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Autore: Nykyo    25/03/2006    6 recensioni
Una storia che avevo iniziato a scrivere durante le vacanze, a Dicembre.
Che cosa penserà davvero il Professor Piton dei suoi più celebri allievi? E cosa pensa del Natale?
NB: Non so con precisione quando la storia si svolga. Non ha importanza collocarla temporalmente. Una cosa però è certa: siamo in un momento successivo al primo anno di Harry a Hogwarts, e precedente il suo sesto anno.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Neville Paciock, Ron Weasley, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Innanzi tutto, grazie a Ida,  come sempre deliziosa beta reader, per avermi aiutato con il titolo del capitolo precedente, di questo e del prossimo capitolo.

 

Mixky: Grazie dei complimenti. Sono lusingata del tuo brava. Sì, lo so, il mio nick può trarre in inganno, con quella “o” finale, ma sono una delicata fanciulla (ok, sono una vecchietta di 30 anni lo ammetto).

 

Alexia: Oh, io adoro Hermione (mi identifico molto in lei) e sono sicura che la piccola imparerà quell’incantesimo in men che non si dica, ora che è stata spronata a farlo ;-)

 

Moonlight rage: Grazie. Anche se dubito di meritarmi addirittura dei fans.

 

Melisanna: Intanto grazie per le lodi su grammatica e sintassi. Io adoro scrivere, ma mi piace farlo bene, almeno sotto questo punto di vista (quanto a contenuti, dubito che scriverò mai best sellers. Li lascio agli scrittori veri). Non sempre ci riesco, qualche strafalcione mi scapperà pure, però ci provo sul serio. Quanto a Severus, pare che tutti lo vedano già morto a fine 7° libro. Speriamo che per stupirci J.K.R. lo lasci vivo. Ad ogni modo non credo che lo ucciderà Harry. Potter non è il tipo, guarda come si è comportato con Codaliscia. Per il resto, anche il mio Piton ha paura dei sentimenti, ma ogni tanto si concede di ammetterli, almeno con se stesso. Il che non gli impedisce comportamenti cattivelli ed irrazionali verso i suoi allievi. E poi, questo è un racconto natalizio, alla fin fine…

 

Moony91: No, non ti do torto, in fondo Hermione aveva ragione da vendere. Anche io avrei reagito come lei, dato che apparentemente Neville era stato chiuso dentro. Però lei ha dato a Piton un’ottima scusa per insegnarle qualcosa di nuovo (figurati se lui, conoscendola non immaginava che Hermione si sarebbe fiondata in biblioteca) e spiegarle che deve lasciar fare a Paciock.

 

Starliam: Grazie anche a te, però non è finita sai. Ammetto che il capitolo poteva trarre in inganno, ma c’è ancora il Natale in sospeso. Chissà che ne penserai degli ultimi due capitoli.

 

Suzako: Brava, indovinato. Era un capitolo di transizione. Conoscendoti sono certa che i due capitoli finali ti troveranno di nuovo in disaccordo con me ;-)   Ma chissà, magari mi sbaglio. E poi che importa? Come sai già, mi piace discutere.

 

In conclusione, questo è il penultimo capitolo. Il finale a lunedì pomeriggio.

 

Nykyo

 

Sogni infranti di un Natale lontano

 

 

Finalmente solo nelle sue stanze Piton si lasciò cadere sulla sua poltrona preferita dall’alto e rigido schienale e chiuse gli occhi.

Rimase così, le palpebre abbassate, le braccia mollemente inerti sui braccioli, per lunghi minuti, finchè i volti dei suoi alunni non si fecero meno nitidi nella sua mente e le loro voci – o almeno quasi tutte - si spensero con il ricordo di una lezione inutile, appena finita e già dimenticata.

Doveva rimettersi al lavoro. Da alcuni giorni stava studiando il modo di perfezionare un interessante elisir che sarebbe stato molto utile nella dispensa dell’infermeria.

Trascorreva così quasi tutto il suo tempo libero – non che ne avesse tanto, tra i vari impegni scolastici ed extra-scolastici – con il naso imponente ficcato tra le pagine di un’infinità di vecchi libri, intento a studiare, rielaborare, scoprire. E poi passava alla pratica e poteva restare per ore, a volte per tutta una notte, a vegliare sul contenuto di un paiolo d’ottone, perché il risultato fosse perfetto.

A lui non pareva mai perfetto, però.

Era pignolo in maniera quasi ossessiva, e non meno severo con se stesso di quanto non fosse con i suoi studenti. Anzi, da sé pretendeva ben più che da loro.

Trovava così confortante la scienza esatta delle Pozioni.

Se gli ingredienti erano quelli giusti, se si lavorava con cura e con metodo, prestando la dovuta attenzione, se si seguiva a dovere la formula, nessun distillato poteva creare problemi.

Sbagliare la preparazione di un filtro era assai più difficile che sbagliare con le persone.

E una pozione mal riuscita poteva sempre essere fatta sparire d’incanto, mentre per gli errori della vita non bastava sussurrare Evanesco.

