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Autore: Blue_Bones    29/07/2011    7 recensioni
Chi sarà stata la prima interamente nata babbana? Quale sarà stata la sua storia. In quale casa era? Io ho provato a rispondere a queste domande. Datemi un parere
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Corvonero, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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A Jennifer, per augurarle buon compleanno :D Visto? E' pronto;

A Padfoot, Loby, Glo, Kla, Simi, per sopportare i miei scleri giornalieri, vi ringrazio.

 

 

 

The First Mudblood

 

1. Annegare in un bicchiere opaco di sporche scoperte.

 

 

 

 

- Gillister Grace Beckyard, torna subito in casa prima che decida di lasciarti sotto la pioggia per la notte! – La bambina non si mosse, sapeva che non l’avrebbe fatto. Lo desiderava, oh sì, ma non potevano permettersi un medico. Il pensiero volò a suo padre, di sicuro stava per rientrare e, se l’avesse scoperta a disobbedire nuovamente all’arpia, non l’avrebbe perdonata. Probabilmente le avrebbe tirato un manrovescio con la mano grande e callosa e l’avrebbe relegata in cantina a riflettere e, a lei, quel posto ammuffito e umido faceva venire i brividi. Così obbedì, si alzò e si preoccupò di trascinarsi per tutta la casa con la veste lercia, insozzando il pavimento. La donna, in tutta risposta, cominciò ad urlare – Piccola insolente! Sudicia strega, con chi credi di avere a che fare?! Non sono certo la tua stupida madre! – Mentre rideva di gusto, Gil la detestò con forza, fino a star male. Si sentiva soffocare e voleva spaventarla a morte. Voleva che scappasse via e la lasciasse in pace una volta per tutte. Presa, com’era, dai suoi pensieri, si accorse appena di un venticello anomalo così che, quando questo peggiorò e spense tutte le candele che erano state accese, quando porte e finestre cominciarono a sbattere violentemente, come se stessero per sganciarsi dai cardini, sussultò.

La donna, dall’altra parte della stanza, era terrorizzata. La guardava con odio, rancore e paura – Ti farò bruciare al rogo – sentenziò con un filo di voce tremante e roca che mano a mano diventava più sicura e rabbiosa – Strega! – le urlò contro. Gli occhi, ridotti a due spilli neri e acquosi, la minacciavano silenziosamente. Le rughe precoci, tremule e profonde, indurivano la sua espressione in qualcosa di vagamente deforme e la rendevano un buffo tributo a quello che una volta doveva essere stato un viso squadrato e severo. La rabbia di Gil sapeva d’amaro mentre saliva e scendeva tra lo stomaco e la gola, come un boccone difficile da digerire. I vetri delle finestre esplosero. Il rumore dei tuoni non veniva più filtrato e il loro rombare pareva esprimere alla perfezione lo stato d’animo della piccola. Era frustrata, arrabbiata e delusa, si sentiva impotente nei confronti di un adulto che di tale aveva solo le sembianze. Quando i pezzi di vetro rimasero sospesi a mezz’aria la donnaccia parve riscuotersi. Li osservò attentamente e Gil, seguendo il suo sguardo, se ne accorse con sorpresa. D’improvviso le schegge di vetro caddero a terra moltiplicandosi e rimpicciolendo fino a sembrare fine sabbia bianca. La donna divenne rossa dallo spavento e la sua coronaria sembrava sul punto di esplodere – Me la pagherai, ragazzina! Ti pentirai di essere nata! – e detto ciò si voltò scappando via con l’aria di una che aveva il diavolo alle calcagna. La bambina si riscosse dal tepore che l’aveva colta chissà quando e si guardò attorno spaventata. Così come era venuto, il temporale si quietò e poco dopo un raggio di sole colpì la polvere di vetro che si sollevò da terra e cominciò a scintillare sotto i raggi dorati e caldi. Lentamente, la polvere si compattò e diramazioni scintillanti comparvero da ogni pezzo di vetro rimasto aggregato per poi espandersi al resto. Le finestre tornarono intatte e persino le candele ricominciarono a illuminare flebilmente la stanza, indisturbate. Solo il vago sentore di libertà annunciava che qualcosa era davvero accaduto. Un rumore di passi attirò la sua attenzione, suo padre, sulla soglia, la guardava sorridendo. Sembrava invecchiato dall’ultima volta che l’aveva guardato, ma non poteva avere più di trent’anni. L’aria stanca, il viso incavato e deperito, la barba incolta e gli occhi spenti. Era ancora più magro e triste del solito. Il suo sorriso era qualcosa di forzato e malinconico che ti si appiccicava addosso assieme a una pesante sensazione di vuoto – Dov’è Amanda? – chiese, stranito. Amanda era l’essere immondo che aveva lasciato la casa poco prima a gambe levate. Amanda era la donna terribile che da un anno prima si fingeva sua madre. Amanda era quella che tirava su il teatrino della quasi matrigna premurosa e gentile quando suo padre era nei paraggi. Amanda era la stessa che, poi, quando suo padre usciva, la trattava come una schiava, uno sfogo e un divertimento. Amanda voleva e vedeva solo la bellezza giovane e prestante del padre e non riusciva a vedere quanto lui fosse profondamente infelice e solo. Gil non riusciva a parlare, sentiva il pianto in gola dove prima c’era la rabbia. Non voleva deludere suo padre, non voleva farlo arrabbiare o dargli preoccupazioni – Se n’è andata padre, ma non è stata colpa mia, lo giuro. Non può essere stata colpa mia! – disse scossa dai singhiozzi che erano fuoriusciti con le parole. Il padre non riusciva a capire, ma non era arrabbiato con lei. Contrariamente a quanto pensava la figlia, aveva cerato moglie solo per lei, per darle una madre che riempisse il vuoto creato da quella che non avrebbe mai potuto conoscere. La prese in braccio e si sedette in una delle poltrone la cui imbottitura, ormai inesistente, era stata duramente provata dagli anni – Ti va di raccontarmi cosa è successo? – Le chiese con dolcezza. La bambina, con voce tremante raccontò l’accaduto. Entrambi sapevano che era stata lei, non era la prima volta che capitavano quel genere di stranezze. Per quel motivo il padre aveva aspettato dieci anni prima di cercarle una madre. Quelle stranezze, però, non erano finite – Ha detto che mi farà bruciare sul rogo padre, ma io non sono una strega! Nessuno mi ha insegnato nulla e voi lo sapete. La notte sono nel mio letto e non servirei mai Lucifero! – Esclamò la piccola, scoppiando in un pianto isterico e difficile da ammansire – Gil, ormai hai undici anni, calmati, su. Troveremo una soluzione, andrà tutto bene. Te lo prometto – disse, bonariamente, l’uomo – ma padre... – Lo interruppe lei – mia madre era una strega? – L’uomo negò – Morì poco dopo la tua nascita. – Disse mestamente e Gil, vedendo il suo sguardo incupirsi ulteriormente, i suoi occhi inumidirsi e il suo sorriso perdere quella finzione di verità, preferì non indagare oltre nonostante non avesse capito molto. Per cambiare argomento di limitò a puntualizzare – Ho quasi dodici anni, padre – l’uomo rise senza allegria – Allora sei troppo grande per stare in braccio a tuo padre. – Lei inclinò la testa, poi annuì e si rimise in piedi. Andò a preparare la tavola e cenarono. Si mise a letto e, mentre osservava la notte scorrere, si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lei. Non voleva certo che suo padre passasse guai a casa sua. Vivevano in campagna per evitare i pettegolezzi che nelle contee inglesi di diffondevano sempre troppo velocemente, ma, se Amanda avesse davvero spifferato tutto, allora era meglio far sparire ogni traccia della sua esistenza il prima possibile. Durante la cena, suo padre le aveva raccontato tutto con voce grave. Aveva vuotato il sacco dopo dieci anni di immensa solitudine e acuto dolore in cui l’unico compagno che avesse al mondo era il più bello e il più brutto ricordo della sua vita. Lo tormentava giorno e notte, lei ormai lo aveva compreso e se ne rammaricava.

