La luce inondava lo studio
entrando dalla grande finestra incorniciata da tende di velluto, posta dietro
l'imponente ma spartana scrivania lignea. Le pareti erano coperte di scaffali
ingombrati da libri di ogni genere, sapientemente ordinati per argomento e
autore. Degli arazzi riportanti scene mitologiche occupavano gli spazi lasciati
liberi dai volumi, mentre in una teca di vetro posta accanto alla porta erano
in bella mostra diversi tipi di spade. Seduto alla scrivania Sparda aveva
alzato gli occhi dai documenti che stava esaminando e fissava suo figlio
maggiore che se ne stava seduto a gambe incrociate su una poltrona a qualche
metro di distanza, intento a leggere uno dei suoi libri di storia infernale.
Nonostante avesse poco più di una decina
d’anni, Vergil sembrava già aver intuito molte delle cose che lo riguardavano e
aveva una serietà e una profondità che di sicuro non si addicevano ad un
bambino della sua età. E soprattutto cominciava già a mostrare i segni di un
morboso interesse che preoccupava alquanto il demone. Sentiva che se suo figlio
non lo avesse abbandonato al più presto quella sua ossessione avrebbe potuto
portarlo a conseguenze molto gravi.
Il suo sguardo si spostò
sull’altro gemello, accucciato ai piedi del fratello con la schiena contro la
poltrona, occupato con un videogioco. Dante era decisamente diverso da suo
fratello. Molto più allegro, più aperto, più solare e meno problematico sotto
molti versi. Non sembrava preoccupato più di tanto dal fatto di essere un
mezzosangue, forse perché ancora non capiva cosa ciò implicava, forse perché
aveva scelto di conviverci senza porsi troppi problemi, forse perché sentiva
che finché ci sarebbe stato suo fratello non sarebbe mai stato solo nonostante
la sua diversità. O forse solamente perché era Dante e riusciva sempre a vedere
la luce nelle cose. Se Vergil si perdeva dietro alle tenebre della loro
condizione, lui si concentrava sugli aspetti più positivi. E proprio per questo
Sparda sperava che i due potessero compensarsi. Finché ci sarebbe stato Dante,
Vergil avrebbe potuto avere un po’ di luce che lo avrebbe tenuto lontano dalle
Tenebre che tanto lo attraevano, mentre viceversa Dante avrebbe trovato in
Vergil un valido aiuto per affrontare ed accettare la parte oscura che
costituiva la loro natura. Era vitale che i due restassero insieme.
Vergil alzò lo sguardo dalle
pagine accorgendosi che il demone li stava guardando e gli rivolse uno sguardo
interrogativo. “Qualcosa non va, Padre?”domandò in tono rispettoso.
Sparda sospirò. Era sempre
così formale con lui, nonostante gli avesse ripetuto più volte che non doveva
esserlo, che non c'era bisogno perché, anche se era un demone, anche se era
colui che aveva difeso il mondo di Luce contro l’Inferno intero, restava sempre
suo padre. “No, Vergil, stavo solo riflettendo”rispose con calma. “Avrei
bisogno di parlarti, comunque. Avvicinati per piacere”.
Il bambino annuì, chiudendo
il libro. “Dante deve uscire?”chiese indicando l’altro mezzo demone con lo
sguardo.
A quel punto anche Dante
smise di giocare e fissò la sua attenzione sul fratello, un po’ contrariato.
Odiava quando lo si mandava via perché non si voleva che sentisse i discorsi
che venivano fatti. Non era giusto.
“No, può restare. Anzi,
venite qui entrambi, preferisco”.
I due obbedirono e si sedettero
sulle due sedie poste di fronte alla scrivania. Sparda li fissò per qualche
attimo senza proferire parola, passando lo sguardo dal volto serio di Vergil a
quello curioso di Dante. Non avrebbero davvero potuto essere più diversi di
così.
“Devo farvi un discorso
molto importante, quindi vi prego di prestarmi tutta la vostra
attenzione”iniziò poi.”Vostra madre avrebbe preferito che io non affrontassi
questo discorso con voi così presto, è convinta che voi siate ancora troppo
piccoli, ma io sono convinto che voi siate pronti per capire cosa voglio dirvi.
O se anche non lo foste lo capireste comunque da soli più avanti. Inoltre ci
tengo ad affrontare la questione adesso perché ho paura che se aspettassi
troppo a lungo sarebbe troppo tardi”. Fece una pausa. I due bambini lo
fissavano attenti pendendo dalle sue labbra, pronti a stampare a fuoco nella
loro mente ciascuna delle parole che avrebbe pronunciato. Si concesse un
leggero sorriso. Sapevano sempre quando essere veramente seri e concentrati e
per questo andava fiero di loro. “Vergil”riprese tornando serio. “Devo
chiederti una cosa”.
“Ti ascolto, Padre”rispose
il maggiore dei gemelli ricambiando il suo sguardo.
“Ho notato che ultimamente
leggi molti libri che riguardano l’Inferno, in particolare la mia...leggenda”.
Negli occhi di Vergil passò
un lampo. Probabilmente aveva già capito dove lui voleva arrivare. “È così,
Padre. Sono convinto che anche se abitiamo nel mondo umano sia un bene per me
essere informato sulle mie origini infernali. C’è qualcosa di sbagliato in
questo?”.
“Assolutamente nulla, anzi,
sono perfettamente d’accordo con te. Per conoscersi a fondo e sapersi capire al
meglio è fondamentale riuscire a comprendere la propria natura”rispose il
demone, serio. “Però non bisogna prediligere una parte di noi stessi. Bisogna
studiarle ed accettarle tutte quante o si rischia di ricadere in dolorose lotte
interiori. Capisci cosa intendo, Vergil. E mi è parso di notare che tu ti stia
concentrando esclusivamente sul tuo lato demoniaco ultimamente. Sai benissimo
quanto sono pericolosi i demoni. E non credere che solo perché quello in
questione è una parte di te non si ribellerà al tuo controllo”.
