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Autore: Vekra    20/07/2011    1 recensioni
E se Harry non fosse stato per Ron solo un amico? E se non fosse cambiato proprio tutto? Come si sarebbe comportato il Re?
Dal testo: “... Harry gli si avvicinò speditamente, quasi rompendo il ritmo lento e misurato della Sala. Pensandoci bene, non sapeva dire esattamente quando aveva iniziato a provare per lui più del semplice affetto fraterno. Non che ora fosse molto importante...”.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Luna Lovegood, Ron Weasley
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 1 - Il Re Bianco
Disclaimer: Harry Potter e tutti i personaggi della saga sono di proprietà di JK Rowling e di chiunque ne possieda i diritti. Questa storia non ha alcun fine di lucro, né intende infrangere alcuna legge su diritti di pubblicazione e copyright.

NdA: Non ho la più pallida idea di come mi sia venuta in mente questa shot, prima ancora di rendermene conto avevo già iniziato a scrivere. Ho avuto un blocco di quasi un anno nella sua stesura, ma l’ho completata e sono piuttosto contenta di poterla condividere con voi.
Ci sono alcune cose da dire prima d’invitarvi alla lettura.
Innanzitutto, ammetto di non avere una grande simpatia per Ron: non lo detesto quanto la Umbridge, ma nemmeno faccio i salti di gioia al solo sentirlo nominare. Tuttavia, ho cercato di mettere da parte tutti i miei eventuali pregiudizi nei suoi confronti, per evitare di sfigurarne la vera natura e cadere nell’OOC (che ho comunque messo fra gli avvertimenti per non sbagliare). Se vi sia riuscita o meno, sarete voi a giudicarlo. Ho comunque messo quell’avvertimento perché, per esigenze di trama (sempre che la si possa definire così), alcuni aspetti dei personaggi sono stati modificati.
Ron e Harry sono indubbiamente una coppia piuttosto insolita nel web (in italiano almeno, che, se mi metto a leggere in inglese, passerei la mia vita di fronte al pc) non ho trovato moltissimo su di loro. Però, come ho imparato ad apprezzare le Harry/Hermione, mi sono resa conto che anche quei due nascondono un bel potenziale: insieme sono dolci senza diventare zuccherosi. Certo, questo in molte occasioni dipende da come li gestisce l’autore... in questo caso mi sono sforzata di riuscirci (se veramente ho reso tutto sdolcinato, incolperò la vecchiaia). Spero che li possiate gradire anche voi.
Parliamo della storia: questa piccolina tiene conto di tutti gli eventi dei primi sei anni (a parte qualche modifica) ed è ambientata in un ipotetico settimo anno. Harry ha sconfitto Voldie all’inizio dell’anno scolastico, distruggendo gli Horcrux con l’aiuto dei suoi amici nel corso dell’estate, quasi con le stesse dinamiche del settimo libro. L’Ordine della Fenice e l’ES erano presenti alla battaglia finale, effettivamente tenuta a Hogwarts (il caro Neville ha ucciso Nagini). Infine, gioite: sono tutti vivi e vegeti! Nemmeno Bella è morta (il braccio destro di Voldie ucciso da una casalinga? Non ci crede nessuno!)! Inoltre Ron non ha mai provato alcun interesse per il genere femminile (sostituite Lavanda nella vostra mente con un ipotetico ragazzetto di un anno più piccolo) e la cara Herm si è rassegnata da qualche tempo. La cotta di Ginny per Harry è morta e sepolta dal quarto anno e nel sesto non c’è stato alcun bacio o robaccia simile (leggo troppe Drarry e Snarry, inizio a odiare quella povera ragazza).
Se siete arrivati fin qui senza volermi strangolare... i miei sentiti complimenti!
Buona lettura!


IL RE BIANCO

Ron non aveva una buona opinione della sua vita: iniziava seriamente a credere di avere qualcosa che non andava. Anche se, molto probabilmente, Fred gli aveva lanciato una maledizione da piccolo e questo era il brillante risultato.

Senza dubbio non si poteva dire che andasse tutto bene.

In primo luogo, chiunque sosteneva che il denaro non dava la felicità era un povero illuso. Non che si potesse essere felici solo con un mucchio di galeoni, di questo Ron ne era certo, però quanto aiutavano! Anche solo per andare in giro vestito decentemente, se non si volesse pensare a tutte quelle cose che avrebbe voluto comprarsi... giusto per avere un aspetto decoroso, per essere quantomeno presentabile.

Si potrebbe ribattere che queste non sono cose davvero importanti: in fondo, chi giudica dall’aspetto esteriore non da prova di grande maturità. Ma quello che davvero lo infastidiva era quella strana tendenza ad associare un cattivo carattere a un cattivo abbigliamento. Non che lo facessero tutti consapevolmente... però Ron era davvero stufo di essere giudicato – male, tra l’altro – per come si vestiva.

