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Autore: L_Fy    12/07/2011    1 recensioni
....Per me, le vacanze estive erano semplicemente Cresta del Gallo, con le sue terrazze ripide, con l’odore di bosco che filtrava dalle finestre la mattina, con il blu del lago a salutare in lontananza… e perché no, con la torretta di Villa Lazzari che svettava vicina, complice della mia solitudine poiché solo io potevo vederla e condividerne la solitaria bellezza.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ibidem   
(detto popolare)


Per un bel po’ rimasi immobile, così frastornata che l’unica cosa che riuscii a fare fu sbattere le ciglia. Tobia fece un passo avanti e automaticamente io alzai la spada minacciosa; lui si fermò ma continuò a guardarmi, senza smettere di sorridere.
“Tranquilla, Lena” mormorò aprendo i palmi delle mani e mostrandomeli chiaramente “Non ho cattive intenzioni. Ti stavo aspettando.”
Mi sorrise di nuovo e sembrava così sincero che il sollievo mi colse come una vertigine. Le braccia tremarono per lo sforzo e per la tensione emotiva, così le chinai lentamente per non dare l’impressione di abbassare la guardia, rimanendo muta e con gli occhi spalancati fissi su di lui.
“Sabrina” gracidai rendendomi conto solo in quel momento di quanto fosse terribilmente fioca la mia voce “Hai preso Sabrina.”
Lo guardavo accusatoria e in quel momento, se ne avessi avuto la forza, gli avrei piantato anche la spada nel petto. Tobia fece spallucce con perfetta noncuranza.
“Dovevo essere sicuro che tu venissi qui” rispose tranquillo ma serio “L’incarico di scegliere la Vergine per il fiat vitae questa volta era mio: erano centocinquanta anni che aspettavo questo momento e dovevo fare di tutto perché le cose andassero secondo i miei piani.”
Sorrise di nuovo e a me girò la testa. I suoi occhi erano così luminosi da essere quasi magnetici e volontariamente abbassai lo sguardo per recuperare un po’ di lucidità.
“E quali sono i tuoi piani?” domandai con voce rauca.
“Lo sai quali sono” rispose Tobia pazientemente “Io voglio essere libero. Questo può accadere solo se qualcuno uccide il mio padrone poiché non posso farlo io personalmente. Come vedi ho studiato tutto nei minimi dettagli: ti ho dato l’opportunità, ti ho dato la motivazione e ho anche fatto in modo che tu trovassi l’arma. Ora, non devi far altro che finire il lavoro.”
La testa vorticava e la spada fra le mie mani pesava come un macigno. Sbattei le ciglia cercando di capire le parole di Tobia in mezzo alla confusione che mi ottenebrava la mente.
“Lavoro…” balbettai incerta “Io… io non finisco nessun lavoro. Io prendo Sabrina e me ne vado…”
“E Saverio?” domandò Tobia rapido e gelido come una stilettata “Lo lascerai qui in balia di Paracelso a creare le pastoie che per altri cinquant’anni lo terranno legato anima e corpo a quel vecchio decrepito? Ti ricordo che cinquant’anni sono un bel po’ di tempo, per una mortale come te… non credo che tu stia pensando di rimandare alla prossima volta, vero?”
Il pensiero di Saverio e dei suoi occhi dolenti mi strinse il cuore come una morsa di acciaio: la spada tra le mie mani tremò irrefrenabilmente mentre il mio sguardo si appannava di lacrime.
“Saverio…” balbettai piano.
“Sai, credo che lui sia davvero cambiato” mi confidò Tobia serio “Ha sviluppato una sorta di… come dire? Umanità acquisita. Già l’ultima volta era andata male… ha dovuto scegliere lui la vergine, lo sapevi? Margherita, la tua prozia, era la sua prescelta.”
Mi lanciò uno sguardo di sottecchi mentre io incassavo anche questa notizia col cuore ormai esausto. 
“Credo che un po’ tu gliela ricordassi, era per questo che non voleva assolutamente che io scegliessi te.”
“Ed era per questo che tu invece volevi assolutamente scegliermi.” mormorai amareggiata; Tobia sorrise di nuovo, affascinante.
“Gli altri saranno qui tra poco” mi avvisò placidamente e io sobbalzai stringendo convulsamente la spada tra le mani “Non è un bene che sprechi così l’effetto sorpresa, l’unica arma che hai. Nasconditi.”
