“PROFUMO
DI DONNA”
Estate
1788
“Devo
averti fatto davvero male”,
penso con un filo di rammarico mentre stringo il bavero della tua
uniforme,
mentre sento i tuoi capelli ribelli sfiorarmi la fronte e tu non
reagisci per
la sorpresa.
“Sì,
quasi fa male a me la mano con la quale ti ho
schiaffeggiata, ma…sono furioso! Davvero furioso, come mai
mi è capitato con
una donna!
Che
succede? Il mondo va alla
rovescia? Io le donne le amo!
Perché
mi fai così rabbia?
Basterebbe
non considerarti. “
Vedo
un’uniforme, vedo un
aristocratico odioso. ..
Ma sento il
tuo profumo di donna e
sono confuso.
Ho voglia
di riempirti di botte, ma
non riesco a distogliere lo sguardo dalle tue labbra.
Ed allora
mi libero di te.
Ti trascino
fuori.
Ti
scaravento giù dai gradini, sul
selciato della piazza spazzato da un violento acquazzone, risultato
dell’afa
allucinante di questa estate.
Il tuo
respiro caldo mi ustionava il
viso: eri troppo vicina!
“Battiti!
Dici di essere come un uomo e allora, dai!
Fammi vedere!”
Sento lo
sguardo di André su di noi.
Ha paura
per te. E non può fare
niente.
“Davvero
te la devi cavare da sola, comandante!”
Sono
più forte!
E’
innegabile.
Sono bravo!
Lo devi
ammettere.
Ma mi batti.
Il tuo
profumo di donna, mi ha sconfitto.
Sei un
ufficiale…
“Ti
odio!”
Sei un
aristocratico…
“Ti
odio!”
Sei una
donna che veste come un
uomo...
“Ti
odio ancor di più!
Ed odio
anche André, perché ti ama.”
***
“Eccomi
qua. “
Un sole che
spacca i sassi in questa
tarda mattinata di luglio ed io, incaricato di portare un plico
urgentissimo al
mio comandante.
Sempre
urgentissimi questi dannati
plichi e sempre quando lei è di riposo, così mi
tocca cavalcare fin quasi a
Versailles, fino a palazzo Jarjayes.
“Ma
di sicuro, non galoppo! Ahh, no!”
Non
sacrifico il mio posteriore per
le urgenze di questi nobili! Che
ci
potrà mai essere di urgente per questa gente?
Poi,
perché mi lamento? Mi sono
offerto volontario! Tutto pur di non star rinchiuso in quella pulciosa
camerata
con questa soffocante umidità.
- Ahi!
–
“Maledette
pulci!”, penso grattandomi il collo.
Esattamente
quel che intendevo con
“pulciosa camerata”.
Credo sia
ora ch’io faccia una
ramanzina ai miei compagni.
“Sì,
qui ci vuole una di quelle serate in mutandoni
a tirar loro secchiate … La battaglia a
gavettoni, sì!”
Da eroici
soldati che non temono le
bolle di sapone!
La scorsa
estate, Lasalle quasi ci
annegava da quanto lo avevamo preso di mira. Perfino
l’ammollo nella fontana
della piazza gli avevamo fatto.
Un modo per
rinfrescarci e liberarci
dalle croste in modo divertente, eh!
“Maledetti
zozzoni!”, impreco
tra me, smettendo di ridere.
Se non
fosse per me, neanche si
sognerebbero di lavarsi una volta l’anno!
Già
facciamo una vita di merda,
dobbiamo pure far contente pulci e pidocchi?
Però,
a furia di pensar all’ acqua
fresca, mi sta aumentando il caldo, accidenti!
Quasi quasi
… Mi sa che al ritorno mi
tuffo in quel grazioso stagno che ho visto poco fa.
“E
a Parigi ci arrivo quando ci arrivo, caro il mio
“testa di legno” dal plico urgente!”
Eccolo
lì, palazzo Jarjaies.
Bella
catapecchia, non c’è che dire.
“Adesso
capisco com’è che André è
venuto su così
damerino! Così fino, lindo …”
E pensare
che il comandante ci abita
ormai da sola in questo mausoleo.
“Sì,
insomma, senza di lui. Con un bel po’ di personale
di servizio, … ma non con lui …”
- Dispaccio
urgente per il comandante
Oscar François De Jarjayes! - esclamo sulla porta.
La
governante mi squadra da capo a
piedi con aria disgustata.