 

Era nata poco lontana dal villaggio, un triste giorno d’autunno, mentre gli ultimi giorni di settembre si spegnevano e scivolavano via assieme alle prime foglie secche e ai detriti che la pioggia inglese trasportava con se nei fossi fino al Tamigi. Quando era nata non piangeva, aveva le labbra viola e il battito quasi inesistente. La donna che l’aveva aiutata a nascere non aveva proferito parola, le aveva massaggiato il petto mentre sua madre piangeva le sue ultime forze. Le aveva ordinato di tacere e aveva continuato mentre il suo sguardo era fisso su di lei che, ad un certo punto, aveva cacciato un urletto. Miagolava, in realtà, più che urlare. Aveva aperto gli occhietti verdi mentre il petto minuscolo si gonfiava a riprendere aria e ricominciare a urlare. Un sorriso di sollievo si era dipinto nei volti di tutti. La donna era bella, anche se a detta di suo padre nessuna sarebbe mai stata paragonabile a sua madre, i lunghi capelli corvini scendevano lunghissimi in morbide onde. Gli occhi erano azzurri e ricordavano più il ghiaccio che il cielo, pallidi quanto la sua pelle diafana, levigata e priva di imperfezioni. Come fosse di porcellana. La donna non sembrava provata dalle dodici ore di lavoro ininterrotte, ma, le aveva detto suo padre, la tristezza e l’amarezza erano dipinte chiaramente sul suo volto e su quello della sua assistente quando, il mattino successivo, aveva annunciato che la sua signora non aveva superato la notte di quel giorno umido e oppressivo. Lo accompagnarono a porgerle l’ultimo saluto e si allontanarono nell’ombra per dargli tempo. Sua madre, Grace, sorrideva. Sembrava quasi soddisfatta, le aveva detto suo padre con voce rotta. Le donne si erano avvicinate e avevano riferito all’uomo  le ultime volontà della donna. Doveva occuparsi lui di Gil, proteggerla dal mondo e insegnarle quanto era meraviglioso. Non voleva che la sua bambina finisse nelle mani di qualche famiglia sbandata. Lui aveva ubbidito pregando le donne di non rivelare l’esistenza della bambina per evitare che gli fosse tolta la custodia o gli venisse imposta una nuova moglie. Le donne se ne andarono di lì a poco, senza chieder soldi. Erano in viaggio quando erano state ospitate dai due sposi per la notte e il giorno dopo la donna era entrata in travaglio. Dovevano tornare a casa, si erano trattenute più del dovuto. Un giorno di nebbia si portò via i loro corpi e i loro nomi. La donna dai capelli neri si era presentata come Morgana, ma il padre non aveva mai creduto che quello fosse il suo vero nome. Nessuno le aveva più riviste da quelle parti. Lui aveva sparso la voce che moglie e figlia erano morte. Si era ritirato in campagna dicendo di aver perso la sua vena allegra e sociale. Avevano vissuto lì per anni anche se suo padre continuava a fare lavori qua è là per acquistare ciò che non potevano ottenere da un campo grande a metà fra un piccolo pezzo di terra e un orticello. Le piaceva il verde, le piacevano gli alberi ombrosi che la nascondevano alla via di commercio principale. Non voleva dover smettere di camminare a piedi nudi sull’erba coperta di rugiada la mattina presto, non voleva smettere di sentire gli uccellini cantare a primavera, non voleva che nessun estraneo l’avvicinasse. Aveva paura di fare male a qualcuno, temeva per suo padre. Aveva tanta paura di se e per se. Il mattino giunse in un tiepido battito d’ali. Le fronde degli alberi, non ancora ingiallite, frusciavano. La certezza che non avrebbe vissuto lì ancora per molto gli era penetrata nel cervello. Ogni parte del suo corpo formicolava di triste consapevolezza. Nonostante gli occhi le brucassero per la stanchezza, non riusciva a prendere sonno. Quel giorno lei e suo padre avrebbero discusso su ciò che l’aspettava, anche se nessuno dei due sapeva ancora cosa fare.