Trasecolata, lo fissai di nuovo in viso.
“Tu sei pazzo” mormorai “Come faccio con Sabrina?”
Tobia lanciò uno sguardo indifferente a mia sorella, facendomi rabbrividire: se avesse guardato un mucchio di foglie secche non avrebbe avuto più interesse di così per la sua sorte.  
“Lei deve stare sull’ara” spiegò pazientemente “Non è necessario tornare a legarla, l’effetto del Bacio è molto potente e dopo che avrai fatto quelli che devi, potrai caricartela in spalla e andare dove vuoi.”
Sorrise incoraggiante e a me sembrò di vedere un lupo che mostra le zanne.
In quel momento, i fruscii nel bosco ricominciarono: i miei occhi saettarono subito in quella direzione, quelli di Tobia rimasero invece fissi su di me. Il suo sorriso si era smorzato e tutta la potenza furibonda dei suoi occhi si riversò su di me facendomi vacillare.
“Non hai più tempo” disse con terribile ineluttabilità “Nasconditi, ora. O morirete entrambe, tu e tua sorella.”
La mia schiena tremava, il mio respiro rapido singhiozzava, la mia mente era in piena confusione: che dovevo fare? Dar retta a Tobia o aspettare di avere tutti contro e cercare di difendermi pateticamente con una spada che nemmeno ero in grado di sollevare da terra? Lanciai un’occhiata a Sabrina stesa dietro di me: i suoi occhi socchiusi erano ancora vacui e il suo aspetto generale era indifeso come quello di un cucciolo appena nato. Per quanto il cuore mi scoppiasse di pena nel petto, dovevo pensare alla sopravvivenza di entrambe, così presi la mia decisione su due piedi. Mi girai verso Tobia con gli occhi umidi e le labbra pressate.
“E va bene” sospirai “Ma se solo torcerete un capello a Sabrina…”
Tobia tornò a sorridere, gioioso e affascinante come un angelo.
“Non ce ne sarà bisogno” rispose comprensivo “Ora riportiamola sull’ara.”
Attesi per un lungo momento mentre il cuore strattonava da una parte e la mente dall’altra: Tobia aspettò pazientemente che mi muovessi rigida come se avessi le giunture arrugginite, poi si avvicinò con cautela. Insieme afferrammo Sabrina sotto le ascelle e la trascinammo di peso verso l’ara: per tutto il tempo, Tobia mi istruì con rapide e precise indicazioni.
“Devi nasconderti dietro il cespuglio nella zona d’ombra tra la terza e la quarta torcia: lì sarai in posizione ottimale per attaccare il Sacerdote, ovvero Paracelso. Dovrai aspettare il mio segnale, cioè quando ti chiamerò per nome, chiaro? Non ci vorrà molto: tu devi solo uscire e piantare la spada.”
Piantare la spada.
Per un attimo passò un film in bianco e nero nella mia mente dove io uscivo urlante dal cespuglio, la spada sollevata sopra la testa, e piantavo la lunga e pesante lama nel corpo gobbo e scarnificato di un vecchietto incartapecorito. Lo shock fu così grande che la vista mi si appannò.
“Io…” balbettai con la nausea che fece affiorare il sudore sul viso terreo, ma Tobia si concentrò sui fruscii sempre più vicini e mi girò le spalle.
“Vai!” sibilò con ferocia senza guardarmi “Sono qui!”
Era vero: la luminosità discontinua delle torce era vicinissima, ormai non c’era più tempo per niente.
Mi girai e mi tuffai quasi di peso dietro il cespuglio, rimanendo poi immobile e vigile senza quasi respirare. Stringevo convulsamente l’elsa della spada tra le mani, ma invece di trarne conforto riuscii solamente a sentirmi ancora più sola e disperata.