La sua tunica era lisa e rattoppata? La prima cosa che veniva in mente alle persone che lo circondavano era che lui non se ne prendeva cura, come se l’evidente pulizia della divisa fosse totalmente invisibile. Ne seguiva che, se non sapeva interessarsi del suo aspetto esteriore, non doveva avere gran riguardo di tutto il resto.

Aveva tentato, invano, di dare una migliore immagine di sé almeno nello studio, per dimostrare che aveva un cervello – aldilà degli scacchi – e lo sapeva usare. Si era impegnato al punto che solo Hermione andava in biblioteca più di lui (soltanto per non essere da meno ovviamente!)... il risultato era stato ottimo, ma non eccellente.

Si spaccava in due agli allenamenti di Quidditch, perché gli sembrava che non gli fosse rimasto altro, ma non otteneva nessun progresso particolarmente vistoso, anche a causa dei suoi maledettissimi nervi. Poteva aspirare a far bene, ma l’essere migliore non era alla sua portata.

E, ora, cosa gli succedeva per completare il tutto? Che cosa poteva mai peggiorare una situazione già abbastanza mortificante di per sé?

Innamorarsi del proprio migliore amico.

Grandioso, vero?

***

Quella sera la Sala Comune di Grifondoro era particolarmente affollata. Sebbene fosse piuttosto tardi, gli studenti si trascinavano pigramente nelle loro occupazioni, incuranti di tutto il resto; un vago mormorio aleggiava nell’aria, dando all’intera Sala un’apparenza sonnacchiosa e indolente.

Ron sedeva in una poltrona di fronte al camino, rigirando fra le lunghe dita la sua pedina del Re Bianco. Guardava le fiamme danzare lente, studiando quei movimenti suadenti: era solo un modo come un altro per evitare di pensare.

“Ehi, Ron... ” il rosso voltò pigramente il capo verso il suo miglior amico, appena apparso dal buco del ritratto. Harry aveva un bel viso, a suo dire, nonostante fosse piuttosto spigoloso o, forse, proprio per quello.

“Ciao” lo salutò, senza alcuna inclinazione evidente nella voce. Harry gli si avvicinò speditamente, quasi rompendo il ritmo lento e misurato della Sala. Pensandoci bene, Ron non sapeva dire esattamente quando aveva iniziato a provare per lui più del semplice affetto fraterno. Non che ora fosse molto importante... “Hermione dov’è? Pensavo stesse con te... ”

“È rimasta in biblioteca, tanto ha il permesso... ” lo guardò alzare le spalle, buttare la borsa ai piedi della poltrona di fianco alla sua e sedersi con evidente stanchezza. Forse era quella vaga noncuranza dei suoi movimenti che lo rendeva intrigante ai suoi occhi... “Tu hai già finito il tema di Trasfigurazione?”

“Quasi... la consegna è dopodomani, no?” Ron sarebbe tornato volentieri a fissar il fuoco nel camino, pronto a sprofondare nel confortante torpore che gli impediva di formulare idee scomode... peccato che con la coda dell’occhio avesse intravisto la bocca di Harry piegarsi in un ghigno. Probabilmente amava quella sorta d’ignara ostentazione di... cosa? Imperfezione, forse? “Sarà domani?” vide il suo ghigno allargarsi e, nonostante la situazione non fosse delle migliori, apprezzò quel sorriso. Perché non lo rivolgeva a nessun altro se non a lui...

“Copia il mio” Harry si chinò a prendere la sua borsa, ci rovistò dentro e poi gli lanciò la pergamena incriminata. Ron la prese al volo.

“Grazie... ” stava perdendo il ritmo... troppe cose alla volta e non c’era nemmeno abituato. Per fortuna c’era Harry. “Lo finisco su in dormitorio così, dopo, me ne vado a letto... ” si alzò dalla poltrona, stiracchiandosi e chiedendosi se anche Harry seguisse i suoi gesti, oppure se ne disinteressasse totalmente.

“Ti do una mano, così... ”

“No, non ti preoccupare... ” Ron lo bloccò quasi senza sapere perché lo facesse. Si limitò a mostrare un piccolo ghigno “Dovresti riposarti, sai? Il nostro Capitano non può permettersi di presentarsi nel tuo stato agli allenamenti! Ci si aspetterebbe che sia almeno un po’ sveglio, no?” deviò la borsa che Harry gli aveva tirato dietro e salì fino al dormitorio, in una mano il Re Bianco, nell’altra il tema del suo migliore amico.

