3.
Minho
tornò a
casa, sfinito da quella giornata che sembrava non finire mai. Appena
entrato si
levò le scarpe, che sistemò accuratamente vicino
alla porta. Si levò la
cravatta, buttandola sul divano lì vicino e si
sbottonò la camicia. Finalmente
poteva respirare. Decise di farsi una doccia, giusto per rilassarsi un
po’
prima di prepararsi cena. Si diresse verso il bagno, seminando vestiti
per il
corridoio: li avrebbe raccolti poi. Aprì l’acqua
calda, si sfilò i boxer ed
entrò nella doccia. L’acqua calda che gli scorreva
su tutto il corpo lo rilassò
a tal punto che passò quaranta minuti col getto
d’acqua addosso, senza lavarsi
né niente. Dopo un’ora buona, passata a meditare
su come rovinare la vita al
nuovo arrivato, uscì, legandosi l’asciugamano sui
fianchi.
Sì,
Choi Minho
era un vanesio di prim’ordine. Amava guardarsi allo specchio,
quel corpo
scolpito da dure ore di palestra e diete ferree. Ringraziò
il buon Dio di
avergli donato così tanta bellezza. Fece un po’ di
smorfie davanti allo
specchio, ogni tanto anche lui si concedeva qualche minuto da cretino.
Si
ricompose, pensando all’immagine che doveva mantenere. Si
asciugò il viso, un
po’ di deodorante ed uscì dal bagno, dirigendosi
verso la propria camera. Aprì
il proprio cassetto del comò, prese un paio di mutande –
rigorosamente nere – e le
indossò. Optò solo per un paio di pantaloni:
aveva troppo caldo per mettersi
anche la maglia del pigiama.
Cucinò
qualcosa
di veloce, mangiando davanti al pc perché – come
diceva sempre a Jinki – un
vero uomo d’affari non lascia mai indietro i proprio doveri.
Anche stavolta era
rimasto indietro in ufficio, troppe scartoffie e troppi momenti di
riflessione
presi per decidere come torturare il nuovo arrivato, e quindi aveva
dovuto
portare con sé il lavoro a casa.
Si
stiracchiò,
stanco e guardò l’orologio: mezzanotte e mezza. Si
guardò intorno, ammirando il
perfetto ordine maniacale del suo appartamento. Decise di andare a
letto: era
veramente troppo stanco e non riusciva nemmeno a tenere gli occhi
aperti. Si sarebbe
alzato prima la mattina, ma in quel momento aveva proprio bisogno di
riposo.
Spense il computer, facendo attenzione a salvare tutti i file, e
andò in camera
sua. Aprì un po’ la finestra, per far circolare
aria durante la notte, si
infilò nel letto e dopo essersi sistemato per bene si
addormentò.
-
“Risponde la segreteria telefonica di Choi
Minho, si prega di lasciare un messaggio dopo il segnare acustico.”
Il
“biiip” fu
così forte che Minho scattò a sedere,
svegliandosi di soprassalto. Guardò l’ora
sull’orologio: le tre e quarantacinque. Si
stropicciò gli occhi, e nel buio
della sua stanza cercò di afferrare il telefono.
Mugugnò un “’ronto?”
aspettando che qualcuno dicesse
qualcosa dall’altra parte della cornetta.
“Minho!
Sei
ancora sveglio?!” disse una vocetta allegra.
“Jinki.”
Disse
secco l’altro. “Vai a fare in cul-“
“Momento,
aspetta, fermo! So benissimo che ore sono ma…
emergenza!”
Minho
si passò la
mano sui capelli, scompigliandoli leggermente.
“Cosa?”
chiese.
“Ecco,
uhm, devo
chiederti un favore. Un grande favore. Immenso, enorme.”
“Dimmi.”
“Dunque,
hai
presente la mia ex cognata? Quella quarantenne discreta, capelli corti
uhm-“
“Conciso
Jinki,
conciso, sono le quattro del mattino qua.”
“Beh,
per farla
molto breve: la signora ha un figlio e lo ha affidato al
sottoscritto.”
“…
E io cosa
centro?”