*    *       *
Qualcosa stava arrivando. Percepii la sua presenza quando di colpo l’aria tiepida della sera sembrò diventare opprimente come sotto una campana di vetro. Le cicale avevano smesso di frinire come se le avessero spente con il telecomando e Tobia si era irrigidito fino a sembrare trapassato dalla corrente elettrica. Nel silenzio improvviso, crepitava rumorosamente solo il mio respiro concitato: serrai forte le labbra nel tentativo di coprire il rumore, ma il rombo del cuore continuava a essere pericolosamente assordante e batteva impazzito un ritmo in crescendo, aspettando qualcosa di enorme che si preannunciava in arrivo con lente scariche elettrostatiche. Le fronde intorno al cerchio di torce frusciarono: io alzai le spalle irrigidita senza poter sfuggire a una sensazione strana, fangosa e viscida come sabbie mobili mentali. Di colpo, l’aria fu piena dell’odore nauseante e antico degli umidi cimiteri invernali. Non osavo chiudere gli occhi, non osavo nemmeno respirare: mi sentivo sola e disperata come un topolino preso in trappola. “Ma tu non sei sola” disse una voce tranquilla nella mia testa “Ci sono io con te”. La riconobbi: era la proiezione della voce di Saverio, dolce e contrita come avevo imparato a conoscere e ad amare, con quel sottofondo frustrato e burbero che esprimeva così chiaramente com’era lui stesso. Chissà se mi avrebbe davvero parlato così dolcemente sapendo in che razza di guaio mi ero cacciata?
A un tratto Saverio arrivò proprio lì, davanti a me. Uscì dall’ombra ed entrò nel cerchio di luce rimanendo poi in piedi al centro della radura. Al suo fianco si materializzò Ruggero: entrambi tenevano una torcia in mano e indossavano lunghe tuniche bianche del tutto simili a quelle di Tobia e di Sabrina. Vedere Saverio fu devastante: tra la paura e l’urgenza di salvare Sabrina, non avevo considerato quanto la sua fisicità mi sconvolgesse… ero preparata all’impatto emotivo che lui avrebbe avuto su di me ma la violenza con cui mi colpì la curva esausta del suo collo mi riempì di pena e di rabbia nei confronti del mondo intero. Stava soffrendo, era evidente: soffriva da morire col capo chino, in silenzio, senza sperare più niente. Se avessi avuto un minimo di forza e di coraggio sarei corsa da lui immediatamente. Ma qualcos’altro si avvicinava e io ne percepivo con tutti i sensi la vicinanza. Era qualcosa di antico e malsano che dava l’impressione claustrofobica del chiudersi in una bara con un cadavere: cercai gli occhi di Saverio, ma non li trovai, coperti dalle stanche palpebre arrossate. La sensazione di oppressione al petto si intensificò mentre il bosco buio, con un ultimo frusciare stanco di foglie, partorì un’ultima figura umana.
Qualcos’altro entrò nel cerchio di luce e senza nemmeno bisogno di vedere seppi che Paracelso era arrivato.
*    *       *
Avevo così paura di guardare Paracelso, o qualsiasi cosa fosse entrata nel cerchio di luce al suo posto, che faticai a mettere a fuoco le immagini che mi danzavano nebulose davanti agli occhi: quando la vista si chiarificò provai un senso di travolgente sollievo guardando finalmente e definitivamente in faccia l’origine del mio terrore.
Paracelso era un vecchio. 
Un vecchietto curvo e secco come uno scheletro, malamente rivestito di brandelli di pelle cascante e rugosa. La testa piccola quasi completamente calva era ricoperta di macchie brunastre e pochi capelli candidi svolazzavano come lanugine intorno al viso. Quello che frusciava fra le frode e che produceva quel suono rivoltante era il suo vestito: una lunga e pesante tunica di velluto rosso scuro, antica quanto il padrone e forse di più. Il vecchio si appoggiava a un bastone e le sue mani strette ad artiglio erano quasi completamente nascoste dalle lunghe maniche della tunica. Era vecchio e sembrava fragile come un uccellino: eppure, mi bastò guardarlo in faccia perché il terrore tornasse a invadermi le viscere completamente, bloccandomi il respiro in gola. Aveva due occhi lucenti e irreali tanto da sembrare due malsane pietre radioattive incastrate nelle orbite e io avevo la terribile sensazione che lui potesse vedermi, anche se ero ben nascosta nel buio e fitto fogliame: il mio cuore batteva troppo forte, il mio corpo tremava e spandeva intorno l’odore inequivocabile della paura. Paracelso raggiunse lentamente Saverio e Ruggero al centro del cerchio e Tobia gli si inginocchiò davanti a capo chino. Nessuno aveva ancora guardato dalla parte di Sabrina, stesa impietosamente sull’ara; Saverio e Ruggero tenevano lo sguardo basso e Paracelso girava intorno lo sguardo rapace simile a un paio di spilli. Il suo viso si sollevò lentamente ricordandomi assurdamente quello di una tartaruga che esce dal suo guscio.
