Nota dell’autrice: sorpresa! Eccovi qui ― sì, è proprio lui
― l’attesissimo ultimo capitolo di “Chi ha detto che mi voglio
sposare?!”. Attesissimo per coloro che non l’avevano già letto sul bellissimo
sito Majestic’s Reveal… sì, sì, lo so. Eeh, quanti di voi furbacchioni
hanno usufruito della scorciatoia? Senza lasciare commenti qui ;_;
Ma non voglio lamentarmi. Sono comunque contenta delle
recensioni che ho ricevuto, e per un numero così esiguo di capitoli poi! Perciò
rimando i ringraziamenti alla fine del capitolo, e vi lascio alla lettura.
Spero che il finale vi diletti come vi ha dilettato il resto della storiella.
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______Chi ha detto
che mi voglio sposare?!
by Melitot Proud Eye aka Mirtle
V
“Meglio mandar giù un solo
boccone amaro”
La mattina seguente, o meglio, a
mattina inoltrata, Gianni entrò in soggiorno per trovarsi davanti una scena
imperdibile. Rimase a metà sbadiglio, la mano alzata.
Sul divano dormivano due figure.
Andrew e Laurie. Andrew, che stava dalla parte dello schienale, e Laurie,
mezza su di lui, trattenuta su dalle sue braccia.
Quello era un Kodak moment.
Silenziosissimo, girò sui tacchi
e corse in punta di piedi fino allo studio, dove, la sera prima, aveva scovato
una macchina fotografica. Mentre scattava a volontà, Olivier gli si affiancò,
zoomando la scena.
‹‹Questa è la prima scena di
tenerezza documentata nella vita di Andrew McGregor, principe scozzese del
sangue, Sir inglese, rampollo della famiglia McGregor e incorreggibile solista››
stava commentando per i futuri spettatori.
‹‹Grande! Non sapevo che avessi
portato la supercompatta!››
‹‹Shht. Parla piano. Non vogliamo
disturbarli.››
Gianni fece una risatina
malvagia.
‹‹Giusto. Almeno non prima di
aver inviato il filmino a una ventina di persone.››
Il francese sogghignò.
Filmarono un altro po’, quindi,
ai primi segni di risveglio, schizzarono via – tenendosi una mano sulla bocca
per non emettere pernacchie.
E con questo, uno di loro era a
posto. Però, che invidia.
A colazione le due vittime
dovettero confrontarsi con strani, sfuggenti sorrisini. Andrew incrociò le
braccia, truce.
‹‹Potete anche smetterla di
trattenervi. Sappiamo benissimo che lo sapete.››
Olivier e Gianni spalancarono gli
occhi. Poi rotolarono a terra dal ridere, mentre Laurie arrossiva. L’inglese
osservò, impotente, mentre Olivier esplodeva in una serie di risatine da iena,
e Gianni rantolava.
‹‹Har har har!››
‹‹Sì, sì, ridete pure. Riderò io
quando la settimana sarà finita.››
Questo tolse loro il sorriso
dalle labbra.
Olivier ricominciò a sbattere le
uova, attività che stava imparando a odiare.
‹‹Si può sapere perché cucini
sempre uova?›› osservò Gianni.
‹‹Perché non c’è nient’altro che
si possa mettere insieme in un composto commestibile.››
‹‹Che mi dici della ricetta? Non
vorrai propinarci altre omelettes?››
‹‹Ora sto preparando delle crêpes
dolci. Se non ti va bene puoi anche rimpinzarti di cioccolato, e diventare un
bombolone.››
L’italiano gli fece una boccaccia
mentre non guardava, strappando uno sghignazzo ad Andrew. Poi infilzò il
coltello nel tagliere.
Il suo sguardo vagava sul
soffitto.
‹‹A proposito della settimana.
Oggi è mercoledì. Il primo giorno. Mercoledì prossimo dovremo avere tutti una
fidanzata.››
‹‹Consenziente›› precisò Laurie,
notando il suo aspetto vagamente disperato.
‹‹Consenziente, certo. Per chi mi
avete preso?!›› Si passò una mano nei capelli, mentre un firmamento di stelle
brillava sulla parete. ‹‹Le ragazze cadono ai piedi dei tipi come me.››
‹‹Per la puzza›› specificò
Olivier.
E la sua piccola vendetta generò
una mezz’ora di schiamazzi. La colazione rischiò più volte di finire in
pattumiera. Alla fine Olivier cosse l’ultima omelette, Laurie la farcì e tutti
migrarono in soggiorno, sedendo sul divano per guardare un programma di musica
folcloristica.
La ragazza improvvisò persino un
balletto, con Gianni in qualità di ridente cavaliere. Andrew se la mangiò con
gli occhi. Laurie ballava per lui, per se stessa, ancora libera dalla prigione
degli sguardi.
Olivier tornò dicendo d’aver
telefonato a Ralf.
‹‹Cosa ha detto?››
‹‹Che ha già mandato la lancia.
Pare che il nostro amico conoscesse qualcosa.››
‹‹Lo sapevo›› commentò Andrew.
‹‹La prossima volta che usa quel tono con me, parto e lo riempio di legnate…
così parlerà. Se avessi immaginato solo la metà di quello che ci aspettava al
colloquio…››
‹‹Tu poi hai da star zitto, caro
mio›› rimbeccò Gianni. ‹‹Visto che sei già a posto.››
‹‹Dannazione, gli devo anche un
favore, a quel bastardo.››
Laurie sorrise.
‹‹E ora? Che facciamo?››
‹‹Scendiamo la montagna.››
‹‹Come?!›› sputacchiò l’italiano.
‹‹Ma se fuori non c’è neanche l’ombra di una guida!››
Olivier alzò le spalle.
‹‹La scendiamo ugualmente.››
Andrew tamburellò con l’indice
sulle labbra. ‹‹Dopo le acrobazie che hai compiuto su quell’aeroplano, non mi
dirai che hai paura d’un sentiero di montagna.››
Il ragazzo mosse i piedi, a
disagio.
‹‹D’accordo. Ma le vertigini non
mi sono passate. Solo perché uno è sopravvissuto una volta a qualcosa, non è
detto che debba ributtarcisi…››
‹‹Come vuoi.››
Mentre loro argomentavano,
Olivier controllò il bel cucù e fece due rapidi calcoli.
‹‹Ragazzi›› chiamò, ‹‹sarà meglio
prepararsi e scendere. Da quel che ho capito la lancia è partita ieri sera e
probabilmente è già nel lago. Se scendiamo di buon passo, ci vorrà almeno
un’ora. Non voglio perdere un minuto di tempo.››
‹‹Corro a prendere le mie cose››
esclamò Laurie, scomparendo al piano inferiore. La casa era la tipica
abitazione alpestre: un fianco appoggiato a quello crescente del pendio e,
quindi, l’entrata al primo piano. Il pianoterra dava sbocco sul prato
antistante, con una porta nascosta dal lungo balcone di legno.
Andrew guardò il punto dov’era
sparita la sua ragazza.
‹‹Figuriamoci. Dovrà mettere
insieme due valigie.››
‹‹Le nostre cose dove sono?››
saltò su Olivier.
‹‹Quali cose?›› rispose Gianni,
sconsolato. ‹‹Abbiamo solo i nostri vestiti, i portafogli e i beyblades.
Sbaglio o siamo arrivati qui scappando in fretta e furia? E’ già tanto se siamo
saliti noi sulla lancia, l’altroieri.››
Sembrava pazzesco. Non era che un
giorno che si trovavano in quel luogo e già dovevano lasciarlo.
‹‹Controlliamo comunque in giro.
Se c’è qualcosa che ci serve, ripagheremo Ralf in seguito›› disse Andrew.
E scesero a loro volta.
Ottantacinque minuti dopo
indugiavano sull’ultima curva prima del lago.
La malga non si vedeva più. Del
resto, all’andata avevano potuto darle un’occhiata solo da vicino. Ralf
sceglieva bene le sue proprietà.
‹‹Che peccato›› sospirò Laurie.
‹‹Ci si stava bene.››
‹‹Già certo, bene per chi ha il
ragazzo.››
Lei sorrise malignamente.
Gianni calciò una pietra,
guardandola rotolare giù per il fianco roccioso della gola.
‹‹Mah, non so. Io sto cominciando ad abituarmi alla vita da
girovago. Potrei anche lasciar perdere tutto e unirmi a un circo.››
Quella sortita fece ridere gli
amici a crepapelle.
‹‹Gianni, quando sei depresso sei
unico›› commentò Olivier.
‹‹Io non sono depresso. Sono solo
realista.››
‹‹Evita i circhi›› sogghignò
Andrew. ‹‹Pochi applausi, poche donne.››
‹‹Sì, e le atlete?››
‹‹Ti ridurrai con una
contorsionista, visto che odi le altez…››
‹‹State giù!›› sibilò
improvvisamente Laurie.
Ognuno si buttò a terra,
appiattendosi contro i sassi. Lei sbirciò oltre. Erano proprio sopra il lago.
‹‹Ma che c’è!›› protestò Gianni
in un sussurro.
‹‹Guardate…››
Le loro teste sorsero
contemporaneamente dal sentiero, cercando il motivo dell’allarme. I loro occhi
scandagliarono febbrilmente la zona; per posarsi sull’acqua.
‹‹E’ la lancia›› fece Andrew.
