Dal presente
all’antico Egitto
Capitolo 12:
Sango si
scusò con l’amica per aver creato disturbo a causa
della sciocca azione di ieri
sera.
Non si era
nemmeno resa conto di aver bevuto così tanto, anche
perché lei aveva sempre
odiato l’alcool.
“Non
ti preoccupare
Sango, non è successo nulla di grave! Anzi, mi scuso anche a
nome di Inuyasha
per averti svegliato a causa del nostro battibecco”.
“Non
devi
scusarti Kagome, sul serio. Adesso vado da Miroku, devo ringraziare
anche lui
per avermi aiutato. Ci vediamo più tardi!”
La ragazza
dai capelli color ebano, dopo aver ricambiato il saluto
dell’amica, si avviò
verso il suo letto dove ancora vi era comodamente disteso il suo
padrone.
“Ma ti
rendi
conto che a causa del tuo comportamento isterico hai svegliato Sango?
Proprio
lei che aveva bisogno di riposare!” lo rimproverò
Kagome.
“Se tu
non
mi avessi insultato non sarebbe successo! Lo sai che io alle
provocazioni
rispondo!” gli disse il mezzo-demone puntandole un dito
contro.
La ragazza
non poté che essere ulteriormente infastidita da quello
sciocco principe, ma
decise di abbandonare la discussione e di sedersi sul bordo del letto.
“Senti,
adesso come sta la tua mano?”.
“E’
guarita
completamente” gli rispose l’hanyou, mettendosi a
sedere come Kagome.
“Sul
serio?
Così presto?” domandò un po’
incredula la ragazza.
“Si.
Ai
mezzo-demoni, come d’altronde ai demoni, le ferite
rimarginano prima di voi
esseri umani” le spiegò.
“Potrei
constatarlo con i miei stessi occhi?” gli chiese,
accompagnando il tutto con un
sorriso dolce.
Il principe,
non essendo abituato ad essere trattato in quel modo così
dolce, arrossì per
poi offrirgli timidamente la mano artigliata.
Kagome la
afferrò delicatamente e non poté non notare
quanto fosse grande e calda a
confronto alle sue mani piccole e pallide. Così sovrappose i
loro palmi e li
osservò.
Inuyasha,
intenerito dal gesto della giovane ragazza, decise di non fare niente
di
stupido per rovinare quel momento.
La serva nel
frattempo continuava ad osservare dettagliatamente il tutto: passava
dagli
artigli affilati da mezzo demone per poi scendere verso le dita,
affusolate e
sottili. Dal dorso della mano scese verso il polso…
Aspetta…
…
cosa?!
Perché
sul
polso non c’era il braccialetto che le aveva sottratto tempo
prima?!
Diede una
rapida occhiata anche all’altro polso, presa ormai dal
panico, ma anche quello
era inspiegabilmente vuoto, privo di qualunque gioiello.
“Inuyasha…
dove è finito il MIO braccialetto?” la ragazza
tentò di rimanere calma, per
quanto gli fosse possibile.
“Eh?
Di che
stai parlando?” domandò lui, confuso dallo
repentino sbalzo d’umore della
ningen.
“Del
braccialetto che mi hai sottratto e che avresti dovuto tenerlo fino a
che non
avresti deciso di restituirmelo!” a quel punto non
poté non trattenere un urlo.
“Ah,
quel
braccialetto! … perché non lo porto al polso?
Forse l’avrò perso” disse con
noncuranza, facendo anche spallucce.
“Lo
hai
perso? MA DICO TI SEI RINCRETINITO?” urlò ancora.
A quel punto
Inuyasha la guardò sconvolto.
“Io ho
bisogno di quel braccialetto” continuò poi
“Ne va della mia stessa vita! Adesso
tu mi aiuterai a cercarlo, chiaro?!” gli ordinò,
gli occhi color nocciola
avevano preso un’inspiegabile sfumatura rossastra. Sembrava
avesse gli occhi di
un demone inferocito.
Il
mezzo-demone, a quel punto terrorizzato, non poté che
annuire.
Kagome
quando ci si metteva faceva proprio una gran paura!
