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Autore: Widelf    07/08/2011    1 recensioni
La storia di Varg, il fedele compagno di Casemir, il Guerriero Scelto di Uriel Septim.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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All’indomani, ci svegliammo di buon mattino. Un fragrante odore di pane riempiva il piccolo ambiente dei dormitori. Io e Casemir ci vestimmo in fretta, poi andammo a rinfrescarci la faccia nel lavatoio del Priorato. Mentre stavamo scendendo le scale per arrivare alla sala principale, incontrammo Fratello Piner tutto indaffarato nel trasporto di vari volumi.  – E’ un lavoro ingrato, ma qualcuno deve pur farlo, no? – disse il frate sbuffando, senza nascondere però un sorriso bonario  - voi scendete pure di sotto. Eronor ha appena sfornato il pane, e Jauffre, assieme al Priore Maborel, vi sta aspettando. –
Arrivati in sala grande, un altro frate ci salutò, presentandosi come Priore Maborel. – Salute forestieri, e che Talos vi protegga! Non abbiamo molte visite ultimamente, ma di certo non ci siamo scordati come si tratta un ospite! Prego, sedetevi e mangiate con noi! – ci disse porgendoci un vassoio con grosse fette di pane bianco sopra.
- Casemir! Varg! Finalmente vi siete svegliati! –
La voce possente e autoritaria di Jauffre risuonò nell’atrio. – Forza, forza, venite con me. Non abbiamo tempo da perdere, ci perderemo le foglie di aloe migliori se aspettiamo ancora! Prendete qualche pezzo di pane e portatevelo dietro! Maborel, scusaci, ma andiamo veramente di fretta… -
Il Priore Maborel non nascose di essere stupito dalla fretta di Jauffre.  – Ma…Jauffre…sono pur sempre ospiti…non puoi trattarli così! – disse con la bocca ancora piena di pane.
- Ti sbagli, Maborel – disse Jauffre prendendo me e Casemir sottobraccio – questi due non sono ospiti del Priorato, ma ospiti miei! E come tali, li porterò dove voglio io e quando voglio io! – continuò a dire mentre rideva.
Evidentemente il Priore Maborel sapeva che Jauffre non era un frate normale, perché un vero Priore non si sarebbe mai lasciato trattare in questo modo da un confratello di rango inferiore.
Jauffre ci portò di nuovo nel suo studio, e aprì un baule contenente delle armi e delle armature. – Non dispongo di molto qui al Priorato – ci disse – dovrete accontentarvi di queste poche cose. Ma prego, scegliete pure quello che preferite. Avete bisogno di tutto il supporto possibile. –
Casemir prese una pesante armatura di acciaio, che aveva qualche piccola ammaccatura sul dorso (“regalino di un Dreugh terrestre” disse Jauffre pensoso) e un pesante spadone lungo. Si rimirava poi compiaciuto allo specchio, libero finalmente di quegli stracci lerci che si portava dietro dalla prigione. – Mi sembra di essere tornato ai tempi della Legione – fu il suo commento pensoso.
Per me, presi una bellissima veste di cotone blu con ricami dorati sulle maniche, e un piccolo pugnale elfico da portare alla cintola. Dopotutto, la mia forza non era tanto nel braccio quanto nella mente, nell’energia pulsante della Magicka, la forza mistica che permetteva di scagliare magie e sortilegi di ogni genere. Ora che ci pensavo, era piuttosto strano che un Nordico come me avesse una predisposizione alla magia e che un Bretone come Casemir fosse invece predisposto al combattimento con le armi. Forse erano davvero lo stelle che avevano voluto farci incontrare.
Quando finimmo di equipaggiarci, Jauffre ci disse: - Ora, ragazzi miei, dovete raggiungere Kvatch il più presto possibile. Nelle stalle troverete due cavalli pezzati già sellati. Prendete questa mappa di Cyrodill, renderà il vostro viaggio più agevole. Eronor vi consegnerà qualche distillato di erbe curative che ho preparato io stesso. Uscite dal retro, Maborel e Piner potrebbero insospettirsi se vi vedessero così bardati. Che i Nove vi proteggano…e che proteggano tutti noi. –
Usciti dalla porta sul retro, arrivammo alle stalle dove Eronor, l’Elfo Oscuro tuttofare del Priorato, ci diede alcune fialette rosa. – Alcune di queste curano il corpo, altre l’anima. Siate prudenti nel vostro viaggio verso l’Altare di Kvatch. – Evidentemente, Jauffre aveva mentito anche a lui sulla natura del nostro viaggio.