La mattina era volata via come era arrivata. Il problema sembrava irrisolvibile. Tutto il paese sarebbe arrivato a breve, avevano si e no due ore per sgombrare il posto. Cosa sarebbe stato di lei e di suo padre? Aveva paura a pensarci. Nel petto sembrava pesagli un macigno. L’ansia crebbe quando bussarono alla porta – Gil – sussurrò suo padre – Vai presto, su, in camera e non uscire finché non ti chiamo, capito? – la piccola annuì e corse su per le scale in legno marcio rifugiandosi nella soffitta che era diventata la sua camera. Sentì il padre chiedere “Chi è?”, ma nessuna risposta raggiunse il suo nascondiglio. Il cuore in gola le impediva di respirare bene. Aveva la lingua secca, impastata e le pulsazioni premevano sulle orecchie. Sentì la porta chiudersi. Suo padre urlò – Gil, scendi! – Con un sorriso di sollievo uscì dal suo nascondiglio urlando – Chi era, padre? – Una figura ammantata di blu notte attirò la sua attenzione, spaventandola. Si nascose dietro il padre. La figura si levò il cappuccio mostrando il viso pallido e gli occhi chiarissimi. Le labbra rosse si piegarono in un sorriso mentre la donna si piegava sulle ginocchia per arrivare a fissare la bambina negli occhi – E’ da un po’ che non ci vediamo, vero, Gillister? – disse lentamente senza smettere di sorridere. Gli occhi le brillavano di curiosità. Quella donna sembrava piuttosto strana, le ricordava i bambini che arrivavano con i mercanti e si guardavano attorno con eterno stupore nonostante i molti viaggi già compiuti. La voce non era stridula come quella di Amanda o acuta come la sua. Era profonda e sembrava scaturire dallo stomaco. Come il fuoco dei draghi delle storie che suo padre le raccontava quando era più piccola. Gli occhi la scrutavano in attesa di una risposta. Si sforzò di farsi passare la soggezione e tirò su gli angoli della bocca in un timido sorriso riuscendo addirittura a far comparire i denti non perfettamente allineati. La donna parve quasi sollevata – Tu sai chi sono? – Continuò. Uno scintillio d’orgoglio balenò negli occhi della bambina – Allora lo sai. Te lo ha detto tuo padre? – Gil annuì – Bene – rispose la donna prima di aggiungere – Ti spiace se parlo un secondo con tuo padre, in privato? – La bambina scrollò le spalle e fece per dirigersi verso il piccolo salotto quando la donna la richiamò – Chi ti ha tagliato i capelli così? – Chiese guardando il disastro che la piccola aveva in testa. I capelli erano cortissimi e tagliati malamente – Amanda – la donna sospirò – Capisco. Che dici di provare a concentrarti e provare a farli come desideri? Sono sicura che ne sei perfettamente in grado. – Le fece l’occhiolino come se sapesse che le prime volte che l’arpia glie li aveva tagliati, la notte, questi erano ricresciuti sempre più lunghi. Gil sorrise e scomparve in salotto. La donna la guardò scomparire dietro la porta. Se fosse stata uno dei suoi migliori amici avrebbe scommesso che la bambina avrebbe tentato di origliare, ma non era da lei. Lei sapeva semplicemente che la curiosità insita in alcune persone è visibile a distanza ed è irrefrenabile. D’altro canto la considerava una delle caratteristiche fondamentali per essere intelligenti. Bisognava osservare per scoprire e sapere. La presunzione non le piaceva, partire credendo di sapere era sbagliato. Il silenzio permeava la stanza, la tensione si sarebbe potuta scindere muovendo un passo. Li avvolgeva stretti come il budello di maiale che fasciava il salame. Guardava fuori, lui. La donna prese la parole per prima – Stanno arrivando, non manca molto. Le voci corrono, Adrian. Te la porteranno via, io ed Helga abbiamo fatto il possibile dodici anni fa, lo farei di nuovo se mi dicessi se il motivo per il quale stanno per piombare è vero o meno. Sai che non la denuncerò, fidati di me. – L’uomo assentì – Lo fa spesso quando non riesce a controllare la rabbia o la paura. Il terrore di essere scoperta aveva limitato questi avvenimenti, ma Amanda deve essere stata troppo per lei – la donna aveva annuito, comprensiva – Cosa fa esattamente? – Lui la guardò esasperato – Continuava a farsi ricrescere i capelli, rompeva vetri, il brutto tempo peggiorava con tuoni e lampi insoliti, quando ha paura di essere scoperta riesce a rimettere tutto a posto. E’ incredibile e non credo sia cattiva – la difese il padre – Sono d’accordo con te, Adrian, ma altri non lo saranno. Ti fornirò una copertura appena arriveranno, poi, però, mi servirà la tua fiducia. Io e la donna che era con me dodici anni fa e due uomini molto in gamba abbiamo costruito una scuola per persone con queste capacità. Adrian, maghi e streghe esistono veramente, in tutto il mondo dietro chiunque potrebbe celarsi un mago e nessuno lo saprebbe mai. Non parlo di trucchi di prestigio, parlo di fenomeni al di fuori della vostra normalità che per noi sono comuni. Non siamo malvagi o adoratori di Satana perché non crediamo in lui, né in chissà quale divinità. Siamo persone con una dote particolare, nulla di più e nulla di meno. Tua figlia è una strega, ma non servirà mai la stella del mattino o il portatore di luce o Lucifero, come chiamate voi il male. Devi permettermi di insegnarle a controllarsi, vivrà meglio dopo e la potrai rivedere ogni estate. – Disse sommessamente, l’uomo la guardò di traverso – Una strega. Sei stata tu farla diventare così? Dimmelo! Quando l’hai salvata l’hai fatta diventare una di voi? Ammettilo, strega! – La donna non si spazientì – No, Adrian, non possiamo diffondere la magia, possiamo solo accorgerci dei segni del suo passaggio. Quando tua figlia è nata non sapevo sarebbe stata una strega, Grace non lo era e nemmeno tu lo sei. Non è mai successo, capisci? Mai una strega si era rivelata da una famiglia totalmente non magica. Esistono maghi figli di un mago e un babbano e sono mal visti da chi ha idee più tradizionali. Pensano che i babbani vogliano rubare loro la magia, non capiscono che hanno paura e orrore di fronte a qualcosa che non fa parte della loro natura e della loro cultura. – L’uomo sospirò – Hai fatto una magia per salvare Gil? – La donna sorrise, colpevole – Sì, è bastato un “innerva” e le cose si sono sistemate, non era ancora morta anche se le mancava poco. Però, Adrian, ti giuro che ho fatto tutto il possibile perché sopravvivesse anche Grace. – Lui annuì, serio – Lo so. – Lei parve sollevata – Credo che ora dovremmo fare entrare la bambina e vedere cosa ha fatto ai capelli – lui si lasciò sfuggire un sorriso triste – Gillister – la chiamò l’uomo – puoi aprire la porta, ora. – Disse sapendo che la figlia aveva l’orecchio addossato al legno scuro. Dopo un paio di minuti entrò. I capelli erano ricresciuti fino ai fianchi, erano naturalmente mossi e dello stesso rosso aranciato della madre e gli occhi verdi guizzavano tra i due che la fissavano come se fosse stata la risposta ad una domanda particolarmente difficile – Sì, padre? – Lui sorrise, pensava che stesse per punirla. Lo capiva dall’ombra di paura che poteva scorgere nel verde chiaro dei suoi occhi – Va' di sopra con la signorina, per favore. Lei ti spiegherà tutto e credo che sarà più propensa a dirti come si chiama di quanto mai lo sia stata con me – suggerì ammiccando. La piccola ebbe la sensazione di non aver ascoltato tutta la conversazione. Mentre aspettavano chiese, innocentemente – Come ti chiami? – Il vociare al piano inferiore la zittì, la donna le fece segno di nascondersi e lei obbedì. Uomini e donne del paese irruppero nella camera. Gil era nascosta dentro l’armadio in quercia. La donna parlò – Salve, sono Morgana, la sorella di Adrian, posso sapere il motivo della vostra visita? – L’impertinenza nella sua voce fece sorridere Gil, quella donna le stava simpatica. Tutti si guardarono spaesati – Che c’è nessuno ricorda perché mio fratello vive qui, da solo. Isolato? Aveva scelto una donna incredibilmente stupida e matta, ma lui ha sempre avuto un gran cuore e non riusciva a rifiutare la sua corte serrata. Pensate, non riusciva nemmeno a cacciarla dopo che lei si era trasferita di propria iniziativa nella sua solitaria dimora. Ora che sono arrivata io e l’ho fatto ragionare lei vuole distruggerlo e voi le credete? – disse camminando su e giù per la stanza guardando negli occhi tutti i presenti come a sfidarli. Tutti parvero smarrirti, ma nessuno sembrava totalmente convinto, qualcuno cominciò a cercare. Gil non era mai stata così spaventata, ma prima che potesse fare qualcosa di strano la donna li richiamò – Sua figlia e sua moglie sono morte e voi venite qui a rivangare il passato. Volete farlo morire di crepacuore, il mio povero fratello?! – Cominciò ad urlare come se fosse disperata e arrabbiata. La bambina voleva imparare a mentire da lei. Di sicuro nessuno l’avrebbe più scoperta quando combinava qualcosa per sbagliato. Tutti i cittadini si ritrassero, qualcuno cominciò – No, non volevamo insinuare nulla, ma dovevamo accertarci… - la donna lo interruppe, livida – Ora lo avete fatto, lasciateci al nostro dolore. – Tutti abbassarono la testa, vergognandosi, e scivolarono via, oltre la soglia e poi fuori di casa, ammansiti. La donna le fece segno di aspettare lì. Dopo dieci minuti, quando tutto sembrava tranquillo, un uomo irruppe nella stanza, doveva essere rimasto oltre la porta chiusa – Ehm… - Cominciò, prendendo tempo e osservando la stanza – volevo porgere le mie… - Parve perdere il filo del discorso, Gil smise di respirare, le pareva di annegare nel terrore di essere scoperta – scuse, per tutto questo trambusto. – La donna annuì e lo congedò, accompagnandolo fino alla porta e guardandosi bene attorno. Non era rimasto più nessuno in casa e Adrian si stava assicurando che gli altri si dirigessero davvero verso la città. Gil tirò un sospiro di sollievo quando la donna tornò nella stanza assicurandole che tutti se ne erano andati e che poteva finalmente uscire dall'armadio. La piccola balzò fuori – Grazie mille per tutto quello che sta facendo per noi. Posso chiederle chi è? – La donna sorrise mentre un brontolio imbarazzava Gil che si trovò costretta ad aggiungere – Sto morendo di fame – la donna sorrise – Ti racconterò tutto più tardi. E’ già ora di cena. – Fuori era calato il buio e un altro giorno stava giungendo al termine, velocemente. L’inizio di settembre era vicino, Gil pensò non avrebbero avuto molto tempo per partire per la scuola. D’improvviso si schiantò contro la consapevolezza che avrebbe dovuto lasciare suo padre. Pensare ai suoi occhi privi di felicità, allo sguardo perso che spesso lo distraeva dalla vita, al volto scavato eppure non meno bello per questo, agli occhi chiari che la osservavano sempre. Guardare quegli occhi era come guardarsi allo specchio, erano i suoi