cap.3 Non sono pronto
-Tu sei mio nonno per caso?-
Due oceani grandi, due grosse gocce d’acqua color verdazzurro lo guardavano insistentemente nella loro grande innocenza e genuinità, e fu come se, non rispondendo, Paul si macchiasse di un grave peccato. Così il vecchio, con tanti anni alle spalle, si ritrovò a sentirsi più vulnerabile di quell’esserino piccolo e fragile che gli si era parato davanti, incatenandolo inesorabilmente con il suo sguardo. Iniziò a pesare le parole una ad una, e fu come se dalla sua bocca cadessero pietre pesantissime.
-No bambina- cominciò faticosamente, con un sospiro. Fece una pausa, poi vide che l’esserino non si accontentava, dunque proseguì :-Perché me lo chiedi?
La bimba cominciò a dondolarsi avanti e indietro sui due piedini, anche lei pensierosa. Si mordicchiava il labbro continuamente,masticando il suo chewing-gum alla fragola ad un ritmo un po’ troppo accelerato per la sua piccola mandibola, ma non distoglieva gli occhioni da quelli del vecchio.
Sammy frequentava l’orfanotrofio del paese. Precisamente,l’orfanotrofio con la peggiore reputazione, del paese. L’edificio si trovava in un punto abbastanza malfamato, e i bambini erano spesso abbandonati a se stessi; lasciati liberi di scorrazzare nei vicoletti senza alcuna sorveglianza, talvolta alcuni erano scomparsi senza lasciare traccia, inghiottiti dal buio di certi posti incustoditi dove si radunava un tipo di gente poco raccomandabile.
Le lezioni si svolgevano dalle nove fino a mezzogiorno; poi veniva l’ora dei pasti, dopodichè i bambini venivano lasciati liberi. La sera a volte c’era la cena, altrimenti filavano tutti a letto fino al mattino dopo, quando si ripeteva la tiritera.
Il pescatore si era visto costretto a consegnare lì la bambina in fasce, poiché non aveva abbastanza danaro, ovviamente, per permettersi di lasciarla altrove.
-Avanti, vecchio- gli aveva sussurrato Stabs, scansando il piatto con un brusco movimento del gomito e sporgendosi in avanti, verso di lui. Paul teneva gli occhi fissi sul tavolo sudicio della locanda. –Davvero non puoi permetterti di allevarla?-
Paul non rispondeva, continuava a fissare il tavolo e a torcersi le mani. Stabs si allontanò dal suo volto e si poggiò sullo schienale, la faccia di chi si è rassegnato ad una triste verità.
-Ti dico io com’è la faccenda, amico-disse, abbracciando lo schienale e guardandolo con una smorfia. E Paul, aggrottando le sopracciglia:-A si? E com’è, dimmi..visto che tu ne sai più di me, a quanto pare.- Stabs esitò, poi sbatté fermamente il pugno sul tavolo, facendo sollevare piatti e bicchieri ,–TU NON VUOI!!- urlò, fissandolo torvo negli occhi.
-Come sarebbe a dire non VOGLIO?? E per cortesia, abbassa la voce ti ho detto. Stabs, ascolta, se solo io..-
-Se solo tu cosa??Paul, è ora il momento. È quello che hai aspettato per tutta la vita. È stata affidata a TE!! Non a me, non a jim,- indicò un uomo grassoccio che sonnecchiava fumando la pipa, dall’aria non molto sveglia,- né a qualsiasi altro…stupido.. sulla faccia della terra. Guarda cosa mi fai dire..- Stabs si pulì le mani sul grembiule dopo averci sputato sopra.Era raro che usasse qualche parola di troppo..
Paul ascoltò ogni parola con grande attenzione, pendendo letteralmente dalle sue labbra. Poi, risoluto, si alzò energicamente aggrappandosi allo schienale, si girò di nuovo verso l’omino che gli aveva parlato tanto insistentemente, e disse, rassegnato –Sai che ti dico?- stettero entrambi zitti, Stabs che lo guardava in attesa di nuove parole deludenti, pronto a ribattere. E invece il vecchio,inaspettatamente –Hai ragione- Stabs lo guardò con aria interrogativa, alzandosi in piedi e sistemandosi il grembiule, mettendosi poi le mani sui fianchi. –Si, è inutile che mi guardi così, è come ti ho detto, hai ragione!- disse Paul tutto d’un fiato, come spiegando a un menomato una cosa ovvia, matematica..scontata. Ma Stabs lo conosceva bene, sapeva che non era finita lì..
-Ma…??-
Paul sospirò, si guardò i piedi, poi disse :-Ma..non la terrò. Te l’ho detto, non-sono-pronto.