Nella stanza, Dean, Seamus e Neville stavano già dormendo. Il lento russare di quest’ultimo e il quieto respiro degli altri due sembravano voler creare la stessa atmosfera della Sala Comune. Quel po’ di silenzio, che regnava nella stanza, si adagiava mollemente ovunque gli capitasse, come se fosse una carezza leggera.

Ron lo gradì tantissimo... sperava di potersi perdere ancora nei suoi pensieri mentre sistemava meccanicamente il suo tema. Dopo averlo trovato nella borsa, mise la boccetta dell’inchiostro in equilibrio sul cuscino e si sdraiò a pancia in giù sul materasso, mettendo le due pergamene a confronto. La sua mano sinistra giocava ancora con il Re Bianco...

Tutto il suo corpo percepì il materasso abbassarsi alla sua destra e un brivido gli attraversò la schiena. Ron si girò a guardare un Harry sorridente e scherzoso.

“Dai, così facciamo prima... ” lo vide sdraiarsi al suo fianco con naturalezza e sentì il suo corpo fargli spazio con altrettanta semplicità... ogni volta che Harry gli si avvicinava, provava un infinito sollievo e uno strano senso di conforto. Sarebbe potuto restare in quella posizione, spalla a spalla con lui, senza stancarsene mai.

Così, mentre il Re Bianco continuava a roteare fra le sue dita, Ron si lasciò aiutare a finire il suo tema, chiacchierando e scherzando a bassa voce col suo migliore amico. Certo, desiderava che Harry potesse davvero interessarsi a lui, però non voleva proprio illudersi... senza contare che perderlo sarebbe stato troppo difficile da sopportare.

Poteva davvero fare finta di niente... ci era riuscito benissimo in tutti quei mesi. Harry non aveva mai compreso nulla e Ron si stava davvero abituando a non ottenere ciò che desiderava...

***

Si trovava seduto sulla riva del Lago, la schiena poggiata sul faggio sotto il quale amava alienarsi dal resto del mondo.

Le acque riflettevano un cielo turchese vagamente spruzzato di nuvole rosa... ma Ron non vi faceva troppo caso. Preferiva concentrarsi sulla brezza leggera che gli accarezzava il viso... aria che portava il profumo della neve.

Non sapeva se rallegrarsene o meno... gli sarebbe piaciuto non dover rientrare quasi completamente gocciolante nel castello, attirandosi le ire di Filch e Mrs Norris. Tuttavia, una sana battaglia era sempre piuttosto divertente...

Quell’anno, per le festività natalizie, Ron non sarebbe tornato alla Tana con sua sorella: i signori Weasley sarebbero andati a trovare Charlie in Romania e Ginny ne avrebbe approfittato per starsene per i fatti suoi, ora che anche i gemelli non abitavano più alla Tana. Ron aveva il vago presentimento che volesse sfruttare l’occasione per passare un po’ di tempo da sola con Dean, senza nessun ficcanaso in giro...

Decisamente, Ron non se la sentiva di passare le vacanze a tentare di proteggere la virtù di sua sorella... certo, avrebbe voluto. Ma, prima o poi, sarebbe successo, Ginny non era più una bambina. Senza contare che le sue Fatture Orcovolanti avrebbero tenuto a bada qualsiasi persona con cattive intenzioni... questo era quello che continuava a ripetersi.

Ricordava con vaga irritazione la reazione completamente stupita di sua sorella, quando le aveva detto che le lasciava la Tana... come se lui non potesse assolutamente avere fiducia in lei o, almeno, darle campo libero. Maledizione, era pur sempre suo fratello, no? E poi non era forse quello che voleva?

Così Ron aveva pensato di restare a Hogwarts... dove sarebbe rimasto anche Harry. Ecco, siamo sinceri: il fatto che il suo migliore amico restasse al castello era piuttosto incentivante. In parte perché non voleva che rimanesse solo – il resto del dormitorio non sarebbe rimasto a Hogwarts, quell’anno – e in parte perché sperava che passare un po’ di tempo insieme, loro due soli, potesse... be’, non lo sapeva nemmeno lui.

“Ah, sei qui... ” le labbra di Ron si distesero in un lento sorriso, mentre si voltava verso quella voce dal tono sognante. Luna Lovegood, infagottata nel suo mantello e con la sciarpa intorno alla testa, era soltanto a qualche passo da lui.

“Ciao, Luna” quell’anno i due si erano avvicinati molto: Ron si trovava bene con lei, soprattutto perché, generalmente, non avevano bisogno di dirsi granché per stare a loro agio. E, ogni tanto, affrontavano discorsi seri, ma senza avvertirne quel peso che, forse, avrebbe potuto portarli al silenzio.