“Mi
sa che non le vado a genio... Puzzo?”
L’ho
già vista in caserma. André ha
detto che è sua nonna.
“Poverino
…”
-
Madamigella Oscar è rientrata ora
da una cavalcata. La può trovare alle scuderie …
Là dietro ! – e, con un
cipiglio da paura, mi indica il viale che gira attorno alla casa.
“Ah,
così mi tocca anche scarpinare,
madame?…”
Basterebbe
farmi attraversare il bel
salone lustro e fresco che ha alle spalle ed uscire
dall’altro lato.
Vedo le
scuderie fin da qui, proprio
là, attraverso quei bei finestroni spalancati!
Finestre
che sembrano cornici attorno
ad un quadro ricco di colori, ma più bello che quelli degli
imbrattatele di
Notre Dame.
Ci
fronteggiamo senza parlare.
“No?
Vecchiaccia malefica …”
Dovrò
dirlo ad André: con sua nonna
non posso andare d’accordo.
Mi
rassegno.
“Che
altro posso fare? La vecchia non cede proprio.”
Certo che
è proprio bello qui.
Sembra il
giardino dell’Eden, quello di
cui un prete mi ha raccontato da piccolo.
“
Chissà che faccia ha il serpente?”
Fontane,
piante altissime, cespugli
fioriti e … rose! Tantissime rose …
“Ecco!
Rose! Rose è il profumo che ti sento addosso, ma
che non nasconde il tuo di femmina, comandante…”
Ti vedo,
appena fuori delle scuderie.
Ti stai
gettando acqua sul capo,
china sotto la pompa del pozzo la cui leva tiri su e giù;
bagni tutti i capelli
e la camicia.
Te ne
freghi se ti stai inzuppando
tutta.
“Sei
tutta sudata? Giusto, sei appena tornata da una
bella cavalcata…”
Per la
prima volta ti vedo vestita
coi tuoi abiti civili.
Pantaloni,
camicia e nient’altro.
Deglutisco
all’immagine che ho
davanti e la mia boccaccia si secca al pensiero delle parole oscene che
si
affacciano sulla punta della lingua e che trattengo con fatica.
Capisco
finalmente tutte le paturnie
del mio amico, i suoi sospiri, la sua aria di perenne sofferenza.
“Come
ha potuto starti accanto in tutti questi anni e non
… toccarti? Sì, toccarti, non vado oltre
… Già, André?”
Mi guardo
intorno. Mi domando dove
sia.
Era tornato
a casa con te e mi sembra
strano non ti stia appresso come il solito cagnolino scodinzolante che
spera tu
ti decida a tirargli l’osso.
Intanto ti
tiri su dritta, strizzi la
chioma fra le mani, la agiti come la criniera di un cavallo che non
vuole
essere domato.
E
l’acqua in eccesso scivola giù, fra
le tue scapole, lungo la tua spina dorsale, trasformando la camicia in
un velo
trasparente che aderisce alla tua schiena come una seconda pelle.
Corre
più giù, infradiciando i
pantaloni che diventano scuri man mano che si inzuppano, come se
un’ombra impudica
ti stesse carezzando i fianchi; e
poi, ancora giù, su quelle natiche incredibilmente sode e
tonde per una che
vuol farsi passare per un uomo.
Il mio
sguardo segue il rivolo, il
mio capo segue lo sguardo e si inclina; e mentre lo faccio, dalle
labbra
scivola un sospiro di pura adorazione per quel che sto guardando.
Ed il mio
amico dei piani bassi, più
maleducato di quanto sia io, si permette pure di alzare la testa.
- Alain,
che ci fai qui? – esclami
all’improvviso voltandoti verso di me.
E noto che
il sentiero d’acqua si è
fatto strada anche fra i tuoi seni, liberi da costrizioni e decisamente
femminili.
“Cielo,
se questa è la tortura cui hai sottoposto André
per tutti questi anni, capisco perché sia pazzo! “
Svelto
porto il plico in posizione
difensiva per nascondere la sfacciataggine del mio “piccolo
Alain”, a dir la
verità ormai non più così piccolo, e
scatto sull’attenti.
- Plico
urgente dal comando, signore!
– esclamo.
Allunghi la
mano affinché ti possa
porgere la causa della mia presenza qui.
Devo
privarmi del mio scudo.
Così
ricorro alla mia solita
strafottenza per distrarti.