Salimmo a cavallo e Casemir notò la mia espressione preoccupata. – Sei teso, Nordico? – mi disse ironicamente.
- Stiamo andando incontro a non so che cosa, ma non mi sembra esattamente una piacevole gita in campagna, caro il mio spaccone – risposi piuttosto piccato.
- Ehi, ehi, non ti arrabbiare! – rispose divertito – io stesso sono teso come una corda di liuto…solo, non darlo così a vedere! – concluse divertito.
Ci lanciammo così al galoppo.
Arrivammo alla collina sopra la quale si ergeva Kvatch nel tardo pomeriggio. Qualcosa non va, pensai. E lo stesso pensò Casemir, che a un tratto aveva perso la voglia di scherzare che lo aveva accompagnato per tutto il viaggio. Ora fissava con volto serio la cima della collina, dove sorgeva la città. Il cielo era coperto da nuvole scurissime. Nulla lasciava presagire una situazione piacevole.
Il Bretone, rabbuiato in volto, si girò verso di me e mi disse che dovevamo sbrigarci. Anche lui, come me, sentiva nell’anima che non era la solita Kvatch, che al nostro arrivo non avremmo trovato le lussuose armature che avevano reso la città famosa in tutta la regione.
Galoppammo per le ripide stradine che si inerpicavano per la collina fino a giungere a un grosso spiazzo dove avemmo la conferma dei nostri oscuri presagi.
Lo spiazzo era pieno di tende. Dentro di esse, decine, centinaia di persone. Gli abitanti di Kvatch.
Davanti ai nostri occhi, uno spettacolo orrendo: famiglie intere buttate nel fango, persone moribonde, mutilate, e tristi processioni che celebravano la scomparsa di molte persone. All’estremo lato, vicino al piccolo bosco, una grande fossa comune raccoglieva l’ingente quantità di cadaveri.
Guardai Casemir in volto e lo vidi bianco come un cencio, inorridito da quel triste teatrino di anime. Immaginai che in quel momento anche la mia faccia dovesse essere simile alla sua.
Sceso da cavallo, Casemir si avvicinò a una giovane Argoniana, chiedendole gentilmente che cosa fosse successo.
Ella si alzò e disse, guardandolo nel volto: - Sono stati i Daedra. Decine di Daedra. Le barriere mistiche tra Cyrodiil e Oblivion sono state infrante. Kvatch è caduta. E’ la fine del mondo che conosciamo. –
La situazione stava precipitando. Casemir, preoccupatissimo, chiese alla donna se conosceva Martin. – Il sacerdote di Akatosh? Certo che lo conosco – rispose l’Argoniana – o meglio, lo conoscevo. Non è qui nell’accampamento. Credo che sia caduto nella notte, quando il Cancello si è aperto. Se si è salvato, deve essersi barricato nella cappella, all’interno della città. –
- Cancello? Ma di cosa stai parlando? Spiegati meglio, per favore – disse un Casemir sempre più in preda al panico.
L’Argoniana rispose: - Il Cancello è un grosso portale dimensionale che collega la dimensione di Cyrodiil con quella di Oblivion. Questi portali, quando sono accesi i Fuochi di Drago, sono di dimensioni modestissime e non creano molti problemi. Ora però che i Fuochi sono spenti, il Cancello è diventato enorme, tanto da consentire il passaggio di un’intera armata Daedra! E’ la fine, la fine! –
Detto questo, l’Argoniana scoppiò in lacrime. Casemir mi guardò e mi disse: - Dobbiamo contattare i superstiti della guarnigione armata di Kvatch. Forse loro sanno che cosa possiamo fare per entrare in città. Non credo che ci negheranno il loro aiuto, se noi daremo loro il nostro. –
Chiese di nuovo all’Argoniana di indicargli il nome del capitano di guarnigione, e quella, tra i singhiozzi, gli fece il nome di Savlian Mattius, dicendogli anche che poteva trovarlo vicino il Cancello, alle porte della città, intento a difedendere disperatamente i superstiti dell’accampamento.
