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Autore: The Theory    24/07/2011    2 recensioni
Questa è la mia primissima FanFiction sul pairing Ben/Gwen! Spero sia di vostro gradimento in quanto la mia esperienza relativa a questo cartone è poca...
La vita di Ben subì un poderoso cambiamento quattro anni prima, quando l'Omnitrix si spense. I sentimenti di Ben sono da allora un altalena confusa tra la voglia di recuperare la sua passata natura aliena e l' abbandonare l'impresa. Una corsa contro il tempo, una pericolosa storia d'amore ed un racconto dal sapore dolce di ciliegia, rivisto in chiave allo stesso modo comica e triste, che spero faccia sorridere sul primo grande amore e le follie che per esso si fanno.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 La Petite Cerise

PREFAZIO

Gennaio di quattro anni prima.

Silenzio.
Ben rimase immobile a fissare il soffitto. Nonno Max sfilò gli occhiali da lettura e si passò una mano sulla fronte. Gwen invece sedette sul piccolo divanetto in pelle nera dell’austera sala d’attesa e accavallò le gambe sospirando. Scostò i capelli con un cenno e portò i palmi delle mani al mento. Vi adagiò il capo e sussurrò, rivolta al cugino:- quando pensi sia pronto,il responso?
Ben la fissò e tacque per una manciata di secondi. Poi rispose con un mormorio stentato, Gwen non capì, ma lasciò correre.
I cugini Tennyson ascoltarono l’andare dei minuti chiusi nella piccola sala d’attesa di un austero,buio laboratorio. L’unica finestra presente era chiusa e dalle persiane filtrava solo un flebile spiraglio di luce. L’aria da respirare era pesante, le mura d’un bianco stanco e il mobilio dallo stile lievemente kitsh. Tutto induceva all’ansia.
La porta si spalancò :– Ben Tennyson.
Il ragazzo balzò in piedi: – come…cosa…cosa è successo?
Un uomo in camice dall’aria stanca e dal volto segnato da qualche cicatrice in sottile rilievo mormorò:- l’Omnitrix sembra…morto. Mi dispiace ragazzo.
– Che…cosa? – balbettò Ben.
Gwen rimase in silenzio e con lei, un affranto nonno Max .
 
Durante l’ultima battaglia contro Vilgax l’Omnitrix aveva abbandonato il polso di Ben slacciandosi all’improvviso e mutando la forma corporea del ragazzo senza alcun preavviso. Da alieno era tornato ad essere semplicemente Ben Tennyson in un colpo solo, con sorpresa e terrore. Terrore immenso che il rivale potesse ucciderlo senza esitare un attimo. Solo grazie ad un intervento fulmineo ed azzardato della cugina Gwen, avevano potuto darsi alla fuga e sparire. Era stato tutto talmente veloce da lasciarli entrambi spiazzati e disorientati come avessero assistito ad un evento deterrente. Raccolto l’Omnitrix da terra, il giovane Ben non poteva sapere che in quel preciso istante la sua carriera in veste di alieno si fosse, seppur ingiustamente, conclusa.
 

 CAPITOLO PRIMO
Profumo di Brioche e Ferite di Natura Involontaria. 

Ben Tennyson aprì gli occhi verde smeraldo e spiegò le braccia stiracchiandosi. La prima cosa che vide fu la teca con dentro l’Omnitrix. Sviò lo sguardo, irritato.
Riconobbe di essersi alzato piuttosto presto rispetto al solito,routinario orario. Scese dal letto. Infilò i calzini e aprì il cassetto inferiore dell’armadio. Nell’estrarre la sua maglietta preferita, una felpa color blu notte e un paio di jeans neri cominciò a pensare alla sua colazione. Guardò la sveglia con la coda dell’occhio e notò con piacere che fossero solamente le sei del mattino. Abitando a pochi passi dalla scuola aveva la notevole fortuna di potersi svegliare relativamente tardi la mattina e poter sonnecchiare un po’ di più a letto, aspettando le otto meno un quarto ed incamminarsi di buona lena. Gli piaceva, in ogni caso, tardare un po’ sulla tabella di marcia. Faceva la doccia e mangiava qualcosa in più pur di arrivare a scuola appena in tempo. Lo faceva per cercare di ricordare come fosse quando ancora aveva cinto al polso quell’orologio alieno che, anche se per non molto, gli aveva permesso di diventare protettore dell’umanità, sempre impegnato e ansioso. Gli mancava l’adrenalina di un tempo e quella realtà così lontana che tanto lo soddisfava. Ormai erano trascorsi quattro anni e lui era passato al Liceo.
Sospirò profondamente e uscì dalla sua stanza. 