“Ne sono conscio, Padre. Ma
permettimi di spiegarti le mie ragioni. Io mi concentro sulla mia parte
demoniaca appunto perché è quella che potrebbe darmi maggiori problemi. E
inoltre è l’unica che necessita di essere coltivata. Dal mio lato umano non
posso trarre nulla, se non una serie di debolezze, quindi al massimo lo dovrò
correggere, la mia metà demoniaca invece è la fonte da cui posso trarre la mia
forza”. Gli occhi azzurro ghiaccio di Vergil brillavano decisi in quelli
inespressivi di suo padre, senza però risultare in qualche modo insolenti.
Sparda si lasciò sfuggire in
sospiro. Eccolo lì il tasto dolente, ciò che lo preoccupava. Suo figlio
maggiore era troppo attratto dal potere, che lui riteneva prerogativa esclusiva
dei demoni.”È qui che ti sbagli, Vergil”disse paziente. “Il tuo lato umano,
quello che tu vorresti solo “correggere”, è invece la sede di un tipo di potere
che un demone puro come me non potrebbe mai ottenere, almeno non completamente.
La forza non è solo quella fisica o quella derivante da capacità sovrumane,
Vergil. È anche qualcosa che è insito nella nostra anima e che si mostra
attraverso i nostri sentimenti. La Luce che tua madre ti ha trasmesso non va
ignorata. Come è fonte delle debolezze che hai citato con tanto disprezzo, essa
ti regala anche la capacità di lottare contro le Tenebre, cosa che normalmente
un demone non può fare”. Tacque per un istante, per dare tempo al bambino di
assimilare tutto quello che aveva detto. “E, cosa più importante, il potere non
è tutto, Vergil, almeno non quello che vorresti tu. Mentre a me pare che tu sia
convinto del contrario”.
“Ma, Padre, perdonami se ti
contraddico, ma senza potere non puoi fare nulla!”ribatté il mezzo demone. “Se
non sai sconfiggere i tuoi avversari, come puoi raggiungere i tuoi scopi? Come
puoi proteggere le persone che ti stanno intorno se non hai i mezzi per farlo?
Se tu non fossi stato così potente non avresti potuto proteggere il mondo di
Luce”.
Dante assisteva in silenzio
alla conversazione. Da un lato aveva l’impressione che gli stesse sfuggendo il
significato profondo di quel discorso, ma dall’altro sentiva che era un punto
fondamentale che anche lui doveva tenere presente.
“Questo è vero, ma io non ho
mai detto che il potere è inutile. Messo a servizio di scopi nobili è una cosa ammirevole,
ma se ricercato per sé stesso può diventare addirittura dannoso. Come ogni cosa
dell’Inferno, inquina l’anima e la corrompe, fino a portare lo sprovveduto che
lo ha agognato a perdere sé stesso”. Il tono di Sparda si fece duro. “Per
controllare le Tenebre bisogna affidarsi alla Luce o si finisce per venirne
risucchiati senza via di scampo. Io ho vinto la mia guerra grazie sì al mio
potere di demone, ma soprattutto in virtù dei sentimenti positivi che gli umani
mi avevano insegnato. Io ho amato questi esseri che ai tuoi occhi possono
apparire inferiori a noi per potenza, ho amato la Luce del loro mondo. Ed è
stato proprio l’amore a spingermi ad intraprendere la mia battaglia e poi a
farmela vincere. Mundus era infinitamente più potente di me, ma lui non aveva
un obiettivo che lo rendesse propenso a sacrificare tutto sé stesso per la sua
causa, io sì. Ed è stato proprio grazie a questo sentimento puro che io lo
sconfissi, nonostante la differenza che c'era tra noi”.
Suo figlio maggiore lo fissò
poco convinto, ma non ribatté. “Capisco cosa vuoi dire, Padre. Lo terrò a
mente”si limitò a dire.
“Mi auguro che tu lo faccia
davvero, figlio mio”.
“Andiamo, papà, non
dubiterai di Verge, vero?”si intromise a quel punto il minore dei gemelli,
quasi come a correre in difesa del fratello. “Lo sai che lui vuole bene a tutti
quanti noi, sia a me che a te che alla mamma. Sarebbe disposto a fare di tutto
per proteggerci!”.
Gli altri due si voltarono a
guardarlo, senza che nessuno dei due rispondesse. Si erano quasi dimenticati
della sua presenza.
“Vero, Verge? Tu ci vuoi
bene, no?”insistette lui.
“Certo, Dante”fece Vergil un
po’ esitante. Certe volte le uscite del suo gemello lo spiazzava. Era convinto
che lui non avesse capito fino in fondo il punto del discorso, eppure in un
certo senso aveva compreso che lui si era sentito insicuro e aveva fatto di
tutto per mostrargli che lui non dubitava di lui.
“Oh, andiamo, Ver, cos’è
quel tono tentennante?! Hai dei dubbi? Non ami il tuo fratellino minore?”si
offese Dante afferrando il fratello per un braccio e attirandolo a sé,
rischiando di farlo cadere dalla sedia. “Avanti, di’ che mi vuoi bene anche se
sei sempre scorbutico e freddo con me!”.
“Dante, lasciami! Mi fai
cadere!”.
“Dillo!!”.
“Ma scusa ti ho già detto di
sì! Ti voglio bene, Dante. Contento?? E ora mollami!!”.
Per tutta risposta il minore
diede l’ennesimo strattone al gemello. “È Dan, non Dante!! E no, non ti lascio!
Perché tu sei mio e non di quelle Tenebre di cui stava parlando papà!”.
Vergil arrossì lievemente,
scuotendo il capo. Quanto era ingenuo suo fratello. “Dante, sei un idiota! Non
parlare di cose che non capisci! E mollami una buona volta!!”.
