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Autore: L_Fy    12/07/2011    1 recensioni
....Per me, le vacanze estive erano semplicemente Cresta del Gallo, con le sue terrazze ripide, con l’odore di bosco che filtrava dalle finestre la mattina, con il blu del lago a salutare in lontananza… e perché no, con la torretta di Villa Lazzari che svettava vicina, complice della mia solitudine poiché solo io potevo vederla e condividerne la solitaria bellezza.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Electa una via non datur recursus ad alteram
(Detto popolare)

In quel momento di totale caos mentale, sapevo con assoluta certezza solo una cosa: avevo bisogno di un computer. Dopo le scioccanti quanto incomprensibili dichiarazioni di Tobia, definire la situazione era diventato un imperativo improrogabile, me ne rendevo conto. Non avevo capito il senso di tante cose che però erano rimaste a galleggiare nella memoria, pronte per essere analizzate: il Buzz o baz (posto che si scrivesse così)… chissà cosa diavolo poteva essere. E il Gioco che aveva nominato Tobia… di cosa si trattava? L’unica cosa certa, pensai con un brivido gelido, era che la Vergine che non aveva più nessuna possibilità di salvarsi ero io. Avrei dovuto essere spaventata, e lo ero infatti, ma non ero spaventata in modo normale. Una sedicenne normalmente spaventata sarebbe scappata dai genitori o dai carabinieri, avrebbe chiesto aiuto… invece, più il pericolo si avvicinava e più io mi chiudevo a riccio a combattere la mia solitaria guerra contro qualcosa che non conoscevo. Ero pazza, aveva ragione Saverio. Eppure, non volevo comportarmi diversamente. In quel momento, Vergine o non Vergine, Duellante o non Duellante, volevo solo due cose dalla vita e le volevo con tanta determinazione che nemmeno un cataclisma mi avrebbe fermata: volevo trovare un computer e volevo rivedere Saverio.
*    *       *
“Lena, che sorpresa!”
Filippo era rimasto basito sulla porta per tre secondi buoni prima di ritrovare la favella e spostarsi per farmi entrare. Io feci un largo sorriso di circostanza mentre tentennavo nervosamente sulla soglia.
“Spero davvero di non disturbarti.” buttai fuori in un fiato impacciata guardando dappertutto fuorché lui.
“Figurati!” gorgogliò Filippo, riprendendosi prontamente dalla sorpresa “Hai scelto proprio il momento migliore: papà e mamma sono al lavoro e Marco è fuori.”
Perfetto, rimuginai corrucciata: sola in casa con Filippo convinto di impalmarmi in cinque minuti. Nascondendo lo sguardo per paura che vi leggesse il mio fastidio, varcai la soglia. Non ero mai stata a casa di Filippo, e se avessi avuto un minimo di sale in zucca non sarei stata lì in quel momento. D’altra parte, cosa pretendere da una che non riesce a stare lontana dal suo potenziale assassino? Filippo, doverosamente agitato, chiuse la porta e mi precedette in salotto, facendo un cenno verso il divano.
“Siediti, Lena… ti porto qualcosa da bere?”
Aveva le guance rosse e gli occhi scintillanti: poveretto, pensai con una breve fitta di rimorso.
“No, vado di fretta” mi affrettai a dire rimanendo ben impalata in piedi “Devo fare delle ricerche urgenti per la scuola e avrei davvero bisogno di aiuto. Non avrei mai disturbato se non avessi saputo che tu e Marco siete gli unici esseri evoluti di Cresta del Gallo ad avere un computer.”
Era così, infatti; mi ero doverosamente informata e né Sara né Martina possedevano un computer. Avrei potuto chiedere a mamma e papà di portarmi in un internet point a Ustecchio o Tremosine, ma avrebbero fatto domande e io volevo sinceramente evitarne il più possibile. Così, con mia profonda frustrazione, avevo dovuto per forza rassegnarmi a chiedere aiuto a Filippo, che in quel momento mi stava davanti felice e beato come se mi fossi presentata a lui con una dichiarazione scritta di abilitazione al sesso selvaggio.
“Certo, certo” canticchiò giulivo scattando di nuovo in corridoio come se fosse stato caricato a molla “Il computer è in camera mia, seguimi.”
Perfetto, pensai tra me e me alzando gli occhi al cielo mentre Filippo mi apriva cerimoniosamente la porta della sua camera. Il letto era sfatto e intorno aleggiava il leggero odore di calzini sporchi tipico degli adolescenti cresciuti a omogeneizzati e Nike.