‹‹Cosa c’è di strano?›› aggiunse
Olivier, interrogando la ragazza con lo sguardo. ‹‹Mi preoccuperei se non ci
fosse.››
Lei scosse la testa, indicando
silenziosamente qualcosa. Poi lo videro. La lancia non stava aspettando loro. Anzi,
era appena entrata nel bacino, e virava per attraccare. Il pastore, quando gli
lanciarono una corda, sobbalzò per lo spavento.
Legò la cima e saltò in sella ad
un montone, galoppando via a tutta birra.
‹‹Sta scendendo qualcuno.››
Erano una… due… tre persone. Più
un’altra che portava degli ombrellini. I loro occhi rischiarono di schizzar
fuori delle orbite.
‹‹Hhn›› aspirò Gianni,
ritraendosi. ‹‹E’ Miss Lardosa!››
‹‹Insieme a Racchia Maggiore e
Piagnucolosa›› concluse Andrew.
Osservarono i loro movimenti.
Sembrava che volessero intraprendere lo stesso percorso compiuto da loro la
mattina precedente.
‹‹Ma che ci saranno venute a fare
qui?››
‹‹Secondo te quale ragione le
spingerebbe a venire qui?›› rimbeccò Olivier. I ragazzi si guardarono.
‹‹Noi›› gemettero.
‹‹Non è nelle regole!›› esclamò
Laurie, ‹‹Avete fatto un patto, loro non dovrebbero trovarsi qua!››
Gianni si stropicciò il mento,
pensieroso.
‹‹Il patto lo abbiamo fatto con
le nostre famiglie. Probabilmente i Mostri non vogliono mollare la presa neanche
per una settimana.››
Olivier rabbrividì.
‹‹Se sperano di convincerci che
loro sono le nostre ragazze ideali…››
‹‹…avranno una brutta sorpresa››
terminò Andrew.
Laurie gli si accovacciò di
fianco, prendendogli la mano.
‹‹Ascoltate. Ci metteranno almeno
tre ore a compiere la salita, soprattutto la palla di lardo. Noi siamo più
leggeri e conosciamo la strada. Venite. Risaliamo.››
Il ragazzo protestò, mentre gli
altri sorridevano.
‹‹Non c’è sbocco una volta
arrivati lassù!››
‹‹C’è›› affermò Gianni,
diabolico.
‹‹C’è?››
‹‹L’abbiamo scoperto ieri,
durante la passeggiata. E’ un po’ impervio ma sicuro, e punta dritto in
Svizzera. La terra delle persone più discrete che ci siano.››
‹‹Fantastico.››
‹‹Che aspettiamo? Gambe in
spalla.››
Si avviarono di buon passo,
lasciando il lago dietro di sé. Nell’immaginare le facce delle sorelle von
Fuchs - che credevano di coglierli di sorpresa - nella malga vuota, scoppiarono
in una fragorosa risata.
Dopotutto, se la cavavano sempre.
E l’avventura continuava.
‹‹E poi? Siete arrivati alla
scorciatoia?›› chiese Max, le gambe incrociate. Il cerchio di ascoltatori si
protese, curioso.
Gianni sospirò, piegato sotto una
coltre di depressione.
‹‹Qualcuno di voi può aprire una
finestra?››
Mao balzò in piedi e spalancò la
grande anta di vetro, lasciando entrare una folata di vento. L’aria portò con
sé i profumi estivi del parco Boringer, lussureggiante sotto la pioggerellina
degli annaffiatoi programmati.
Mancavano poche ore allo scadere
della settimana.
Olivier si girava i pollici, lo
sguardo basso.
Non ce l’avevano fatta.
‹‹Grazie.››
‹‹Allora, quella scorciatoia?››
incalzò Takao.
‹‹Sì, ci stavo arrivando. Siamo
tornati alla malga in tre quarti d’ora, sfiatati. Ma il vantaggio non ci
bastava, e abbiamo subito imboccato la scorciatoia. Si trattava di un vecchio
sentiero ormai in disuso, invaso da frane, sterpaglie, cancellato. Sono state
necessarie molte deviazioni. Ad un certo punto credevamo d’averlo perso.››
‹‹Ma, fortunatamente, Laurie
aveva con sé il suo binocolo›› aggiunse Olivier.
L’altro annuì.
‹‹Immagino che poi abbiate
proseguito attraverso la Confederazione Elvetica›› osservò Il Professor Kappa,
digitando qualcosa sul suo onnipresente portatile.
‹‹Sì. Volevamo andare in Italia.
Per farlo avevamo bisogno di un aeroporto. L’unico abbastanza discreto era
quello di Vaduz.››
‹‹Dunque siete andati a sud.››
‹‹Esattamente. Lì abbiamo preso
un jet e, fatto scalo a Milano, siamo atterrati a Roma. Nutrivamo ancora la
speranza di risolvere la nostra situazione. Dopotutto, Andrew c’era riuscito.››
‹‹Ma non è stato così›› completò
Sabine.
‹‹Certo che no›› rispose suo
fratello, scuotendo il capo. ‹‹Abbiamo dato la caccia a tutto quello che
respirasse, ma non c’è stato verso…››
Il gruppo scoppiò a ridere. Lui e
Gianni scurirono in volto.
‹‹Non c’è alcun bisogno di
ridere. E’ già abbastanza umiliante così com’è.››
Gli altri smisero subito,
cercando di apparire contriti.
‹‹Ma com’è possibile che non
abbiate trovato nessuna?›› saltò su Mao, sistemandosi il fiocco in testa.
‹‹Sposare un uomo ricco e bello è il sogno di qualunque ragazza. Ci si ammazza
su partiti del genere. E mi sembra che voi siate sia belli che ricchi.››
Olivier arrossì al commento,
mentre Rei sfidava Gianni ad avvicinarsi. Andrew, rimasto zitto fino a quel
momento, guardò la ragazza.
‹‹Tu ti sposeresti subito? Ora?››
Lei sbatté le palpebre.
‹‹Certo che no.››
‹‹Neanche con Rei?››
I due eguagliarono il colore
della moquette.
‹‹Certo che no!›› farfugliò Mao.
‹‹Cioè, non ora.››
‹‹Ecco, vedi? Perché una
qualunque altra ragazza dovrebbe volerlo fare? E tu Rei lo conosci da quando
sei nata. A quindici anni si è giovani, pieni di vita. L’ultima cosa che si
pensa è legarsi a qualcuno in un modo così impegnativo. Prendi Max e Sabine: si
vogliono bene, e hanno passato una situazione non dissimile alla nostra.
Eppure, guardali. Stanno insieme, tutto qui.››
‹‹Fortuna sfacciata›› esclamò
Olivier.
‹‹Parli come un uomo di
ottant’anni›› commentò invece Gianni, mentre Sabine sorrideva giuliva e Max si
indicava da solo, rosa.
‹‹D’accordo, d’accordo, ma poi?››
gridò Takao, sovrastando le altre voci. ‹‹Quando siete arrivati a Roma?››
Nella stanza tornò il silenzio,
rotto solo dalla voce di Gianni.
‹‹Beh, come dicevo a loro, abbiamo
contattato le mie conoscenze.›› Sventolò un’agenda; al dividersi delle pagine
si sarebbe intravisto un mondo d’inchiostro, steso fitto fitto.
‹‹Duecentottantasette nomi, escluse le amicizie del circondario.››
I presenti fecero un fischio –
che a Rei costò un pizzicotto. Poi, sotto i loro occhi attoniti, l’italiano
gettò via il libretto.
‹‹Uno più inutile dell’altro.››
Takao lo afferrò al volo.
‹‹Eh eh eh… non importa. Lo
prendo io.››
‹‹Fai davvero un brutto affare.››
Improvvisamente tutti tacquero. Nel
corridoio risuonavano dei passi.
Fissarono in quella direzione,
sospettosi. Si avvicinavano. Erano accompagnati da un suono tintinnante. Erano
davanti alla porta…
E tirarono dritto.
‹‹Fiuu…›› fece il Professor
Kappa, tergendosi la fronte.
Olivier emise una lugubre risata.
‹‹Avanti, non crederete ancora di
essere qui in incognito. Sanno benissimo che stiamo parlando con voi.››
Gli ospiti balzarono in piedi,
allarmati.
Andrew li squadrò con
sufficienza, parlando a denti stretti.
‹‹Sedetevi, signori. Non è il
momento di fare stupidaggini.››
‹‹Ma se stanno ascoltando…››
protestò Rei.
‹‹Non gli interessa sapere che
cosa stiamo dicendo›› proruppe Olivier, dignitoso nella sconfitta. Rimase
perfettamente fermo, seduto sulle gambe, con le mani sulle ginocchia. ‹‹Gli
basta sapere dove siamo. Ormai ci hanno in trappola.››
‹‹Ma non è giusto›› ribatté
Takao, deluso.
‹‹Takao ha ragione›› interloquì
Max, facendosi avanti. ‹‹La settimana non è ancora scaduta. Dovreste poter
uscire e…››
‹‹E fare cosa?›› chiese Gianni,
‹‹fare cosa? Il ricevimento inizierà alle otto in punto. Non troveremmo una
ragazza in tre ore neanche se ci votassimo alla Madonna. Non l’abbiamo trovata
in una settimana!››
Andrew abbassò gli occhi.
‹‹E’ per questo che ci siamo
lasciati prendere, quando ci hanno intercettato ad Ostia. Avrei potuto far da
diversivo, mentre Vier e Gianni scappavano, ma anche loro sapevano che ormai
era inutile.››
Takao strinse i pugni.
‹‹Magari sei tu che non volevi
impegnarti abbastanza! Comodo aver la ragazza, eh?!››
Gianni e Olivier però lo
trafissero con occhi fiammeggianti.