Sparda assisteva divertito
alla scena e rise quando i gemelli, a furia di strattonarsi a vicenda, finirono
entrambi per cadere dalla sedia. Finché ci sarebbe stato Dante, non avrebbe
dovuto preoccuparsi di Vergil, quella era l’ennesima prova. Il primo era sempre
capace di distogliere il secondo dal suo oscuro interesse ed era certo che con
il tempo avrebbe potuto insegnargli a vivere. “Basta, non azzuffatevi nel mio
ufficio!”fece senza smettere di sorridere, scuotendo il capo. “Rischiate di
buttarmi all’aria tutti i libri! Andate un giardino!”.
“Hai terminato il discorso,
Padre?”domandò Vergil, bloccando Dante contro il pavimento e sedendogli sopra a
cavalcioni.
“Sì, potete andare. Non ne
riparleremo più, Vergil, a meno che non sia tu a chiedermelo”sospirò il demone,
lanciandogli un’occhiata significativa. “Spero che il discorso di oggi serva a
farti riflettere”.
“Certo, Padre”rispose il
bambino, mollando la presa sul gemello che continuava a lamentarsi. “Muoviti,
Dante, fila a prendere la tua spada. Io ti aspetto di sotto”. Si alzò e
raccolse la katana che aveva lasciato di fianco alla poltrona, uscendo dalla
porta inseguito dal fratello che urlava: “Uffa, aspettami, Verge!!”.
‘Spero davvero che tu abbia
capito, Vergil...’pensò Sparda tornando a concentrarsi sui suoi documenti. ‘E
spero che tu, Dante, possa trovare il modo di non lasciare mai tuo fratello da
solo...’.
La neve era caduta fino a
coprire tutta l’area circostante con uno strato candido di cinquanta centimetri
buoni. Tutti i suoni erano ovattati e gli unici rumori che turbavano la quiete
erano i rami che scricchiolavano sotto il peso di tutto quel bianco e che ogni
tanto se ne liberavano facendolo cadere al suolo.
Dante avanzava in fretta in
mezzo alla neve, Rebellion assicurata sulla schiena, desideroso di raggiungere
il prima possibile la meta. Sapeva bene che sua madre sarebbe stata furiosa se
lo avesse saputo, come del resto era accaduto le altre volte, ma lui era
convinto che prima o poi avrebbero dovuto iniziare in qualche modo e quella era
la strada più veloce. Ora che Sparda non c’era più sarebbe toccato a loro
continuare il suo lavoro. E visto che per i demoni erano ancora troppo giovani
ed inesperti, tanto valeva cominciare dai criminali normali.
Di fianco a lui Vergil
camminava con più calma, attento a quello che li circondava, la mano appoggiata
sull'elsa di Yamato che portava legata al fianco. Non era per nulla entusiasta
dell'idea che aveva avuto suo fratello. Anche se si trattava di umani e non di
demoni, gli pareva avventato precipitarsi sul posto senza un piano. Non che lo
preoccupasse lo scontro in sé ma più che altro non gli andava di rischiare di
avere più noie del previsto. Alla fine, però, come sempre aveva ceduto alla
testardaggine dell’altro e aveva accettato di aiutarlo di nuovo. E avrebbe
continuato a farlo nonostante ogni volta giurasse a sé stesso che quella
sarebbe stata l'ultima. Sapeva che altrimenti ci sarebbe andato da solo e non
poteva permetterlo. Ora che loro padre era scomparso era lui, in quanto figlio
maggiore, a doversi occupare della famiglia e a dover proteggere i suoi membri.
“Ehi, Verge, cos’è quella
faccia? Non sei contento? Stiamo lavorando!”esclamò il minore dei figli di
Sparda, l’eccitazione ben udibile nel tono di voce.
“Neanche un po’. Non stiamo
lavorando, stiamo solo andando a stendere degli stupidi umani, Dante, e non è
neanche la prima volta, altrimenti magari potrei capirti. E non chiamarmi Verge,
sai che lo odio”rispose l'altro lanciandogli un'occhiataccia. “E poi da quando
ti entusiasmi così tanto parlando di lavoro? Di solito sei talmente pigro che
trovi una scusa per evitare di fare tutte le commissioni che nostra madre ci
dà”.
“Ma questa è una cosa
diversa! Insomma, come puoi fare un paragone del genere?! Vuoi mettere
l’emozione che puoi provare rifacendo il letto e quella che ti suscita un
combattimento?”ribatté Dante. Suo fratello certe volte gli pareva
irrecuperabile. Da quando loro padre se ne era andato, poi, era peggiorato. Era
diventato molto più taciturno e solitario e aveva preso il vizio di coprirsi il
volto con quell'antipatica maschera impassibile che non abbandonava quasi mai
se non in rari momenti quando erano soli. Gli era anche venuta la fissa di
dover fare tutto lui da solo, come se fosse l’unico in grado di farlo. Poi, se
qualcosa andava storto, anche se non era stata colpa sua, non se lo perdonava e
restava per giorni con l’aria di un condannato a morte. Diceva sempre che avrebbe
dovuto evitarlo, che avrebbe dovuto prevederlo. E poi giù con la storia che era
troppo debole per fare le veci di Sparda. Da un lato il comportamento di suo
fratello lo irritava, ma dall'altro lo preoccupava molto di più: Vergil era
diventato strano, passava ore sui libri a studiare di tutto e di più e il resto
del tempo lo spendeva in allenamenti massacranti. Doveva diventare più forte,
diceva, doveva ottenere il potere di loro padre. Lui lo teneva d'occhio
costantemente perché temeva che potesse fare qualche cavolata e aveva notato
che anche Eva era turbata da quegli atteggiamenti che per nulla si addicevano
ad un tredicenne. Perciò cercava di coinvolgerlo nelle sue missioni
improvvisate, per tirarlo fuori da quello studio polveroso in cui trascorreva
tutto il tempo che non passava con Yamato in mano.
“Non noto questa grande
differenza, se devo essere sincero. Combattere con quegli umani mi annoia.