“Scusa il disordine” cinguettò Filippo liberando una sedia girevole ingombra di jeans e magliette stazzonate “Siediti, siediti, il computer è qui. Ecco, te lo accendo. Allora, vuoi un tè? Un succo di frutta?”
“Sto bene così, grazie.” risposi il più possibile cortese ma glaciale.
Filippo, evidentemente, colse solo la parte cortese.
“Sono così felice che tu sia qui” disse accorato lanciandomi un lungo sguardo allusivo “Le ultime volte che ti ho vista in gelateria sembravi così scontrosa… ho quasi pensato che…”
“Bè, sai” balbettai in fretta per interrompere quella che sembrava diventare una frase pericolosa “Non si può essere sempre di buon umore… tò, è partito il computer. Vai su Internet, per favore? Fortuna che hai l’ADSL.”
Filippo obbedì sempre solare e sorridente come un cherubino. Sembrava così stupido che non persi nemmeno tempo a sentirmi in colpa.
“Ecco qua” disse contento “Ti apro anche il motore di ricerca, così fai prima. Siediti, siediti…”
Mi fece spazio di fianco a lui e aspettò che mi sedessi con precauzione sull’orlo della sedia, il più lontano possibile dalla sua spalla curvata verso la mia. Autorizzato da chissà quale assurdo processo mentale, Filippo allungò il braccio e mi circondò le spalle, attirandomi verso di lui.
“Vieni pure” ridacchiò allusivo “Non mordo mica.”
“Ripensandoci, un tè sarebbe perfetto.” mi affrettai a dire cercando di mantenere la calma.
Il sorriso di Filippo si raffreddò di qualche grado, ma la cortesia ebbe comunque il sopravvento.
“Ma certo, vado a prendertelo.”
Mentre si alzava in piedi e si allontanava vagamente perplesso, ero già all’opera sul computer. Scartai l’idea di cercare in rete il nome di Saverio Lazzari, in caso Filippo fosse arrivato col tè proprio mentre la gigantografia di Saverio occupava lo schermo. Scrissi quindi “Paracelso” e scatenai il motore di ricerca.
“Ci vuoi lo zucchero nel tè?” strillò Filippo dalla cucina e io pensai velocemente a cosa potesse tenerlo più impegnato.
“Non avresti del dolcificante dietetico?” buttai lì, sperando di metterlo in crisi.
L’operazione riuscì con successo.
“Mia madre deve avere qualcosa di simile in giro.” grugnì seguito da un rumore di cassetti aperti. Nel frattempo, sul computer era apparsa una pagina interessante. Iniziava così:
Paracelso
Il principe dei medici e dei filosofi del fuoco, grande fisico paradossale, il trismegisto della Svizzera,
primo riformatore della filosofia alchemicha, adepto in alchimia, Cabala e Magia, fedele naturalista
maestro dell'elisir della vita e della pietra filosofale, grande sovrano dei segreti alchemici

 
Poi, più o meno c’erano le notizie che avevo già letto sui libri di storia, in forma piuttosto romanzata e magari anche poco attendibile. Solo un paragrafo attirò la mia attenzione:
 
"Si narra che Paracelso fosse riuscito a concepire la vita in vitro; i suoi studi erano un misto di scienza e alchimia, come si evince dai suoi appunti "Se la fonte di vita, chiusa in un'ampolla di vetro sigillata ermeticamente, viene seppellita per quaranta giorni in letame di cavallo e opportunamente magnetizzata comincia a muoversi e a prendere vita. Dopo il tempo prescritto assume forma e somiglianza di essere umano, ma sarà trasparente e senza corpo fisico. Nutrito artificialmente con arcanum sanguinis hominis per quaranta settimane e mantenuto a temperatura costante prenderà l'aspetto di un bambino umano. Chiameremo un tale essere Homunculus, e può essere istruito ed allevato come ogni altro bambino fino all'età adulta, quando otterrà giudizio ed intelletto."
 
Normalmente avrei trovato quel trafiletto assurdo e insensato, ma lo memorizzai lo stesso parola per parola. Il rumore di passi in avvicinamento indicò che il mio tempo era quasi scaduto: mentre Filippo compariva sulla soglia con un vassoio con due tazze, portato con somma precauzione, mi girai verso di lui esibendo uno sfolgorante sorriso.