occhi. Sentì una lacrima intrappolarsi nelle ciglia chiare e tentò di essere positiva. L’avrebbe visto ogni estate. Il pensiero di doverlo abbandonare proprio verso settembre la faceva sentire in colpa. Avrebbe sofferto da solo. Probabilmente avrebbe impegnato quei giorni con lavoretti extra per non pensare, la sera si sarebbe limitato a fissare il vuoto fuori dalla finestra della sua camera. Forse avrebbe anche saltato la cena senza di lei che lo obbligava a mangiare almeno un pezzo di torta che lui preparava per il compleanno della figlia. Gil sapeva che erano una famiglia strana, lei e suo padre. Nelle altre famiglie con il loro reddito la madre cucinava e bisognava essere molto ossequiosi e formali con i propri genitori. Lei e suo padre non erano amici, ma erano una famiglia anomala in cui rimproverarsi a vicenda era all’ordine del giorno, in cui si ammetteva che anche gli adulti potessero sbagliare. Era bello quando, la sera del compleanno di Gil, si stendevano sulla terra fredda a guardare le stelle, se c’erano, o a prendere una leggera pioggerellina respirando a pieni polmoni l’aria notturna. Gli occhi al cielo, inconfondibili anche dall’alto. Suo padre lo diceva sempre. Sua madre era così bella che la morte non poteva cancellarla dalla terra e dal cielo e sicuramente la sua anima risiedeva in una di quelle luminose stelle. Gil non ci credeva davvero e nemmeno suo padre, ma quello era solo il loro modo poetico di sentirsi meno soli, meno tristi. In quelle sere, gli alberi frusciavano più del solito come a far intendere la loro partecipazione e i gufi e le civette uscivano dai loro nascondigli, librandosi in alto nel cielo. Era come se il mondo si svegliasse per far loro compagnia. Le sarebbe mancato, immensamente. Era come abbandonare una parte si sé. La donna al suo fianco parve indovinare i suoi pensieri – Non abbandonerai niente, tornerai qui ogni estate e il cielo è sempre lo stesso. Tuo padre non sarà mai solo finché vi vorrete bene. Vivrete ancora sotto lo stesso cielo, le stesse stelle vi faranno compagnia e la medesima luna vi illuminerà la via. Non trovi? – La bambina sorrise appena – Ragionevole – annuì – Non pretendevo nulla di meno – dichiarò la donna, sorridendo. Parte della cena cena si consumò in silenzio. Adrian lanciava sguardi preoccupati alla donna che, invece, sorrideva a suo agio – Partiremo domani. Mancano solo due giorni al primo settembre e Gillister deve comprare i libri per la scuola – l’uomo annuì, poi la guardò – Non abbiamo soldi, lo sai – la donna scrollò le spalle – Lei è con me, nessuno avrà il coraggio di dire nulla. Almeno a Diagon Alley, ma a Hogwarts dovrà cavarsela da sola. Sì troverà bene, sta tranquillo – l’uomo annuì, poco convinto – Hey, potreste smetterla di parlare di me come se non ci fossi? – Protestò Gil, gli altri due la guardarono e si misero a ridere. L’atmosfera sembrava alleggerirsi con l’avanzare della notte. Per quanto emanasse un aria regale, la donna pareva non trattenersi nelle reazioni. Rideva come avrebbe riso Gil. Parlava con calma, ma ogni tanto s’infervorava e cominciava a gesticolare animatamente mentre i lunghi capelli seguivano i suoi movimenti. Non era statica e finta come i nobili di cui suo padre gli parlava spesso. La veste blu metteva in risalto la figura longilinea, la vita stretta era seguita morbidamente dalla stoffa che sembrava molto più comoda di quella ruvida che indossava Gil. La posizione ritta non sembrava costarle la minima fatica e il suo volto era sempre sorridente, pareva che nulla potesse davvero turbarla – Com’è Hogwarts? – chiese Gil, ad un certo punto, curiosa – Oh, lo vedrai Gillister. Ci sono alte torri e grandi giardini, c’è anche una foresta in cui sarebbe meglio non avventurarsi. La scuola vanta lunghissimi corridoi, divertenti quadri animati e delle scale a cui piace cambiare. – Gil ci pensò su – Alle scale piace cambiare? – L’altra annuì – Significa che devi stare bene attenta a dove ti potrebbero portare. Calcola male e finirai per perdere una lezione correndo per tutta l’ala est del castello senza trovare la classe dell’ala ovest – Gil sgranò gli occhi – Oh, magico! – La donna rise – Naturalmente. Il coprifuoco scatta alle dieci e farai bene a non farti trovare fuori dal letto o ti metteranno in punizione e leveranno punti alla tua casa – la bambina la interruppe – Casa? E’ questa casa mia, come fanno a toglierle punti? Che genere di punti? – Gli occhi chiari della donna si adombrarono – Vedi, un tempo tutti gli studenti erano uguali e uniti sotto la bandiera di Hogwarts, ma un giorno uno dei fondatori non accettò che un bambino, nato da un genitore mago e dall’altro babbano, studiasse la magia in quanto di sangue non puramente magico. Nacque un litigio fra i due fondatori maschi e per placare le loro ire si decise di dividere i ragazzi in quattro case. Chi premiava il coraggio e la lealtà, chi l’astuzia e la purezza del sangue, chi la tolleranza e la costanza e chi l’intelligenza e la creatività. Ogni studente ha la divisa personalizzata dai colori della propria casa.  Rosso e Oro per i più intrepidi, Verde e Argento per gli ambiziosi, Giallo e Nero per i pazienti e, infine Blu e Bronzo per i più saggi. Ogni casa ha uno stemma, un po’ come per le casate nobiliari. In ordine un leone, un serpente, un tasso e un corvo – Spiegò pazientemente la donna. Le piaceva la curiosità della bambina, irrefrenabile e innocente – Si decise di cominciare una gara, per spingere gli studenti a dare il massimo. Ogni anno questi devono seguire le regole e studiare costantemente per guadagnare punti per la propria casa che, con un po’ di fortuna, alla fine dell’anno potrà vincere la coppa delle case. I punti vengono tenuti da quattro grandi clessidre contenenti un tipo di pietra differente per ogni casa. Quindi vedrai rubini, smeraldi, topazi e zaffiri. Si può guadagnare punti anche vincendo la coppa del Quidditch*, lo sport più in voga del mondo magico. – Spiegò divertita dallo sguardo meravigliato della bambina – Che cos’è il Quidditch? – Chiese stupita – E’ uno sport, la sua variante più attuale si gioca su scope volanti. Ci sono sette giocatori per ogni squadra. Tre cacciatori che si passano la palla, detta pluffa, e cercano di farla entrare in tre canestri ad altezze diverse presenti nella metà campo avversaria. Questi tre canestri vengono protetti da un portiere. Nel campo girano dei bolidi, due palle più piccole della pluffa ma scatenate magicamente. I battitori devono proteggere i compagni di casa dai bolidi. Poi c’è il cercatore, deve avere una buona vista e poca paura. Il suo compito è prendere il boccino d’oro, una pallina dorata provvista di ali, prima del cercatore della squadra avversaria e porre fine alla partita. Chi prende il boccino guadagna 150 punti. Quindi, nella maggior parte dei casi, porta la squadra alla vittoria. Tutto chiaro? – Gil annuì vigorosamente – Sembra divertente! – Esclamò con gli occhi luccicanti – Almeno quant’è pericoloso. Anche se negli anni i rischi diminuiscono velocemente – rispose la donna – Dovrai anche studiare, mettitelo bene in testa – intervenne il padre – Padre, ma io non so leggere o scrivere bene! – Disse preoccupata la bambina – A questo ci penseremo più tardi. Comincerò ad allenarti questa notte stessa – intervenne la donna – Che cosa dovrò studiare? – chiese, allora, Gil – Ci sono molte materie interessanti. C’è anche qualcuno che insegna Volo. Non sia mai che prendiate in mano una scopa e vi schiantiate al suolo ancora prima di poter dire ‘Boccino d’oro’. Trasfigurazione t’insegnerà a trasformare gli oggetti in esseri animati, cominciando da piccoli animali. La trasfigurazione umana è il massimo livello di conoscenza acquisibile, è molto complessa e quasi pochissimi sono gli Animagi. Non tutti hanno il fegato di sfidare la sorte. Poi c’è Difesa Contro le Arti Oscure, che t’insegnerà a proteggerti dalle maledizioni e dalle creature oscure. Cura delle Creature Magiche che ti farà conoscere animali e esseri di cui non hai mai sentito parlare. Ad Incantesimi apprenderai fatture e incantesimi semplici e complessi. Storia della Magia ti farà conoscere il passato del mio mondo, Erbologia ti istruirà sulle proprietà delle piante e su come trattarle. Quella conoscenza ti sarà molto utile durante Pozioni in cui dovrai mescolare ingredienti con alcune proprietà specifiche per ottenere un intruglio curativo piuttosto che un distillato della morte vivente. Astronomia ti farà conoscere la posizione delle stelle, dei pianeti e delle costellazioni, penso che ti piacerà molto. Vi sono poi Antiche Rune che si occupa delle lingue più antiche, Aritmanzia che ti trasporterà nel magico mondo dei numeri e Babbanologia che studia le caratteristiche del mondo non magico per impedire ai giovani maghi di farsi scoprire e bruciare al rogo. I Babbani sono quelle persone prive di poteri magici. I voti partono dal più basso T che sta per Troll, D, quindi, desolante e S per scadente. A per Accettabile. I più bravi oscillano tra O, Oltre Ogni Previsione, e E cioè Eccellente. Al tuo quinto anno dovrai affrontare i G.U.F.O., Giudizio Unico per Fattuchieri Ordinari e dovrai dare il massimo perché i primi tre voti che ti ho elencato ti porteranno alla bocciatura, gli altri ti salveranno, ma alcuni insegnanti non accettano alunni con meno di O oppure della stessa E. Sceglierai, poi, le materie che vuoi continuare per prepararti al lavoro una volta uscita da Hogwarts. Durante il tuo settimo anno studierai per l’esame finale i M.A.G.O. cioè Magie Avanzate Grado Ottimale e ti pregherei di non prenderli sotto gamba, sono molto più difficili dei G.U.F.O. Uno dei fondatori ha lasciato la scuola pochi anni fa per un diverbio con gli altri, ma la casa da lui fondata non è mai stata sostituita o eliminata. Ci sono ancora alunni che vengono smistati lì. Cominceremo le lezioni di lettura e scrittura con delle storie su Hogwarts, che ne dici? Sai che nella sala da pranzo, la Sala Grande, c’è un incantesimo al soffitto che riflette le condizioni meteorologiche esterne e ci sono candele che galleggiano a mezz’aria per l’accoglienza e durante Halloween facciamo galleggiare delle zucche. Ti piacerà. – Terminò la donna.  Il pasto si concluse poco dopo e le due si ritirarono in camera. La donna estrasse un bastoncino di legno dall’ ampia manica sinistra della veste – C’è una tasca interna in cui metto la bacchetta. E’ un posto sicuro soprattutto per quando viaggio e inoltre è molto comodo. – Detto ciò evocò un letto. Si sedette e fece apparire una boccetta di inchiostro e una piuma d’oca bianchissima – Bene, cominciamo – disse cominciando a mostrarle le diverse lettere e come si scrivevano.