Preferisco scontrarmi con te”rispose atono Vergil. Non capiva cosa ci trovasse
di tanto eccitante suo fratello in quelle piccole scaramucce. Loro erano
demoni, anche se solo per metà, e di conseguenza la maggior parte degli umani
non era minimamente al loro livello, nonostante fossero ancora due ragazzini.
“Uff, sei impossibile,
Ver!”.
“Senti chi parla. E non
chiamarmi neanche Ver. Ti ho detto che odio i diminutivi”.
“Che palle. Sei noioso!”.
“E tu sei un idiota. E ora
muoviamoci a sistemare questa faccenda così possiamo tornarcene a casa. Devo
finire di studiare. E non ho ancora fatto i miei esercizi”.
“Come puoi avere da studiare
se non andiamo neanche a scuola?!”.
“Io, al contrario di te, ci
tengo alla mia istruzione e quindi mi sono fatto un piano di studi. Se ti
ricordi ti avevo anche chiesto se volevi studiare con me, ma tu avevi detto che
quella “robaccia” non faceva per te”.
Dante sbuffò ma non ribatté.
Tanto aveva sempre ragione Vergil. Che palle, ancora una volta quell’antipatico
era riuscito a rovinargli l’atmosfera.
Fortunatamente anche quella
volta andò tutto secondo i piani e nel giro di una mezz’ora i due gemelli
avevano sistemato e consegnato alla polizia i loro avversari. Il minore si era
trattenuto per scambiare insulti con il capo della banda di criminali finché
suo fratello non l'aveva afferrato per la collottola e trascinato via di peso e
ora i due stavano di nuovo attraversando il bosco diretti alla loro abitazione.
“Però potevi lasciare che mi
divertissi un altro po’ con quel tipo”borbottò Dante dopo diversi minuti di
silenzio.
“Perché avrei dovuto farlo?
Siamo già in ritardo. Nostra madre sarà a casa tra meno di un’ora e io non ho
nessuna voglia di sorbirmi la sua ennesima ramanzina per colpa tua. Sai bene
che non apprezza quello che facciamo”ribatté Vergil, voltandosi indietro a
guardarlo, leggermente irritato.
“Va bene, va bene, non ti scaldare”fece
lui rassegnato. Poi un ghignetto gli si allargò sul volto. “Però sei troppo
noioso, Ver. E questo non va bene”.
“Mi sembrava di averti detto
di non chiamar...”iniziò a dire il maggiore, ma fu costretto a bloccarsi quando
una palla di neve lo raggiunse in piena faccia. “Dante! Razza di idiota!”.
Il suo gemello scoppiò a
ridere come un matto. “Scusa, ma non sono riuscito a resistere!”riuscì a dire
tra le risa.
“Sei un cretino di prima
categoria!”ringhiò Vergil voltandosi, con aria risentita.
“Oh, andiamo, Vergil, non ti
sarai mica offeso per così poco?”cercò di calmarlo Dante. “Su, non...”. Ma
questa volta fu lui ad essere colpito in pieno da un proiettile bianco. “Brutto
stronzo!”esclamò allora lanciando un’occhiata divertita al ghignetto che era
spuntato sulle labbra di suo fratello. “Vuoi la guerra, eh? Oh, preparati,
perché ti accontento all’istante!”.
I due ragazzini iniziarono
la loro battaglia rincorrendosi per tutto il bosco e colpendosi senza pietà e
anche abbastanza violentante con le palle di neve. Dante non riusciva a
smettere di ridere e anche sul viso di Vergil si era aperto uno dei suoi ormai
rari sorrisi.
Ad un certo punto si
ritrovarono sull’orlo di un burrone. Il minore si spinse incautamente fino al
bordo del baratro e si sporse per guardare giù. Diversi metri sotto di lui
scorreva un fiume che poi sarebbe andato a gettarsi nel lago che c'era più a
valle. In quel momento le acque erano coperte da un leggerissimo strato di
ghiaccio per via del freddo e l’orlo del burrone era alquanto scivoloso.
“Accidenti che bel salto!
Non deve essere una bella esperienza farsi un tuffo da quassù”commentò il mezzo
demone.
“E allora levati dal bordo o
rischierai di cadere sul serio, idiota”lo apostrofò suo fratello, afferrandolo
per la giacca.
“Ma figurati! Non sono mica
così scemo!”protestò lui, liberandosi dalla sua presa. Ma proprio nel farlo
mise il piede su una lastra di ghiaccio e perse l’equilibrio.
Fortunatamente Vergil lo
afferrò a volo, impedendogli di cadere, ma ottenendo al tempo stesso di perdere
a sua volta l’equilibrio e di scivolare oltre il bordo del baratro trascinando
con sé anche il gemello. Dante si ritrovò a terra, il braccio di suo fratello
stretto tra le mani, mentre quest'ultimo era sospeso sopra il fiume.
“Dante, per l’Inferno! Sei
un idiota!”urlò Vergil, cercando un appiglio, ma le pareti di roccia erano
completamente coperte di ghiaccio e scivolavano sotto la suola dei suoi
stivali.
“Mi spiace, Ver! Non volevo
farti cadere!”esclamò Dante, tentando in ogni modo di tirare su l’altro, ma per
via del ghiaccio neanche lui riusciva a fare presa sufficiente sul terreno.
“Dammi l’altra mano! Non riesco a tirarti su così!”.
“Ma sei scemo?! Se provi a
tirarmi su cadiamo tutti e due!”.
“E allora che dovrei
fare?!”.
“Lasciamo andare!”.
“CHE?! Ma così finisci di
sotto! Sei impazzito per caso?!”.
“Meglio uno che entrambi.
Non mi ucciderò, non temere! É l'unica cosa che possiamo fare! Ho perso
l’equilibrio come un cretino e adesso ne devo pagare le conseguenze!”.
“Ma allora sei scemo forte!
Perché ti devi sempre addossare tutte le colpe?! Maledizione a te! Ho anche io
la mia parte di responsabilità. Siamo in questa situazione perché IO ho fatto
il cretino! Che c'entri tu?! E non ho nessuna intenzione di lasciati cadere!”.
