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Autore: Iurin    11/07/2011    21 recensioni
Probabilmente sono un pò... monotona, con i miei protagonisti, ma anche stavolta troviamo Severus Piton. E che cosa sta facendo? Mah, più che altro... cammina. Ma anche semplicemente camminando porebbe accadere qualcosa di inaspettato, ovvero l'incontro con chi non ci si sarebbe mai sognati di imbattersi. O, per lo meno, non in quel momento.
Questa one-shot è arrivata 3° al concorso, indetto da EFP, "One shot dell'estate!"!
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dudley Dursley, Harry Potter, Petunia Dursley, Severus Piton, Vernon Dursley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Per quale assurdo motivo si era recato lì, quella mattina? Perché stava camminando su un vialetto che costeggiava il mare, da solo, lentamente, come se stesse facendo una salutare passeggiata? Perché era finito in una ridente località marittima quando l’unica cosa conveniente e – beh – che gli si addicesse da fare fosse chiudersi in casa a leggere, seduto sulla sua affezionata poltrona?
E perché una dannata brezza marina gli stava mandando i capelli davanti alla faccia?!
Certo, non che la brezza marina avesse alcuna colpa, o il mare, o la spiaggia, o quel vialetto potessero essere puniti perché si trovavano lì, ma nonostante tutto, ogni singola cosa, quella mattina, a Severus Piton stava dando un gran fastidio. Considerando, poi, che era stato lui stesso, di sua spontanea volontà – e non costretto da una maledizione Imperius – a volersi recare lì, non poteva che considerarsi un enorme stupido. E così il suo fastidio aumentava ancora di più.
Stupido, ecco cos’era stato. Stupido e sentimentale. E patetico.
Maghi e streghe di Brighton, date il benvenuto allo stupido, sentimentale e patetico Severus Piton!
Dopo quest’uscita si sentì ancora più stupido.
Forse era stata quell’inconsueta afa che si era abbattuta su Londra, quella mattina di metà Luglio, a suggerirgli di ritirarsi, anche se per poche ore, in un luogo più accogliente e meno caldo.
Forse era stato il ricordo di quando, da ragazzino, era andato, su invito della famiglia Evans, a Brighton per un pic-nic sulla spiaggia, a mettergli in testa la malsana idea si smaterializzarsi ai confini della città di mare.
Stupido, patetico e sentimentale.
Piton si infilò le mani nelle tasche dei suoi pantaloni scuri, continuando a camminare, mentre, vagando in giro con lo sguardo, osservava ciò che gli stava accadendo intorno: due ragazze pattinavano, un uomo portava a spasso il cane, un bambino piangeva perché gli si era appena spiaccicato il gelato per terra… Piton accarezzò seriamente l’idea di tornarsene completamente alla sua squallida esistenza, eppure, nonostante tutto, rimaneva lì, a camminare. E non perché quasi percepiva l’aria tranquilla che aveva caratterizzato la giornata passata proprio lì, con Lily, a scherzare, nuotare e a prendersi in giro a vicenda.
Non era certo per quello, no?
Piton fece una smorfia, rivolta più che altro a se stesso.
Bah.
Stupido, patetico e sentimentale.
Il suo cervello non aveva, poi, neanche finito di formulare l’‘-ale’ di ‘sentimentale’, che Piton si accorse che il vialetto su cui stava camminando era improvvisamente finito, e che, da lì in poi, il terreno sarebbe stato formato da tanta, fine, appiccicosa, umida sabbia.
“Mah sì.” Pensò lui “Umiliamoci fino in fondo, avanti.”
E così continuò a camminare, incurante – anche se non si sarebbe detto, dato il suo fastidio – della sabbia che gli si stava attaccando alle scarpe nere e all’orlo dei pantaloni.
A quel punto si voltò alla sua destra, fermandosi un momento, verso il mare, e lo fissò, semplicemente, senza alcuna espressione sul volto. Chi fosse passato di lì e lo avesse visto, lo avrebbe definito o maledettamente calmo, oppure… beh, magari avrebbe pensato di trovarsi davanti uno di quei mimi che rimanevano immobili per ore ed ore nella piazza. Poi però Piton distolse lo sguardo dal mare e continuò, come da un bel po’, ormai, a camminare; e più andava avanti più cominciavano a comparire, di fronte e di fianco a lui, ombrelloni ed asciugamani, ed ovviamente tutti i bagnanti. Alcuni si giravano persino a guardarlo, chiedendosi come mai, sulla spiaggia, si aggirasse un uomo pallido con i pantaloni lunghi e la camicia.
E in effetti persino Piton continuava a chiedersi perché diamine si fosse spinto fino a lì, e stava proprio considerando l’idea di nascondersi da qualche parte per smaterializzarsi, quando un ulteriore e fastidioso suono giunse alle sue orecchie:
“Papà, ma quanto ci mette a tornare?”
Era la voce petulante di un ragazzino.
“Non lo so, ma appena lo farà mi sentirà! Ah!” Stava rispondendo quello che doveva essere il padre del ragazzino “E guai a lui se non mi porta tutto il resto del denaro, quel piccolo ingrato!”
Piton inarcò leggermente un sopracciglio, voltandosi verso la fonte di quelle lamentele: seduti a terra, non molto lontano, c’erano un ragazzino ed un uomo, grossi, pesanti e flaccidi, secondo il parere di Piton, mentre, accanto a loro, c’era una donna, sgradevolmente magra – non perché fosse troppo magra, ma perché non sembrava avere una gran femminilità – seduta comodamente su una sdraio. Guardandola meglio, a dire il vero, Piton credeva di averla già vista da qualche parte. cosa impossibile, era ovvio: d’altronde erano circa quindici anni, addirittura, che non andava a Brighton, e l’ultima volta che era successo c’era stato con Lily, il signore e la signora Evans e con…
Oh, per Salazar.
“Ma sei sicura, Petunia,” Stava nel frattempo dicendo l’uomo grasso “che la Figg non poteva tenerselo, oggi?”
Petunia Evans sospirò. “No, purtroppo. Ho insistito, ovviamente, con quella donna, ma niente, oggi diceva di avere da fare.” Fece una smorfia “Come se avesse una vita, a parte il so tè e i suoi gatti.”
Severus Piton si guardò intorno, in cerca di una via di fuga, e alla fine non poté fare altro se non mettersi dietro ad una specie di cespuglio, aspettando che quella famiglia si distraesse abbastanza da permettergli di andarsene. Ovviamente se fosse sbucato qualcuno di sua conoscenza che l’avesse visto in quella posizione… l’avrebbe oblivato senza troppi complimenti.
Per Merlino… Gli era preso un colpo.
Certo, non per l’emozione o la gioia – puah – di ritrovarsi Petunia Evans a pochi passi, ma… insomma… lei era la sorella di Lily. Della sua Lily. E ora stava lì, a godersi il sole, cosa che Lily, invece, non avrebbe potuto fare con nessuno. Men che meno con lui, anche se fosse stata ancora viva.
Probabilmente era colpa delle foglie del cespuglio dietro al quale si era rifugiato, se sentiva pizzicargli gli occhi.
Stupido, patetico, e sentimentale.
E anche codardo, in quel momento, qualora volessimo dirla tutta.
“Oh!” Fece, poi, proprio in quel momento, il ragazzino peso-piuma “Eccolo che torna, finalmente!”
Il padre si voltò nella direzione in cui stava guardando la piccola botte, e così anche Piton puntò gli occhi da quella parte.
Il ramoscello su cui Severus stava poggiando la propria mano si spezzò.
“Perché ci hai messo tanto, si può sapere, ragazzo?” Sbraitò il capofamiglia.
Un bambino mingherlino, di al massimo sei anni, coi capelli scuri ed un paio di occhiali tondi sul naso, boccheggiò, cercando di non far cadere a terra le tre bottiglie colorate e la coppa di gelato che teneva tra le piccole braccia.
“C’era… c’era fila, al bar, zio Vernon.” Disse il nuovo arrivato.
“Beh, non mi importa!” Rispose lo zio “La prossima volta vedi di fare più in fretta, hai capito?”
“Sì, zio Vernon…”
“E dammi quella roba, prima che tu finisca di scaldarla!”
E lo ‘zio Vernon’ strappò dalle mani dell’esile bambino sia le bottiglie che la coppa di gelato.
Gli occhi di Piton, probabilmente, non erano mai stati così sgranati. E lui… beh… si stava praticamente lasciando prendere dal panico: se fosse passato di lì uno di quegli Auror Babbani – un poliziotto? – e gli avesse chiesto cosa stesse facendo, sconvolto com’era probabilmente gli avrebbe risposto di star fissando un bambino, con conseguenze niente affatto piacevoli.
Non era andato a Brighton con l’intenzione di imbattersi in qualcuno, men che meno con… con lui! Semplicemente pensava che tale incontro sarebbe avvenuto di lì ad almeno cinque anni, quindi… Per Merlino, non era pronto.
Non a quello.
Eppure, nonostante tutto, non riusciva a staccare gli occhi da quello che ormai aveva capito fosse Harry Potter. E quando il bambino si spostò di poco e Piton poté vedere i suoi occhi, anche se da lontano… Si sentì morire.
E tutto, intorno a lui, divenne verde.
Avrebbe voluto prepararsi a quel momento, lui, avrebbe voluto dover guardare quegli occhi per la prima volta, magari, quando Potter sarebbe arrivato ad Hogwarts, non a Brighton, in spiaggia, nascosto dietro ad uno stupido cespuglio.
La labbra gli si schiusero, quando percepì un opprimente groppo esattamente al centro della propria gola.
Non sarebbe dovuta andare così. Non si sarebbe dovuto ritrovare a spiare quegli occhi in quel modo, come se quasi non fosse degno di guardarli, di imprimerli della propria mente, di ammirarli e di ricordarli ancora, ancora e ancora.
