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Autore: Lady Yoritomo    05/08/2011    2 recensioni
Può l'odio per il proprio nemico mortale tramutarsi in amore? E può succedere dopo che si sacrifica la propria vita per ucciderlo? Jill Valentine non credeva possibile tutto questo, nel momento in cui si è buttata dalla finestra di Villa Spencer trascinando con sé Albert Wesker... ma lentamente, nel periodo trascorso alla mercé del suo aguzzino, si renderà conto che si sbagliava. E da quel momento in poi, il carceriere diventerà liberatore e quelli che aveva creduto suoi amici saranno i suoi nemici.
Ovviamente JillxWesker. OOC dopo un certo punto.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albert Wesker, Jill Valentine
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11
“Loose feelings” - Jill
 
Il mio stomaco sembra essersi improvvisamente risvegliato e pare di pessimo umore. Ulula come un lupo disperato mentre ti aspetto, rannicchiata in mezzo al piumone. Mi stringo le gambe contro al petto e mi domando dove tu sia finito. Ti sei dimenticato di me? Hai trovato un’incongruenza nelle tue trame e ora ti sei rinchiuso in un laboratorio a cercare di correggerla, mettendo in secondo piano il tuo ostaggio? Da te potrei aspettarmelo. Da questo nuovo te con gli occhi inumani, che gira tutto il giorno vestito di nero, che non si toglie mai i guanti, che potrebbe uccidermi solo stringendo le dita attorno al mio collo… ma che non l’ha ancora fatto, nonostante io per prima abbia cercato di ucciderlo. Non capisco cosa ti passi per la testa, Wesker. Non riesco  ad interpretare le tue poche espressioni come una volta, né a comprendere perché sembri così determinato a prenderti cura di me. Avrai senz’altro un piano per la testa, non credo tu ti stia occupando di me solo per compassione umana. Un dio come te non prova compassione, non è vero? Forse è per questo che mi stai lasciando qui, sola, preda della fame, per un periodo che mi sembra di alcune ore.
Quando finalmente ritorni, il pomeriggio è trascorso e il buio della sera serpeggia oltre la finestra a coprire le ultime propaggini del tramonto. Ti rivolgo un’occhiata seccata, mentre il mio stomaco esprime il suo disappunto.
«Era ora.» sbotto, mentre ti vai a sedere al pianoforte.
«Scusami.» mi rispondi. Non è esattamente quello che mi aspettavo che mi avresti detto, ma riesco ad intravedere, oltre la maschera impassibile della tua espressione, che sei provato da qualcosa. Fermo per un momento i miei propositi di protestare e aspetto che tu mi spieghi che diavolo ti è successo. «Sono stato trattenuto. Da una collaboratrice… piuttosto insistente.» In effetti non è granché come scusa…
«Beh, non puoi ammazzarla, come hai fatto con tutti gli altri?» ti chiedo, sarcastica. Non so nemmeno cosa voglio fare, parlandoti così, ma di sicuro non riesco a ferirti, anzi.
«Lo farò a tempo debito, quando avrà esaurito il suo scopo.» mi rispondi, mentre un sogghigno ti attraversa le labbra, restituendoti quell’espressione che odio e che mi ricorda, ancora una volta, che nonostante tutto sei più un mostro che un essere umano.
Dentro di me i ricordi stridono con violenza, sovrapponendosi al presente. Sogghignavi così anche in passato, quando mi dicevi che Chris, ai tempi ancora novellino, ti era insopportabile e che avresti tanto voluto sbarazzartene. Scherzavi, allora, o già avevi in mente di diventare quel che sei adesso? Quando dicevi così io ridevo, perché credevo che non dicessi sul serio, ora non mi viene neanche voglia di sorridere, so che lo farai.