“Qui est?” chiese con una voce rugginosa e tremolante che riuscì a ghiacciarmi il sangue nelle vene.
Tobia rimase a capo chino davanti a lui: ansimava rapidamente e, per la prima volta da che lo conoscevo, vidi affiorare sul suo viso qualcosa di molto simile alla paura.
“La Vergine è pronta.” disse cercando di infondere sicurezza nella voce, ma il suo patetico tentativo non ingannò neanche me. Paracelso continuò a perlustrare l’aria intorno a sé: le sue narici fremevano, la sua bocca semiaperta sembrava l’ingresso di una caverna millenaria e i suoi occhi saettavano dovunque come un raggio laser.
“Chi c’è?” chiese ancora la voce questa volta in italiano: era una voce stranissima, sembrava provenire sia dal mio stesso interno che da fuori, dappertutto. Era priva di inflessioni, priva di sentimento, priva di vita: ascoltarla era a dir poco agghiacciante e il respiro mi si fece affannoso, agitando il mio petto di puro terrore.   
“Padre, la Vergine” ripeté Tobia: si alzò in piedi e indicò con la mano Sabrina riversa sull’ara. Con la coda dell’occhio vidi Saverio sollevare millimetricamente la testa e, dopo qualche secondo, sussultare penosamente: aveva visto Sabrina, l’aveva riconosciuta.
“No.” sfiatò con voce esausta e flebile, come se non fosse in grado di sopportare nient’altro.
Il suo mormorio riuscì a distrarre Paracelso abbastanza da attirare quei suoi terribili occhi su di sé.
“Come hai detto, filius?” domandò con vaga sorpresa dietro l’evidente minaccia.
Saverio tremò: la sua schiena guizzava di brividi incontrollabili mentre le unghie conficcate nei palmi serrati stillarono alcune gocce di sangue sul terreno brullo.
“Padre” disse la voce di Saverio: tremava e sembrava che ogni lettera gli costasse uno sforzo enorme “Padre… non… lei…”
Paracelso non disse niente: si girò a guardare Sabrina con la sublime indifferenza di un regale in presenza di un moscerino e sembrava perfettamente padrone di sé, immobile e rilassato benché curvo sul suo bastone.
“Saverio.” chiamò e il tono della sua voce era un furibondo distillato di morte.
Persino io sentii il gelo attraversarmi il cuore e strinsi con tutte le forze l’elsa della spada tra le mani, resistendo a stento all’impulso di chiudere gli occhi. Saverio crollò in ginocchio come se una potente mano invisibile lo avesse spinto dall’alto schiacciandolo impietosamente: il suo respiro affannoso e la tensione dei suoi muscoli indicavano chiaramente che stava combattendo invano contro una forza molto più grande di lui.
“Filius, non è già il secondo fiat vitae che contesti?” continuò la voce terribile di Paracelso; Tobia e Ruggero si erano leggermente allontanati, entrambi così pieni di timore da sembrare maschere di sé stessi indossate da due topolini spaventati. La testa di Tobia guizzò nella mia direzione: fu un lampo d’intesa, proprio mentre Paracelso si girava verso Saverio, dandomi le spalle.
“Padre, perdonami…” balbettò Saverio col viso arricciato in una smorfia di sofferenza “Ma ti prego… ti prego… non il suo sangue…”
Gli occhi di Tobia si allargavano man mano che Paracelso si girava: ora la sua schiena era direttamente di fronte a me, il bersaglio più facile del mondo. Il sudore mi inondò il viso mentre le mie dita stringevano convulsamente l’elsa della spada. Le mie gambe erano in tensione, pronte a scattare, ma la mia mente urlava solo “no no no no…”
“Lei è…” proseguì Saverio balbettando ignaro “La sua famiglia è… la stessa della Vergine dell’ultimo fiat vitae. Non possiamo… è pericoloso…”
Paracelso si curvò verso Saverio, minaccioso e completamente assorbito su di lui e in quel momento Tobia si girò di scatto verso il mio cespuglio.
Fu un momento vissuto come al rallentatore: tutti i muscoli del suo corpo si tesero mentre dalla sua bocca proruppe un grido, quasi doloroso tanto era urgente:
“LENA, ADESSO!”