“Hai anche qualche fetta di limone?” domandai sbattendo le ciglia.
Filippo, evidentemente contrariato, ci pensò su un attimo.
“Vado a vedere.” disse infine; sembrava scocciato.
Con i secondi contati, tornai alla tastiera e scrissi in fretta le cose che ricordavo dette da Tobia: buzz, gioco, duellante… scartando una deprimente serie di notizie su giochi di ruolo, ecco sfolgorante la notizia che cercavo:
 
Immortali - Gli immortali in genere sono orfani o trovatelli, nessuno conosce le loro vere origini. Sono esseri umani normali sino alla loro prima morte (che deve avvenire obbligatoriamente in modo violento). Dopo la loro prima morte risorgono e divengono immortali senza età, e possono essere uccisi solo tramite decapitazione. Gli immortali inoltre non possono procreare. Si narra che alcune specie di immortali possano essere state create attraverso procedure alchemiche con l’ausilio della pietra filosofale (vedi cifr. 8-14 Paracelso) ma non vi è mai stato nessun riscontro di questi in letteratura
The Buzz – Non esiste un termine italiano per tradurre la sensazione resa con il termine inglese The Buzz. Si tratta di una sorta di ronzio che gli immortali avvertono in presenza di altri immortali. E` il loro modo di riconoscersi.
Il Gioco & La Ricompensa – Tutti gli immortali sono obbligati a combattere tra di loro come Duellanti sino a quando non ne rimarrà solo uno. Il premio per l’ultimo immortale rimasto sarà la conoscenza assoluta di tutti gli immortali che sono vissuti, grazie alla quale potrà guidare, attraverso la sua infinita saggezza, la Terra verso una nuova era. L’unico posto sicuro per gli immortali è il terreno consacrato. Nessun immortale può combattere lì. Un’altra regola fondamentale è quella del “duello uno contro uno”, mentre due immortali lottano nessun altro può interferire.
La Reminiscenza- Quando un immortale è decapitato tutto il suo potere viene riversato nel vincitore del suo duello. La personalità dell’immortale vincitore viene influenzata solo in rarissimi casi (e.g. reminiscenza nera).
L'Adunanza –"Quando solo pochi di noi rimarranno, saremo spinti da un irrefrenabile desiderio in una terra lontana e lì combatteremo per la ricompensa"
Gli Osservatori - Si tratta di una società segreta che osserva e studia gli Immortali senza mai interferire. Ogni Immortale ha un osservatore assegnato che ha il compito di controllare, catalogare e raccogliere informazioni sul suo conto.
La testa mi vorticava come una trottola: tutte quelle assurdità le avevo già sentite, al cineforum mangiando il popcorn e pensando a come sarebbe stato bello poter vivere in eterno… anche se mai e poi mai avrei pensato di poter assistere in prima persona a una storia simile! Quelle cose succedevano solo nei film con la colonna sonora dei Queen, non nella vita reale!! Qualcosa come un’idea iniziava a prendere forma dentro di me, qualcosa di così assurdo che mi scappò una risatina isterica prima ancora di prenderlo seriamente in considerazione. Eppure, eppure, eppure… tutto quadrava, ogni tassello andava al suo posto come attirato da una forza invisibile. Ora spiegavo tante cose… l’ara nel giardino di Villa Lazzari; la scritta “Fiat vitae”; le parole di Tobia. Tutto finalmente aveva un senso, per quanto terribile e inconcepibile esso fosse, e mi sentii assurdamente più leggera, come se la conoscenza avesse spazzato via gli ultimi residui di prudenza.
“Eccoti il tuo tè con il dolcificante e il limone” esclamò Filippo entrando dalla porta con passo aggressivo. Presa dai mie pensieri, mi ero quasi dimenticata di lui: sobbalzai, chiudendo velocemente la finestra aperta sul monitor del computer e ritornando al motore di ricerca.
“Oh, bene” sorrisi mentre il cuore mi martellava nel petto con grevi rintocchi di angoscia “Avevo… proprio sete.”
Filippo si tornò a sedere di fianco a me, vicinissimo: afferrai la tazza e bevvi avidamente allontanandomi da lui il più possibile.
“Era proprio buono.” commentai con voce incerta quando non rimase più nemmeno una goccia e fui costretta a riavvicinarmi e posare la tazza. Filippo, con una mossa rapida a tradimento, fece sgusciare il suo braccio sotto il mio gomito piegato e mi circondò la vita, attirandomi a lui. Stavo per protestare quando il bastardo si sporse con decisione verso di me e mi baciò sulla bocca.