 

A mezzanotte, con grande stupore della donna, la bambina sapeva già elencarle tutte le lettere e riusciva a scriverle correttamente. Quando le disse che era ora di andare a letto la bambina non ne volle sapere. Alle quattro di mattina si era perfezionata e si divertiva a scrivere ciò che la donna le dettava sempre più stupita – Cosa dobbiamo acquistare per la scuola? – chiese ad un certo punto, mentre il sonno le appesantiva le palpebre – Tre completi da lavoro in tinta unita, neri; un capello a punta da giorno, sempre nero; un paio di guanti di pelle di drago o comunque resistenti. La divisa definitiva la otterrai una volta che verrai smistata. Dobbiamo andare da Olivander per la bacchetta, poi ti serviranno un calderone in peltro, misura standard due, un set di provette, un telescopio e una bilancia in ottone. Poi ci sono i libri e se vorrai acquistare qualcosa per te come un animale e qualche altro libro... - Gil la interruppe – Posso avere un animale? Davvero? – L’altra annuì, sorridendo – Puoi scegliere tra un gufo, un gatto o un rospo. Ti avviso che però a Hogwarts c’è già una Guferia gremita e pronta a portare le tue lettere ovunque tu voglia. – La bambina ci pensò su – Allora credo che prenderò un gatto. Un rospo potrebbe finirmi ovunque e rischierei di schiacciarlo, poveraccio. – La donna rise – Non credi sia meglio di andare a letto, ora? Hai imparato moltissimo oggi, non ho mai visto nessuno apprendere così velocemente. – Gil annuì e si mise sotto le coperte.