“Sono venuta a salutarti... ” continuò Luna “... e a darti questo” gli porse un pacchetto giallo e verde, con un vistoso fiocco viola. Ron ghignò divertito, mentre lo prendeva fra le mani.

“Natale non è ancora arrivato, sai?” la prese in giro, con affetto.

“Certi tipi di regali non possono essere spediti via gufo. I poveri animali non riuscirebbero a vederli a causa della loro natura pesantemente influenzata dai Dorsetti Rampicanti” spiegò lei con tono serio “Lo puoi aprire anche adesso, se vuoi” e sorrise, con la solita espressione trasognata.

Ron non chiese cosa fossero i Dorsetti Rampicanti... tanto Luna gliel’avrebbe spiegato sicuramente, una volta o l’altra. Si alzò in piedi e iniziò a scartare il pacchetto. Conteneva una sorta di fermacarte, fatto di pietra e legno rozzamente incastonati fra loro, dalla vaga forma di un riccio di mare... strano, certo, ma per gli standard di Luna era anche piuttosto carino.

“Ehm... ” Ron guardava quell’oggetto con espressione sconcertata... “Luna... che cos’è?” chiese cautamente.

“È un portafortuna dei Dorsetti... l’ho trovato l’altro giorno e, sapendo che sono molto rari, ho pensato di regalartelo per la faccenda di Harry, ne hai proprio bisogno” si poteva sempre contare su di Luna se si voleva mettere in luce questioni da evitare. Tuttavia Ron fissava ora quello strano riccio con un’espressione seria e anche discretamente imbarazzata.

“Grazie... ” mormorò. Luna era l’unica che aveva capito senza che lui le raccontasse nulla, l’unica che cercava di spronarlo a non arrendersi. Ron si avvicinò e la strinse in un breve abbraccio impacciato.

Non si dissero altro, non ne avevano bisogno.

***

Erano rimasti soli. La Torre era vuota, dolcemente muta, e calda, accogliente. Harry era seduto scompostamente sulla sua solita poltrona di fronte al fuoco, catturato appieno dalla libertà concessa dalla solitudine. Ron, sprofondato quasi allo stesso modo nella poltrona accanto, lo guardava senza preoccuparsi di essere visto: il suo migliore amico aveva gli occhi beatamente chiusi.

Certo, era un peccato non poter osservare quello sguardo assorto, che tanto gli aveva dato da pensare. Eppure provava una sorta di vaga compiacenza nell’essere sicuro che Harry non poteva sapere cosa stesse facendo...

“Ron, perché mi stai fissando?” il rosso sbuffò e gli mollò una ginocchiata, non molto scherzosa, alla gamba. Harry ridacchiò, ancora con gli occhi chiusi, ma non aggiunse altro.

Ron gliene fu grato. Tuttavia non tornò a guardarlo: per distrarsi, allungò una mano versò la sua borsa, ai piedi della poltrona; rovistò per un po’ e ne tirò fuori il Re Bianco. La sua mano iniziò a far roteare la pedina fra le lunghe dita.

“Un giorno mi dirai cosa ha di tanto speciale, vero?” Ron, la mano tornata immobile, si voltò ancora verso Harry, fissandolo con occhi un po’ spalancati.

“E tu me lo dici, dove ti è spuntato un altro paio d’occhi?” il moro, infatti, aveva le palpebre ancora abbassate, anche mentre rideva divertito del suo migliore amico. E, nonostante questo, Ron non riusciva a prendersela perché, alla fine, sapeva bene che Harry lo conosceva meglio di chiunque altro. Più di Hermione, più di Luna. Eppure, da quello che sembrava, tuttora non aveva compreso l’unica cosa che forse avrebbe potuto cambiare... be’, tutto. Ron scosse la testa, cercando di abituarsi, di accontentarsi ancora una volta.

La pedina continuò a turbinare fra le sue dita.

***

La neve arrivò la mattina di Natale, concessa da un cielo incolore e indistinto, colorando il castello di perle e ghiaccio. Danzava quieta e graziosa, libera e leggera davanti agli occhi degli abitanti di Hogwarts.

Ron e Harry uscirono nei giardini appena dopo il pranzo in Sala Grande. Gli unici Grifondoro rimasti al castello si rincorsero fra i prati ovattati, lanciandosi proiettili bianchi intervallandoli a piccoli scoppi di scintille colorate. E il candore della neve si macchiava allegramente di quelle sfumature. Fin quando, almeno, quel leggero volteggiare non mutò in una vera e propria bufera.

Il Platano Picchiatore si mostrò ai loro occhi come un’adeguata e interessante alternativa. Premere il nodo sul tronco fu più facile del previsto ed entrambi si calarono nel passaggio con gesti dettati dall’abitudine.