‹‹Non hai alcun diritto di dar la
colpa ad Andrew. Lui è stato semplicemente più fortunato di noi!›› esclamò il
primo, iroso.
Il francese invece incrociò le
braccia, parlando con voce bassa e calma. I Bladebreakers zittirono, inquietati
da quella che, per la prima volta, si rivelava come la sua collera.
‹‹Monsieur Takao, tu sei
una persona molto istintiva, che fa affidamento sull’ispirazione improvvisa per
vincere. Questa è una qualità che, usata male, può diventare il peggior
difetto. Dimmi, hai mai provato a ragionar freddamente su qualcosa?›› il
ragazzo annuì, piccato. ‹‹Bene, e allora converrai con me che non c’è alcuna
ragione al mondo per offendere il nostro amico. Noi abbiamo rifiutato il suo
aiuto. Non poteva imporlo, come invece avresti fatto tu.››
‹‹Ma perché?››
Olivier sospirò. Era più
difficile di quanto avesse pensato.
Sabine, che gli voleva un bene
infinito, gli venne discretamente in aiuto.
‹‹Quello che Vier sta cercando di
dirti, Takao, è che bisogna imparare a capire con rapidità ciò che è meglio e
ciò che è peggio. Scappare sarebbe stata una perdita di tempo. Avrebbero
comunque dovuto prender la via del ritorno.››
‹‹E se non avessero voluto?››
ribatté lui.
Gli altri inarcarono le
sopracciglia.
‹‹Come, se non avessero voluto?››
fece Max.
‹‹Intendi dire che avrebbero
potuto scappare e non farsi più vedere?›› chiese Rei.
‹‹Effettivamente era una
possibilità›› rifletté Mao.
‹‹E vivere così, alla giornata?››
intervenne Gianni, fissando a turno loro e la moquette. ‹‹Lontani dal mondo che
conosciamo, l’unico, in fondo, in cui sappiamo muoverci, per essere ciò che non
siamo? Io non ci riuscirei.››
‹‹Nemmeno io›› disse Olivier,
alzandosi.
Cominciò a marciare per la
stanza.
A quell’ammissione calò un
silenzio denso di significato, in cui ognuno seguì i propri pensieri. Le
pendole di tutta la villa battevano le cinque e mezza, spargendo il loro suono
per la tenuta. Olivier scrutò i pergolati, le aiuole, il sentiero che conduceva
all’immensa distesa dei boschi, il suo regno personale. Varie immagini di sé e
sua sorella, da piccoli, si materializzarono su quell’erba, ipnotizzandolo e
facendolo sentire troppo stanco per la sua età. Sabine aveva sempre preferito
la sicurezza del giardino. Giocavano sempre lì; poi, quando lei si fosse
addormentata sul dondolo, lui avrebbe proseguito per il bosco. Dove aveva
incontrato Unicol.
Senza dubbio, il tempo dei giochi
era finito.
Quando la ragazza intrecciò le
loro dita, lo trovò profondamente amareggiato.
‹‹Non posso vederti così,
fratellino.››
Lui non rispose.
‹‹Io sarò sempre dalla tua parte.
La scelta che farai, io la sosterrò. Non è ancora troppo tardi. Lo vedi? Siamo
tutti qui. Siamo venuti per aiutarvi.››
‹‹Se lo farete, tu perderai la
stima dei nostri genitori. L’abbiamo conquistata faticosamente, ricordi?›› le
sorrise; era tanto dolce e bella. L’unica cosa che lo avesse mantenuto sano in
quella casa di matti. ‹‹Non devi preoccuparti per me.››
Gli altri, che avevano udito
l’ultima frase di Sabine, si avvicinarono.
‹‹Sabine ha detto bene, siamo qui
per aiutarvi›› affermò Rei, con Mao che annuiva vigorosamente.
‹‹Giusto. Gli amici non si
lasciano da soli.››
‹‹Ben detto›› rincarò Takao.
Gianni e Olivier si videro strappato
un sorriso. Andrew si alzò in piedi, ficcando le mani nelle tasche posteriori
dei pantaloni.
‹‹Beh… se sono tutti così decisi…
allora ricomincio a insistere anch’io.››
‹‹Lascia perdere, Andrew›› disse
Olivier.
Lui stette zitto, mentre dagli
altri si levavano sonore proteste.
‹‹Guardate. Ognuno qui ha il
proprio beyblade. Non dovete dire che una parola, e noi vi mettiamo il posto a
ferro e fuoco.››
‹‹No, no.››
Cadde un altro sconcertato
silenzio.
‹‹E’ iniziato come un gioco››
mormorò il padroncino di casa, fissando la lancetta che scivolava verso le sei.
‹‹Ora non lo è più. La vita è come una partita a scacchi. C’è chi vince e c’è
chi perde. Oggi, noi abbiamo perso.››
‹‹Sì, la libertà!››
‹‹Takao, potremmo perdere molto
di più. Al matrimonio c’è rimedio. Al disconoscimento, no.››
Takao strinse i pugni, rabbioso.
Poi le braccia gli ricaddero sui fianchi. Gli altri si fissarono i piedi.
Anche loro avevano perso, quel
giorno.
In Germania pioveva a dirotto.
Ralf Iurgens scrutò le proprie
terre dal vetro semiappannato; al piccolo aeroporto privato c’era agitazione.
Un vigoroso bussare sovrastò i tuoni apocalittici.
Si volse.
‹‹Signorino Ralf›› s’inchinò il
maggiordomo, ‹‹in anticamera c’è il pilota che vi chiede udienza.››
Il giovane sospirò.
‹‹Ditegli che arrivo.››
E, dopo aver sigillato un
biglietto con la sua antiquata cera rossa, si avviò all’anticamera, rigirandolo
fra le dita.
Il pilota si alzò non appena lo
vide. Era un amico di vecchia data, poco più grande di lui. La sua giacca di
pelle nera grondava acqua.
‹‹Ralf.››
‹‹Johann. Un tempaccio, vero?››
‹‹Della malora. Sono davvero
spiacente, ma questa sera, se accetti un consiglio d’amico, non metter piede in
aereo. Il vento e la pioggia sono talmente forti che il volo sarebbe rischiosissimo.
E poi ho appena scoperto un piccolo guasto all’altimetro; un piccolo guasto che
può costare caro, in volo.››
Il tedesco camminò per la stanza,
inquieto.
‹‹Lo temevo. Accetto il tuo
consiglio, Johann. Sai che mi fido di te. Ma c’è una cosa che deve
assolutamente arrivare in Francia, se io non andrò di persona.››
Il pilota sorrise, una nuvola di
lentiggini sul naso prominente.
‹‹Affidala a me. Farò in modo che
arrivi stasera stessa.››
‹‹In moto? Tua madre avrà la mia
testa.››
‹‹Solo fino a Francoforte. Appena
avrò sotto le mani una bella spider, vedrai che espresso so essere.››
Ralf cedette, ringraziandolo con
uno dei suoi rari sorrisi. Gli consegnò un biglietto e il pilota lo chiuse in
una busta di plastica, per evitare che durante il viaggio si bagnasse.
‹‹E chi sono i fortunati
destinatari?››
‹‹Olivier Boringer e Gianni
Tornatore. Dallo a uno o all’altro, non fa differenza. Loro sapranno certamente
che farsene.››
Gli diede una pacca sulla spalla.
Quella era, per chi lo conosceva, una dimostrazione di grande stima.
‹‹Fai attenzione, Johann. E
grazie.››
‹‹Dovere, amico mio.››
Loro sapranno certamente che
farsene. Ralf non era del tutto sicuro quando l’aveva detto, e faceva bene.
Dopo che Johann ebbe attraversato pazzamente l’Europa ai trecento all’ora,
seminando persino la polizia, ed ebbe consegnato il messaggio, dopo che Olivier
l’ebbe aperto e letto, tutti si guardarono, perplessi.
‹‹Herr Iurgens è in vena
di scherzi?›› domandò Gianni, strappandogli il foglietto di mano. ‹‹“Le
signorine von Fuchs sono le presidentesse e fondatrici della S.R.A.T.S.”››
‹‹S.R.A.T.S.?!››
‹‹“Società per il Rispetto
delle Anomale Tendenze Sessuali”. Chissà perché, ma mi viene naturale
chiedermi come l’abbia scoperto.››
Gli altri soffocarono una risata.
Il ragazzo si sventolò con il
foglio.
‹‹Beh? Che ce ne frega a noi?››
‹‹Assolutamente niente›› fece
Olivier, che dal rintocco delle otto e mezza era un’ameba.
L’amico scrollò le spalle,
appallottolò il biglietto autografo e lo gettò nel camino. Ma sulla traiettoria
comparve la mano di Andrew.
‹‹Molluschi che non siete altro››
li apostrofò, irritato. ‹‹Non capite che dev’esserci una ragione più che valida
per cui Ralf ha mandato il suo migliore amico ad ammazzarsi per le autostrade,
pur di farci avere queste due righe?!››
Tutti sobbalzarono, disabituati
al rumore. C’era stato un silenzio di tomba dalla fine dell’ultima discussione
e Takao si era persino assopito. Si svegliò in quel momento, confuso e
allarmato.
‹‹Eh? Che c’è? Che c’è?››
‹‹C’è che questi sciocchi hanno
perso la capacità di ragionare›› rispose Andrew, senza neppure voltarsi.
Il Professor Kappa inforcò gli
occhiali, accese Dizzi e cominciò a digitare furiosamente. Rei analizzò il
biglietto, con Mao appesa alla spalla.