 Gwen Tennyson prese in mano lo spazzolino da denti e con un palmo pulì la condensa formatasi sullo specchio del bagno. Aveva appena terminato la doccia, come al solito a quell’ora. Dopo essersi svegliata alle cinque e mezzo del mattino come spesso faceva, si era data una rinfrescata e aveva scelto i vestiti da indossare. Era quasi immediato il chiedersi perché mai ci tenesse a svegliarsi tanto presto quando avrebbe benissimo potuto permettersi di dormire addirittura un’ora in più. Orbene lo faceva poiché la doccia occupava gran parte del tempo a disposizione. Seppur non esagerasse con il trucco o quant’altro d’analogo, Gwen si prendeva assiduamente cura di se stessa e, peculiarmente, si dedicava lunghe docce mattutine. E dunque, da ragazza, il bath-time diveniva un momento sacro.
La giovane scese le scale e si versò un bicchiere di spremuta d’arancia; estrasse dal pacchetto adocchiato in dispensa qualche fetta biscottata e, per una volta, si limitò a questo poiché decise che avrebbe fatto una sosta al bar cittadino. Amava quel piccolo e lussuoso locale, dove anche la pasta più piccola costava tre volte tanto che in qualsiasi altro posto. Non poteva farne proprio a meno, doveva dedicarsi almeno una volta ogni tanto quel piccolo vezzo. Infilò quindi il cappotto e avvolse attorno al collo la sua sciarpa preferita. Prima di uscire prese la borsa scolastica e si controllò allo specchio. Ai lobi aveva messo gli orecchini che qualche anno prima Ben e suo nonno Max le avevano regalato. Restò immobile a riflettere per qualche secondo. Poi uscì di casa. 

Ben si vestì e uscì dal portone. Appena mise piede in strada venne travolto da una gelida folata d’aria. Si lamentò ad alta voce e sistemò i capelli, scomposti dal potente sospiro del vento.
Gli tornarono alla mente i dolorosi spezzoni dell’ultimo episodio nel quale aveva visto spegnersi l’Omnitrix sotto i suoi occhi. Le parole di quel professore che l’aveva esaminato in quel laboratorio nascosto nei sobborghi della città gli risuonavano ancora in mente. Ma lo faceva sperare solo quella piccola parte di frase conclusiva che, forse con anche una certa ironia, recitava “ ci vorrebbe un miracolo che possa riattivare i circuiti. Non tutto è perduto ma qualcosa si può ancora fare. Con circa…cinque anni di scadenza si potrebbe recuperare qualcosa. Provaci, ragazzo”.
Ben corrugò la fronte con rabbia. “Facile a dirsi” pensò con stizza “quando i problemi sono degl’altri son tutti buoni a parlare…!”. Erano quattro dannati anni che aspettava e non era riuscito a far progredire l’Omnitrix. Ben chiuse gli occhi con violenza e mandò sé stesso al diavolo. Assottigliando lo sguardo in una smorfia di insoddisfatta mormorò a bassa voce:- so benissimo che mi faccio solo del male. Il giovane mosse pochi passi e si immerse nuovamente nei propri pensieri, come da poco era solito a fare. Si era scoperto un gran pensatore. Di quando in quando gli veniva alla mente la cugina Gwen.
– Ma a che diavolo penso?! – commentò il ragazzo a voce alta, rendendosi conto di quanto la cosa fosse sospetta. Tacque per qualche secondo e arrestò il passo. Volle cancellare il pensiero sulla cugina pensando al cibo; si decise e si disse:- andrò a mangiare qualcosa in quella pasticceria del centro che apre presto al mattino…anche se è un po’ cara, le sue paste sono le migliori di Bellwood.

