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Autore: Agapanto Blu    01/08/2011    7 recensioni
Questa fan-fic è la storia di due angeli profondamente innamorati, Miriam e Nicola... La loro relazione è ostacolata dal fatto che lui è un Caduto mentre lei è uno degli Angeli più importanti del Paradiso perchè è destinata a succedere a Gabriele come Arcangelo... A cent'anni dalla loro separazione arriverà qualcuno a scombinare le carte in tavola: una ragazza di nome Lucia che potrebbe spazzar via il passato e dare ai due angeli una seconda possibilità...
Autrice: Non sono brava e questa è la prima long-fic che scrivo... Siate clementi e recensite!!! Anche per scrivere critiche, mi raccomando!!! Ne ho bisogno!!!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La saga degli Angeli di Victoria'
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 Allora… Ciao a tutti! Innanzi tutto vi ringrazio per essere qui a leggere… Ho visto che siete un po’ e spero che la storia vi piaccia.
Questo capitolo è dedicato a  Parissa alla quale ho confessato una cosa che non sa nessun’altro… Ti auguro ogni bene! ;D                                                          Lady Catherine

 
 
 
3.
 
Lucia si sedette con calma su uno degli sgabelli messi di fronte al bancone e attese che la cameriera venisse a prendere la sua ordinazione.
Di solito mangiava a casa sua, al sesto piano dell’edificio di fronte, ma quel giorno sarebbe dovuta rientrare a scuola per fare da tutor a Mattew Orlean e non avrebbe potuto fare in tempo.
Era una ragazza normale: Lucia Sciadda, studentessa al liceo classico di Victoria, ragazza e studentessa modello, borsa di studio ogni anno e dieci in condotta, comportamento riservato e poche amiche intime, sempre pronta ad aiutare e ascoltare tutti… il vero problema era che non aiutava né ascoltava mai sé stessa…
Era una ragazza carina: carnagione rosata, capelli corvini che la arrivavano alle spalle e che teneva perennemente legati in un’ alta coda di cavallo, gli occhi avevano un taglio leggermente orientale e il loro colore era verde accanto alla pupilla e scuriva fino a diventare marrone avvicinandosi al bianco, aveva le ciglia corte ma fitte e il naso era piccolino, le labbra erano sottili e rosse. Sempre struccata, una bellezza acqua e sapone.
Stava seduta al bancone della tavola calda “Joe’s” indossando una camicetta azzurro pastello molto chiara e con le maniche lunghe tre quarti del suo braccio e un paio di pantaloni bianchi simil-jeans, ai piedi, invece, portava un paio di ballerine azzurro scuro con una pietrolina di vetro colorato sopra, sul davanti. Il suo zainetto blu scuro e nero stava per terra, appoggiato con delicatezza al bancone.
Stava rimuginando sul perché tutte le tavole calde in circolazione si chiamassero “Da Joe” quando una cameriera sui quarant’anni con i capelli e gli occhi scuri si avvicinò a lei nel suo vestitino verde chiaro con il grembiule bianco e tirò fuori un block notes chiedendo la sua ordinazione.
Lucia lesse il nome sulla targhetta: Betty.
Ordinò un tramezzino e una coca cola e poi si mise ad aspettare guardandosi intorno.
“Ehy! Tutto bene?” fece una voce davanti a lei.
Lucia alzò gli occhi sobbalzando e vide che un uomo, probabilmente il vero Joe, si stava affacciando dalla cucina e la guardava sorridente.
“Sì, sì…” rispose lei arrossendo ma la voce uscì tanto fievole che l’uomo le chiese di ripetere e divenne viola.
L’uomo ridacchiò.
“Sicura? Non è che il tuo ragazzo ieri si è dimenticato di regalarti dei cioccolatini? No, perché se è così avresti il diritto di tirargli dietro una scarpa!” disse.
Lucia rise, sul serio questa volta, e scosse la testa.
“Non ho un ragazzo… Meglio per lui perché, con le doti culinarie che ho, i miei cioccolatini potrebbero uccidere un toro!” rispose.
“Ooooh! Vedi che ce l’hai la voce?!” ribatté Joe.
Lucia spostò lo sguardo sul tramezzino e la bibita che la cameriera le aveva appena portato e si mise a far correre l’indice destro sul bordo alto della Coca cola.
“Già…” disse.
“Se vuoi te li regalo io due cioccolatini…” fece Joe e detto questo alzò la voce con il chiaro intento di farsi sentire dall’interessata, “Betty non li ha accettati!”
Betty sospirò e alzò gli occhi al cielo.
“Due scatole, Joe! Mi hai regalato due scatole di cioccolatini!” rispose quasi ringhiando.
“E allora? È perchè ti amo tanto!” rispose Joe, stizzito.
“SONO A DIETA! CAPRONE!” gli sbottò in faccia Betty prima di voltarsi e tornare a pulire il bancone, a cominciare dal punto più lontano da Joe che potesse trovare.
“Oh-oh!” fece lui guardandola, “Mi sa che ho fatto un danno…”
Lucia si portò una mano davanti alla bocca per non far vedere che stava ridendo.
“Tu fai sempre danni, Joe!” fece una voce alle spalle di Lucia.