‹‹Questa sigla non mi è nuova.››
‹‹Devo preoccuparmi?›› sorrise la
ragazza.
‹‹Ne avevano parlato a qualche
trasmissione, ne sono certo.››
‹‹Oh yes, Rei ha
ragione!›› esclamò Max. ‹‹A
quel talk show con djPeace. Ci hanno dedicato una puntata
intera.››
Le antenne degli European Dream si
drizzarono.
In quella, Dizzi emise un segnale
sonoro e il Professor Kappa esultò.
‹‹Ho trovato, ragazzi. E’
un’associazione in piena regola, molto famosa negli ambienti degli artisti.
Questo perché… ehm, gli artisti hanno sempre… tendenze un po’ particolari.
Tenetevi forte, le presidentesse sono proprio Miss Gretchen, Miss Gerda e Miss
Magdalene von Fuchs!››
‹‹Palla di Lardo, Racchia
Maggiore e Piagnucolosa.››
Quelli che nella confusione non
avevano capito bene il contenuto del biglietto di Ralf fischiarono,
impressionati.
‹‹Si danno da fare però.››
‹‹E non è tutto. Pare che l’idea
sia venuta loro cinque anni fa, quando un’amica entrò in depressione e si
uccise perché le persone che stavano loro attorno non avevano accettato i suoi,
ehm, gusti.››
‹‹O magari si è fatta fuori per
il dolore di esser loro amica?››
‹‹Andrew… non essere così
carogna.››
‹‹E come fa?›› esclamò Gianni,
beccandosi una scarpa in bocca.
Il Professore lesse le ultime
righe.
‹‹Da quel momento hanno fondato
la S.R.A.T.S. e difendono strenuamente i diritti dei diversamente orientati…››
‹‹Ma come parla?››
Andrew fece segno di tacere.
Sembrava assorbire ogni parola e Sabine, che lo conosceva bene almeno quanto
Ralf, poteva sentire gli ingranaggi del suo cervello girare vorticosamente.
‹‹…in campo sessuale. Sono delle
fan sfegatate della loro stessa associazione, insomma.››
Con la fine della lettura terminò
anche la conversazione. Ognuno guardò gli altri, esitante. Gianni sentì una
strana presa allo stomaco.
Poi divenne rosso come un
peperone.
‹‹Assolutamente no›› fu
tutto quello che mise insieme.
‹‹Assolutamente no cosa?››
domandò Max.
‹‹Già, io non ci ho capito
niente›› commentò Mao, il mento appoggiato sul capo di Rei. Questi taceva, le
braccia conserte. Forse capiva dove andava a parare il discorso.
Andrew sogghignò.
‹‹Gianni, perché sei così
pallido?›› fecero alcuni.
‹‹Perché ha capito qual è la
soluzione che Ralf gli offre.››
‹‹Mh?!›› mormorarono tutti,
stringendosi.
‹‹Anche tu, Olivier, vero?››
Il ragazzo fissava nel nulla.
‹‹Yuhuu?›› chiamò Takao,
passandogli una mano davanti.
‹‹Smettila, per favore.››
‹‹Hey, allora sei vivo.››
‹‹Certo. Ma non sono sicuro di
esserne tanto contento.››
‹‹Buuh, abbasso il pessimismo››
intervenne Sabine.
‹‹Aspetta di sentire il
notizione.››
Andrew misurò la stanza in pochi
passi, con un’aria di superiorità che, sebbene sapesse a loro unico uso,
Olivier detestò. Li stava spronando, ma doveva stare attento a non esagerare.
L’equilibrio era fragile.
‹‹Dicono che si dimostra di esser
cresciuti accettando le sconfitte e le umiliazioni con un sorriso. Non molti
possono dire d’averlo fatto. Ma è vero che da ogni sconfitta s’impara qualcosa,
così come da un’umiliazione personale…›› li guardò entrambi, ‹‹…può venire un
guadagno più grande di una vittoria formale. Noi ne abbiamo avuto un esempio
quando i Bladebreakers ci hanno sconfitto.››
Gianni e Olivier annuirono,
passandosi una mano nei capelli, sulla bocca. Adesso anche il francese aveva
preso colore, ma molto più di quanto sua sorella auspicasse salubre.
Insomma, che cosa dovevano ben
fare?
‹‹Ma… eh ma… insomma…››
interloquì Takao.
‹‹Vorreste spiegare anche a
noi?›› aggiunse Mao.
Gianni andò al mobile dei
liquori, prese il più forte, ne versò due generosi bicchieri e uno lo diede ad
Olivier, che buttò giù tutto d’un fiato. Con quello divennero paonazzi.
‹‹Cough cough!››
‹‹E’ semplice›› rispose il primo,
voltandosi. ‹‹Ralf ci sta dicendo che l’unico modo per non sposarci con quelle
è dir loro di essere gay›› tutti arrossirono fino alla radice dei capelli.
Improvvisamente capirono e solidarizzarono. ‹‹Anzi, probabilmente… di
dimostrarlo.››
Olivier rischiò di strozzarsi.
‹‹I Mostri rispettano fino alla
maniacalità gli omosessuali. Hanno fondato un’associazione per non costringerli
ad accettare scelte fatte per loro da altri. E non lo diranno a nessuno.
Insomma, Ralf ci sta regalando la libertà su un piatto d’argento.››
Guardò l’amico. Una silenziosa
conversazione si svolse tra loro. Potevano affrontare anche questa, insieme?
Olivier annuì, deciso.
‹‹Noi non siamo dei codardi.››
‹‹No. E perciò lo faremo!››
Presa la decisione, il circuito
della macchinazione abbassò il freno a mano e partì in quinta.
La combriccola sedette in cerchio
ancora una volta, discorrendo animatamente. Si trattava di indovinare dove
fossero alloggiate le tre amabili presidentesse, ed era compito ingrato per lo
sfortunato che si fosse trovato a doverlo fare, dal momento che, senza contare
i garages, la villa si articolava in quattro ali su quattromilacinquecento
metri quadri.
Quando Olivier diede loro questo
pezzo d’informazione, alcuni mandarono di traverso il succo di frutta.
‹‹Quattr…››
‹‹Quattromilacinquecento?! E’
l’estensione del nostro villaggio!›› esclamò Rei. Mao ammutolì, sentendosi
insignificante.
‹‹Beh, che cosa vi aspettavate?››
chiese Gianni. ‹‹Tutte le nostre abitazioni avite sono molto grandi. Se pensate
alla fortezza di Ralf, persino questa villa rimpicciolisce un po’.››
‹‹Ralf è quello con la casa più
grande›› informò Andrew, mentre la sua notoria spocchia tornava a farsi
sentire. ‹‹Abbiamo controllato sui documenti. Novemila metri quadrati. Precisi
precisi.››
‹‹Porc…›› fece Takao. ‹‹E a me
che il dojo del nonno sembrava enorme!››
‹‹It’s incredible››
mormorò Max.
‹‹No no no no, ragazzi, credo che
qui si stia perdendo il filo del discorso›› interruppe il Professor Kappa,
sventolando una mano. Lo considerarono. Si limitò ad indicare la pendola.
Le lancette segnavano sette e tre
quarti.
Gianni e Olivier deglutirono.
‹‹Ci restano solo quindici
minuti.››
‹‹Beh, c’è poco da perder tempo, allora››
affermò Sabine. ‹‹Vier, possiamo tranquillamente escludere l’ala ovest. E’ il
museo.››
‹‹Avete un museo in casa?!››
‹‹E’ chiuso da cinquant’anni. I
nonni vollero interdirlo al pubblico quando ereditarono la villa. Neanche mamma
e papà hanno voglia di trovarsi estranei per casa, così è un po’ il nostro
museo personale.››
‹‹Ed è lì che Olivier ha
sviluppato la sua mania per i luoghi d’arte deserti›› canzonò Andrew,
guadagnandosi un’occhiataccia.
Gli altri risero.
‹‹Poi c’è l’ala nord, che è tutta
di mamma e papà. Non credo che le abbiano alloggiate in quelle camere: come non
vogliono turisti in casa, non vogliono ospiti nella loro ala privata. E questa,
l’ala sud, dà sui garages. Ce li vedi a metterle là, con i nasi fini che hanno?
Morirebbero per l’odore dell’olio e della benzina!››
‹‹Già›› sorrise suo fratello.
‹‹Quindi rimane solo…››
‹‹L’ala est.››
Tutti balzarono in piedi,
stringendo i pugni.
‹‹…Andiamo.››
‹‹Una volta arrivati nell’ala est
non dovrebbe esser difficile localizzarle›› spiegò Olivier, mentre li guidava
per i corridoi. Gianni, che camminava in testa con lui, annuì. Aveva un’aria
particolarmente battagliera. Seguivano Max, Sabine, Andrew, Mao e Rei in blocco
(‹‹Staccate quei due polipi, vi prego››) e poi il Professor Kappa.
Takao, il solito piagnone, veniva
per ultimo, strascicando i piedi.
‹‹Cosa c’è, Takao?›› chiese il
Professore, perplesso.
‹‹Uffaa›› brontolò il ragazzo,
‹‹Ci arriviamo così? Facendo una passeggiata?››
‹‹Come volevi arrivarci?››
Lui ficcò le mani in tasca,
ignorando spudoratamente le bellezze artistiche del corridoio. Tipico Takao. Se
non è commestibile o lanciabile, non interessa.