“Non ha senso che tu ti
faccia male solo perché io non sono stato capace di restare in piedi! Se non
sono capace di tirarmi su da solo peggio per me! Lasciami, ho detto!”.
“Vergil, cazzo! Ti ho detto
che non è colpa tua! E poi non é che devi fare sempre tutto da solo! Se io ti
voglio aiutare non puoi impedirmelo!”.
“Ma così cadremo in due sul
serio! E poi se io fossi stato più attento, non...”.
“E chi se ne frega! Io non
ho nessuna intenzione di lasciarti andare! Anche se per far questo dovessi
finire per cadere con te! Dannazione, Vergil, siamo gemelli, se non ci aiutiamo
tra noi, che senso ha? E poi ti ricordi cosa diceva sempre nostro padre? Che
dovevamo stare sempre insieme, qualunque cosa fosse successa, perché da soli
non si va da nessuna parte. E quindi se dobbiamo cadere, cadiamo in due! Io non
ti abbandono!”.
I due rimasero a fissarsi in
silenzio per qualche attimo. Il discorso di Dante aveva lasciato Vergil senza
parole. Lui aveva sempre preteso di fare tutto da solo, nonostante quello che
diceva Sparda. Perché era ancora convinto che solo essendo in grado di fare
tutto avrebbe potuto proteggere come si doveva le persone a lui care. E ora
Dante si impuntava a mettersi in pericolo per aiutare lui. Scosse il capo.
“Dante...”iniziò a dire ma proprio in quel momento suo fratello perse la presa
sul suo braccio e lui si sentì cadere. Il minore si sporse ancora di più e
riuscì ad afferrarlo, ma i due non ebbero neanche il tempo per guardarsi di
nuovo che anche Dante scivolò oltre il bordo del baratro.
L’urto con l'acqua gelida
non fu per nulla piacevole. Vergil si sentì strappare con violenza il fiato dai
polmoni e per un attimo ebbe paura che le forze lo abbandonassero prima che
potesse raggiungere la superficie, ma poi l’aria invernale tornò a sfiorargli
il viso. Si guardò immediatamente intorno alla ricerca di suo fratello e quello
emerse quasi subito di fianco a lui.
“Maledizione che
freddo!!”esclamò Dante battendo i denti. “E cazzo che male! Ho sbattuto la
faccia, credo”.
“Dante, io ti uccido!”lo
aggredì lui, furioso, riuscendo ad afferrarlo per la collottola nonostante
tutti i suoi movimenti fossero resi più difficili ed impacciati per via del
gelo. “Potevi farti male sul serio! Perché non mi hai lasciato cadere e basta?!
Sei una testa di cazzo!”.
L’altro mezzo demone lo guardò irritato. “Ancora con questa storia?!”esplose.
“Vergil, hai rotto! Tu non sei Sparda e non lo sarai mai! Quindi piantala di
pretendere di voler fare tutto quello che poteva fare lui! Non ha senso, non
capisci che non puoi?! Non sei un demone!”. Le parole peggiori che avrebbe
potuto dire. Dante se ne accorse troppo tardi, portandosi una mano alla bocca.
“Ver, mi spiace, io...”.
“No, Dante, hai solo esposto
i fatti”lo interruppe Vergil, scuro in volto, mollando la presa su di lui. Il
suo tono era gelido e inespressivo, ma i suoi occhi erano pieni di rabbia.
“Usciamo da queste maledette acque o rischieremo di morire congelati”.
L’altro scosse il capo con
un sospiro ma non ribatté.
I due ragazzini raggiunsero
la riva e poi si affrettarono a tornare alla loro abitazione, senza scambiarsi
una parola per tutto il tragitto. Una volta a casa si liberarono dei vestiti
ghiacciati e si cacciarono nella vasca piena di acqua bollente, seduti uno di
fronte all'altro. Vergil era perso nei suoi pensieri e fissava distrattamente
il vuoto davanti a lui, mentre Dante si stava ancora dando del cretino per aver
detto quelle cose.
“Ehi, Verge”fece il minore
dopo diversi minuti, rompendo il silenzio teso che si era creato tra loro. “Mi
dispiace di aver detto quelle cose e soprattutto di averle dette in quel modo”.
“Ti ho detto che non fa
nulla”fu la risposta atona.
“No che non fa niente! Ti ho
ferito e mi dispiace!”.
Suo fratello sospirò. “Non è
colpa tua se la verità fa male, Dante”commentò amaramente. “Hai ragione, io non
sarò mai come nostro padre, sono solo un povero mezzosangue. Come posso
competere con un demone? Sono impotente”.
Lui scosse il capo e gli si
avvicinò, allungando le braccia per stringerlo a sé. “Non dire cagate, Ver. Ora
sei tu l’idiota. Hai fatto un sacco di cose da quando papà se n’è andato. Io
non so cosa avrei fatto senza di te”gli disse con un sorriso. “E neanche la
mamma. Hai visto quanto stava male. Tu non ti sei lasciato andare alla
disperazione nonostante tutto e hai saputo risvegliare anche lei dallo stato di
trance in cui era caduta. Hai fatto molto di più di quello che ci si aspettava
da te”.
“Ma ciò non toglie che, se
quei bastardi che davano la caccia a nostro padre dovessero farsi vivi, io non
saprei proteggervi. È per questo che voglio il potere di nostro padre, ne ho
bisogno”protestò Vergil. “E quelli verranno, Dante, ne sono certo. E allora
sarà la fine. Ma forse, anche se trovassi il modo di ottenere quel potere,
sarei comunque troppo umano per gestirlo”.
“Non è detto. Magari
scopriresti che neanche ti serve quel dannato potere. Non sei da solo, ci sono
anche io! Insomma, insieme noi due siamo Sparda, non credi?”insistette Dante,
deciso.