Forse non sarebbe andato tutto male, sarebbe riuscita a salvarsi la vita, non avrebbe messo nei guai suo padre e sarebbe stata con persone come lei. Avrebbe imparato a controllare i suoi poteri e a fare incantesimi che avrebbero potuto aiutare suo padre. Probabilmente sarebbe riuscita ad andare bene. La donna al suo fianco pareva già addormentata, ma qualcosa suggerì a Gil che stava fingendo. Le stava dando uno spazio per riflettere, le stava dando la possibilità di pensare e piangere senza essere vista. Perché lasciare suo padre sarebbe stata la cosa più dolorosa della sua vita. Un conto era vivere senza una madre mai conosciuta, un altro era abbandonare un padre che l’amava e la capiva. Un conto era conoscere qualche volta qualche persona nuova, un altro era entrare in una scuola con quasi più studenti che pietre. La paura sembrava però essere combattuta dall’aspettativa che, in fondo allo stomaco, risucchiava ogni altro pensiero. Chissà com’era davvero Hogwarts. Chissà come si sarebbe presentata Diagon Alley. Di quella non avevano parlato.

Il mattino sorse in fretta e Gil si svegliò senza ricordare a quale punto delle sue elucubrazioni il sonno l’avesse presa. Si sentiva riposata e sveglia. Sulle guancie, però, si erano seccate le scie di un paio di lacrime che erano sfuggite al suo controllo. Si sfregò gli occhi e tentò di cancellare ogni traccia di pianto. Una volta alzatasi notò che la donna era già scesa a fare colazione. Dalla cucina arrivavano delle voci – Non se ne parla, non puoi coprire tu tutte le spese! – La voce di suo padre esplose in un grido ovattato, non avevano incantato la porta – Adrian, pensaci, per favore. Io non ho problemi di soldi. Nel mio mondo sono famosa, ti prego di ascoltarmi. Non potrò aiutarla una volta a Hogwarts, non potrò assolutamente, per lei sarà davvero molto difficile e voglio che sia preparata al meglio così che non si senta meno degli altri, perché probabilmente diventerà molto più importante e capace di tutte quelle giovani menti messe assieme. Ha imparato a leggere e scrivere in maniera ottimale in una notte. Sii ragionevole, non riuscirebbe a comprare molto con il tuo denaro. – Lui non voleva cedere – Facciamo così, allora. Passeggia nell’orto e dimmi cosa ti può servire o cosa vi servirà per il viaggio. – La donna, rassegnata, annuì – Saresti stato un grande amico di Godric, voi e la vostra testardaggine! – Esclamò. Gil bussò alla porta per annunciare il suo arrivo e i due si voltarono a guardarla – Buongiorno Gillister, pronta a partire? – Disse la donna, la bambina annuì timidamente – Bene, ti lascio alcuni minuti con tuo padre. Vado a fare una passeggiata nell’orto dopo di che la colazione sarà breve e partiremo subito, siamo in ritardo – Gil annuì nuovamente.