L’effetto di quelle labbra estranee sulle mie fu a dir poco raccapricciante: bruscamente stesi le braccia e Filippo, sbilanciato, cadde dalla sedia, atterrando pesantemente sul sedere.
“Hei!” protestò, più sorpreso che offeso mentre io scattavo in piedi trattenendo a stento l’istinto di pulirmi la bocca col dorso della mano e magari sputargli addosso.
“Mi sono fatto male!” si imbronciò Filippo, alzandosi in piedi e massaggiandosi con intenzione una natica. La sorpresa era svanita, lasciando il posto a un infantile risentimento. Una fulminea e feroce rabbia mi agitò le viscere nel vedere la sua espressione corrucciata, ma riuscii comunque a mantenere la calma.
“Scusami” dissi contrita “Mi hai colto di sorpresa, non volevo farti male.”
“Vorrei ben vedere.” bofonchiò Filippo, facendo per avvicinarsi di nuovo.
“Il fatto è” aggiunsi allontanandomi velocemente verso la porta “Che c’è stato un malinteso fra noi due. Io non… non credo di provare le stesse cose che tu provi per me.”
“Ma dai” sbuffò Filippo ottusamente “Non capisco perché adesso ci giri intorno: è tutta l’estate che ti fai desiderare. E poi, perché saresti venuta qui oggi se non avessi voluto metterti con me?”
“Per il computer” spiegai pazientemente indietreggiando di un altro passo verso la porta “Mi sembrava di averlo spiegato piuttosto chiaramente. Solo per il computer.”
“Balle” sbuffò Filippo, un po’ incerto a dire il vero “Sono un po’ stufo di questo tira e molla, Lena. Non farmi passare per scemo.”
Mi trattenni a stento dal ricordargli che per passare per scemo non aveva nessun bisogno di me, soprattutto in quel frangente.
“E’ stato un terribile equivoco” lo blandii cortesemente “Mi dispiace davvero tanto, Filippo.”
Lui, finalmente, recepì il messaggio non tanto velato che gli stavo inviando: aggrottò le sopracciglia nell’evidente sforzo di capire mentre io spostavo il peso da un piede all’altro, impaziente di filarmela il più rapidamente e definitivamente possibile.
“Bè, allora… io vado.” balbettai impacciata e mi allontanai indietreggiando incerta.
“Scommetto che dietro la tua aria snob nuova di zecca c’è un Lazzari.” commentò Filippo sferzante senza cambiare espressione.
Fortunatamente, riuscii a mantenere la calma una volta di più.
“Non sai cosa dici, Filippo” risposi con voce glaciale “E non vedo cosa possano c’entrare i miei vicini di casa con me e te.”
“E allora perchè si sono messi a salutarti tutte le volte che ti incontrano?” continuò Filippo petulante.
Forse perché possiedono una qualità a te del tutto sconosciuta chiamata educazione, pensai ferocemente.
“Sono i miei vicini di casa” risposi invece con voce piatta “Sarebbe da maleducati non salutare: e per quanto siano snob, i Lazzari non sono maleducati. Senti, mi dispiace di averti ferito, ma non posso farci niente se non ho nessuna intenzione di legarmi sentimentalmente a qualcuno.”
Più gentile di così non potevo essere: ero a un pelo dal mandarlo a quel paese e inimicarmelo in un momento dove l’ultima cosa che volevo era inimicarmi qualcuno. Allungai una mano verso di lui in un gesto simbolico.
“Possiamo rimanere amici, per favore?” chiesi con umiltà.
Filippo continuò a guardarmi con quella faccia imbronciata da bambino dell’asilo.
“Vai al diavolo.” grugnì voltandomi con intenzione le spalle.
Dopo qualche secondo di silenzio, mi decisi a obbedire e me ne andai in punta di piedi.
*    *       *
Mi sforzai di far passare l’ora di pranzo comportandomi normalmente, anche se fu molto più difficile del previsto. Bastava un accenno di pensiero su Saverio e il cuore partiva in quarta, sgommando dolorosamente nel petto e bloccandomi il respiro. Mi sembrava di avere i brividi di febbre. Conversai per quasi un’ora con Rossella senza alla fine ricordare una parola di quello che ci eravamo dette, ripulii il piatto di lasagne anche se ogni boccone mi sembrava rivestito di cartone e rimasi per più di mezz’ora mollemente stesa all’ombra in finto ozio, mentre la mia anima si contorceva nell’attesa. Alla fine, incapace di resistere oltre, mi alzai bruscamente a sedere e annunciai con aria casuale:
“C’è un caldo pazzesco qui: vado a fare un giro nel bosco.”