“Bene,
la signora
parte dopo domani, ma come sai io non sarò a casa prima del
fine settimana e
quindi, uhm, ecco, insomma… -“ Jinki si
bloccò, perché aveva appena sentito un
tonfo provenire dall’altra parte del telefono: qualcosa o
qualcuno era appena
caduto in terra. “Minho?” chiese incerto.
“C-ci
sono. “
“Ecco,
mi
chiedevo se potevi ospitare il figlio finchè non
torno.”
“Mi
rifiuto.”
“Hai
fatto cadere
il telefono in terra, sperando che non ti chiedessi niente?”
“N-no
scemo! Sono
solo caduto mentre cercavo l’interruttore della luce. E
comunque mi rifiuto.”
“Ti
prego Minho,
ti prego, ti prego, ti prego. Ha quasi diciotto anni, è
indipendente, mica ti
sto chiedendo di guardare un neonato! Fallo per me… In nome della nostra amicizia.”
Minho
riusciva
perfettamente ad immaginarselo Jinki, con gli occhi grandi grandi che
gli
chiedeva in ginocchio di fargli un favore. E lui, a quegli occhi, a
quello
sguardo, non poteva proprio resistere. Sospirò, passandosi
la mano sinistra sul
viso.
“E…
va bene. Ma
quando torni quello muove il culo a casa tua, sia chiaro.”
“Certo,
certo, da
te deve solo portare lo stretto necessario per questi giorni, il resto
lo
faccio portare direttamente da me. Grazie, sei un amico.”
Prima
che potesse
controbattere qualcosa, Jinki tirò giù il
telefono. Minho rimase immobile,
seduto per terra, con la schiena appoggiata al comodino. Un
coinquilino. Un
giovane coinquilino di soli diciotto anni, anzi diciassette.
Chissà com’era.
Chissà come si chiamava, che scuola frequentava e se aveva
la fidanzata. Magari
era più bello di lui. Si mordicchiò le unghie,
ansioso. Non avrebbe più chiuso
occhio, si conosceva troppo bene. Si alzò in piedi e decise
di cambiare
l’ordine dei calzini nel cassetto del comò.
Sì, era decisamente agitato.
-
“Pensi
che domani
andrà bene?” chiese Jonghyun mentre si infilava la
canottiera.
“Certo,
ovvio che
andrà bene. Ho fiducia in te.” Rispose Kibum,
mentre si infilava nel letto.
Jonghyun gli sorrise, ed entrò anche lui sotto le coperte. Dormivano nello
stesso letto, perché
avevano una sola camera e perché non potevano permettersi un
appartamento più
grande. Non che questo infastidisse Jonghyun, anzi, per lui non
c’era nessun
problema. Peccato che lo stesso non si poteva dire di Kibum, che
passava almeno
venti minuti, ogni sera, a fissarlo mentre si addormentava.
La
realtà era
questa: Kibum era innamorato di Jonghyun. Solo che l’altro
non lo sapeva, e non
lo avrebbe mai saputo. Aveva fatto fioretto Kibum, e aveva deciso di
non
dichiarare i propri sentimenti al fine di non rovinare la loro
amicizia. A lui
bastava vedere Jonghyun tutti i giorni, parlarci, scherzarci e dormirci
insieme, da amici. Niente di più e niente di meno.
“Spengo
la luce!”
disse Jonghyun ridacchiando. “Buonanotte Kibummie.”
“Buonanotte Jjong” rispose l’altro, girandosi su un fianco e cercando, almeno per una volta, di addormentarsi per primo.
- - -
Ooookay, piccolo regalo prima di partire due settimane per la bellissima Sicilia. Non avrò il mio pc con me, quindi mi sarà impossibile aggiornare sia questa fic che l'altra, perdono ;_; Al ritorno dovrò prepararmi bene per gli esami, ma cercherò comunque di scrivere il nuovo capitolo di If I were a Girl. Per il resto, spero che questo nuovo capitolo vi piaccia (: Commenti e critiche sempre ben accette :3
Un bacio a tutte e ci "leggiamo" presto -come sono simpatica- <3333