Un ragazzo più o meno della sua età stava dietro di lei con in braccio uno scatolone enorme che, però, non sembrava pesargli e guardava Joe con rimprovero.
“Sono tre settimane che ti ripete che è a dieta… E tu pensi di conquistarla regalandole i cioccolatini che adora?” disse ancora il ragazzo.
“Nick, tu non avevi il magazzino da riordinare?” chiese Joe, ostile.
“Sì…”
“E allora fila!” borbottò.
“Sono qui per questo: posso sapere che cosa te ne fai di tutta ‘sta robaccia? Non è che c’è qualcosa che si possa buttare? Per esempio le vecchie uniformi tutte rattoppate e strappate?” chiese Nick speranzoso -dopo aver alzato gli occhi al cielo- mostrando un indumento giallo pieno di rammendi, più chiari o più scuri della stoffa originale, e di buchi.
“Non ti ci azzardare!” rispose Joe per poi sparire in cucina e ricomparire da una porticina accanto a quella del magazzino, “Queste cose” disse afferrando lo scatolone, “sono cimeli!”
E quindi il grande Joe si voltò e, tutto impettito, riportò lo scatolone nel magazzino…
Nick scosse la testa sconsolato.
“Un giorno o l’altro questo locale salterà all’aria perché non ci starà più roba nel magazzino… E non credo che Joe abbia l’assicurazione contro le esplosioni da vestiario!” borbottò.
Lucia rise ancora.
“Sembra veramente simpatico…” disse.
Nick annuì.
“È un mito… Una testa quadrata come ce ne sono poche, però è un mito…”
Joe tornò in quel momento dal magazzino battendo le mani l’una con l’altra e facendo precipitare una cascata di polvere.
“Oh, oh! Ehy, ragazzo! Ne hai di lavoro da fare là dentro… Fossi in te mi metterei la mascherina, hai presente quella dei chirurghi? Ecco, quella!” disse.
Joe se ne tornò in cucina e riemerse dal buco con in mano una piccola scatolina rossa di latta a forma di cuoricino con sopra stampato in nero “Hope is the last who die… But if she die, We still have the Love!”: “La speranza è l’ultima a morire… Ma se muore, noi abbiamo ancora l’Amore!”
La porse a Lucia.
“Auguri!” le disse.
“Cos’è tutta questa storia di cioccolatini?” chiese Nick.
Joe alzò gli occhi al cielo.
“Le persone normali, che stanno con i piedi per terra e che, a volte, prestano a attenzione a ciò che hanno intorno, per esempio al calendario, sanno che ieri era il quattordici Febbraio: San Valentino! Ma che parlo a fare con te?! Sei un caso disperato di lontananza cerebrale!” borbottò.
“Di che?” chiese Nick.
“C’hai la testa tra le nuvole!” gli rispose Joe.
Lucia rise piano senza capire i sottintesi di quel dialogo, era la prima volta che si trovava così a suo agio con degli estranei, e abbassò lo sguardo: l’occhio le cadde sull’orologio.
“Santo Cielo!” esclamò alzandosi di scatto, “sono in ritardo!”
Afferrò in fretta e furia lo zaino e la sua giacca nera da cavallerizza appoggiata ad esso per mettersela sul braccio.
Afferrò il portafoglio alla ricerca disperata dei soldi giusti per non dover perdere altro tempo con il resto ma Joe la fermò.
“Offre la casa” le disse.
Lucia gli regalò un sorrisone intriso di dolcezza e poi si voltò per scappare.
“Ehy! Ragazza! E il tramezzino non lo tocchi?” le gridò Joe accennando al pranzo intatto.
Lucia tornò indietro di corsa e prese il tramezzino per un angolo con la bocca e poi corse via salutandoli con un gesto della mano.
Joe e Nick la osservarono attraversare la strada di corsa rischiando di essere investita e poi si guardarono.
“Sono caduto il giorno di San Valentino?” chiese il secondo.
Joe annuì.
“Ma questa è cattiveria!” borbottò il ragazzo tornando nel magazzino.
Una volta dentro si guardò intorno con calma, la sensazione che Joe mentisse sempre addosso. Chiuse gli occhi e si concentrò.
Sulla schiena riprese a pulsare il dolore ma ormai sapeva ignorarlo per concentrarsi solo sulla scarica che, come una scossa, lo percorse da un punto preciso tra le scapole fino alla testa.
La scarica era un segnale d’allarme che tutti gli angeli avevano e partiva dritta, dritta dalle ali, era una cosa che mantenevano anche i caduti.
Altri angeli! capì.
Percorse di nuovo la stanza con lo sguardo alla ricerca di qualcosa che lo aiutasse a far luce e i suoi occhi intercettarono il movimento meccanico della telecamera di sorveglianza a circuito chiuso.
Sorrise.
Afferrò un paio di cianfrusaglie e uscì con espressione disinvolta.
“Joe, posso buttare almeno questa roba?” disse sporgendosi dal quadrato della cucina.
“Cosa?! No, no, no, no, no! Ragazzo! Oggi hai il cervello in pappa! Ho detto che questa roba: Non. Si. Tocca!” rispose quello scattando di nuovo fuori dalla cucina per riprendersi il suo ciarpame e riportarlo in magazzino.
Come Joe si girò, Nick scattò verso l’ufficio che stava dalla parte opposta del locale, entrò e si chiuse a chiave dentro, nel caso Joe ci avesse messo meno del previsto.
Si girò, il televisore era dietro la scrivania.
 