Inoltre, un buon pozionista, quando è all’opera, non ha tempo di pensare ad altro che a quel che sta facendo, se non vuol vedere i suoi sforzi vanificati da un risultato mediocre o deludente.

E lui pensava troppo, quando si lasciava il tempo per farlo.

Però quel giorno sembrava incapace di smettere. Riflessioni su riflessioni gli si affollavano dietro le tempie, premendo dolorosamente. A furia di osservare Potter gli era venuto mal di testa.

Inutile tentare di intraprendere qualcosa in quelle condizioni, non avrebbe avuto la giusta precisione.

Riaprì gli occhi, fece comparire una tazza colma di thè fumante e iniziò a sorseggiarlo piano, massaggiandosi la fronte con il pollice e l’indice in lenti movimenti circolari.

Poi alzò lo sguardo verso il camino spento e la vide: un enorme ghirlanda verde trapunta di bacche rosse, con tanto di fiocco di tartan a quadri verdi e argento.

Un decoro di Natale, pacchiano e totalmente fuori dal suo stile, come un pugno in un occhio, proprio nel suo studio privato.

Quasi gli cadde di mano la tazza e dovette posarla - fin troppo bruscamente - mentre si alzava in piedi per osservare più da vicino quell’obbrobrioso concentrato di melensaggine natalizia.

Si accorse che dal fiocco sporgeva un piccolo rotolo di pergamena rossa e lo sfilò quasi con rabbia per leggerne il contenuto, vergato in strette lettere dorate, elegantemente svolazzanti.

 

Severus

 

Perdonami se mi sono permesso di incaricare un elfo domestico di recapitarti questo piccolo presente, mentre eri a lezione.

Probabilmente non gradirai, ma sai come la penso… i tuoi appartamenti hanno bisogno di essere un po’ ingentiliti e, forse, il prossimo studente che entrerà nel tuo studio si sentirà rincuorato nel vedere un po’ di agrifoglio.

E’ una pianta così allegra e dalle forti valenze magiche. Se vuoi usarne qualche foglia o bacca per una delle tue pozioni, fai pure, non mi offendo.

 

Albus

 

PS: Spero che i colori della coccarda siano di tuo gradimento.

 

“Maledetto vecchio impiccione” – pensò Piton, furibondo, mentre il pezzetto di pergamena si trasformava in un’ aggrovigliata pallottola stropicciata nel suo pugno serrato.

Il mago prese la ghirlanda con mal garbo e, con un cenno secco della mano, fece accendere le fiamme del camino. L’agrifoglio intrecciato dondolò nella sua stretta, fin troppo vicino al fuoco, per un lungo istante e poi ricadde sulla pietra grigia del focolare, magicamente tornata fredda.

Il mago era ricaduto in poltrona sbuffando.

Silente, ecco uno che adorava lo spirito natalizio.

E non c’era anno che non ne inventasse una per ricordarlo anche a lui.

Aveva iniziato quando Piton era ancora un bambino. Uno spigoloso undicenne che guardava il mondo entro le mura di Hogwarts con occhi spalancati dalla meraviglia, già pregustando la gioia di imparare il più possibile nei sette anni che vi avrebbe trascorso.

Undici anni e ancora tutto il mondo da esplorare e plasmare con la fantasia. Undici anni, ginocchia, gomiti e naso troppo sporgenti, un visetto pallido e smunto e già tanti dispiaceri da scordare, ma con la voglia di diventare un altro. Solo undici anni e il desiderio di essere uno fra tanti, e, insieme, di essere il migliore un giorno, un mago che tutti guardino con rispetto, che renda orgogliosi i propri genitori, perché abbiano una cosa in più in comune, da condividere, che possa renderli più uniti e non debbano più gridare.

Undici anni e, per amore, ambizioni già troppo grandi.

Il Cappello Parlante non aveva avuto dubbi: Severus Piton, primo anno, Serpeverde.

Il mago si sentì sciocco nel ripensare al fatto che, quell’anno, era stato ancora contento all’idea di tornare a casa per le vacanze.

Si immaginava - il piccolo Severus che seduto a mensa non toccava ancora a terra con i piedi - fermo davanti alla porta di casa, speranzoso. I suoi genitori non lo vedevano da mesi, gli erano tanto mancati, di certo anche loro avevano avuto nostalgia. Così tanta nostalgia che non avrebbero litigato, almeno non finchè lui era lì con loro, fino al giorno in cui l’avrebbero riaccompagnato alla stazione. Talmente contenti di riabbracciarlo da scordarsi ogni dissapore.

Si sarebbero accoccolati tutti e tre felici sul divano e persino suo padre gli avrebbe chiesto: “Raccontami, Severus, cos’hai imparato a scuola?”. E lui l’avrebbe stupito con tutti i nuovi incantesimi che conosceva – solo quelli belli e allegri, quelli facili e sciocchi che non avrebbero fatto paura a Tobias, come, invece, gliene facevano altri che lui trovava già tanto affascinanti – e avrebbe fatto comparire dal nulla dei fiori per far ridere sua madre. Sarebbe stato un Natale stupendo, il più bello di tutti. Il più colorato, con addobbi, luci e un enorme albero di natale da decorare tutti insieme.