Era stupido, patetico e sentimentale, era vero, ma nonostante se ne rendesse conto, non riusciva a non fissare quei piccoli gioielli verdi posti dietro due comuni lenti tonde.
“Harry, sei uno stupido!” Esclamò proprio allora quello che quindi doveva essere stato il cugino del figlio di Lily “Ti avevo detto di prendermi un tè al limone, e tu l’hai preso alla pesca!”
“Al limone non c’era, Dudley.” Rispose Potter con un po’ di fastidio nella voce.
“E ancora non sai che se non c’è il tè al limone mi devi prendere la Coca?”
“Ma sempre tè è! Che ti cambia?”
“Ragazzo, non usare questo tono!” Fece allora, alzando un po’ la voce, Vernon.
“Esatto, Potter!” Aggiunse Petunia “Ringrazia il Cielo che ti abbiamo portato con noi, invece di lasciarti a casa! Hai capito?”
Il giovane Potter strinse i pugnetti lungo i propri fianchi.
“Allora?”
“Sì, ho capito, sia Petunia.” Disse il ragazzo, a denti stretti.
“Bene, allora torna al bar e prendi quello che vuole Didino. E sbrigati!”
Harry Potter si girò e corse via, esattamente da dove era, praticamente, appena tornato.
Severus Piton, ancora dietro un improbabile nascondiglio, riuscì a far calmare il proprio respiro, che era diventato piuttosto irregolare, e convenne che fosse meglio, a quel punto, uscire di lì ed andarsene alla svelta, fin tanto che gli zii di Harry Potter erano troppo presi a lamentarsi del comportamento poco servizievole del nipote. E, infatti, quando si rimise dritto in piedi, nessuno si accorse della sua presenza, e senza guardarsi indietro neanche per un istante, ripercorse a ritroso i suoi passi, ripetendosi che la prossima volta che a Londra ci fosse stato un caldo afoso, l’unica cosa che avrebbe fatto sarebbe stata una doccia fredda.
Camminando a grandi falciate raggiunse di nuovo il vialetto, e stava proprio guardandosi intorno per trovare un misero anfratto in cui smaterializzarsi, quando qualcosa di molto basso e di molto veloce gli finì addosso, sbucando da dietro un angolo.
“Ah!” Esclamò Harry Potter, mezzo-spaventato, lasciando cadere a terra la lattina che teneva tra le mani.
Oh, no, non di nuovo.
Potter si chinò per raccogliere la bibita, finita ai piedi di un pietrificato Severus Piton, e poi si rimise in piedi, alzando la testa verso l’uomo.
Piton non poté non guardarlo meglio, a quel punto, e così si accorse di un dettaglio niente affatto irrilevante: non fosse stato per gli occhi – quegli occhi che Piton si stava costringendo a non fissare spudoratamente – quel bambino sarebbe stato la fotocopia perfetta del’inutile James Potter.
“Mi scusi, signore.” Disse proprio allora il giovane Potter, prima di puntare lo sguardo sulla lattina che aveva tra le mani “Adesso gli esploderà dritta in faccia…” Mormorò, poi, tra sé e sé.
“Dammi qua.” Gli disse allora Piton, stendendo una mano verso di lui.
“C-come?”
“Ho detto dammi qua, ragazzino.”
Severus si accorse di quanto fosse molto più facile trattare con quel bambino se si teneva a mente la raccapricciante somiglianza con suo padre.
Potter, allora, forse più per paura che per un insano atto di fiducia, consegnò la lattina a Piton, e quest’ultimo, quindi, cominciò a darle dei colpetti, con le dita, sul bordo.
Poi riconsegnò il tutto al bambino.
“Ora non esploderà proprio un bel niente.” Spiegò il professore.
“Oh.” Fu tutto quello che Potter riuscì a dire, poco prima di allontanarsi di un passo.
“E non correre.” Aggiunse Piton, ma Harry lo guardò appena, ed andò via, ovviamente, correndo.
Piton lo seguì con gli occhi, per un momento, inarcando il sopracciglio, fino a quando non sparì dalla sua visuale.
Ora aveva solo voglia di tornarsene a casa, e di dimenticarsi di quella esperienza, del mare, della sabbia, di Petunia Evans, di Harry Potter, e di due occhi dannatamente verdi.
D’altronde Potter si sarebbe dimenticato di lui nel giro di neanche un giorno, e Piton avrebbe tanto voluto fare altrettanto, ma sapeva già che non ci sarebbe riuscito, e che quegli occhi gli sarebbero ricomparsi davanti nei più svariati momenti della giornata, a partire da quel giorno per tutti i seguenti cinque anni, fino a quando il figlio di Lily Evans – solo di Lily Evans – avrebbe fatto parte della sua classe di studenti del primo anno.
Stupido, patetico e sentimentale.
Già.
E, appurato questo, si rimise le mani in tasca e ricominciò a camminare, sperando che tutto diventasse, piano piano, un po’ meno verde. 

 

Fine 




Spero vi sia piaciuta! :D Eventualmente scusatemi se trovate qualche errore di battitura xD
Un saluto a tutti!! ;)

   
 
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