Fuori il cielo era clemente. Il sole illuminava il mondo e non si vedeva l’ombra di una nuvola. Tutti sapevano che poteva cambiare improvvisamente. Adrian guardava fuori dalla finestra senza riuscire a guardare sua figlia. Eppure stava per partire, lasciarlo. Per dieci anni c’erano stati solo loro due. Erano sempre stati gli unici l’uno per l’altro. Da quando Grace era morta. Aveva capito che la figlia non voleva altre intrusioni sullo stampo di Amanda. Inoltre lui non aveva nessuna intenzione di dare la possibilità a nessun’altra di entrare nella loro quotidianità, per quanto ristretta, durante i mesi estivi. Aveva paura che si trovasse male, temeva che non fosse felice lì, alla scuola, senza nemmeno un amico. Aveva permesso alla donna di pagare per la sua istruzione proprio per quel motivo, lei era riuscita a centrare il punto e lui non riusciva a pensare ad altro. Il solo pensiero di tutti quei purosangue simili a nobili con la puzza sotto il naso che deridevano sua figlia e le sue origini gli faceva fremere le mani e gli inumidiva gli occhi. Per quanto uomo fosse non riusciva a darsi pace per non aver capito subito la natura della figlia. La bambina interruppe il flusso dei suoi pensieri – Padre, sto per partire, ma non sarà per sempre. Tornerò prima che tu riesca a dire ‘Gillister’. Non essere triste, per favore. Sii felice, finalmente potrò stare con gente come me. Tu resterai per sempre la persona più importante della mia vita. Padre, ora voglio una promessa. Promettimi che mangerai, che ti curerai e che qualora tu fossi malato mi avviserai, così che possa tornare da te. A costo di scappare dalla scuola – gli occhi verdi lo fissavano inquisitori – Prometto – disse lui ben sapendo che una promessa non andava infranta per nessuna ragione. La bambina annuì – Bene – disse. Quando la donna rientrò aveva raccolto solo il minimo indispensabile per non far arrabbiare Adrian. Lui tentò comunque di rifilargli dei soldi che lei rifiutò – Pronta? – Chiese a Gil – S-s-sì – disse lei, balbettando, mentre una lacrima scivolava sulla sua guancia – Sicura? – Ribatté la donna. La bambina la guardò, si voltò un secondo a guardare il padre e, mentre si staccava dalla donna per correre ad abbracciarlo, stabilì che non potevano considerarla una bambina per essersi messa a piangere. Pochi minuti dopo era davvero pronta. Si avvicinò alla donna, le prese la mano e si voltò verso il padre a salutarlo. Nell’aria rimase l’ombra della sua mano e lo svolazzare dei suoi capelli.

L’uomo si inginocchiò sulla soglia per poi sedersi scompostamente. Guardò verso il cielo e sorrise mentre una lacrima solitaria rotolava giù.

 

Gil non avrebbe saputo dire quando i loro piedi toccarono nuovamente il suolo. La nausea le premeva ovunque, pronta ad esplodere. Non vomitò solo perché fu attirata da una scritta “The Leaky Cauldron”*. Non sembrava certo una città magica, quella. La sua teoria fu confermata – Siamo a Londra – le annunciò la donna – in quella babbana, per la precisione. Seguimi e stammi vicina. – Tirò su il cappuccio ed entrò nel locale. Il posto sapeva di legno ammuffito e impregnato di vodka o qualcosa di simile. Ogni tanto si riusciva a distinguere il profumo di una brioche o di un succo d’arancia. Uova e pancetta sfrigolavano ancora nei piatti dei clienti vestiti in modo alquanto bizzarro. Nonostante fosse attirata a quel posto così malconcio eppure così carico di persone, Gil seguì la donna nel retro del locale. Delle scale conducevano al piano superiore, ma la donna si fermò davanti al muro in mattoni. Estrasse la bacchetta e colpì alcune pietre, quasi a caso, ma Gil se le impresse nella memoria. Era certa che fossero fisso accesso allo spettacolo che poco dopo le si presentò davanti. Tantissimi uomini, molte donne e altrettanti bambini vestiti in modo stravagante facevano su e giù per il ciottolato della via magica. Un misto di profumi fruttati la colpì, li vicino doveva esserci una gelateria. Poco lontano, Gil trovò conferma dei suoi sospetti “Gelateria Fortebraccio”* e la donna pagò silenziosamente perché lei scegliesse i gusti che preferiva. Seguirono verso “Il Ghirigoro” dove comprarono tutti i libri che le sarebbero serviti. Una volta da Madama McClan la proprietaria bassa e tarchiatella parve riconoscere la donna, ma un occhiata le bastò a farle sapere che non voleva essere riconosciuta. Prese le misure di una bella bambina dai capelli rossi e dagli occhi verdi come le prime foglie primaverili. Una volta fuori si diressero da Olivander e la donna si abbassò per guardare la bambina negli occhi – Quando entrerai pagherai con questi, Olivander è onesto e ti darà il resto corretto, ma voglio che tu controlli. Ricorda, la bacchetta sarà la tua miglior compagna, ma non pensare di essere tu a sceglierla – la bambina annuì, ma subitò domandò – Come 'quando entrerò'? Lei non viene con me? – La donna sorrise – Non aver paura, torno subito, ora entra, su. Non aver temere. – Poi si alzò e si perse tra la folla.