Corse con quanto fiato avesse in corpo. Una ragazza sola che si auto-mantiene e che sta a scuola soltanto grazie alla borsa di studio non può permettersi di arrivare tardi! Tanto meno se deve fare da tutor a qualcuno!
Santo cielo! Santo cielo! Santo cielo!si ripeteva mentalmente mentre attraversava a rotta di collo l’incrocio davanti alla scuola attirandosi un paio di clacson e rischiando di finire sotto una delle auto.
Aveva ingollato il tramezzino in tre morsi mentre correva e ora lo stava sentendo tornare su.
Raggiunse l’edificio che era senza fiato e salì le scale di corsa maledicendo il fatto che le aule per le ripetizioni fossero quelle al terzo piano.
Arrivò davanti alla classe, prese fiato ed entrò.
“Scusami per il ritardo ma…” si interruppe a metà per sgranare gli occhi e guadarsi intorno.
La stanza era vuota.
“Scusa, scusa, scusa! Una pazza si è quasi buttata sotto la macchina di mio padre mentre venivamo qui!” fece una voce alle sue spalle.
Un ragazzo vestito di almeno dieci colori diversi stava sulla porta e si reggeva allo stipite senza guardarla.
Quando alzò lo sguardo e la riconobbe divenne paonazzo.
“Scusa, ecco… io… non potevo immaginare che… sì, insomma… che tu fossi…” tentò di dire e Lucia, presa dalla pietà, lo tolse dall’imbarazzo.
“La pazza?” chiese sorridendogli, “Scusa, ero convinta di essere in ritardo e non volevo farti aspettare…”
“Ah, beh… Sentiti pure in diritto di arrivare tardi tutte le volte che c’è in ballo la tua sopravvivenza…” replicò lui rispondendo al sorriso.
Lucia andò a sedersi ad uno dei banchi e fece segno a Mattew di andarle accanto. Lui non se lo fece ripetere due volte.
Lucia sorrise. Quella scatolina aveva cambiato la sua giornata.
 