‹‹Ma non lo so. Io mi aspettavo
inseguimenti, battaglie, azione! E invece, tutto quello che facciamo è marciare
come dei maratoneti. Questo non è divertente. E’ faticoso!››
Il Professor Kappa rise,
scuotendo la testa insieme a pochi altri.
Olivier accelerò. Ormai
praticamente correvano.
‹‹Tieni duro, Monsieur
Takao›› fu la divertita risposta. ‹‹Ormai siamo alla fine dell’ala sud.››
Infatti il corridoio, illuminato
da splendidi lampadari di cristallo, terminava nell’immenso salone circolare
usato per feste e ricevimenti. Era una cupola. Fortunatamente, per qualche
strano segno del destino, stavolta l’annuncio dei fidanzamenti e la relativa
baldoria si sarebbero consumati nel parco. Comunque nessuno della combriccola
badò alla delicata bellezza albicocca delle pareti. Andavano come razzi.
Dall’esterno si vide soltanto una
macchia di colori attraversare il salone. Tutte le antenne dei camerieri,
elevati per quella sera anche a custodi, mandarono segnali d’allarme.
Con una derapata, Olivier curvò a
destra.
Nove minuti.
‹‹Eccola.››
Era un altro elegante arco,
cornice dell’ala più bella del palazzo – dopo gli appartamenti dei Boringer e
dei loro rampolli, naturalmente: Olivier e Sabine.
‹‹Tutta questa bellezza
sprecata›› commentò Gianni.
‹‹Stai pensando a Palla di
Lardo?›› sorrise il francese. C’erano quasi. E anche se l’umiliazione cui stava
per sottoporsi avrebbe abbassato notevolmente il suo ego per i mesi seguenti,
mandar giù un boccone amaro è meglio che mangiar male per tutta la vita.
Gianni annuì.
‹‹Non siate troppo duri con
loro›› intervenne Rei. ‹‹In fondo, vi hanno inconsapevolmente dato l’arma per
sfuggire alle loro sgrinfie.››
‹‹Non dire gatto finché non ce
l’hai nel sacco.››
‹‹Già. Dobbiamo ancora verificare
l’effettiva utilità di quest’arma.››
Gli amici annuirono. Ormai erano
a un passo dall’entrata, quando…
‹‹Signorini! Fermi dove siete!››
Inchiodarono con una frenata da
paura, che fece loro fumar le suole. Tutto per non andare a sbattere contro il
muro d’inservienti, cameriere, cuochi, giardinieri, animatori, sommeliers
e freelances attruppatisi davanti all’ala est. Mancava solo il
maggiordomo. Lo cercarono.
E lo trovarono, naturalmente.
‹‹Avrei dovuto saperlo che eri tu
a capo della sorveglianza›› disse Olivier, impassibile. Incrociò le braccia.
‹‹Signorini. Siamo spiacenti di
dovervi interdire l’accesso all’ala est.››
Il padroncino inarcò le
sopracciglia, mentre gli amici interpretavano per lui il ruolo di bravi:
accigliati, puri, duri.
‹‹Per quale motivo? Vogliamo
soltanto vedere le nostre fidanzate.››
Gianni prese un colorito
verdognolo.
‹‹Tieni duro›› gli bisbigliò Sabine,
strizzandogli il braccio.
‹‹Siamo desolati, signorino
Olivier… i… vostri genitori… hanno al momento… signorino?››
Tutte le persone che facevano
muro si chiesero il motivo dell’improvvisa, inedita esitazione. Il maggiordomo
era un uomo che non aveva balbettato una volta nella vita. Allungarono il
collo… e videro Olivier sogghignare nel modo più cattivo possibile.
Un atteggiamento inedito quanto
il balbettio del maggiordomo, e molto, molto più inquietante.
Mao rabbrividì.
‹‹Mi sembra di vedere Kiki.››
Rei fece un sorriso irregolare.
Olivier cacciò la mano in tasca.
Gli amici lo imitarono, intuendo le sue intenzioni.
‹‹Siamo spiacenti… siamo
desolati… è tutto quello che sai dire? Bene, te la dirò io una cosa, venduto al
nemico: siete fritti!›› e in un turbinare di stoffa lanciò Unicol, presto
seguito da Driger, Galux, Amphisphena, Salaman e Dragoon.
L’esercito avversario, conoscendo
le capacità di un beyblade e vedendosene arrivare contro un battaglione,
squittì.
‹‹State ai vostri posti!›› si
affannò il maggiordomo, saltando qua e là per trattenerli. ‹‹Fermi! State a
vostri… aaah!››
Amphisphena gli aveva fatto lo
sgambetto. Atterrò sui cinque oggetti rotanti, che, invece di fermarsi,
aumentarono la loro velocità di rotazione e lo trasportarono via, pelandogli
già che c’erano la schiena.
‹‹Grazie infinite!›› gridò
Olivier.
Tutti gli furono addosso, ridendo
come matti. Sabine riuscì a calciare via gli altri per averlo alla propria
mercé. Lo soffocò in un abbraccio, rotolando con lui sul pavimento di marmo. Vederli
così dava un’idea di quanto doveva esser stata bella la loro infanzia.
‹‹Ahh, sei stato magnifico
fratellino! Magnifique!››
Lui annaspò.
‹‹Cosa mi fate il segno di OK se
poi non mi soccorrete da questa ninfomane?›› esclamò, sfiatato ma divertito.
Alla fine, Sabine mollò la presa.
E una pendola suonò le otto.
Gianni sbiancò.
‹‹Non ce l’abbiamo fatta! Ora
daranno l’annuncio!››
Nel gruppetto si diffuse un
agitato brusio.
‹‹No, calmatevi›› fece Olivier.
‹‹E’ quella del terzo corridoio. E’ molto vecchia, zoppica e va sempre avanti
di cinque minuti.››
‹‹Ne sei sicuro?››
‹‹Sicurissimo.››
‹‹Ah›› sospirarono gli altri.
Restava il fatto che cinque
minuti per controllare venti stanze erano un tempo proibitivo. Decisero perciò
di dividersi. Erano in nove. Ad ognuno, due, tre stanze - tranne i principali
interessati, che non potevano dividersi per tema di perder l’altro per strada.
‹‹Se vi dividete e uno di noi
trova le Racchie, ci vorrà il doppio del tempo per trovarvi. E tenete conto che
non possiamo urlare›› spiegò Andrew, ideatore della cosa. ‹‹E ora,
muoviamoci!››
‹‹Sì!››
Lui, Sabine e Max cominciarono a
cercare in quel corridoio, mentre gli altri correvano avanti, disperdendosi
alle varie diramazioni. Gianni e Olivier puntarono all’ultimo andito, il più
lontano, dalla vista più bella e dove, più probabilmente, avrebbero trovato le
von Fuchs.
Mao aguzzò le orecchie, facendo
ricorso a tutti gli anni d’allenamento passati al villaggio. Quella casa non le
piaceva. Un po’ come il maniero di Ralf, anche se le ragioni erano differenti:
quello era lugubre e medioevale, la villa rococò invece aveva lo stesso odore
d’una tana di serpenti.
Non certo per Olivier né tanto
meno per Sabine, bensì per coloro che li circondavano (ed erano tanti).
Deglutì. Le era capitato un
corridoio poco illuminato. Strinse Galux, desiderando che fosse la mano di Rei.
Le sue sopracciglia s’incrociarono.
Ah, andiamo. Sembro una fanciulla in difficoltà? No. La sono? Anche
meno. Bene, e allora devo piantarla di appiccicarmi a Rei ogni volta che posso.
Pure se, a dire la verità, non è poi tanto male…
Prese un bel respiro, accostò la
prima porta e ascoltò. Dall’interno non proveniva alcun rumore.
Aprì. Sì. Come pensava, era una
perfetta, negletta stanza per gli ospiti. Richiuse e passò alla seconda.
Continuò così fino all’ultima,
una porta strana – sinceramente non sembrava neanche vera; finché non l’ebbe
toccata la credette un affresco. Mah. Ormai entrata in un circolo di routine,
girò la maniglia senza timore.
Non avrebbe dovuto farlo.
Una strana folata d’aria le
scompigliò i capelli. Si fissò i piedi, lentamente. E quando l’ebbe fatto,
s’accorse di esser sospesa sul vuoto.
Una botola.
‹‹Uaah!›› strillò, scomparendo.
Subito risuonarono dei passi in
corsa.
‹‹…Mao! Cos’è successo?!›› gridò
Rei.
Max comparve poco dopo alle sue
spalle, arrossato e ansimante.
‹‹Qui non c’è nessuno.››
‹‹Proviamo alle porte!››
E, pirla com’erano, andarono ad
aprire proprio l’ultima.
Furono risucchiati in men che non
si dica.
‹‹….uaaaah!!››
STHUD.
Furono sputati fuori dopo una
corsa da brivido. Atterrarono in blocco, a velocità supersonica, urtando un
mucchio di stoviglie. Rei prese una testata micidiale; strisciò via, gemendo,
la fronte tra le mani.
E non guardava dove stata andando.
Prevedibilmente incappò in qualcosa – morbido, per fortuna. Aprì gli occhi
lacrimanti. Un sorriso felino lo accolse.
‹‹Ciao Rei. E’ bello rivederti.››
‹‹…Mao!››
‹‹Mao, stai bene? Rei?›› chiese
Max, spolverandosi e guardando intorno.
‹‹Benone.››
‹‹Meglio così. Ma dove siamo
finiti? Sembrerebbero…››
‹‹Le cucine›› completò la
ragazza. Un ambiente non molto ampio, contro ogni aspettativa, pieno zeppo di
stoviglie. Spostò un coccio. ‹‹E pare che abbiate demolito un servizio di gala
Wedgwood con filo d’oro.››
Una voce spasimò.
