Innanzi tutto, grazie a Ida, come sempre deliziosa beta reader, per avermi aiutato con il titolo del capitolo
precedente, di questo e del prossimo capitolo.
Mixky: Grazie dei complimenti. Sono lusingata del tuo brava. Sì, lo so, il mio nick può trarre in
inganno, con quella “o” finale, ma sono una delicata fanciulla (ok, sono una
vecchietta di 30 anni lo ammetto).
Alexia: Oh, io adoro Hermione (mi identifico molto in lei)
e sono sicura che la piccola imparerà quell’incantesimo in men che non si dica,
ora che è stata spronata a farlo ;-)
Moonlight rage: Grazie.
Anche se dubito di meritarmi addirittura dei fans.
Melisanna: Intanto grazie per le lodi su grammatica e
sintassi. Io adoro scrivere, ma mi piace farlo bene, almeno sotto questo punto
di vista (quanto a contenuti, dubito che scriverò mai best sellers.
Li lascio agli scrittori veri). Non sempre ci riesco, qualche strafalcione mi
scapperà pure, però ci provo sul serio. Quanto a Severus, pare che tutti lo
vedano già morto a fine 7° libro. Speriamo che per stupirci J.K.R. lo lasci
vivo. Ad ogni modo non credo che lo ucciderà Harry. Potter non è il tipo,
guarda come si è comportato con Codaliscia. Per il resto, anche il mio Piton ha
paura dei sentimenti, ma ogni tanto si concede di
ammetterli, almeno con se stesso. Il che non gli impedisce comportamenti
cattivelli ed irrazionali verso i suoi allievi. E poi, questo è un racconto
natalizio, alla fin fine…
Moony91: No, non
ti do torto, in fondo Hermione aveva ragione da vendere. Anche io avrei reagito
come lei, dato che apparentemente Neville era stato chiuso dentro. Però lei ha
dato a Piton un’ottima scusa per insegnarle qualcosa di nuovo (figurati se lui,
conoscendola non immaginava che Hermione si sarebbe fiondata in biblioteca) e
spiegarle che deve lasciar fare a Paciock.
Starliam: Grazie anche a te, però non è finita sai. Ammetto
che il capitolo poteva trarre in inganno, ma c’è
ancora il Natale in sospeso. Chissà che ne penserai degli ultimi due capitoli.
Suzako: Brava, indovinato. Era un capitolo di transizione.
Conoscendoti sono certa che i due capitoli finali ti troveranno di nuovo in
disaccordo con me ;-)
Ma chissà, magari mi sbaglio. E poi che importa? Come sai già, mi piace
discutere.
In conclusione, questo è il penultimo capitolo. Il finale a lunedì
pomeriggio.
Nykyo
Sogni infranti di
un Natale lontano
Finalmente solo nelle sue stanze Piton si lasciò cadere sulla sua
poltrona preferita dall’alto e rigido schienale e chiuse gli occhi.
Rimase così, le palpebre abbassate, le braccia mollemente inerti sui
braccioli, per lunghi minuti, finchè i volti dei suoi alunni non si fecero meno
nitidi nella sua mente e le loro voci – o almeno quasi tutte - si spensero con
il ricordo di una lezione inutile, appena finita e già dimenticata.
Doveva rimettersi al lavoro. Da alcuni giorni stava studiando il modo di
perfezionare un interessante elisir che sarebbe stato molto utile nella
dispensa dell’infermeria.
Trascorreva così quasi tutto il suo tempo libero – non che ne avesse tanto, tra i vari impegni scolastici ed
extra-scolastici – con il naso imponente ficcato tra le pagine di un’infinità
di vecchi libri, intento a studiare, rielaborare, scoprire. E poi passava alla
pratica e poteva restare per ore, a volte per tutta una notte, a vegliare sul
contenuto di un paiolo d’ottone, perché il risultato fosse perfetto.
A lui non pareva mai perfetto, però.
Era pignolo in maniera quasi ossessiva, e non meno
severo con se stesso di quanto non fosse con i suoi studenti. Anzi, da
sé pretendeva ben più che da loro.
Trovava così confortante la scienza esatta delle Pozioni.
Se gli ingredienti erano quelli giusti, se si lavorava con cura e con
metodo, prestando la dovuta attenzione, se si seguiva a dovere la formula,
nessun distillato poteva creare problemi.
Sbagliare la preparazione di un filtro era assai più difficile che
sbagliare con le persone.
E una pozione mal riuscita poteva sempre essere fatta sparire d’incanto,
mentre per gli errori della vita non bastava sussurrare Evanesco.
Inoltre, un buon pozionista, quando è all’opera, non ha tempo di pensare
ad altro che a quel che sta facendo, se non vuol vedere i suoi sforzi
vanificati da un risultato mediocre o deludente.
E lui pensava troppo, quando si lasciava il tempo per farlo.