*    *       *
La mia mente si bloccò lì, dietro quel cespuglio: attonita e quasi indifferente, rimase a guardare mentre le mie gambe scattavano, pesanti e rigide come se fossero imbottite di pietra. Mi avventai su Paracelso, alzando la spada sopra la testa e caricando con quanta forza avevo: non feci nessun urlo da guerriero cinematografico, non feci tremare la terra sotto i piedi, quasi non mi si sentì mentre sbucavo dal cespuglio. Eppure, nella lentezza da incubo di quel momento, la mia mente acquattata dietro il cespuglio registrò tutto con sorprendente nitore: lo sguardo di Tobia che si accendeva di selvaggia esultanza; la testa di Saverio che scattava in su; il verso strozzato di Ruggero che incespicava allontanandosi di un passo; la schiena di Paracelso che si girava nella mia direzione, lenta, troppo lenta per…
“Finis.” disse tranquillamente: la sua voce era come i suoi occhi, senza tempo e senza pietà, terrificante proprio per la sua assoluta mancanza di umanità e mi bloccò sul posto come un raggio congelante.
Con mia somma sorpresa, le mie mani si aprirono e la spada cadde a terra con un clangore oltraggiato. Io la sentii cadere alle mie spalle senza assolutamente riuscire a muovermi: ero a un passo da Paracelso e ne respiravo l’odore antico e rivoltante ed era come essere racchiusi in un bozzolo impenetrabile di foglie morte e polvere. Senza nemmeno bisogno che pensassi coscientemente, capii di non potere più uscire dal cerchio di fuoco, di non potermi muovere, di non poter fare niente senza che Paracelso lo volesse o lo ordinasse. Continuai a rimanere tesa e immobile, sperando con tutte le mie forze di riuscire a fare la cosa giusta anche se non sapevo più quale fosse.
Paracelso girò lentamente lo sguardo su di me, mosse un sopracciglio e io mi trovai di colpo inginocchiata con la fronte che quasi sfiorava l’erba secca della radura. L’assoluta facilità con cui era entrato nella mia mente e manovrava la mia volontà mi lasciò completamente sconvolta.
“Chi è costei?” domandò la voce senza tempo di Paracelso, arrivando da tutte le parti; non sembrava arrabbiato, non sembrava niente e questo era l’aspetto più spaventoso.
“Lena.” alitò Saverio, ma più che una risposta sembrava una sentenza di morte.
“E’ la sorella della Vergine.” rispose Ruggero che sembrava l’unico in grado di poter rispondere; Saverio era ancora inginocchiato a terra, il viso una perfetta maschera di dolore e stupore, Tobia invece sembrava anche lui congelato sul posto completamente privo di volontà e forza. Paracelso mi guardò: sentii un fruscio e di colpo mi ritrovai con un lembo della sua tunica sotto il naso, odorosa di morte antica e di disfatta.
“Alzati.” ordinò e io mi trovai in piedi prima ancora di formulare il pensiero di sollevarmi.
Paracelso mi guardò in faccia da vicino: i suoi occhi erano due lattiginose lastre di ossidiana grigiastra rivestite da uno strato di vetro, non avevano né pupille né nient’altro di umano, erano due piatte e feroci finestre su un oscuro pozzo senza fondo di nulla eterno. Iniziai a tremare violentemente, come se fossi nel bel mezzo di un tornado e finalmente compresi quello che Saverio aveva sempre cercato di spiegarmi; di fronte a Paracelso io ero come una inutile, piccola, insignificante formica che lui poteva schiacciare a suo piacimento. Infatti, con la sola forza del pensiero mi ricacciò a terra, con la faccia nella polvere.
“Perché sei qui.” domandò Paracelso senza curiosità.
“Per ucciderti.” risposi immediatamente, riuscendo a malapena a respirare.
“Padre” sospirò la voce di Saverio proveniente da abissi lontani “Padre, ti prego… non lei, padre, lei no…”
Da sotto in su, ancora prostrata a terra, mi girai a guardarlo respirando velocemente dal naso: Saverio si era spostato ed ora lo vedevo chiaramente al centro del cerchio di luce, indifeso e solo quasi come me. I nostri occhi si incontrarono per un attimo eterno prima che i miei si riempissero di lacrime.
“Saverio..” balbettai e non sapevo se volevo supplicarlo o gridargli di fuggire.
“Perché sei qui, Lena…” sospirò lui: agitava la testa con rabbia, come se si fosse voluto svegliare e avesse preso troppi sonniferi. Tobia, invece, sembrava ancora in stato catatonico.