Il maggiore lo guardò
scettico, ma poi un sorriso gli illuminò il volto. “Hai ragione. Il fatto è che
tendo a dimenticarlo spesso. Troppo spesso. Forse perché sono io che sarei
perso senza di te, sperduto in balia delle mie ossessioni”.
“Non dire così, Ver. Tu hai
la forza per sconfiggerle, devi solo crederci e non lasciarti schiacciare. E
poi anche io ho una cosa da confessare, visto che siamo in vena. A te fa schifo
essere per metà umano, a me dà fastidio essere un mezzo demone. Insomma, siamo
imparentati con degli esseri rigurgitati dall'Inferno che lasciano dietro di
loro solo sangue e distruzione. Io non voglio diventare così!”.
“E non lo diventerai, Dante.
Siamo metà e metà. Possiamo scegliere quale dei due essere. O trovare il modo
di essere entrambi, anche se non sarà facile”. Il minore dei gemelli guardò suo
fratello un po’ confuso. Odiava quando l’altro si metteva a fare quei discorsi
così astratti che a lui dicevano poco o nulla. Vergil gli lesse in faccia
quello che stava pensando e ricambiò l’abbraccio. “Un giorno capirai cosa
intendo, Dante. Comunque penso che tu abbia ragione. Dobbiamo stare insieme, ci
completiamo a vicenda”.
“Se lo dici tu...”fu la
risposta poco convinta. “Ver, mi prometti una cosa?”.
“Tutto quello che vuoi,
Dan”.
“Promettimi che farai come
ci disse nostro padre, che mi insegnerai ad essere un demone e lascerai che io
ti impedisca di perdere la tua parte umana. Giurami che non mi lascerai mai”.
“Te lo giuro, Dante.
Qualunque cosa accada, anche se fisicamente saremo separati, io non ti lascerò
mai davvero e troverò il modo di tornare da te”.
Rimasero in silenzio
nuovamente, stretti uno all'altro, ma questa volta era un silenzio diverso,
pieno di intesa e calore. Poi Vergil parve finalmente accorgersi della
posizione in cui si trovavano e spinse via il fratello. “Va bene, va bene,
basta romanticherie! E non starmi così attaccato, sai che mi dà fastidio! E poi
cacchio, non siamo neanche vestiti!”borbottò avvampando.
Dante scoppiò a ridere.
“Cos’è, Verge, ti vergogni anche di tuo fratello adesso? Andiamo, siamo due
maschi e siamo gemelli, è come se stessi abbracciando te stesso!”ribatté divertito
dalla sua reazione. “ E poi a me piace starti appiccicato, mi fa sentire
bene!”.
"Non fa nulla. Mi dà
fastidio lo stesso. E non dire cagate!”fu la risposta imbarazzata.
“Ah sì? Ti dà così fastidio,
fratellone? Non avresti dovuto dirmelo! Adesso vedi!”. Sul volto del minore
comparve un ghigno decisamente poco rassicurante e lui saltò addosso al gemello
tentando di mettergli la testa sott’acqua e cercando di stargli il più
attaccato possibile.
“Dante!!”urlò Vergil,
furioso, tentando senza successo di levarselo di dosso. “Sei un idiota!
Smettila, cretino! E attento a dove metti le mani!!!”. Gli rifilò un pugno in
pieno stomaco, ma senza successo perché l’altro, dopo essersi bloccato un
attimo preso alla sprovvista dal colpo, ritornò all’attacco. Lui non poté
impedirsi di sorridere mentre infuriava quello che era a metà tra una rissa e
una scherzosa dimostrazione di affetto. Era certo che finché Dante fosse stato
con lui, non avrebbe ceduto alle tenebre.
Era avvenuto tutto così
dannatamente in fretta, senza preavviso. Un attimo prima era una giornata
qualunque, con le solite cose, le solite conversazioni, le solite, care
immagini. Quello dopo era esploso l’Inferno. La scena si era svolta sotto i
suoi occhi in maniera quasi surreale. I rumori erano come attutiti, le immagini
correvano lentamente di fronte ai suoi occhi. Aveva visto sua madre cadere
sotto quegli strappi rossi che si erano aperti nel suo vestito candido. L’aveva
sentita gridare, gridava a loro di salvarsi mentre quei bastardi insozzavano di
rosso la sua luce fino a soffocarla. Poi aveva visto suo fratello dibattersi
con tutte le sue forze in mezzo a quelle lame incrostate di sangue, Rebellion
che li trapassava feroce come solo il dolore e la disperazione possono essere. Lo
aveva guardato lottare finché la sua vista non si era fatta troppo sfuocata da
impedirglielo. E infine aveva visto sé stesso combattere contro quei mostri
assetati di sangue. Lo avevano ferito a morte, avevano marchiato senza pietà la
sua pelle con cicatrici che non sarebbero mai scomparse del tutto, ma lui non
si era fermato, aveva continuato a combattere meccanicamente, lasciando che le
loro armi continuassero a straziare il suo corpo. Era come in trance, quasi non
sentiva il dolore. Si faceva largo tra falci e artigli, in una foresta di occhi
rosso sangue, quasi a cercare lo scontro.
Poi era successo. Nel
vecchio cimitero abbandonato vicino alla loro abitazione. Il suo corpo aveva
ceduto allo sfinimento e quelli lo avevano inchiodato a un lapide. Era stato
allora che aveva sentito quel potere invaderlo, che la sua seconda natura si
era mostrata in tutto il suo orrendo splendore. Immagini confuse, le grida di
quei bastardi, il rumore delle ossa e del ferro che si spezzavano, il sapore
del sangue, suo ed estraneo. E alla fine il silenzio. Un silenzio di morte,
sacrale, segno della fine di una parte irrimediabilmente persa della sua
esistenza e dell'inizio della sua nuova, distruttiva ricerca.