Però quel giorno sembrava incapace di smettere. Riflessioni su
riflessioni gli si affollavano dietro le tempie, premendo dolorosamente. A
furia di osservare Potter gli era venuto mal di testa.
Inutile tentare di intraprendere qualcosa in quelle condizioni, non
avrebbe avuto la giusta precisione.
Riaprì gli occhi, fece comparire una tazza colma di thè fumante e iniziò
a sorseggiarlo piano, massaggiandosi la fronte con il pollice e l’indice in
lenti movimenti circolari.
Poi alzò lo sguardo verso il camino spento e la vide: un
enorme ghirlanda verde trapunta di bacche rosse, con tanto di fiocco di
tartan a quadri verdi e argento.
Un decoro di Natale, pacchiano e totalmente fuori dal
suo stile, come un pugno in un occhio, proprio nel suo studio privato.
Quasi gli cadde di mano la tazza e dovette posarla - fin troppo bruscamente - mentre si alzava in piedi per osservare più da
vicino quell’obbrobrioso concentrato di melensaggine natalizia.
Si accorse che dal fiocco sporgeva un piccolo rotolo di pergamena rossa e
lo sfilò quasi con rabbia per leggerne il contenuto, vergato in strette lettere
dorate, elegantemente svolazzanti.
Severus
Perdonami se mi sono permesso
di incaricare un elfo domestico di recapitarti questo piccolo presente, mentre
eri a lezione.
Probabilmente non gradirai,
ma sai come la penso… i tuoi appartamenti hanno bisogno di essere un po’
ingentiliti e, forse, il prossimo studente che entrerà nel tuo studio si
sentirà rincuorato nel vedere un po’ di agrifoglio.
E’ una pianta così allegra e
dalle forti valenze magiche. Se vuoi usarne qualche foglia o bacca per una
delle tue pozioni, fai pure, non mi offendo.
Albus
PS: Spero che i colori della
coccarda siano di tuo gradimento.
“Maledetto vecchio impiccione” – pensò Piton, furibondo, mentre il
pezzetto di pergamena si trasformava in un’ aggrovigliata
pallottola stropicciata nel suo pugno serrato.
Il mago prese la ghirlanda con mal garbo e, con un cenno secco della mano,
fece accendere le fiamme del camino. L’agrifoglio intrecciato dondolò nella sua
stretta, fin troppo vicino al fuoco, per un lungo istante e poi ricadde sulla
pietra grigia del focolare, magicamente tornata fredda.
Il mago era ricaduto in poltrona sbuffando.
Silente, ecco uno che adorava lo spirito natalizio.
E non c’era anno che non ne inventasse una per
ricordarlo anche a lui.
Aveva iniziato quando Piton era ancora un
bambino. Uno spigoloso undicenne che guardava il mondo entro le mura di
Hogwarts con occhi spalancati dalla meraviglia, già pregustando la gioia di
imparare il più possibile nei sette anni che vi avrebbe trascorso.
Undici anni e ancora tutto il mondo da esplorare e plasmare con la
fantasia. Undici anni, ginocchia, gomiti e naso troppo sporgenti, un visetto
pallido e smunto e già tanti dispiaceri da scordare, ma con la voglia di
diventare un altro. Solo undici anni e il desiderio di essere uno fra tanti, e,
insieme, di essere il migliore un giorno, un mago che tutti guardino con
rispetto, che renda orgogliosi i propri genitori, perché abbiano una cosa in
più in comune, da condividere, che possa renderli più uniti e non debbano più
gridare.
Undici anni e, per amore, ambizioni già troppo grandi.
Il Cappello Parlante non aveva avuto dubbi: Severus Piton, primo anno,
Serpeverde.
Il mago si sentì sciocco nel ripensare al fatto che, quell’anno, era
stato ancora contento all’idea di tornare a casa per le vacanze.
Si immaginava - il piccolo Severus che seduto a mensa non toccava ancora
a terra con i piedi - fermo davanti alla porta di casa, speranzoso. I suoi
genitori non lo vedevano da mesi, gli erano tanto mancati, di certo anche loro
avevano avuto nostalgia. Così tanta nostalgia che non avrebbero litigato,
almeno non finchè lui era lì con loro, fino al giorno
in cui l’avrebbero riaccompagnato alla stazione. Talmente contenti di
riabbracciarlo da scordarsi ogni dissapore.
Si sarebbero accoccolati tutti e tre felici sul divano e persino suo
padre gli avrebbe chiesto: “Raccontami, Severus, cos’hai imparato a scuola?”. E
lui l’avrebbe stupito con tutti i nuovi incantesimi che conosceva – solo quelli
belli e allegri, quelli facili e sciocchi che non avrebbero fatto paura a
Tobias, come, invece, gliene facevano altri che lui trovava già tanto
affascinanti – e avrebbe fatto comparire dal nulla dei fiori per far ridere sua
madre. Sarebbe stato un Natale stupendo, il più bello di tutti. Il più colorato,
con addobbi, luci e un enorme albero di natale da decorare tutti
insieme.