- Cavolo,
comandante, avete proprio
una bella bicocca qui! – esclamo rompendo l’attenti
senza permesso per potermi
voltare, fingere di
ammirare il parco,
allungarti l’involto e sostituirlo col berretto. (*)
Ti guardo
con la coda dell’occhio,
pronto alla sfuriata aristocraticamente composta che normalmente mi
rifileresti.
Ma non
stavolta. Non batti ciglio,
ora.
Mi guardi
con aria sospettosa,
prendendo il plico lentamente, mentre io tardo a lasciartelo.
Poi me lo
strappi di mano con un
gesto secco; inizi a passeggiare avanti ed indietro, aprendo i sigilli
in
ceralacca.
Cominci a
sfogliare il carteggio,
leggendo concentrata mentre anch’ io mi concentro, ma su
qualcosa di deprimente
per riportare nei ranghi il mio amichetto.
-
Mah!… Non capisco perché ti abbiano
mandato qui d’urgenza. Queste cose potevano tranquillamente
aspettare lunedì… -
dici seccata.
“Ecco,
esattamente quel che pensavo! Nobili perditempo!”
Ripieghi i
fogli e mi guardi.
Uno dei
tuoi sguardi che non riesco
ad interpretare; quando mi guardi ma non mi vedi, quando sembra tu stia
guardandomi attraverso, guardando
qualcosa oltre me.
“Non
ti odio più, comandante… Ho capito che sei
diversa
dai soliti nobili, dalle stupide sanguisughe.
Però… però mi fai ancora un sacco
di rabbia quando usi il tuo sguardo altero, affilato come fai
ora.”
Sorridi.
- Bene,
Alain … Visto che sei venuto
sin qui, non ti manderò indietro a mani vuote. Aiutami ad
accudire il cavallo.
Poi entreremo e ti scriverò due righe di risposta.
Mi fai un
cenno del capo per ordinarmi
di seguirti.
Io lo
faccio, ma penso ancora dove si
può essere cacciato André, anche
perché toccherebbe a lui questa incombenza.
Però non riesco a chiedertelo direttamente… Sono
troppo impegnato a seguire
l’andatura dei tuoi fianchi!
Ti avvicini
al tuo cavallo ancora
sellato, fermo e tranquillo nella sua stalla. Gli carezzi il muso,
sussurrando
qualcosa di impercettibile, incomprensibile, con un tono suadente,
sorridendogli e mi guardi con la coda dell’occhio.
Mi avvicino
per fare quel che mi hai
chiesto, pulendo via il sudore che mi gocciola sulla fronte. Grondo
come se
qualcuno mi stesse strizzando un panno fradicio sul capo.
“Fa
maledettamente caldo in questa stalla oppure è una
mia impressione?”
Rimetto il
berretto sul capo e mi
chino a slacciare il sottopancia.
Tu ti fai
vicina, carezzando il collo
sudato della bella bestia.
Così
mi ritrovo i tuoi fianchi a
livello degli occhi e …
“Son
rovinato!”, penso mentre
spalanco la bocca e lo stecchino, che tengo sempre all’angolo
delle labbra,
casca a terra.
Ormai
neanche pensare a “testa di
legno” o al rancio della caserma può deprimermi
dalla visione della tua mano
affilata che scorre sui tuoi pendii, lisciando il tessuto dei
pantaloni, già
fin troppo liscio sulla tua pelle tesa.
E prego, “Andrè
vieni a salvarmi!”
“Dove
accidenti sei, Andrè? Qui la cosa si fa strana!
Maledizione! Non sono un santo come te!”
No, io non
ho tutta la forza
necessaria per resistere a questa tentazione ed al suo profumo, troppo
vicino,
troppo intenso.
Il dorso
della tua mano mi sfiora la
guancia, una carezza morbida, morbida e …
“Sono
perduto!”
Mi alzo
percorrendo con lo sguardo
quel magnifico corpo, reso nudo dalla trasparenza del tessuto zuppo.
Risalgo
centimetro dopo centimetro,
fino al tuo sguardo trionfante, al tuo sorriso vincitore.
“Comandante,
stai giocando col fuoco…Non sono il tipo che
dice no.”
Avvicini il
tuo viso al mio. Io il
mio al tuo.
Ci alitiamo
reciprocamente sulle
labbra ed io mi sento intontito, annebbiato, mentre accade
l’inevitabile.
Un istante
solo e siamo già lanciati
al galoppo in questo dirupo.