Nonna Rosa, fortunatamente, era a fare un riposino in camera sua e nessuno dei presenti commentò: Rossella continuò a farsi le unghie con puntigliosa cura mentre papà sonnecchiava nell’amaca, un libro di traverso sul petto e gli occhiali in bilico sulla punta del naso; solo mamma agitò una mano senza nemmeno alzare il naso dal suo Confidenze.
“Prendi il cappello” mi suggerì mentre mi incamminavo sforzandomi di non correre “E torna prima di cena.”
Chissà come, riuscii ad allontanarmi camminando con passo normale; appena fui certa di essere fuori dalla loro portata visiva e uditiva, iniziai a correre, saltando tra arbusti e sassi come una capra di montagna, il cuore che batteva impazzito nel petto e il sangue così pieno di adrenalina da sembrare denso come mercurio. Arrivai davanti al muro di Villa Lazzari in men che non si dica senza quasi avere il fiatone. Mi guardai intorno speranzosa assaporando l’odore greve di umidità e con le orecchie piene del concerto assordante dei grilli.
“Vieni fuori, spione” dissi a voce alta quando fui certa di non farla tremare d’emozione “Dobbiamo parlare.”
Per un lungo momento non successe nulla e finii per sentirmi estremamente sciocca, in piedi nel bosco a parlare da sola come i matti. Poi, alla mia destra, accompagnato da un frusciare discreto di fronde, sgusciò fuori l’alta figura elegantemente vestita di bianco di Saverio Lazzari. Il mio cuore nel vederlo volò così in alto che per un attimo sembrò trasformarsi in qualcosa di etereo e inconsistente come aria. Saverio si avvicinò cautamente, gli occhi verdi così brillanti da sembrare due pietre preziose incastonate in quel viso perfetto.
“Ancora qui.” sospirò quando fu a pochi passi da me: si ficcò le mani in tasca, come per tenerle sotto controllo.
Le mie, due inutili appendici appese alle braccia, erano ghiacciate di colpo e sudavano copiosamente.
“Ancora qui.” gracidai con voce roca dopo aver deglutito a vuoto un paio di volte. Dove altro potrei essere se non vicino a te?, pensai abbagliata dalla sua bellezza.  
“Pensavo che dopo aver assistito alla conversazione tra Tobia e me avessi capito” mormorò Saverio con voce stanca “Se fossi anche solo vagamente sana di mente dovresti essere lontana mille chilometri da qui.”
“Ti ho già detto che non ci riesco” risposi sulla difensiva “E poi, tu stesso non dovevi essere molto convinto di quello che hai detto visto che eri qui ad aspettarmi.”
Il suo sguardo adamantino si incrinò mentre sospirava rassegnato.
“Mai conosciuta una mocciosa incosciente come te.” glissò corrucciato.
“Durano ancora molto i rimproveri?” sbottai gonfiando le guance esasperata “Dovrei essere a casa per cena.”
Gli sfuggì un sorriso riottoso e il mio cuore mancò una decina di colpi.           
“Mocciosa incosciente.” ripeté sottovoce con quella voce di velluto, e sembrava mi stesse facendo il complimento più bello del mondo.
“Morivo dalla voglia di vederti.” mi sfuggì dalla bocca facendomi immediatamente arrossire come un semaforo.
La sua espressione si indurì di nuovo e i suoi occhi furono presto pieni di quella miscela di malinconia e rabbia che mi faceva stare contemporaneamente così bene e così male.
“Non devi dire queste cose, Milena” mi rimproverò serio “Non portano niente di buono, né per te né per me.”
“Filippo mi ha baciata.” buttai lì per risposta e scrutai di sottecchi la sua reazione: a parte un sopracciglio inarcato, il suo viso rimase impenetrabile.
“Sono felice per voi” commentò in tono monocorde “Com’è che si dice in questi casi? Tanti auguri e figli maschi.”
“Mi è sembrato di baciare un pezzo di pesce surgelato” continuai imperterrita “E per quanto adori il pesce, soprattutto se cucinato con la cipolla e i piselli, devo dire che non è stata una bella esperienza.”