In confronto al vorticoso mulinare dell’esterno, il piccolo vuoto cunicolo fu accolto con un deciso sollievo. Però non si parlarono durante quel risoluto avanzare, assorti nel semplice tentativo di raggiungere la Stamberga e nel godersi, paradossalmente, un po’ d’aria pulita.

Gli occhi chiari di Ron si posavano spesso sulla nuca dell’amico, ora libera dalla sciarpa che l’aveva coperta, le farfalle nel suo stomaco che volavano quasi rabbiosamente. E, di nuovo, Ron si sentiva diviso in due, fra il desiderio di qualcosa di più e il terrore di perderlo, questa volta per sempre.

I suoi pensieri ritornarono alla notte della Battaglia del Castello, al corpo inerme di Harry fra le braccia di Hagrid. Quel vuoto nel cuore, i rumori ovattati, il respiro di Hermione che scandiva il tempo, e il suo migliore amico morto, morto...

E, ancora, rialzava lo sguardo sulla nuca di Harry, osservando come il sudore faceva appiccicare le ciocche più corte alla pelle... forse era stato in quel momento in cui se n’era accorto. Forse per quello era sempre stato geloso del rapporto fra Harry e Hermione.

“Siamo quasi arrivati!” disse Harry, voltando appena il viso per lanciare a Ron un’occhiata soddisfatta. Non disse nulla però del sorriso tirato che ricevette per risposta, come se non l’avesse notato o vi avesse attribuito un significato meno doloroso di quanto non fosse davvero.

Ron, intanto, pensava che non era vero, che in realtà non erano arrivati da nessuna parte: erano ancora lì, allo stesso identico punto, immobili e inavvicinabili. Faceva male...

***

La Stamberga aveva un aspetto diverso dalla notte della Battaglia. Sembrava più che mai una casa come qualsiasi altra, seppur semplice e spoglia, con le assi che ancora oscuravano le finestre. Il legno del pavimento era lucido e non vi era polvere sui mobili. L’aria non era molto fresca, eppure odorava di pulito senza sembrare sterile.

Ron sapeva che Harry si era occupato di farla tornare abitabile e che ogni tanto, quando credeva che nessuno lo potesse sospettare, vi si recava. Non aveva idea di cosa vi facesse e non gliel’aveva mai chiesto, deviando le domande di Hermione ogni volta che l’amica notava la sua assenza. Credeva che anche lei sapesse, o quantomeno sospettasse, ma lui preferiva rispettare il silenzio di Harry.

“Certo che Snape ne ha perso di sangue... ” osservò a voce bassa, guardando quella macchia scura sul pavimento, che Harry non era riuscito a togliere.

“Ha recuperato abbastanza in fretta direi... ” la voce del suo amico suonava atona e indifferente, come se nulla di ciò che riguardasse il professore lo potesse interessare. Ron sollevò lo sguardo dal pavimento per tornare a posarlo su Harry, che già si stava muovendo verso l’anticamera alla loro destra.

Lo seguì in silenzio, oltrepassando l’anticamera, nel salotto vero e proprio della Stamberga, riempito di divani molli e spessi tappeti. Le luci soffuse, accese da Harry con un colpo di bacchetta, davano all’ambiente quel calore che la quasi assenza di soprammobili gli toglieva. Qualche libro sul Quidditch e alcune letture babbane si trovavano sparse per la stanza, sia sui tappeti che sopra i divani stessi. Alle pareti alcuni quadri raffiguravano paesaggi verdeggianti, di luoghi che Ron non aveva mai visto.

Tuttavia, gli occhi azzurri seguivano solo i movimenti di Harry, che, dopo aver poggiato sciarpa e mantello sul tappeto, era sprofondato in un angolo del divano più grande, di un caldo rosso scuro. Aveva accavallato le gambe senza togliersi le scarpe, lasciando penzolare i piedi fuori dall’imbottitura, le mani allacciate dietro la nuca. Ron rimase in piedi, fermo sulla soglia della camera.

“Dovreste smetterla di evitarvi” disse piano, certo che nel quieto silenzio della stanza la sua voce si sarebbe udita comunque. Si avvicinò con calma al divano, sedendosi rigidamente al lato opposto di quello di Harry, lasciando cadere a terra sciarpa e mantello, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani aperte che reggevano il viso.

Harry restò in silenzio, mentre Ron ripercorreva mentalmente quei mesi in cui il suo migliore amico e il professore si erano evitati come la peste, anche durante le lezioni di DADA: non si guardavano, non si parlavano, ignorando le loro reciproche esistenze. Ron non capiva perché lo facessero... ormai il ruolo di Snape nella Guerra era stato reso noto, anche se erano in pochi a sapere della sua amicizia con Lily Potter. Avrebbero potuto cercare di conoscersi, di rimediare a tutto il tempo perso...