Ma c’era stato solo un gufo, inconsapevolmente impietoso, e una lunga
lettera di sua madre. Righe e righe di rassicurazioni che non l’avevano
convinto o consolato, e una frase che era riuscita a farlo piangere a
tradimento.
E’ meglio che, almeno per
quest’anno, tu ti abitui il più possibile a stare a
Hogwarts, piccolo mio. Quindi, io e tuo padre abbiamo deciso che tu resti a
scuola durante le vacanze. Passeremo comunque tutta l’estate insieme.
E, in fondo alla lettera:
La tua mamma che ti ama
tanto.
Piton era tornato a casa per Natale diverse volte negli anni successivi,
ma non aveva più saputo fingere che sarebbero state vacanze felici.
Però, quel suo primo Natale, aveva ricevuto un dono inaspettato.
Piton si morse le labbra, seccato per il solo fatto di essersi lasciato
andare al ricordo.
Cosa c’era poi da ricordare? Non era stato un bel Natale. I suoi non
l’avevano voluto a casa con loro. Suo padre non aveva firmato quella dannata
lettera. Non c’era scritto “Il tuo papà e la tua mamma che ti amano tanto” su
quella pergamena ormai bruciata da anni.
E già allora non aveva avuto amici a consolarlo, sebbene a quel tempo si
sarebbe ancora lasciato consolare.
Ma aveva trovato una sorpresa, la notte della vigilia, sotto il suo
cuscino freddo, prima di andare a dormire, triste, come solo un bambino sa
esserlo, e con il volto rigato dalle lacrime che aveva lasciato sgorgare in una
sala comune desolatamente vuota.
Si era quasi fatto male, gettandosi sul letto di slancio, troppo stanco
ormai per concedersi più di qualche singhiozzo. Qualcosa di duro, sotto il
guanciale imbottito di piume l’aveva colpito con forza su uno zigomo.
Nel buio si era tirato su a sedere sui talloni e aveva infilato una mano
sotto la federa, esitante, timoroso che si trattasse
di qualche brutto tiro giocatogli da un compagno crudele – non era proprio
l’unico rimasto a scuola, anche se era il solo della sua Casa – o da Pix.
Ma sotto le dita aveva sentito una superficie liscia, innocua, che pareva
terminare in un fiocco, come quelli dei pacchetti che aveva sognato invano di
scartare con i suoi.
Aveva estratto la bacchetta, con dita tremanti per l’emozione, e l’aveva
usata per farsi luce, dirigendone la punta verso l’involto rettangolare, dopo
averlo tirato fuori da sotto il cuscino.
Era davvero un pacchetto natalizio. Carta verde smeraldo, con tanti
piccoli stemmi di Serpeverde stampati in rilievo, le minuscole “s” che si
muovevano sinuose come buffi serpentelli in fasce, e il nastro argentato
arricciato leziosamente.
Il mago ricordò le sue dita infantili che si affannavano ad aprire quel
misterioso dono con delicatezza, perché l’involucro non andasse sciupato e
potesse essere conservato. La sua prima vera prova di pazienza, quando ancora
non aveva imparato ad attendere.
E poi lo stupore delle sue labbra, già così sottili, spalancate in un
attimo di gioia che quella notte non avrebbe creduto
di provare. Una scatola di scherzi assortiti, all’ultimo grido, e un sacchetto pieno di gelatine “tutti i gusti più uno” e
cioccorane erano emersi dalla carta verde, infilati insieme in un astuccio di
legno e velluto grigio sul cui coperchio era inciso: Severus.
E, sotto i giochi e i dolcetti, sul fondo della scatola, una provetta –
come quelle del kit di pozioni – colma di inchiostro nero e una lunga penna.
Non una penna come tante, di quelle da usare ogni giorno per fare i compiti e
prendere appunti a lezione; una penna nera e lucida di corvo,
elegante e leggera, proprio come lui l’aveva sempre desiderata.
Piton sapeva che ora che si era perso nelle memorie del passato i suoi
occhi si sarebbero alzati d’istinto verso la pesante scrivania, in fondo alla
stanza. Esserne consapevole lo irritò, ma non potè impedirsi di guardare
ugualmente il vecchio ripiano di legno e la scatola, con la sua penna preferita,
nera, ancora perfettamente appuntita, da usare solo nelle occasioni speciali.
Dedicò a se stesso una smorfia di disappunto e mandò mentalmente al
diavolo Silente, che solo molti anni dopo quel suo primo Natale ad Hogwarts aveva rivelato, al nuovo giovane professore di
Pozioni appena assunto, di essere il mittente di quel dono inaspettato.
“Natale” – si disse Piton – “Che assurda sciocchezza, smielata. Come se
ricevere e fare regali, scambiarsi gli auguri, fingere di
essere più buoni, servisse a cancellare i mali del mondo… “.