Saverio non colse la mia ironia: aggrottò le sopracciglia e sembrò ancora più corrucciato.
“Mi auguro caldamente che tu non abbia esposto a Filippo lo stesso concetto.” mi rimproverò serio.
“In realtà sono stata di una cortesia esemplare” sospirai “Ma solo perchè mi serviva il suo computer. Credo di aver scoperto cosa sei.”
La faccia di Saverio si indurì improvvisamente: non c’era n’è sorpresa né rimprovero nei suoi occhi, ma solo malinconia e determinazione.
“Bravissima” mormorò atono “Ora ti decidi a fare le valigie e a scappare in Australia, almeno fino a Ferragosto?”
“Non sono certa di avere il quadro preciso della situazione” proseguii ignorandolo “Vorrei esporti la mia teoria, così mi puoi dire quanto sono andata vicina alla verità e quanto sono da ricovero coatto. Ti va?”
“No” ringhiò Saverio di nuovo corrucciato “Ma ho come l’impressione che non ti importi granché della mia risposta.”
“Infatti era una domanda retorica” spiegai magnanimamente “Credo che tutto abbia avuto origine con un certo Paracelso. C’è un nesso tra lui e la tua famiglia, vero?”
Gli occhi di Saverio ebbero un lampo divertito suo malgrado.
“Quando ti sei intrufolata in casa mia ti ho trovata in contemplazione di un’ara con il suo nome scritto sopra” mi ricordò alzando altezzoso le sopracciglia “Anche una capra troverebbe un nesso tra Paracelso e i Lazzari, non credi?”
Gli sorrisi mentre il cuore accelerava nel petto, rombando come una Ferrari sotto il suo acuto e verdissimo sguardo.
“Proseguiamo” annunciai spiccia “Dunque, Paracelso, dicevamo: era un brillante medico rinascimentale che tra le altre cose vantava una mostruosa conoscenza dell’alchimia, una boria tipicamente elvetica e una certa tendenza all’alcolismo. Sorvolerò sui particolari, ma si narra che costui fosse venuto in possesso di una formula per far nascere la vita in vitro: essa contemplava una non meglio identificata “fonte di vita” da chiudere in un'ampolla di vetro che doveva poi essere seppellita per quaranta giorni in letame di cavallo. Fino a qui ci siamo?”
Saverio sembrava ancora sforzarsi di non essere divertito.
“Il letame mi giunge nuovo” confessò “Credo che gli ingredienti base fossero altri.”
“Tipo?” mi informai curiosa: Saverio diventò di nuovo serio e ostile.
“Sangue di vergine.” rispose quasi con rabbia.
Riuscì perfettamente nel suo intento di farmi appesantire il cuore nel petto.
“Giusto, sangue di vergine!” approvai con finta leggerezza “Non poteva mancare, è un po’ un classico delle brodaglie alchemiche, insieme alla coda di rospo e alle ali di pipistrello. Comunque, questi sono dettagli; a quanto pare, il buon vecchio Paracelso riuscì nel suo intento di creare la vita e l’ara nel tuo giardino ne è la prova. Fiatvitae.” Gli piantai gli occhi in faccia per non lasciargli scampo “La vostra vita, signori Lazzari. Dico bene?”
Non so bene cosa mi aspettassi da Saverio: una confessione, uno scoppio di rabbia, un attonito mutismo… riuscì comunque a sorprendermi con un’espressione quasi sollevata.
Lazare, veni foras” sospirò in un latino perfetto “Così deliziosamente predestinante. Però, l’ho sempre trovato un po’ privo di fantasia.”
Lentamente, mentre il mio apparato respiratorio si dimenticava di funzionare, sollevò le mani e iniziò a sbottonarsi la camicia. Io rimasi zitta e immobile, gli occhi inchiodati sulle sue mani e sul suo petto che man mano veniva scoperto. Ogni bottone slacciato faceva aumentare il mio battito cardiaco in proporzione, ma quando arrivò in fondo capii cosa voleva mostrarmi: il suo mirabile torso, ricoperto di una pelle liscia e abbronzata, era in tutto e per tutto simile a un petto umano, benché l’assoluta perfezione della muscolatura snella e scolpita lo facesse somigliare di più a una statua di Apollo. Solo un particolare era diverso, un particolare piccolo ma fondamentale: a Saverio mancava l’ombelico.
  
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