“Mi dispiace” mormorai con voce rotta “Non doveva andare così…”
“Perché sei qui!” ripeté lui con voce un po’ rabbiosa: una smorfia rigida gli deturpava la faccia come se stesse combattendo con tutte le sue forze contro una paralisi irresistibile.
“Volevo liberarti” continuai sottovoce chiudendo gli occhi e premendo la fronte contro la terra tiepida “Volevo liberarvi tutti quanti…”
Tutti tacquero mentre lo stridio di un assiolo lontano mi obbligava a riaprire gli occhi. Saverio mi guardò ancora con uno sguardo così pieno di angoscia che la mia sicurezza vacillò.
“Volevi uccidermi.” disse Paracelso, sempre monocorde e privo di inflessioni. Era raccapricciante ascoltarlo.
“Sì.” ammisi e non riuscivo proprio a provare vergogna: dopo averlo visto, il pensiero di Saverio obbligato a servire quel rudere putrescente mi riempiva di puro orrore.
“Ma non puoi” mormorò Saverio con voce liquida e tormentata “Paracelso non può morire per mano di un umano… solo un immortale può ucciderlo.”
Qualcosa crollò intorno a me: forse era il mondo, forse ero io stessa.
“Come?” sussurro mentre il sangue abbandona il mio viso e il mio cuore “Cosa?”
Mi girai a guardare Tobia che diventò, se possibile, ancora più rigido e immobile.
“Se un mortale tenta di uccidere un immortale, muore.” sospirò Saverio esausto: chinò il capo come se fosse di colpo un peso insostenibile.
Io ero cristallizzata sul posto, il respiro mozzato da una massa informe di terrore incastrata nel petto.
“No…” mormorai senza voce “Lui mi ha detto… se Paracelso muore voi…”
“Piccola serpe ingenua” sospirò Paracelso senza nessuna emozione nella voce “Come hai potuto anche solo pensare di sfidarmi? Tu, insignificante larva mortale, contro di me, Paracelso?”
Con la coda dell’occhio vidi un artiglio raggrinzito e grigiastro sbucare dalla manica della tunica rossa di Paracelso e chinarsi per raccogliere la spada da terra.
“Meriteresti una morte lunga e sofferente anche solo per questo imperdonabile atto di superbia.” decretò sollevando la spada senza nessuno sforzo apparente come se fosse fatta di latta: con un cenno della testa mi costrinse a sollevarmi in ginocchio e mi puntò la lama esattamente contro la gola con una terribile precisione chirurgica.
“Tutto questo andrebbe approfondito” disse piano rivolto a Tobia, Saverio e Ruggero e il suo ringhio fece vibrare il terreno sotto le mie ginocchia: era furioso e dalla sua voce non trapelava nient’altro che malvagità e rancore “Sarebbe molto interessante sviluppare l’argomento e capire come avete fatto, voi scellerati, a costruire un dramma di questa portata, ma sappiamo tutti che non abbiamo tempo. Scoprirò quello che avete tramato alle mie spalle, servi ingrati, ma prima occorre benedire il terreno e proteggerci dal Nemico. Egli è vicino, molto vicino: il suo odore arriva fino a me…”
Si interruppe per alzare il viso come aveva fatto poco prima: sembrava intento ad annusare l’aria con quel bitorzolo molliccio che aveva per naso.
“La Vergine…” balbettò Ruggero, incerto, ma Paracelso alzò una mano interrompendolo bruscamente.
“Avrei voluto usare te, piccola e infida serpe” ringhiò sottovoce “Almeno la tua presenza qui avrebbe avuto uno scopo più nobile di quello di irritarmi a morte. Sfortunatamente, l’Assassina non può essere sacrificata. Corruptio optimi pessima*. Per il fiat vitae serve un sangue puro, incontaminato. Tu sei solo d’impiccio.”
Se mai quella voce aveva avuto un cuore, esso era andato perduto negli anni, chissà quando e chissà dove; l’unica cosa certa era che in quel momento non batteva niente in quel petto macilento. Sapevo quello che stava per dire: la mia stupidità stava per crollarmi addosso senza possibilità di riscatto. Guardai la faccia di Saverio, cinerea e sconvolta sperando di trovarci chissà che e vedendo solo il riflesso del mio stesso terrore.
“Padre, non…” iniziò Saverio, ma la voce di Paracelso spazzò via tutto, come un’esplosione nucleare.
“Figli miei, uccidetela.”
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
*Ciò che era ottimo, una volta corrotto, è pessimo
  
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