‹‹No! Non è possibile!››
‹‹Chi è?!››
Max, l’unico in piedi, scavalcò i
resti del servizio e sollevò il lembo di una tovaglia a fiori, posta su un
carrello portavivande. E… sorpresa!
‹‹Andrew! Cosa ci fai lì sotto?››
‹‹E voi cos’avete fatto al
servizio che-››
‹‹Shht!›› esclamò una seconda
voce, allarmata. ‹‹State tutti giù! Infilatevi in quei carrelli!››
Rei, Max e Mao fecero come la
voce aveva ordinato, strisciando nel vano dei portavivande. Sapeva un po’ di
film già visto - ma non c’era tempo per sottilizzare.
Un passo elefantino scrollò
fornelli, lampade, pavimento, tutto insomma. Max si aggrappò ai lembi della
tovaglia, strizzando gli occhi per la fifa.
‹‹Noo, il terremoto noo!››
frignò.
La porta a due ante si aprì,
cigolando.
‹‹…tous les jours io sono
qui a piegarmi la schiena sugli antipasti, sur les plâtes prelibati, e
loro niente, neanche un piccolo, misero riconosciiiiiiieh!››
Non è difficile immaginare cosa
avesse causato lo shock del povero cuoco. Rei sollevò un millimetro della
tovaglietta, ben attento a non farsi notare. Non si trattava di un’operazione
troppo ostica: poche calamità naturali avrebbero distolto l’omaccione dal
servizio incidentato.
‹‹Buhuhuuu et maintenant qu’est-ce que je dois faire?! Qu’est-ce que je
dois faire?! Ils me tueront, ils me tueront sans pitié!››
Gli infiltrati si guardarono,
sentendosi un po’ in colpa. Cioè, Max e Mao si sentirono in colpa, perché non
avevano il bernoccolo di Rei. Il cinese si massaggiò il punto dolorante,
dispiaciuto di non poter incontrare anche il servizio da the (non sapendo che a
quello ci aveva già pensato Gianni tempo prima).
Le otto suonarono e passarono
come un lampo, mentre il cuoco seguitava a lagnarsi e loro potevano solo
sperare che Gianni e Olivier ce l’avessero fatta da soli. Quando si dice
lupus in fabula. Non appena l’uomo fu uscito per riesumare il vecchio
servizio, una seconda botola si spalancò nel soffitto.
Gianni e Olivier precipitarono da
quella botola, sfondando il carrello dell’avvertimento.
Takao uscì urlando.
‹‹La schienaaaa!››
Arrancò via, piegato. I due
fecero tanto d’occhi, alzandosi immediatamente. Poi il secondo si accigliò.
‹‹Oh-oh.››
‹‹Te l’avevo detto di non toccare
niente! Parbleu! C’eravamo! E ora? Le otto sono già suonate! Non
riusciremo mai ad avere un colloquio con loro, e i nostri genitori annunceranno
quel che tutti ormai si aspettano!››
‹‹E cioè il vostro fidanzamento››
completò Mao, sollevando la tovaglia che copriva il suo carrello. Dagli altri
fecero capolino Andrew, Max e Rei, che si limitò a rollare avanti.
‹‹Certainement!›› rispose
Olivier pestando i piedi. ‹‹C’eravamo. C’eravamo! Sabine le aveva trovate! E
per colpa di quest’italien… grr… Merde. Merde, à
tout le monde!›› e giù sproloqui.
Chi capiva – e anche chi non
capiva – spalancò tanto d’occhi. Olivier si era trasformato in una piccola
furia.
Gianni si sbatté una mano in
faccia.
‹‹Sapevo che prima o poi
l’avrebbe detto.››
‹‹Detto cosa?››
‹‹Quella parola. Merde. E’
un modo d’intercalare, in francese. Da piccolo lo usava almeno una volta per
frase.››
‹‹Davvero?›› sghignazzò Andrew.
‹‹…hey, sentite. Ho un’idea.››
L’italiano gliela lesse in
faccia, e sorrise.
‹‹Giusto! Possiamo ancora
farcela!››
Olivier smise di bestemmiare per
guardarli.
‹‹Fare cosa?›› domandò, tirando
su col naso. ‹‹Ormai è tutto inutile. Saranno già accomodate a tavola. Non
possiamo strapparle al…››
‹‹Conoscendo Sabine, starà
tentando di tutto per trattenerle in camera. Riuscendoci. E noi abbiamo un asso
nella manica.››
Tutti lo fissarono. La scena era
un po’ comica, visto che i tre quarti dei presenti, lui compreso, erano
raggrinziti nei carrelli. Il ragazzo guardò su.
‹‹Proprio questi carrelli.››
‹‹Eh?››
‹‹Usciremo dalla cucina su questi
carrelli e, quando passeremo nel salone principale…››
‹‹Zack! Infileremo l’ala est!››
esclamò Gianni, gesticolando per dare più forza al discorso.
‹‹Ma non ci sono abbastanza
carrelli›› intervenne Mao.
Rei scivolò fuori del
nascondiglio con agilità.
‹‹Rei, che fai?››
‹‹Non c’è bisogno che andiamo
tutti. Quel che conta è che siano Gianni e Olivier ad arrivarci. Uno di noi
potrà seguirli per fare da diversivo, qualora ce ne fosse bisogno; ma uno
soltanto.››
‹‹It’s true›› concordò
Max, imitandolo. ‹‹Noi non siamo cercati. O meglio, non lo eravamo, adesso non
so. Ad ogni modo non abbiamo fatto niente d’illegale aiutandovi, possiamo agire
indisturbati.››
Olivier si morse un labbro.
‹‹Sì, ma…››
‹‹Non c’è tempo.››
‹‹Shht! Arriva qualcuno›› avvertì
Mao. Tutti corsero a nascondersi dove potevano (cioè nel forno e nella cella
frigorifera) scivolando e prendendo storte. Gianni sbirciò fuori.
‹‹Sono i camerieri.››
‹‹Benone.››
‹‹Chi va con loro?››
‹‹Vado io›› fece Andrew,
ficcandosi sotto un carrello.
Poi la cucina fu invasa dal più
perfetto silenzio. I camerieri entrarono e presero a caricare le vivande.
Sentirono anche la voce – e i passi – del cuoco, che sproloquiava; dovevano
avergli fatto una lavata di testa coi fiocchi.
Poi i carrelli furono condotti
fuori e il cuoco fece fiammate pazze ai fornelli, terrorizzando Takao. Per
fortuna sua non lo vide uscire dal forno, perché altrimenti chissà che altro
sarebbe successo. Si ritrovarono tutti fuori, ansimanti.
Rei, Mao e Max sembravano delle
cozze.
‹‹Non fatemi mai più venire in
Francia!›› sibilò Takao, furioso. ‹‹Guai a chi le prossime vacanze
nomina la Francia!››
‹‹O l’Europa.››
‹‹Sp-speriamo soltant-t-to che
c-ce la f-facciano›› rispose Rei battendo i denti.
Max gemette, due lacrime
congelate sulla faccia.
‹‹Mammina.››
Intanto sui carrelli, o meglio,
sotto i carrelli, tre nostre conoscenze stavano facendo due rapidi calcoli.
Dunque, se aspettiamo due
curve a destra e poi una a sinistra…
Quando si arriva al salone i
suoni sono molto più…
Andando a passo da Olivier, il
percorso salone-cucina è di cinque minuti, ma a passo di cameriere sarà…
Tuttavia i cinque minuti
passarono, le curve si succedettero tutte uguali e, per quanto tendessero le
orecchie, i suoni parevano privi di una qualunque caratteristica. Finalmente
Gianni azzardò una sbirciata.
‹‹Che cavolo di posto è
questo?!›› esclamò, facendo uso del linguaggio muto.
Andrew inarcò le sopracciglia,
perso. Olivier invece digrignò i denti.
‹‹Lo sapevo. Lo sapevo.››
‹‹Che cosa?›› gesticolarono loro,
annoiati.
‹‹Usano un percorso differente!
La festa è in giardino, non gli conviene passare dal salone!››
Andrew parve particolarmente
sarcastico nella sua risposta.
‹‹Senti un po’, ma com’è che tu
sai sempre tutto solo alla fine?›› accennò, esagerando volgarmente i gesti. Il
francese non lo considerò neanche di striscio. La sua memoria già lavorava.
Prendendoli alla sprovvista,
mentre il suo cameriere aspettava di potersi immettere in un passaggio più
stretto, scivolò via dal nascondiglio. Lo imitarono subito. Andrew fu tirato
nell’ombra appena in tempo.
‹‹Grazie, Gianni.››
‹‹Non c’è di che. Dillo piuttosto a Monsieur Je-Sais-Tout.››
Olivier si passò una manina nei
capelli, sudato.
‹‹Senti, Gianni, non volevo
offenderti prima. Siamo solo tutti un po’ tesi, ok? Perciò ti prego, non farmi
il verso nella mia lingua. Lo sai che lo detesto. E poi non abbiamo tempo per
bisticciare.››
L’altro annuì seccamente.
Il ragazzino li condusse giù per
delle scale, buie e fresche. Forse stavano scendendo in cantina.
Come aveva immaginato, ecco la
cantina. Olivier premette un antiquato interruttore e una lampadina s’illuminò.