Le nostre
lingue attorcigliate, tu
appesa al mio collo, le mie mani strette sulle tue natiche.
Trovo
insano questo piacere che provo
nello sfilarti gli stivali e questi abiti maschili, ma sono inebriato
dal tuo
inconfondibile odore.
“Lo
ammetto … Una sottana, in questi frangenti, è
cosa
decisamente più pratica, ma non mi abbatto per queste
piccole difficoltà!”
Comincio a
divorarti, scendendo lungo
il collo, nello scollo della camicia che apro velocemente e
violentemente,
mentre le tue mani impartiscono ordini alla mia nuca.
Ordini ai
quali non oppongo
resistenza, perché mi spingi sui tuoi seni.
E mentre ti
bacio, lecco, mordicchio,
annuso, penso a come tu possa solo pensare di immaginarti uomo con una
pelle
così!
“Che
profumo …”
Rose,
sì, e poi … Che sapore è,
questo nella tua bocca? Lamponi? Sì, dolci, succosi
… rossi, come i tuoi
capezzoli!
“Devo
farlo!”
Devo
tuffarmi lì, nell’epicentro del
terremoto che scateni in me.
E, di
nuovo, odorarti, baciarti,
divorarti …
Un lamento
da te…Un lamento che è
orgoglio per me che ne sono la causa!
“
Te l’ho già detto, comandante … Non
sono uno che dice
di no.”
E sarebbe
comunque tardi .
“Sono
alle tue porte … Sto bussando, Madame.”
E tu mi fai
entrare, senza indugio.
Ti aggrappi
ad un trave, dove sono
riposte le selle, per tirarti su, per avvinghiare le tue gambe nude ai
miei
fianchi.
Ti strappo
via da questa scomoda
posizione.
Ti sdraio
sul tavolaccio, dove André
lucida e ripara i finimenti. Lo faccio senza disgiungere i nostri
corpi, non
voglio lasciarti andare...
Sono ospite
benvenuto dentro di te.
- Devi
farti la barba – mi rimproveri
e ridi, quando ti bacio.
Mi fissi
coi tuoi occhi mozzafiato
che mi fanno avvampare.
Ed io penso
come sia possibile non
vedere quanto sei donna!
“Sei
la femmina più femmina con la quale sia mai stato!”
Mentre lo
penso non ci credo!
“Io
STO con lei!”
Lei, il mio
algido comandante!
Lei, la
donna che pensavo di ghiaccio
e che, invece, si sta rivelando un vulcano di incandescente passione!
“Certo
che sei proprio una aristocratica! Anche tu, ti
diverti a fottere i poveracci come me …”
Sì,
sì! A fottere! Perché è
così,
ormai: sono fottuto, in tutti i sensi! Sono fregato irrimediabilmente!
Guardo il
blu dei tuoi occhi e penso
che null’altro potrà mai esistere più
per me, non ora che ti ho saggiata, non
ora che di te sto godendo…
Se esisti,
dio, fammi morire qui,
dentro di lei, perché da domani non avrò
più vita comunque. Fammi spirare sulla
sua pelle di velluto avorio, in questo ventre, nel suo miele caldo che
profuma
di rose e di femmina.
Fammi
morire, perché non potrò vivere
con lei, né senza di lei, ora che è stata mia.
Cosa
potrà mai esistere dopo il suo
bel viso febbricitante per il piacere che ci diamo? Dopo quelle iridi
azzurre e
lucide, quelle labbra dischiuse e turgide; quelle guance rosa, accese
di
passione e da neanche un filo di vergogna?
Mi levi il
berretto, lo lanci
lontano.
Infili le
dita tra i miei capelli e
mi forzi ancora sulle tue labbra mentre sussurri cosa vuoi al mio
orecchio.
Ed io lo
faccio.
“Oh,
sì … Faccio
tutto quello che vuoi!”
Cavalchi i
miei fianchi come volessi
strizzarmi dentro di te; poi la tua mano si insinua tra di noi, mi
stringi lì e
mi quieto un poco.
“Neppure
io voglio finire subito. Vorrei finisse mai!”
La tua mano
libera carezza il mio
avambraccio con tenerezza, come non ti credevo capace.
Io allungo
la mia sul tuo ventre, sul
tuo cuore.
Simultaneamente
ci avviciniamo: mi
chino, ti sollevi, ci baciamo piano, quasi fossimo innamorati.
“Beh,
io lo sono…”
Dio
… Come baci bene!