 

Ma c’era stato solo un gufo, inconsapevolmente impietoso, e una lunga lettera di sua madre. Righe e righe di rassicurazioni che non l’avevano convinto o consolato, e una frase che era riuscita a farlo piangere a tradimento.

 

E’ meglio che, almeno per quest’anno, tu ti abitui il più possibile a stare a Hogwarts, piccolo mio. Quindi, io e tuo padre abbiamo deciso che tu resti a scuola durante le vacanze. Passeremo comunque tutta l’estate insieme.

 

E, in fondo alla lettera:

 

La tua mamma che ti ama tanto.

 

Piton era tornato a casa per Natale diverse volte negli anni successivi, ma non aveva più saputo fingere che sarebbero state vacanze felici.

 

Però, quel suo primo Natale, aveva ricevuto un dono inaspettato.

Piton si morse le labbra, seccato per il solo fatto di essersi lasciato andare al ricordo.

Cosa c’era poi da ricordare? Non era stato un bel Natale. I suoi non l’avevano voluto a casa con loro. Suo padre non aveva firmato quella dannata lettera. Non c’era scritto “Il tuo papà e la tua mamma che ti amano tanto” su quella pergamena ormai bruciata da anni.

E già allora non aveva avuto amici a consolarlo, sebbene a quel tempo si sarebbe ancora lasciato consolare.

Ma aveva trovato una sorpresa, la notte della vigilia, sotto il suo cuscino freddo, prima di andare a dormire, triste, come solo un bambino sa esserlo, e con il volto rigato dalle lacrime che aveva lasciato sgorgare in una sala comune desolatamente vuota.

Si era quasi fatto male, gettandosi  sul letto di slancio, troppo stanco ormai per concedersi più di qualche singhiozzo. Qualcosa di duro, sotto il guanciale imbottito di piume l’aveva colpito con forza su uno zigomo.

Nel buio si era tirato su a sedere sui talloni e aveva infilato una mano sotto la federa, esitante, timoroso che si trattasse di qualche brutto tiro giocatogli da un compagno crudele – non era proprio l’unico rimasto a scuola, anche se era il solo della sua Casa – o da Pix.

Ma sotto le dita aveva sentito una superficie liscia, innocua, che pareva terminare in un fiocco, come quelli dei pacchetti che aveva sognato invano di scartare con i suoi.

Aveva estratto la bacchetta, con dita tremanti per l’emozione, e l’aveva usata per farsi luce, dirigendone la punta verso l’involto rettangolare, dopo averlo tirato fuori da sotto il cuscino.

Era davvero un pacchetto natalizio. Carta verde smeraldo, con tanti piccoli stemmi di Serpeverde stampati in rilievo, le minuscole “s” che si muovevano sinuose come buffi serpentelli in fasce, e il nastro argentato arricciato leziosamente.

Il mago ricordò le sue dita infantili che si affannavano ad aprire quel misterioso dono con delicatezza, perché l’involucro non andasse sciupato e potesse essere conservato. La sua prima vera prova di pazienza, quando ancora non aveva imparato ad attendere.

E poi lo stupore delle sue labbra, già così sottili, spalancate in un attimo di gioia che quella notte non avrebbe creduto di provare. Una scatola di scherzi assortiti, all’ultimo grido, e un sacchetto pieno di gelatine “tutti i gusti più uno” e cioccorane erano emersi dalla carta verde, infilati insieme in un astuccio di legno e velluto grigio sul cui coperchio era inciso: Severus.

E, sotto i giochi e i dolcetti, sul fondo della scatola, una provetta – come quelle del kit di pozioni – colma di inchiostro nero e una lunga penna. Non una penna come tante, di quelle da usare ogni giorno per fare i compiti e prendere appunti a lezione; una penna nera e lucida di corvo, elegante e leggera, proprio come lui l’aveva sempre desiderata.

Piton sapeva che ora che si era perso nelle memorie del passato i suoi occhi si sarebbero alzati d’istinto verso la pesante scrivania, in fondo alla stanza. Esserne consapevole lo irritò, ma non potè impedirsi di guardare ugualmente il vecchio ripiano di legno e la scatola, con la sua penna preferita, nera, ancora perfettamente appuntita, da usare solo nelle occasioni speciali.

Dedicò a se stesso una smorfia di disappunto e mandò mentalmente al diavolo Silente, che solo molti anni dopo quel suo primo Natale ad Hogwarts aveva rivelato, al nuovo giovane professore di Pozioni appena assunto, di essere il mittente di quel dono inaspettato.

“Natale” – si disse Piton – “Che assurda sciocchezza, smielata. Come se ricevere e fare regali, scambiarsi gli auguri, fingere di essere più buoni, servisse a cancellare i mali del mondo… “.

 

   
 
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