Era una zona diversa da quella che avevano visto uscendo dal passaggio di due
settimane prima. Sembrava molto vecchia. Forse risaliva al secolo di
costruzione. C’erano trofei, grandi involucri misteriosi e persino qualche
moschetto arrugginito.
Attraversando quella porta sul
passato giunsero ad un’altra.
La varcarono.
‹‹Ah, ecco. Questa è la cantina
che conosco›› esclamò Gianni, un po’ sarcastico.
Andrew scrutò il soffitto, il
pavimento piastrellato e la grande lavatrice circondata di canestri.
‹‹Sì, ma che ci siamo venuti a
fare fin qui?››
‹‹Questa è la lavanderia.››
‹‹E ben? Vuoi affogarci?››
Olivier corrugò la fronte.
‹‹Spiritoso. Se pensassi prima di
parlare, capiresti che in ogni lavanderia che si rispetti c’è una cosa che ci
tornerà ora molto utile.››
‹‹Il montacarichi.››
‹‹Vedi che lo sapevi?››
L’italiano ficcò le mani nelle
tasche posteriori, fissando con ostilità il montacarichi.
‹‹Speravo non fosse vero.››
‹‹Già, tu soffri di
claustrofobia›› ricordò Andrew.
‹‹Un pugno al primo che ride.››
‹‹Io non ho affatto riso!››
‹‹Ma hai la coda di quaglia.››
‹‹Di che?››
‹‹Di paglia, imbecille!››
Andrew incrociò le braccia sul
petto, contrariato.
‹‹Non dar dell’imbecille a me, se
sei dislessico.››
Olivier intanto sospirando aveva
richiamato il piccolo ascensore. Piccolo. Un po’ più grande e sarebbe stato un
ascensore per persone.
‹‹Non temere. E’ velocissimo.››
Gianni emise un gemito.
‹‹E io ho già la nausea.››
‹‹Oh, ma che pitigno! Quando avrà
finito di lamentarsi, Andrew, ficcalo qua dentro›› rimbeccò il francese, già
accomodato sul montacarichi. Era un vano quadrato grigio ferro. ‹‹Ci vediamo di
sopra!››
E sparì.
Gianni diede un calcio ad un
canestro.
‹‹Già, facile per lui, che ha
ancora dimensioni e cervello di un bambino.››
‹‹Dai, non esagerare.››
Si guardarono e sorrisero come
due gatti.
‹‹Mica può crescere!››
recitarono, sghignazzando.
Quando furono su e Gianni ebbe
riacquistato l’uso degli arti inferiori, Olivier li incalzò per qualche dove,
schizzando con la velocità di un folletto. Le pendole, ben udibili anche dalla
loro posizione, battevano le otto e mezza.
Andrew scrutò questo nuovo
scenario e attirò l’attenzione dell’amico, galoppando al suo fianco.
‹‹Non mi sembra che abbiamo
migliorato di molto la nostra situazione›› ansimò, schivando una ragnatela a
baldacchino, ‹‹Se quella di prima era la cantina, questa cos’è?››
‹‹La soffitta›› rispose Gianni.
‹‹La riconosco dalle finestre. Rimangono sempre chiuse perché su questo lato
non servono, e poi sono tutte scrostate.››
Visto che Olivier era
concentrato, l’inglese martellò lui di domande.
Deus gratias, ringraziò il
francese.
‹‹Ci sei già stato allora?››
‹‹Sì. Ci giocavamo spesso da
bambini, io, Vier e Sabine.››
‹‹E qual era l’attrazione
principale?››
Il ragazzo aprì la bocca, ma non
ne uscì suono. Improvvisamente era diventato pallido.
‹‹Oh noo…››
Andrew parve in apprensione.
‹‹Non dirmi che c’è un altro
scivolo.››
‹‹Buuu…››
L’inglese deglutì, cercando di mantenere
intatte le apparenze. Una gocciolina di sudore gli colò per la guancia.
‹‹Comunque non capisco a cosa
serva un montacarichi qua sopra. Il posto sembra inutilizzato da anni.››
‹‹Sembra›› affermò Olivier.
‹‹Molte stanze sono ancora vuote. Il montacarichi lo utilizzano per portar su
roba vecchia che si vuole tenere.››
‹‹Capisco.››
Scrutarono intorno. Solo allora
capirono di essersi fermati. Erano nel bel mezzo di un corridoio polveroso,
scuro e annerito dagli anni, con le pareti di mattoni granitici.
‹‹Non sapessi altrimenti, direi
che siamo da Ralf.››
Olivier sogghignò. Non nascondeva
che ci godeva un po’ a ripagar le battute salaci di Gianni ed Andrew con i
trabocchetti della sua villa. Raggiunse la parete, la spinse e quella scivolò
via, rivelando l’ennesimo buco nero.
Solo che stavolta…
Gianni prese un’aria malata.
‹‹E’… è ripidissimo›› constatò
Andrew, ormai pressoché nelle stesse condizioni.
‹‹Già. Ma se ho fatto bene i miei
calcoliiiiiiiiiiiiiiih!›› il grido di Olivier si perse nel buio. Gianni
ansimò, la mano ancora protesa.
‹‹Gli venissero ai reni, i
calcoli›› augurò. ‹‹Quando tutto questo sarà finito, se non sarò finito prima
io, ci scommetto la casa che dovrò farmi mettere un pace-maker!››
Andrew sorrise, divertito. Ma da
sotto Olivier mandava fulmini e bisognava seguirlo. Gianni impallidì, sedendosi
all’entrata dello scivolo.
‹‹Oh beh›› sospirò. ‹‹Via il
dente, via il dolore. Se non mi butto non saprò mai come andrà a finire›› poi
strinse i denti e si spinse.
‹‹E che vadano tutti
all’infernoooooh!›› minacciò l’eco.
Andrew rimase lì con le mani
nelle tasche, masticando qualcosa.
‹‹Ma tu guardali.››
Si tolse di bocca il ciuffo
ribelle, lo risistemò nella fascia e fece dietrofront, diretto comodamente al
montacarichi.
‹‹Un vero peccato che non abbiano
bisogno di me.››
…
……
‹‹…››
‹‹…anni… anni!››
Anni? Che voleva dire? Ah,
sì. Adesso aveva capito: era morto da anni e ora sarebbe tornato indietro sulla
terra, come succedeva nei film - dove il protagonista rimaneva asfaltato da
un’auto e tornava fra i vivi in forma d’angelo. Ma non gli sembrava di esser
stato investito. Non ricordava molto, ma di quello era sicuro.
Cercò di muoversi.
Lentamente i suoni tornarono a martellargli il cervello.
‹‹Gianni! Gianni!››
Adesso c’era qualcuno che lo chiamava. Flap flap. E lo stava
sventolando con qualcosa.
Allora era semplicemente svenuto.
‹‹Gianni, per l’amor del cielo, rispondi!››
Mosse un dito, poi la mano. Finalmente sentì che la nebbia abbandonava
la sua testa, lasciandola chiara e pronta. Sollevò le palpebre. Le iridi
azzurre si contrassero, regolando l’entrata della luce.
Riconobbe i contorni di un viso.
‹‹Chi sei?›› chiese, allungando una mano. Toccò un naso e due guance
rotondette.
‹‹Come, chi sono?››
‹‹Vedo… vedo sfocato.››
‹‹Passerà.››
E aveva ragione. Presto la vista tornò normale. Gianni strinse gli
occhi per inquadrare un Olivier visibilmente sollevato.
‹‹Meno male. Stavo morendo di preoccupazione. Sembravi stecchito!››
l’italiano fece le corna, ‹‹ma fortunatamente stai benone.››
‹‹Benone proprio non direi. Ma… dove ci troviamo.››
E a quella, il sorriso di Olivier divenne trionfante.
Tre sagome imponenti oscurarono la luce dei lampadari. Una larghissima,
l’altra tutta fronzoli, l’ultima piegata. Gli occhi di Gianni schizzarono fuori
delle orbite.
‹‹Ma guardali!››
‹‹Non sono teneri?››
‹‹E innocenti, sì! E noi proteggeremo il loro amore!››
Il ragazzo fissò Olivier, che, rosso di vergogna, abbozzò un sorriso di
scusa.
Non ci volle molto a capire.
‹‹No… perché questo!›› e svenne di nuovo.
Un mese dopo, Francia, Costa Azzurra.
Una magnifica, bianchissima spiaggia per vip, su un mare blu quanto il
cielo.
‹‹Ahh.››
‹‹Questa sì che è vita.››
‹‹Da celibi.››
‹‹Hey, guardate.››
‹‹Che c’è, Laurie?››
La ragazza indicò a monte della spiaggia, dove sorgeva un parcheggio
alberato. Un pullman stava posteggiando.
‹‹Sono i Bladebreakers!›› esclamò Gianni al binocolo.
Olivier inarcò le sopracciglia.
‹‹Sbaglio o avevo sentito “guai a chi le prossime vacanze nomina la
Francia?”›› disse, quando furono saliti ad accoglierli.
Un Takao in costume e salvagente rise, fregandosi il naso.
‹‹Appunto, le prossime! Queste non sono ancora finite!››
‹‹Sei incorreggibile›› commentò il Professor Kappa.
‹‹Ma dov’è Andrew? Ci avevano detto che era con voi›› saltò su Sabine.
‹‹E’. O meglio, era.››
Tutti rimasero interdetti.
‹‹Lo avete affogato?›› chiese una voce.
‹‹…Ralf!››
Gianni incrociò le braccia.