Nick guardò la videocassetta che teneva tra le dita. Dopo tante ricerche l’aveva trovata, ma ora aveva paura a guardarla.
Joe era un grande amico, che diritto aveva di dubitare di lui? Però c’era quella sensazione…
Se Joe fosse stato nei guai con dei caduti gliel’avrebbe detto, era già successo…
Nick cercò di appoggiare la cassetta ma un’idea lo fermò: se fosse stato nei guai con i Vendicatori non gli avrebbe detto nulla perché con loro non c’era scampo…
Nessun caduto poteva pensare di sfuggirgli, erano angeli a tutti gli effetti e sopravvivergli era impossibile, se erano decisi ad eliminarti…
Joe avrebbe fatto di tutto per tenerlo fuori da una questione con loro…
Nick infilò la cassetta nel videoregistratore sapendo già che cosa ci avrebbe trovato dentro…
All’inizio non si vedeva nulla poi Joe entrava accendendo la luce.
Sul lato opposto del magazzino c’era una figura incappucciata appoggiata al muro. Un istante di silenzio poi la figura si era staccata dalla parete e aveva spiegato un paio d’ali grigio scuro, le ali degli angeli vendicatori. Joe era indietreggiato ma due luci nere erano brillate accanto alla figura: due stelle di oscurità che avevano preso la forma di altrettanti angeli come il primo.
Non avevano detto niente, nessuna delle due parti, ma i due appena arrivati si erano lanciati su Joe in una colluttazione violenta.
Il terzo si era girato verso la telecamera per poi raggiungere l’interruttore e spegnere la luce impedendo a Nick di vedere.
Il ragazzo fece andare avanti il nastro fino a quando lui stesso non era entrato e aveva trovato Joe: mezz’ora dopo.
In mezzora potevano aver cercato, trovato e portato via qualsiasi cosa…
Ma c’era ancora una cosa che non quadrava: perché non avevano tolto di mezzo Joe?
Era un testimone e un caduto e, di certo, non aveva collaborato, quindi perché non sbarazzarsi di lui?
Nick tolse la cassetta e corse fuori dall’ufficio diretto alla cucina.
Joe stava cucinando un paio di uova strapazzate e sorrise quando lo vide arrivare.
“Ehy, ragazzo! Si può sapere che fine avevi fatto? Ho pensato che fossi andato in bagno ma se è così: fatti vedere da un dottore!” disse sorridendo.
Nick non ricambiò e lo fissò torvo lanciando la cassetta sul tavolo accanto ai fornelli.
Joe sembrò prima stupito, poi arrabbiato, poi rassegnato.
“Perché non mi hai detto che i Vendicatori sono stati qui?!” chiese Nick con rabbia.
Joe non rispose e tornò alle sue uova.
Nick corse fuori dalla cucina, afferrò la sua giacca e uscì dal locale sbattendo la porta, furioso.
 
“Wow! Altro che Hudson! Insegnassi tu ci sarebbero molti meno cinque!” disse Mattew dopo la prima mezz’ora di lezione.
Lucia arrossì lievemente ma il ragazzo aveva fatto abbastanza battute e complimenti in quel tempo che ormai si era abituata.
“Sei molto gentile…” rispose.
“E tu molto brava… Oltre che carina…” disse Mattew e a Lucia parve di vederlo arrossire un attimo prima che riprendesse il solito sorrisetto ma forse se l’era solo immaginato.
“Di nuovo grazie… Oltre a fisica di che cosa devo aiutarti?” chiese.
“Latino…” rispose Mattew con una smorfia, “Io non capisco: è una lingua morta! Non serve a nessuno!”
Lucia sorrise.
“Non è morta, credimi… Vive oggi come secoli fa” disse, “così come il greco antico…”
Mattew sgranò gli occhi.
“Classicista?” le chiese.
Classicista era il termine che, nella scuola, significava alunno del classico; mentre l’alunno dello scientifico era lo Scientifista.
Lucia annuì sperando di non trovarsi davanti un “radicale scolastico”.
“Oh…” fece lui.
Lei sospirò, i pregiudizi delle due “razze” erano pari a quelle tra Capuleti e Montecchi: c’erano addirittura alunni che non parlavano con quelli dell’altra “sponda”, una cosa allucinante.
Mattew, evidentemente, era uno di quelli più convinti perché la sua reazione fu di palese sconvolgimento.
La lezione riprese molto più formale e rigida, Mattew pareva studiarla come fosse un alieno e Lucia tornò a sentirsi in imbarazzo.
Quando la lezione finì, fuggì via con ancora il libro di latino tra le braccia. Si mise lo zaino in spalla e corse stringendo l’amato volume al petto come uno scudo dalla cattiveria della gente.
Una sola lacrima solitaria le scese sul volto: era una ragazza fragile.
Corse sempre più sfruttando al massimo i polmoni e le gambe.
  
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