Talmente
bene che quasi dimentico di
essere in te e ti sdraio per meglio assaporarti, come fossimo due
ragazzini che
amoreggiano contro portone di casa.
Ma, il
“piccolo Alain” si fa sentire!
E, mentre
le spinte si fanno
frequenti e violente mi sollevo a guardarti.
Mi sorridi
sicura di te, trionfante
su di me, prossima all’estasi ed io …
io…
-
Maledizione! … L’ho fatto ancora!
Mugugno
quando mi accorgo di essermi
bagnato, qui nella mia branda.
“Poppante!”
Sembro uno
stupido ragazzino
foruncoloso alle prese con la sua prima cotta e fregole connesse!
“Imbecille
… Nient’altro che un imbecille,
sono…”
Giro il
viso dall’altro lato, sul
cuscino e …
“Ohh!
… Ecco dov’era André!”
Sei
lì, in piedi, accanto alla
cuccetta.
Mi guardi
come Polifemo guardava
Ulisse, ma non dici niente.
Non serve.
Il tuo è uno sguardo di
totale condanna.
“Già,
André … Chi è questo Nessuno che si
dice tuo amico,
ma sogna di lei?”
- Eddai
… André, non lo faccio
apposta!… Son solo un uomo … Succede. - mi
difendo in un bisbiglio che pare
assordante alla mia anima sporca, in questa camerata addormentata e
comunque
piena di rumori fastidiosi.
“Ok,
succede”,
penso. “Non dovrebbe però succedere
concupendo lei che è la
tua donna.
Ma davvero … Non lo faccio apposta! Non sono un
santo come te.”
Continui a
guardarmi, muto.
Non sono
capace di convincere nemmeno
me stesso ed André è maledettamente bravo a farmi
sentire in colpa.
“Non
lo farei mai … Lo sai.
Sul serio, no…”
…
Ma nei sogni…
Il mio
migliore amico mi fissa
malamente, poi, rassegnato, torna a sdraiarsi nella branda sotto la mia.
Nessuno di
noi due dorme.
“Lui
sempre a pensare al suo solito problema, che rischia
di diventare anche il mio.”
E mentre
fisso le ragnatele sul
soffitto marcio della baracca, in questa notte soffocante, tra pulci e
zanzare,
penso a quel maledetto profumo di donna che ci sta mettendo
l’uno contro
l’altro.
***
14 luglio
1789
Fa
dannatamente caldo. Quel caldo che
dà alla testa. Che fa fare cose assurde. Che trasforma gli
esseri umani in
belve.
E Dio lo
sa, se oggi non è stata
pazzia!
Mi guardo i
palmi delle mani dalle
quali non ho ancora lavato via il tuo sangue.
Le porto a
coppa sul mio viso, pochi
centimetri dalla mia pelle, mentre un respiro profondo si confonde con
un
singhiozzo.
“Perdonami
…”
Perdonami,
sì, perché
lo sento ancora!
Anche
adesso …
Anche qui,
stasera, questa afosa sera
in questo sagrato pieno di cadaveri che iniziano a emanare fetore, su
queste
mani che ti hanno sdraiata su quella coperta lercia, in quel vicolo
puzzolente;
coperta di sangue, sudore e polvere da sparo… Lo stesso
puzzo che immagino
possa avere l’inferno.
“Io
… lo sento!”
Quel tuo
profumo di donna, mescolato
al suo dell’altra notte.
“L’odore
del vostro amore … “
Lo so
…
“Sono
un depravato … Perdonami, comandante. “
Inalo con
forza, ricacciando indietro
un altro singhiozzo, ma senza più poter fermare il mio
pianto.
“Il
tuo odore … e quel tuo profumo di rose, di sole,
d’estate, di un sogno rimasto tale, mescolati al sapore delle
mie lacrime.
…
Un profumo di donna che ricorderò sempre, ma ormai solo
piangendo… “
-
fine
(*)
l'elemento
"berretto" è già stato usato da Leia 345 nella
sua divertentissima
fic "Il testimone", lacrimo ogni volta che la leggo!
PS
per le immagini, ok, forse
ora si vedono ma le ho compresse (se le ingrandite si sgranano). In
questo sito
invece sono più nitide (e ne ho messe altre non collegate
alla storia):
http://crissi123.deviantart.com/
http://fav.me/d46fbw4
http://fav.me/d46fcrf
Intanto,
grazie a chi ha già
letto e commentato : )))