Risalito a cavallo Casemir, ci dirigemmo verso le porte della città, percorrendo per ancora un tratto le ripide stradine. Giunti sul posto, vedemmo una delle cose più terrificanti che un uomo possa aver mai visto. Il Cancello era un’enorme costruzione a forma di runa, e il portale al suo interno sembrava una gigantesca fiamma vivida, come un terribile incendio alto più di dieci metri. Da questo, continuavano ad uscire piccoli mostri simili a Goblin, con la pelle però di colore rosso rubino.
- Quei cosi sono Furfanti. Daedra di infimo livello, ma in gruppo sono davvero fastidiosi. Niente a che vedere con un Dremora, ovviamente. Quelli sì che fanno paura, stranieri. –
Una voce ci apostrofò con queste parole alle nostre spalle, e quando ci voltammo vedemmo un uomo con la spada sguainata in armatura completa. – Venite, presto – ci disse con fermezza.
Ci portò dietro una rozza muraglia difensiva costruita con dei tronchi di legno, e si presentò. – Sono Savlian Mattius, comandante della Guarnigione Imperiale di Kvatch, sergente della Legione Imperiale, Corno d’Argento al valore militare. Chi siete voi, stranieri? Non sembrate affatto dalla parte dei Daedra. Anzi, mi sembrate piuttosto due tipi onesti. Ma cosa ci fate qui? Kvatch è alle sue ultime ore, e con lei tutta la popolazione. Vi consiglierei di andarvene in fretta da qui, e di portare la notizia il più in fretta possibile ai Consiglieri Imperiali, nella Città Imperiale, affinchè possano decidere per il meglio come contrastare l’invasione. Ma se volete restare a morire, non sarò certo io a impedirvelo. Cercate di non essermi d’intralcio. –
Anche noi ci presentammo e Casemir chiese notizie di Martin. Anche da Mattius non avemmo conferme, ma le stesse supposizioni dell’Argoniana. Ci disse poi che l’accesso alla città era bloccato dal Cancello stesso, e che solamente chiudendolo saremmo potuti entrare e verificare le sorti del sacerdote.
- Ho già mandato una pattuglia all’interno del Cancello – disse mestamente Mattius – ma di dieci uomini non ne è tornato nessuno. Se volete cimentarvi nell’impresa, siete liberi di farlo. Non so cosa vi attende lì dentro, ma nessuno è mai tornato vivo dalla dimensione Daedrica. Sappiate però che non posso fornirvi alcun tipo di supporto. I pochi uomini che mi sono rimasti mi servono per proteggere i superstiti che sono nell’accampamento. –
Mi voltai verso Casemir e vidi che fissava con decisione l’enorme Cancello. – Dobbiamo entrare, Varg – mi disse con tono grave.
- Lo immaginavo, Casemir – risposi alla stessa maniera. – Possiamo evitare i Furfanti fuori dal Cancello, se lo desideri. Posso renderci invisibili entrambi. Una volta all’interno del Cancello però, non potrò più mantenere l’incantesimo, o rischio di svenire per la quantità eccessiva di Magicka che dovrò utilizzare – dissi al Bretone.
- Molto bene – mi rispose – fai quello che devi fare - .
Guardai sospirando anche io il Cancello. Pensai che era giunta la mia ora, e che della vita non mi ero goduto veramente niente. Perlomeno avevo la speranza che se Cyrodiil fosse riuscita a vincere la guerra mi avrebbero ricordato tra gli eroi caduti in battaglia. Posai una mano sul mio petto e l’altra sul petto di Casemir, mi concentrai e dissi “tekevät meistä näkymätön”.
I nostri corpi svanirono. Sentii la riserva di Magicka del mio corpo che cominciava a defluire all’esterno di esso. – Dobbiamo correre, Casemir. Quest’incantesimo è parecchio dispendioso – dissi.
E allora cominciammo a correre. I Furfanti, come previsto, non si accorsero di noi. Chiusi gli occhi quando saltammo nel fuoco del portale dimensionale, aspettandomi di finire incenerito. Invece non sentii nulla, solo un gran calore. Quando riaprii gli occhi, dall’altra parte, vidi Casemir (l’incantesimo si era prevedibilmente spezzato) e un vero e proprio inferno. Eravamo in Oblivion.
   
 
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