aveva mai conosciuto la passione.
Aveva Ginny. Che
era divisa in
due, come lei.
Ginny conviveva ogni giorno con la bambina innamorata di Harry e
l’appassionata adolescente
dai capelli rossi. Quella ragazza
intraprendente, sicura del suo aspetto e di se…contro le
scarse possibilità
date dalla famiglia , contro quella timida bambina dalle lentiggini che
si
aggrappa alla gonna della madre.
Ed Hermione…che conviveva con il suo essere babbana e il suo
essere
strega. Che non si
sente a suo agio in
mezzo agli altri, ma che ha la mano costantemente alzata a lezione. La
conoscenza.
Conoscere, conoscere, conoscere. Gli altri, quel mondo, se stessa.
Lei era il frutto di ciò che aveva conosciuto. I suoi valori
erano nati
da ciò che aveva imparato.
Spesso aveva pensato che non aveva bisogno che dei suoi amici e della
suoi amici, non ve aveva mai sentito la necessità di altro.
Aveva ragione.
Avrebbe voluto conoscere
la passione, ma prima di allora aveva conosciuto solo amore. Non aveva
mai
tremato al sospiro di un amante.
Non gli mancava.
Dopotutto, come può mancare qualcosa che non si è
mai conosciuto?
Fino ad allora.