 Gwen oltrepassò le porte a scorrimento automatico della pasticceria. Sorrise inebriata dal dolce profumo delle paste e delle torte esposte mescolato all’aroma decisa del caffè ed il sapore candido del latte appena bollito. La ragazza avanzò. Diede un’occhiata furtiva e si accomodò ad un tavolo, il suo preferito, che pareva aspettarla al solito angolo del locale.
Dopo poco la sua attenzione venne richiamata da una voce di uomo:- cosa le porto, signorina?
Alzò il capo: uno dei camerieri, con taccuino alla mano, si apprestò a prendere la sua ordinazione.
– Direi…un latte macchiato ed un cornetto alla marmellata, grazie mille – sorrise Gwen senza nemmeno dare un occhio al listino plasticato in vernice rossa che, al solito, se ne stava in piedi con aria egemone al centro di ogni tavolino.
L’uomo annuì e, con un sorriso di cortesia, scomparve. Gwen si sentì tastare la spalla.
– Lo sapevo che eri tu! – sussurrò la voce misteriosa.
La ragazza si voltò quasi spaventata, ma poi sorrise: –  oh…!

 Ben giunse al locale. Il languore che già gli faceva brontolare lo stomaco da un po’ divenne improvvisamente fame assoluta. Sedette allora ad un tavolino e braccò all’istante un giovane apprendista cameriere per farsi prendere l’ordinazione.
Quando riuscì a placare l’ingordigia sapendo che presto il cibo sarebbe arrivato, riuscì a vedere le cose con più limpidezza e poté notare che il locale era semivuoto. Solo un tavolo piuttosto in là era occupato. Da una ragazza dai capelli rosso intenso e un giovane belloccio dal fisico scolpito.
Ben aguzzò gli occhi: – ma quella…! E quel tipo chi è?!
Ben si sbigottì da solo: come mai era…? Anche pensare, immaginare, supporre di essere anche vagamente geloso lo scioccò. Impossibile. Poggiò il mento ai palmi aperti delle mani e sospirò, quando si vide davanti un invitante cappuccino con pasta alla frutta. In quella, la gola e l’ appetito presero il sopravvento e preferì divorare l’ordinato anziché perder tempo dietro a “quella pazza di mia cugina e i suoi muscolosi pretendenti-perdenti”.
 
Ben e Gwen terminarono nello stesso istante la loro colazione e si diressero a pagare il conto. Il ragazzo in compagnia della bella Gwen se n’era andato dopo poco, sembrava quasi che si fosse fermato giusto per un saluto, e Ben si sentiva addosso un’impellente e sconsiderata voglia di indagare. Così si avvicinò di soppiatto alla cugina e facendo per mettersi in coda alla cassa le passò un dito lungo la schiena facendola sussultare:- chi diavolo…?! – Gwen si voltò di scatto.
– Ciao – rise Ben – ti ho appena vista.
– Facevo tranquillamente a meno della tua noiosissima compagnia, cugino – mormorò acida Gwen.
– Chi era quel fusto? – ridacchiò Ben malizioso. In cuor suo, a dire il vero, voleva ardentemente saperlo. Anche se non conosceva il perché di tanto interessamento da parte sua.
– Il mio ragazzo – rispose Gwen estraendo il portafogli quando toccò a lei.
Ben tacque. Cosa? Perché si sentiva tanto offeso? Era un emozione totalmente fuori luogo, eppure soffocava il suo cuore.
– Capisco… – rispose abbassando la voce.
Gwen gli accennò: – facciamo la strada assieme, irritante cugino? Ho pagato anche per te.
Ben annuì. Si sentiva quasi accorato. E non sapeva perché.

Continua!
   
 
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