Si era svegliato coperto di
sangue e con i vestiti stracciati in mezzo alle macerie senza vita di quella
che era stata la sua casa, con la consapevolezza di essere morto. Il ragazzino
che era stato e che aveva iniziato a scomparire il giorno in cui Sparda aveva
lasciato la terra se n’era andato per sempre. Ora restava il neonato demone che
sarebbe vissuto per appropriarsi dell’eredità demoniaca del Cavaliere Oscuro.
Di Dante non c’era traccia, ma lui era sicuro che suo fratello era vivo e che
prima o poi si sarebbero incontrati di nuovo. Per quel giorno avrebbe avuto la
forza che sarebbe servita a proteggerli entrambi da quel mondo a cui erano
tanto estranei e in cui non avevano più punti di riferimento. Per il momento
non poteva fare altro che abbandonarlo al suo destino, non era abbastanza forte
per crescere accanto a lui dopo quello che era accaduto. Dante se la sarebbe
cavata, era più forte di lui da quel punto di vista. Aveva fatto la sua scelta,
avrebbe preso la via delle Tenebre per poi emergere nella Luce più abbagliante.
E avrebbe rimesso tutto apposto. Comunque non avrebbe rotto la promessa fatta:
ovunque fosse andato una parte di lui sarebbe rimasta con Dante. Strinse il
medaglione che portava al collo. Finché avesse avuto quella pietra nulla
avrebbe potuto separarli. O almeno così credeva. Non poteva immaginare a cosa
lo avrebbe portato il sentiero buio che si accingeva a percorrere.
“Dante. Io salverò entrambi,
qualunque cosa dovesse accadere. Troverò il potere di nostro padre e poi
insieme lo faremo rinascere. Non mi perderò, saprò tornare da te, te l'ho
giurato. Le stelle insanguinate di questa notte e il sole sorgente di questo
nuovo giorno mi siano testimoni!”.
“VERGIL! NO, NON LASCIARMI!”.
‘Dante...’. Vergil riaprì gli occhi di scatto. Non sapeva se la voce che aveva
sentito era reale o parte di un ricordo rimosso. Troppo infantile per
appartenere al presente, troppo adulta per essere di quell'epoca. Ma poco
importava. Non poteva lasciarsi andare, aveva fatto una promessa che non poteva
infrangere. E proprio in virtù di quella promessa lui non poteva aver cercato
il potere di Mundus. Aveva giurato di diventate degno erede di suo padre e, per
quanti sbagli potesse aver fatto, non poteva aver rotto il giuramento. Avrebbe
dovuto rendersene conto. Aveva accettato di recuperare Kasreyon in cambio del
potere di Sparda, non per altro. Forse aveva perso di vista il vero motivo
della sua ricerca ma dentro di lui quella ragione era rimasta viva. Come aveva
potuto scordarlo? Come aveva potuto permettere che le Tenebre gli offuscassero
la mente fino a fargli scordare chi era? Tentò di muoversi, ma il suo corpo non
aveva più l'energia per rispondergli. Eppure non poteva finire lì. Doveva
esserci un modo per uscire da quel limbo maledetto ora che aveva ritrovato la
strada!
“Svegliati, Vergil Sparda”. Un’altra voce, così familiare eppure altrettanto estranea, lo accarezzò, poco più di un sussurro, ma calda e luminosa. Avvertì le forze tornargli di colpo. Poteva uscire da quell'incubo infernale.
Allungò le mani e le strinse sulla lama che gli trapassava il petto. Non sarebbe morto lì. Aveva troppe faccende in sospeso. Doveva chiedere scusa a sua madre. Doveva onorare la memoria di suo padre. Doveva raccontare la leggenda di Sparda a Magornak. Doveva ringraziare la figlia di Arkham per essersi presa cura di suo fratello. Doveva recuperare con Dante il tempo perduto. Il sangue usciva copioso e di nuovo rosso dalle sue mani e con esso il dolore, ma lui strinse i denti fino ad estrarre l’arma dal proprio petto.
Kasreyon lo fissava incredulo, incapace di credere a quello a cui stava assistendo. Fino a qualche secondo prima il figlio di Sparda era completamente avvolto dalle Tenebre, sconfitto, troppo stanco e pieno di sensi di colpa persino per lasciarsi morire. Ora i fasci di buio che imprigionavano il suo corpo erano completamente spariti e nei suoi occhi di nuovo azzurri brillava una forza immensa nonostante la sua anima fosse ferita a morte. Una sola volta aveva visto quello sguardo: quando Sparda lo aveva messo in ginocchio e incatenato per l'eternità. Guardò il giovane raccogliere Yamato da terra e mettersi in posizione di combattimento, seppur vacillante. E seppe che non avrebbe più potuto prendere la sua anima. Troppa Luce aveva inquinato le sue Tenebre.
“Sparda, questa volta sarai tu a soccombere!”ruggì furioso scagliandosi su di lui.
“Questo è tutto da vedere, Kasreyon! Pagherai per quello che mi hai fatto passare e per aver fatto soffrire anche mio fratello!”esclamò Vergil in risposta, parando il colpo. Avvertì un dolore profondo percorrere come una scarica elettrica tutto il suo corpo per il contraccolpo, ma ciò non bastò a togliergli il sorriso vittorioso dalle labbra. Il suo avversario l’aveva chiamato con il nome di suo padre. E come tale si sarebbe comportato. Sapeva che non poteva resistere a lungo, quindi doveva concludere quello scontro immediatamente. E c'era un unico modo per farlo. Con la mano libera afferrò di nuovo la lama del suo nemico. La sua carne martoriata urlò per la nuova ferita, ma lui ignorò la sofferenza e strinse ancora di più la presa sul metallo tagliente e intriso di Oscurità.
“Figlio di Sparda, non oserai...”iniziò Kasreyon ancora più incredulo tentando di liberare la lama dalla presa del giovane, ma lui la scostò e senza attendere un attimo di più gli piantò Yamato dritta nel petto. Il sangue nero schizzò ovunque insieme al gemito rabbioso del demone.