Gil, raccolse tutto il suo coraggio e spinse la porta che si aprì con un cigolio inquietante. Dentro sembrava non esserci nessuno, ma quando il campanello smise di suonare un uomo dall’aria molto anziana comparve quasi dal nulla – Olivander, c’è una nuova cliente. – una figura più giovane apparve – Padre, è il caso che ti vada a riposare, qui ci penso io. – L’altro annuì e scomparve nuovamente tra la moltitudine di scaffali. Il luogo aveva un aria magica, molto più di qualsiasi altro negozio che Gil avesse visto nella via. Sapeva di vecchio e pergamena. Di inchiostro e legno e di qualcosa di indefinibile e molto familiare che Gil catalogò come vera magia. Si fece avanti e disse – Senta, mi hanno detto che per fare magie devo avere una bacchetta, quindi devo acquistarne una. – l’uomo la guardò, in realtà pareva più un ragazzotto molto alto, ma aveva un aria piuttosto sinistra – Capisco, tu sei? – Chiese stupito, di solito tutti i bambini sapevano che una bacchetta serviva a compiere incantesimi in maniera più controllata – Gillister Grace Beckyard – disse l’altra e il ragazzotto la guardò sorpreso – Mai sentiti nominare, sei una mezza babbana? – Chiese spontaneamente – Nessuno dei miei genitori era un mago o una strega, non ho parenti con poteri. Sono l’unica. – L’altro parve ancora più colpito – Sei la prima e l’unica di cui sento parlare, ma devi esserne piuttosto sicura. In bocca al lupo, ragazza. Ora pensiamo alla tua bacchetta. – Un metro e diversi altri strumenti da lavoro cominciarono a prenderle le misure e a prendere nota di qualcosa che Gil non riuscì a scorgere - Vediamo… - disse camminando lentamente tra gli scaffali ricolmi – Prova con questa. – Disse porgendole una bacchetta dal legno chiaro e lucido, nella base erano intagliate tante piccole rose – Agitala, su. – Gil fece come richiesto e uno scaffale esplose sparpagliando fogli ovunque. L’uomo non demorse e riordinò tutto con un colpo della sua bacchetta. Gil riconsegnò la sua e attese – Questa potrebbe andare bene – disse l’altro, il legno ora era leggermente più scuro e la bacchetta era molto più semplice. Questa, come le quattro successive, distrusse parte del negozio. La settima bacchetta aveva l’impugnatura più stretta delle precedenti e dei disegni alternati da geometrici a rampicanti che richiamavano, secondo l’occhio di Gil, la vite da cui era nata la bacchetta. Una sensazione di calore si espanse nel petto, come un onda che, stanca, arrivava alla battigia, quietamente – Bene, bene. Vite e crine di unicorno, dieci pollici e mezzo. Piuttosto flessibile. Non male, signorina Beckyard. Sono cinque Galeoni e due Falci* - la ragazza pagò e l’uomo le diede il resto per poi sorriderle. Gil si voltò e la donna la guardava dal vetro con un siamese in mano, era particolare, i suoi occhi avevano lo stesso colore della bambina. Lei si voltò per salutare il signor Olivander, ma lui era già sparito.

Uscì e la donna disse – Questa è per te, volevi un gatto, no? Considerala il regalo di compleanno di tuo padre. Come lo vuoi chiamare? – La bambina sorrise – Credo che lo chiamerò Loony, che ne dici? – Il gatto miagolò d’assenso – Le piace – sorrise la strega – Ora dobbiamo smaterializzarci di nuovo, sta per arrivare la sera e dobbiamo essere al lago nero entro le otto o non riuscirai a prendere le barche con i tuoi compagni*. E’ una fortuna che tu ti sia tenuta la divisa, non avrei saputo dove farti cambiare. - Il tempo di afferrarle la mano e il familiare risucchio allo stomaco della materializzazione le fece apparire in un villaggio, un villaggio intero gremito di maghi e streghe che chiacchieravano allegramente. La donna le disse – Vieni con me, le barche partiranno a breve. – Arrivarono ad uno spiazzo pieno di studenti in divisa. Un uomo piuttosto giovane li invitava a seguirli – Quattro per ogni barca, non di più. Non vorrei dover ripescare nessuno – la bambina guardava il castello, in lontananza, con palese stupore. La meraviglia nel suo volto perdurò anche quando chiese – Scusi, come ha detto che si chiama? – Della donna, però, non vi era più traccia. La traversata fu piacevole, per quanto il freddo fosse pungente, Gil ebbe modo di constatare che quel posto sapeva di buono, sapeva di casa.

Una volta dentro l’enorme castello attesero davanti all’ingresso per la Sala Grande. L’uomo cominciò a spiegare ciò che lei sapeva già riguardo le case e la coppa, prestò attenzione solo ai nomi delle case – La vostra casa sarà come una seconda famiglia. Le vostre possibilità sono Gryffindor, Huffepluff, Ravenclaw e Slytherin. Prendono il nome dai rispettivi capocasa, nonché i quattro fondatori. Ovviamente tutti sapete che Salazar se n’è andato, il capo della casa, ora sono io, ma avrete il piacere di conoscermi più avanti. – D’un tratto Gil ebbe paura che non avrebbero trovato un posto per Gillister la babbana di nascita. Quando entrò guardò al tavolo degli insegnanti. La donna era lì, con un abito blu, ma in broccato. L’uomo parlò di nuovo – Salutate i fondatori. Godric Gryffindor. - Un uomo dalla barba incolta e rossiccia si alzò fissandoli con i suoi occhi marrone scuro. Parve soffermarsi di più su di lei, ma poi passò oltre e si sedette. Helga Huffepluff, una donna più bassa di diversi centimetri si alzò e rivolse loro un gran sorriso. Ormai a Gil sembrava ovvio, ma non riuscì a reprimere un sorriso quando l’uomo svelò l’identità della donna che aveva conosciuto due giorni prima – Rowena Ravenclaw. – tutti gli studenti s’inchinarono al cospetto di ogni fondatore e lei tentò, goffamente di fare altrettanto. Sperò con tutto il cuore di non apparire fuori posto.

 

* * *

 

Ecco qui, finito. Wow, che parto ed è solo il primo capitolo. Spero vi piaccia. Scappo, sono in ritardassimo! Lasciate un commento.

Gillister e Adrian Beckyard sono personaggi originali e ne detengo i diritti. Gli altri personaggi sono di proprietà di J. K. Rowling. La seguente storia non è scritta a scopo di lucro ed è scritta per diletto.

* Ho anticipato il Quidditch nonostante abbia una storia diversa, lo volevo.

* Alcuni nomi sono in inglese poiché li preferisco alle traduzioni.

* Uno dei Fortebraccio è stato un Preside di Hogwarts, ma non credo che questo impedisca ai suoi familiari di avere già la gelateria, no?

* Prima dei treni come arrivavano a Hogsmade? Ho inventato.

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