‹‹Questa sì che è una sorpresa. Herr Iurgens che va al
mare!››
‹‹La fine del mondo dev’esser vicina.››
‹‹E allora? Lo avete affogato?››
‹‹Magari›› fece l’italiano, ottenendo una risata collettiva. ‹‹E’
venuto con noi, ma all’improvviso è saltato fuori che portava anche Laurie.
Sapevo che avrebbe giocato solo con lei!››
Dal gruppo si levarono altre risa. Scendendo e stendendo gli asciugamani,
adocchiarono una scena quasi commovente. L’acido McGregor a bagno con la
ragazza, comodamente sostenuto da lei, che galleggiava su un materassino.
‹‹E se liberassimo degli squali?››
‹‹Dai, Gianni!››
‹‹Io dicevo sul serio…››
Di punto in bianco, però, Ralf gli sbarrò la strada.
‹‹Stai dimenticando qualcosa.››
‹‹Uh? E che cosa?››
Gli sguardi dei presenti, sparsi a prender la tintarella e a caccia di
pettegolezzi, puntarono su di lui.
‹‹Ti avevo detto che, al nostro prossimo incontro, ti avrei dato il
regalo di fidanzamento. Visto che non se ne è fatto nulla›› l’italiano
sogghignò, pensando quello che pensavano tutti: il tedesco era stato il primo a
sapere che la faccenda sarebbe andata a monte; ‹‹ma il regalo me l’ero già
procurato: eccolo. Te lo faccio lo stesso.››
Dapprima, il ragazzo vide un’ombra avanzare dietro Ralf. I
Bladebreakers, Mao e Sabine bisbigliarono qualcosa, sorpresi. Andrew, da
lontano, sorrise. Poi Ralf si tolse di mezzo.
Il volto di Gianni s’illuminò.
‹‹…Charlotte!››
La ragazza sorrise, imbarazzatissima, lisciando l’abito giallo.
‹‹Scusate… mi sento un po’ a disagio…››
‹‹Non devi assolutamente!›› esclamarono tutti i single presenti… e
anche i non single.
‹‹Ahio!›› gemette Rei, massaggiandosi il sedere. ‹‹Brutta… ow!››
‹‹Dicevi?!›› minacciò Mao.
Lui, tipico maschio, squadrò bene il suo bikini e sorrise a trentadue
denti.
‹‹Zuccherino.››
‹‹Hmpf.››
E giù altre risate. Gianni però era troppo assorbito da Charlotte, la
sua Charlotte di Les Pêcheurs sur l’Eure. La tirò in disparte, tempestandola di
domande.
‹‹Come sei arrivata?››
‹‹Andrew ha-››
‹‹E quando sei arrivata?››
‹‹Giusto un’ora f-››
‹‹Ma hai fatto almeno un viaggio comodo?››
‹‹Sì, però-››
‹‹E a Les Pêcheurs com’era il tempo?››
‹‹Gianni, io-››
‹‹Uffa, perché non mi rispondi?››
‹‹Gianni›› gemette Charlotte, sfiatata. Cominciava a capire che tipo
era. Ma sì, in fondo le piaceva per questo.
Ma c’era ancora una cosa che doveva fare. Lo fissò.
Senza che lui se ne accorgesse, il gruppo della tintarella mise mano ai
binocoli. Sembravano tutti dei gufi. Blink blink.
‹‹Gianni, ti devo dire una cosa.››
‹‹Sì?›› cinguettò lui, battendo gli occhioni blu.
‹‹E’ una cosa un po’ imbarazzante…››
‹‹Non vergognartene.››
‹‹Ecco, io, quando sono stata contattata da Andrew…››
‹‹Avanti, di’ pure.››
La ragazza intrecciò le dita ai capelli. ‹‹Beh, mi… è sembrato naturale
chiedere della vostra vicenda e…››
‹‹Sì?››
La presa sui capelli divenne spasmodica.
‹‹…così sono venuta a sapere tutto e ho pensato che non avresti… cioè,
volevo dirti che… oh, insomma.››
Lui avvicinò il viso. Lei tirò i capelli più forte.
‹‹Che, in realtà… io sono…››
‹‹Siì?››
I capelli vennero via.
‹‹…un ragazzo!››
Fiuuuu.
Un vento gelido passò tra loro. Sulla faccia di Gianni comparve una
crepa scricchiolante. Era più di quanto potesse sopportare.
Ingoiò le tonsille e passò tutti i colori dell’arcobaleno, mentre
Andrew filmava, con la lingua di fuori. Poi cadde all’indietro, rigido come un
baccalà.
Charlotte spalancò gli occhi e accorse al suo fianco, sciogliendo la
coda che le aveva tenuto a posto i capelli sotto la parrucca.
‹‹Dio, ragazzi, sta schiumando!›› esclamò, pentita. ‹‹Oh Gianni,
perdonami! Stavo scherzando! Stavo scherzando!››
a THE END b
cdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcdcd
Note finali:
ebbene? Vi è piaciuto?
Mi auguro vivamente di sì.
E
adesso, spazio ai ringraziamenti!
Driger –ebbene sì, carissima, siamo arrivati alla fine della storia… o no?
Per adesso sì, ma leggi bene tutto… *risatina diabolica* Grazie mille per i
complimenti, e soprattutto per essere stata una fedele lettrice =D
Yusaki – finalmente ho aggiornato, visto? Grazie per l’apprezzamento ^^
Fra – Francesca Akira, sei tu? Che lo sia o non lo sia, un bacio sentito for
your lovely words! Anche a me piace molto Andrew, forse perché mi somiglia
molto: capriccioso, sicuro di sé, un poco altezzoso (un poco…). A presto.
Phoenix – sì, sei una new entry =3 la cosa mi lusinga oltremodo. Benvenuta e
grazie. A proposito dei capitoli, non credo d’aver mai detto che non li faccio
volutamente lunghi; dipende, stranamente, dalle storie: in “Quel mondo là
fuori”, per esempio, mi viene da interrompermi molto prima! Sulle quattro,
cinque pagine, tipo. E’ dunque una coincidenza fortunata con “Chi ha detto che”
=) Mah, sto straparlando. Venendo agli European Dream, credo anch’io che siano
trascurati dal fandom italiano ― e anche da quello internazionale, dopotutto.
In inglese, trovi sono delle gran yaoi malfatte *urg* Meno male allora che noi
ci pensiamo, ai nostri piccoli fauni!
Sirio – sì, è un mix di tutto! All’inizio non doveva, ma ho la pessima
abitudine di seguire l’ispirazione XD
F.P. – ahimè, le 50 recensioni non le abbiamo raggiunte, però non fa niente
^^ meglio pochi ma buoni! Come avrai ormai appurato, la vena comica è stata
mantenuta anche nel finale (e che finale XD), spero ti sia piaciuto. Per Andrew
e Laurie non mi trovi in totale disaccordo, infatti anche a me era sembrato un
po’ improvviso, rileggendo la storia; ma durante la stesura era venuto così
naturale, e ho cercato di introdurre il più possibile di retroscena sulla loro
infanzia insieme, che mi sembrava di penalizzare la storia togliendo tutto. E
poi, Andrew aveva bisogno di una via di fuga dignitosa XD
Grazie
mille per il tuo commento, è stato uno dei più apprezzati; posso chiederti
perché il mio modo di scrivere ti sembra “quasi sempre impeccabile”? Sono
curiosa (e vorrei sapere cosa vi ha attratto di meno, per correggerlo se
necessario) ^^ E’ a causa delle frasi in lingua straniera non tradotte?
Nashira – bene, bene, studia! E mi raccomando, non trascurare il greco ;-) te
lo caldeggia una grecista sfegatata. Ah, non preoccuparti per la tua sorellina…
ho apprezzato molto anche il suo commento, come vedi! A presto
Asuka_Excel – ooh, ecco una dei furbetti che avevano già conosciuto il Majestics’
Reveal! Ma tu hai lasciato una recensione, quindi sei perdonata XD Grazie!
Hikari Takaishi 87 – Cri! Ciao amora! Ebbene sì, sono dappertutto, come
la gramigna XD Naturalmente sai quanto io apprezzi i tuoi commenti, e il fatto
che ti sia disturbata a scrivere anche qui nonostante tutti quelli che mi avevi
già mandato non fa che aumentare il sentimento. A proposito, ho letto la tua
storia su Sango e Miroku *fan della coppia*. Complimentoni! Mi è piaciuta
davvero un sacco, e non è vero che sembra una pwp (porn without plot):
anzi, l’assenza di parole dà più significato ai gesti e nobilita l’atmosfera.
Scusa se ti scrivo il commento qui ― appena posso lo posto su EFP! Ciao!
Lord Martiya – ed ecco colui che mi ha lusingata più di tutti, chiedendomi in
prestito Laurie e Sabine! Grazie dei complimenti. Non vedo l’ora di leggere la
tua fic! ^^
E
questo è tutto! Perdonatemi se ho confuso l’ordine dei commentatori, ma sono un
po’ di fretta. Aggiungo un ringraziamento anche per tutti coloro che
commenteranno questo capitolo – thanks in anticipo ^^
Ciao
ciao!
…
…
…
Okay,
dai, non farò la cattiva. Ve lo dico.
Sto
lavorando al seguito di “Chi ha detto che”; l’ho un po’ trascurato, e non posso
promettere di pubblicarlo prima dell’estate (caspita, a giugno ho gli esami
x_x), però si farà. Ora potete esserne certi.
Perciò,
fatemi sentire che lo volete leggere davvero!
*insomma,
era tutto un discorso promozionale*
XD
Ho blaterato
abbastanza! A presto.