…
eppure non
riusciva proprio a capirla!
Prima faceva
tutta la dolce e poi gli urlava contro, arrivando persino a minacciarlo.
“Le
donne
non le capirò mai” pensò, annuendo fra
sé e sé.
“Che
stai
facendo ancora lì seduto?! Muoviti o…”
“Arrivo
mia
signora!” gli disse, alzandosi immediatamente.
…
Sì,
Kagome
faceva proprio paura!
Ad Ayame,
nel frattempo gli era stato nuovamente assegnato il compito di portar
da
mangiare agli schiavi che stavano provvedendo alla costruzione delle
piramidi.
La demone
era felicissima, avrebbe potuto rincontrare il suo amico Koga!
Scese a
valle, constatando che Kaede era già arrivata e che aveva
preparato tutto il
necessario.
Ayame volse
la propria attenzione a tutti gli uomini che si stavano avvicinando a
loro e
solo allora intravide un demone lupo. Era proprio Koga.
Prese un
po’
di cibo e si avviò verso di lui.
Appena la
vide, il demone le sorrise e si avvicinò a lei.
La
salutò e
la ringraziò per il gentile gesto.
Dopo aver
finito di pranzare, i due iniziarono a parlare ininterrottamente,
approfittando
della pausa che avevano concesso ai lavoratori come ricompensa del loro
ottimo
lavoro.
“Lo
sai che
si terrà fra poco un ballo in onore dell’arrivo e
del matrimonio del principe
Sesshomaru?”
“A
dire il
vero no” confessò Koga.
“Beh,
stavo
pensando… visto che sono tutti invitati, compreso i
lavoratori, ti piacerebbe
venirci insieme a me?” a quel punto Ayame si
imbarazzò non poco, lei non era il
tipo da queste cose.
Però
aveva
preso il demone in simpatia e trovava piacevole trascorrere il tempo in
sua
compagnia.
“Mi
piacerebbe molto, Ayame” affermò il demone lupo,
sorridendole.
A quel punto
la demone arrossì.
“Solo…
non
ti aspettare molta eleganza. E puoi ben capire a cosa mi
riferisco” gli disse
Koga.
“La
stessa
cosa vale anche per me!”
I due
scoppiarono a ridere.
Koga era
contento di passare le proprie pause insieme ad Ayame.
Lo faceva
sentire tranquillo e gli faceva dimenticare tutto il lavoro che lo
avrebbe
aspettato durante la giornata, cosa che avrebbe dovuto solo farlo
deprimere
visto che ancora le piramidi non erano state costruite del tutto.
Lui non era
destinato alla schiavitù, al lavoro per gli egiziani. Lui
aveva guidato delle
resistenze, insieme ai suoi amici, perché non approvava
proprio questo tipo di
cose.
Queste cose
in cui lui si era imbattuto.
Non si
sarebbe rassegnato così facilmente il demone, non avrebbe
rinunciato a
combattere, non era da lui.
Aveva
promesso di non arrendersi, per rendere quel luogo un posto
più sereno per
tutti, senza schiavi o lavori forzati, senza prigionieri e senza
spargimenti di
sangue, senza villaggi che venivano crudelmente rasi al suolo.
Un luogo
dove vivere in pace.
Avrebbe solo
dovuto trovare i suoi amici, liberarli e fuggire insieme a loro, per
riprendere
la loro missione e raggiungere l’obiettivo che si erano
prefissati.
Ma adesso
non ne aveva la possibilità, controllato com’era
dalle guardie del faraone.
Quei dannati
sciacalli con fruste infernali, che avevano mandato al tappeto migliaia
di
uomini stanchi, malati, che non ne potevano più di quella
vita dedicata solo al
sudore per uno stupido demone cane che regnava e che non gliene
importava
niente di loro. Lo dimostrava il fatto che non si era mai fatto vivo.
Ma almeno per un
po’ di tempo, al forte e
battagliero Koga, gli sarebbe bastato la compagnia della sua nuova
amica.
E anche
uccidere primo o poi quelle maledette guardie che avevano appena
colpito un suo
conoscente.
Dopotutto
anche quell’idea non era poi così male.