Ma chi era lui per pensare una cosa simile? Lui, che non aveva il coraggio di perdere il suo migliore amico... che si rendeva conto dei secondi che si susseguivano, lenti ma inafferrabili. E i suoi pensieri vorticavano disordinati nella sua mente, soffermandosi su Snape, che per amore aveva perso tutto, che ora continuava a nascondersi nella sua solitudine.

Sarebbe diventato così anche lui?

Ron si tirò indietro, appoggiando la schiena al divano e trattenendo un sospiro di rabbia. Perché Harry non voleva saperne, perché il motivo per cui il suo comportamento gli faceva così male non aveva nulla a che fare con Snape. Le sue lunghe dita andarono a frugare in una tasca, in un gesto abitudinario. Ne tirarono fuori la pedina del Re Bianco. E, mentre la osservava, facendola girare fra le mani, riprese a parlare con voce stanca, che nascondeva a malapena parte della sua rabbia.

“Non si raggiunge la vittoria se non si accettano compromessi. Eppure esistono lo stesso dei pezzi che non ci si può permettere di perdere” Ron non sapeva bene a che punto volesse arrivare. Sentiva solo il bisogno di parlare, di dire qualcosa, di provare a farsi capire. Uno sfogo il suo, nient’altro.

Ma Harry non disse nulla e Ron faticò molto sia per trattenere l’irritazione, che per evitare di guardarlo in ogni modo possibile. Mantenne le iridi chiare sulla sua inseparabile pedina.

“Ci sono momenti in cui non sai più in cosa consista la vittoria... la sopravvivenza del Re? Ma che valore ha un Re, se non ha più accanto ciò per cui... ” esitò per qualche secondo, riprendendo a parlare con voce ferma “Eppure senza quel simbolo la speranza muore e senza speranza... ” tacque quasi bruscamente, l’amarezza delle sue parole che si propagava in morbide onde per tutta la stanza. La rabbia aveva lasciato il posto a un sordo dolore...

“Cos’è più importante?” non riuscì più a impedirsi di posare lo sguardo sulla figura di Harry. L’altro non si era mosso dalla sua posizione, lo sguardo vacuo, pensieroso. Ron ignorò il nodo alla gola e continuò a parlare, a chiedere una risposta. O, forse, solo l’attenzione dell’amico. “Il sogno della vittoria o il suo simbolo di speranza?”

Harry non parlò subito e Ron, per l’ennesima volta, si rassegnò a non poter avere nulla da lui. Abbassò lo sguardo verso il Re che aveva fra le mani, per poi chiudere gli occhi. E Harry parlò, con una voce bassa e cauta che non gli si addiceva per nulla “Immagino dipenda da cosa rappresenti il Re... oltre la speranza, voglio dire... ”.

Ron fu quasi tentato di dirglielo, cosa diavolo rappresentasse, la rabbia che era tornata a ruggirgli dentro, le dita che si contraevano senza che lui se ne accorgesse. Eppure il pensiero di perderlo davvero lo fece desistere dal desiderio di scrollarlo, di fargli aprire gli occhi, di lasciarsi il passato alle spalle. E quando parlò, tornando a osservargli il viso, quel volto che amava profondamente, la sua voce suonava stanca e rassegnata.

“Il Re è ogni colore. Qualcosa che rende il mondo più... be’, degno di essere vissuto. La speranza è solo... bianca” Ron vide lo sguardo di Harry riempirsi di rabbia ceca e bruciante, così viva e intesa... sì, la preferiva al suo sguardo assente e vacuo, che voleva solo significare troppi pensieri, troppi rimorsi. Eppure...

Di nuovo il lieve ronzio del silenzio si propagò fra i due ragazzi, ma entrambi non mossero un muscolo, limitandosi a distogliere lo sguardo l’uno dall’altro, come se volessero evitare di venire alle mani. Ci volle tempo, che a loro non parve quantificabile, prima la collera sbollisse e che la linea tesa delle spalle si facesse più morbida.

Ron torno a poggiarsi completamente allo schienale del divano e Harry sciolse le mani da dietro la nuca, portando l’incavo di un gomito a coprire gli occhi. Il suo migliore amico si concesse di guardarlo ancora, gli occhi azzurri che esprimevano più stanchezza di quanta ne provasse fisicamente.

“Tu l’hai sconfitto... ” mormorò piano Ron, spinto da una necessità cui non sapeva dare nome “L’hai fatto davvero” il petto di Harry si muoveva piano, seguendo il ritmo del suo respiro “È finita... ” e Ron sapeva che dirlo non sarebbe bastato, nemmeno se l’avesse ripetuto all’infinito. Ma era il suo migliore amico... se non gliele diceva lui quelle cose, chi l’avrebbe fatto?