“È più divertente quando lo faccio a Dante”commentò il mezzo demone con un ghigno cattivo. “Lui mi dà più soddisfazione!”. E spinse la lama verso l’alto fino a liberarla dalla carne dell'arma demoniaca. Quella si disintegrò in un'esplosione di luce bianca che investì anche il resto del limbo di luce nera, cancellandolo e penetrando negli squarci della sua carne. Il dolore si attenuò fino a scomparire, mentre lui veniva accecato da quel bagliore che però non gli fece male, anzi parve ristabilirlo del tutto.
Vergil si mise a sedere di scatto, ansimando. Era di nuovo nella
sala del sigillo e, cosa più importante, era finalmente di nuovo padrone di sé
stesso. Aveva sconfitto le Tenebre annidate nella sua anima. Istintivamente abbassò
lo sguardo sulle parti del suo corpo in cui avrebbero dovuto trovarsi le
ferite, ma non ne trovò traccia. Erano davvero solo ferite della sua anima
allora. Ferite che quella luce misteriosa aveva curato.
Alzò gli occhi e incrociò quelli viola e pieni di lacrime di Magornak. Il suo
protetto era accucciato al suo fianco e il suo viso rifletteva il senso di
liberazione e sollievo che il mezzo demone avvertiva dentro di sé. Non poté
evitare di notare che quelle iridi ametista brillavano molto più del solito. La
luce che vi splendeva era la stessa che lo aveva svegliato, ne era certo. Un
pensiero lo colpì. La voce che aveva udito era quella di Magornak.
“Magornak...”cominciò, ma il demonietto lo interruppe.
“Non ora, Vergil. Devi andare da tuo fratello! È parecchio nei guai!”gli disse indicando lo scontro feroce che era in corso al centro della stanza. “E Mary è stata ferita...”.
Il giovane annuì e si alzò. “Magornak, va’ da Lady. Difendila a costo della vita, chiaro? A quel bastardo ci pensiamo io e Dante”ordinò. “Poi mi dovrai spiegare un paio di cose. Ma solo dopo che avremo fatto il culo a quello stronzo”.
La creaturina annuì e corse via determinato a eseguire alla lettera quell’ordine non appena il suo protettore ebbe finito di parlare. In un’altra occasione sentire il mezzo demone dire tante parolacce tutte in una volta lo avrebbe stupito e lui non avrebbe potuto evitare di dire che a parlava come suo fratello, ma decise che non era il caso e che era meglio rimandare tutti i commenti a dopo che avessero risolto quella brutta faccenda. E poi i suoi pensieri erano presi da tutt’altro: Vergil si era finalmente svegliato. Ed era di nuovo il suo Vergil. Ora tutto sarebbe andato a posto. Sparda era di nuovo lì adesso che entrambi i suoi figli erano schierati uno accanto all’altro. Era giunta la fine di quella brutta storia, una storia che aveva avuto inizio più di due millenni prima in quello stesso antro, quando uno scontro simile si era consumato tra quelle stesse mura di pietra. Non aveva la più pallida idea di come facesse a sapere quelle cose, ma, mentre si inginocchiava accanto a Lady e iniziava ad esaminarle le ferite, era anche certo che una volta conclusa quella battaglia sarebbero arrivate tutte le risposte. E lui avrebbe finalmente ricordato.
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Good afternoon people!!
I’m back! Con un po’ più di anticipo rispetto al solito…e meno male!!
Dai, sono stata brava questa volta, il capitolo è anche lunghetto…ero stata
tentata di fermarmi ai ricordi, però poi mi sono detta che mi avreste ammazzato
se dopo avervi fatto aspettare una settimana vi avessi postato tre falshback in
apparenza privi di senso senza dirvi cosa succedeva a Vergil…quindi ho pensato
di aggiungere anche la parte dopo!!
Forse questo capitolo necessita di qualche spiegazione, soprattutto per la
scelta dei ricordi. Ho cercato di inventarmi degli episodi che potessero
spingere Ver a reagire e a capire che Kasreyon lo stava solo prendendo per i
fondelli per farlo cedere. Il primo gli ricorda che, nonostante tutto, lui a
modo suo aveva cercato di seguire gli insegnamenti di suo padre e poi serve a
me per far presagire una cosa che avverrà nello scontro tra i gemelli e
Kasreyon. Il secondo è la promessa che Vergil fa a Dante e che gli fa ricordare
da dove è partito. Il terzo è più che evidente. Il momento che ha segnato l’inizio
della degenerazione della sua ossessione. Comunque tutti e tre i flashback
contengono lo stesso messaggio: lui non è andato in cerca del potere fine a sé stesso
ma per una motivazione ben precisa, proteggere le persone a cui tiene, e che
non è affatto vero che è andato a cercare il potere di Mundus visto che lui,
nonostante tutto, pur lasciando da parte il suo obiettivo iniziale,
inconsciamente ha sempre e solo voluto quello di Sparda, non il potere in
generale. Non si è mai perso del tutto e non è troppo tardi per reagire.
Spero che abbiate capito qualcosa di quello che ho detto. Io non l’ho capito
quindi tranquilli!! XD L’unica cosa certa è che siamo allo scontro finale! Adesso
che i due gemelli sono di nuovo fianco a fianco riusciranno a toglierci
finalmente di torno Kasreyon?? E poi che cosa succederà? E Magornak? Quella pazza
dell’Autrice si deciderà finalmente a dirci chi è?? Ehm…forse u.u
Ho parlato a vanvera anche troppo!! Me ne vado!
Baci e abbracci alle mie recensitrici, Rakelle, ninjiapiccina, Hikari Sama, Bloody Wolf e doc11!! Grazie
ragazze non so cosa farei senza di voi!! >.Shi, lo so, smetterei di
postare u.u Un abbraccio anche alle mi altre ragazze, Xeira_, Pride_,
LadyVergil e Alice Mudgarden!!
Grazie anche a chi legge/segue/preferisce la storia!! Per me è molto
importante!!
Alla prossima! Sperando che non ci metta un anno…
Mystic