«La mia cena?» domando. Doveva essere un pranzo, ma visto l’orario, dovrò cambiarle nome. Ti alzi e mi porgi un vassoio. Sopra c’è una scodella piena di qualcosa che sembra minestra calda, una fetta di pane bianco, una di formaggio ed alcuni quadretti di cioccolato. La minestra profuma di buono e tutto mi sembra dannatamente invitante, il mio stomaco mi supplica di mangiare, ragione per cui mi butto sul cibo come un naufrago, dimenticando le buone maniere.
«Mangia con calma, nessuno ti porterà via nulla.» mi dici, divertito, ma io non ti ascolto. Ho troppa fame, e tutto è troppo buono per non finirlo in pochi minuti. Smaltisco la minestra in qualche cucchiaiata, pane e formaggio spariscono subito dopo, solo il cioccolato riceve un trattamento di favore, ma solo perché ho sempre avuto un debole per il cacao e mi piace gustarmelo.
Terminata la cena, mi volto nuovamente verso di te. Sembra che stare qui a guardarmi ti rilassi, non so perché. Probabilmente questa tua collaboratrice deve darti del filo da torcere come neanche i tuoi peggiori nemici, se vieni a rifugiarti nella mia stanza pur di sfuggirle. Non sono particolarmente ansiosa di conoscerla, se anche tu non sembri sopportarla. Mi guardi in silenzio, poi, dopo alcuni minuti, ti alzi e ti vieni a sedere vicino a me.
«Fatti controllare la schiena.» mi ordini. Io ti volto le spalle e sollevo la maglia, aspettando lo stesso trattamento di ieri.
Eppure non è la pelle dei tuoi guanti quella che sento sulla mia, è troppo calda rispetto a ieri… E il tocco è troppo delicato per essere veramente quello delle tue mani: mi verrebbe da pensare che non si tratti di te, ma nella stanza ci siamo solo tu ed io… e le tue mani non sembrano più quelle di un aguzzino, ma corrono sulla mia schiena con delicatezza, senza ferirmi.
«Ti stai riprendendo alla svelta.» osservi, con una nota soddisfatta nella voce, mentre continui a controllare fasciature e cerotti. Non so cosa risponderti, probabilmente non c’è nulla che io possa dirti, sei troppo preso dal constatare la salute del tuo ostaggio per preoccuparti dei suoi sentimenti…
O forse no?
Sulla scapola destra, lì dove hai appena levato l’ennesimo cerotto, percepisco il tocco lieve di quelle che non sono le tue mani, bensì le tue labbra. Il cuore mi sembra esplodere, mentre sento che le posi di nuovo sulla mia pelle, dolcemente. Non sono gelide come mi immaginavo… hanno conservato lo stesso identico calore che avevano in passato… e tu sembri ricordarti benissimo i gesti che facevi allora, perché li ripeti con precisione incredibile.
Le tempie mi pulsano furiosamente, tutto il mio corpo sembra scosso dai battiti del mio cuore. Dovrei allontanarti, eppure non ci riesco. È un contatto che avevo dimenticato da troppo tempo, ritrovarlo ora, così improvvisamente, è insieme uno shock ed una sensazione meravigliosa. Per quanti anni, dopo il tuo tradimento, ho bramato ancora questo contatto, nonostante mi fossi imposta di odiarti? Pian piano sono riuscita a dimenticarlo, a seppellirlo sotto strati di odio, ma non l’ho cancellato. Il desiderio di risentire le tue labbra sulla mia pelle era ancora lì, in attesa di poter tornare alla luce al momento giusto.
Le tue mani mi accarezzano le braccia, mentre ti siedi più comodamente alle mie spalle, continuando a baciarmi. Sì, non hai i guanti. È la tua pelle, quella che sento sulla mia, il tuo calore, un ultimo vestigio della tua umanità perduta.
E, mentre rimango immobile, seduta sul letto, con la mente ad anni di distanza, rivedo mille altri ricordi che credevo di aver relegato fuori dalla mia memoria. È bastato il tuo tocco per liberarli dalla fragile gabbia in cui li avevo rinchiusi.
Ti accarezzo una mano, timidamente, mentre sento le tue labbra ed il tuo respiro sul collo.
  
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