Harry spostò il braccio dal viso, tirandosi su a sedere, gli occhi verdi incredibilmente immobili, stranamente quieti “Torniamo alla Torre” disse con voce pacata e spossata al tempo stesso.

Il ritorno fu più silenzioso dell’andata, l’assenza di parole che pesava sulle loro spalle più di quanto la loro piccola conversazione avesse potuto fare.

***

Qualche mattina dopo l’inizio delle lezioni, Hermione salì fino al dormitorio dei suoi due migliori amici. Una volta entrata nella stanza circolare, si avvicinò a uno dei letti a baldacchino. La ragazza guardava con attenzione lo strano oggetto che Luna aveva regalato a Ron per Natale. Il suo amico l’aveva poggiato sul comodino, vicino alla pedina di un Re Bianco. Gli occhi castani, dopo che la ragazza avesse sfiorato con cautela la pedina bianca, si posarono lentamente su Ron, che ronfava quieto nel suo letto, l’unico del dormitorio a non essersi ancora svegliato ed essere sceso a colazione.

Lanciò un’altra breve occhiata a quella sorta di fermacarte a forma di riccio di mare, prima di chinarsi appena sul letto, una mano che scuoteva con insolita delicatezza la spalla del ragazzo.

“Ronald... ” anche la voce della ragazza suonava fin troppo pacata, per aver davvero avuto intenzione di svegliarlo. Eppure Ron mugugnò e iniziò a stiracchiarsi piano, facendole un cenno del capo. Le labbra di Hermione si fecero sottili, rendendola incredibilmente simile alla preside McGonagall, mentre lei si allontanava leggermente dal bordo del materasso.

“Smettila, lo sai che con me non funziona” anche la voce aveva assunto quasi lo stesso tono tagliente, severo. Il morbido silenzio del dormitorio si fece più aspro e sottile mentre occhi azzurri e occhi castani si scrutavano nel tentativo di convincere l’altro a desistere.

Vinse il colore del cielo.
E la ragazza usci rabbiosamente dal dormitorio, senza aggiungere altro.

***

Luna osservava Hermione con calma, aspettando che lei le parlasse di sua spontanea volontà.

Si trovavano nella serra numero cinque, una di quelle che la Sprout usava raramente, piena di piantine che non avevano bisogno di molta attenzione, di quelle che prosperano meglio se lasciate a se stesse. La Grifondoro le aveva chiesto d’incontrarsi lì, come accadeva spesso da un po’ di tempo. Nervosa e irritabile, la Caposcuola marciava avanti e indietro lungo il tavolo vuoto su cui Luna si era seduta, le mani poggiate sul ripiano in modo da sorreggere la schiena.

“È successo qualcosa durante le vacanze” iniziò Hermione, senza guardare l’amica, continuando a ripercorrere i suoi passi. Luna non aggiunse nulla: aveva imparato a darle il tempo per abituarsi a qualsiasi cosa.

“Non si parlano più. Non come prima... è come se il loro rapporto di fosse raffreddato, all’improvviso. Ron ha iniziato a fingere di non sentirsi bene e continua a restare rinchiuso nella Torre” Hermione si fermò, bloccandosi a qualche passo da Luna, ricercandone lo sguardo. L’altra ragazza incrociò le gambe alle caviglie e cominciò a farle dondolare lentamente.

“E non ti hanno detto niente” disse soltanto con la sua solita voce vagamente incantata. L’espressione dura sul volto di Hermione rese inutile qualsiasi conferma “Non ti vogliono far preoccupare” aggiunse come se ne fosse immensamente sicura. La collera sul volto della Caposcuola si sgretolò come se fosse sabbia, lasciando il posto a un più profondo turbamento.

“Loro pensano che non me ne sia accorta... credono sia tanto ottusa... ” mormorò piano, con parole stanche ed esitanti. Luna si lasciò cadere a terra con un piccolo movimento, avvicinandosi a Hermione, e battendole piano una mano sulla spalla.

“Hanno paura dei cambiamenti. Ora che non devono più lottare, vogliono soltanto essere felici” parlò con tono quasi condiscendente, come quello di una madre che spiega le cose ovvie alla sua bambina. Forse, in un altro momento, Hermione non ne sarebbe stata troppo contenta; si limitò, invece, ad annuire lentamente, lo sguardo spossato e la schiena irrigidita. Luna le regalò un piccolo sorriso.

***

S’incamminarono insieme verso il portone di quercia. A metà strada, però, deviarono verso il lago, senza che una di loro l’avesse proposto, costeggiandone la riva in una passeggiata lenta. Il cielo era ancora azzurro, seppur i pallidi raggi del sole non riuscissero a donare il loro calore, e l’aria era piacevolmente frizzante.

“Cos’è quell’oggetto che hai regalato a Ron per Natale?” chiese Hermione con voce bassa, dopo molti minuti di mite silenzio. Luna sorrise radiosa, dopo aver respirato profondamente.

“È un portafortuna dei Dorsetti Rampicanti” rispose con tono sereno e vagamente solenne. Hermione si girò a guardarla e, cercando di limitare qualsiasi forma di scetticismo, provò più volte a prendere parola, fermandosi appena prima di pronunciare qualcosa. Luna non sembrò accorgersi di nulla e la Caposcuola forzò fuori alcune parole, pronunciandole col tono più cortese possibile.

“Luna, cosa sono i Dorsetti Rampicanti?” ecco, era riuscita a dirlo. Anche l’altra ragazza si volto a guardarla, con un’espressione paziente sul viso.

“Sono delle creature che vivono all’interno degli alberi. Assomigliano molto agli Gnomi da Giardino, però hanno una società molto più organizzata. Ti consiglio il numero 1038 del Cavillo, sono sicura che lo troveresti interessante” le rispose con voce sognante. Hermione tornò a guardare di fronte a sé, gli occhi scuri che si soffermavano spesso sulla superficie del lago, come se volessero distrarsi in qualsiasi modo.

“Mi puoi dire qualcosa in più su di loro?” domando con voce più quieta, che suonava semplicemente interessata “Voglio dire... hanno qualche caratteristica particolare?” il volto di Luna sembrò farsi più pensieroso e sbalordito del solito.

“Vedono il cuore di tutto” disse semplicemente, lanciando una breve occhiata all’amica. Sorrise appena di fronte all’espressione confusa di Hermione. “Vedono ciò che è nascosto ma che muove ogni cosa. Tutti i loro manufatti racchiudono parte della loro magia... ne sono molto gelosi” si chinò appena verso la Caposcuola, come se le stesse rivelando un grande segreto. “Non ne perdono spesso però, sai, non deve essere facile tentare di sfuggire ai Farfalloni Luccicanti” Hermione strinse le labbra, trattenendo la voglia di roteare gli occhi e di chiedere informazioni anche sui Farfalloni Luccicanti.

“Come fai a sapere che quel... quel coso è stato fatto da loro?” riuscì a domandarle dopo qualche secondo, mentre Luna era tornata a far vagare lo sguardo intorno a loro.

“Perché nessun animale lo vedeva!” le disse, come se fosse ovvio “Sembrava non esistere nemmeno per il mio gufo. E poi, mentre lo tenevo con me, non riuscivo a fare a meno di avere pensieri positivi. Capisci, non possono esserci dubbi” Hermione sospirò piano e, senza che si dissero nulla, le due ragazze iniziarono a incamminarsi di nuovo verso Hogwarts, entrambe perse fra i loro pensieri.

***

Una volta raggiunta la Sala d’Ingresso, Hermione fermò la Corvonero ancora una volta, prima che le loro strade si dividessero.

“Pensi che Ron ne abbia bisogno?” la voce della ragazza era serissima e Luna la guardò a lungo prima di risponderle, la testolina inclinata un po’ da un lato.

“Non ne ha, forse?” chiese di rimando con il suo tono più grave, le sopracciglia più inarcate del solito.

E, davvero, non vi era altro da aggiungere.

***

Il dormitorio maschile del settimo anno di Grifondoro era vuoto, gradevolmente in disordine. Quando Harry vi entrò, si chiuse la porta alle spalle, respirando piano e poggiando la schiena sulla liscia e solida superficie.

Il ragazzo si guardò attorno, posando lo sguardo sui letti sfatti, sui bauli aperti. Libri e vestiti si alternavano un po’ ovunque, in un caos meravigliosamente rassicurante. Eppure tutto nella figura di Harry lasciava intuire una tensione di fondo, qualcosa che contrastava pesantemente con l’atmosfera leggera della stanza. Non che lui sembrasse rendersene conto.

Si scostò dalla porta e, come Hermione quella mattina, si mosse verso il letto di Ron. Più precisamente verso il suo comodino, dove spiccavano il Re Bianco e il curioso regalo di Luna. Alzò una mano per sfiorare quest’ultimo, un piccolo sorriso a piegargli le labbra. Eppure gli occhi verdi non mostravano altro che una profonda stanchezza.

Infine, dopo diversi istanti, il ragazzo prese il Re Bianco e se lo mise in tasca. Aveva qualcuno cui restituirlo.


FINE

NdA: Chiedo perdono per eventuali errori, complice la mancanza di un beta. Se ci sono e mi saranno segnalati, li correggerò il prima possibile.
  
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