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Autore: Mizar19    14/08/2011    4 recensioni
[Storia partecipante all'iniziativa Il triangolo no di Calypso, Veive e Mizar19]
[Questa fanfiction ha vinto l'Oscar per i migliori dialoghi al contest La notte degli Oscar indetto da Writers Arena Rewind]
Nella calda città universitaria di Salamanca si sta consumando un piccolo dramma esistenziale: Rocio Nicanor viene cacciata di casa dalla fidanzata, la lunatica e caliente Casild Romero. Disperata, corre a rifugiarsi dal migliore amico, nonchè futuro fidanzato di sua sorella, Teodoro, e il suo eccentrico coinquilino omosessuale, Basilio. I due ragazzi tenteranno di consolare la ragazza con metodi decisamente particolari.
[...]«Oh Dio, non ti posso guardare quando fai così.»
«Pensa a quello strap-on che nascondete nell’armadio», mi rimbeccò Basilio con aria ammiccante e per nulla astiosa.
«Perché mai tu avresti frugato nel nostro armadio?!», esclamai avvampando e arretrando con la sedia. Era davvero troppo imbarazzante.
«In realtà cercavo quel grazioso foulard lilla di Casild, ha sempre una fragranza così fresca e femminile... diciamo che mi serviva per fare colpo, insomma, dovevo incontrare...»
«Basilio!...»
[...]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Storia partecipante all’iniziativa Il triangolo no di Calypso, Veive e Mizar19.

 
Prompt di Veive: “Mi passi il dopobarba?”
Prompt di Calypso: virilità


[Ed è quando vedi quali prompt ti danno le tue migliori amiche che capisci che sono delle stronze <3]

*

Questa storia ha partecipato all'iniziativa La notte degli Oscar indetta su Writers Arena Rewind e ha vinto l'Oscar per i migliori dialoghi!



*

Titolo: Lunatica e caliente
Genere: Commedia, Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Femslash
Fandom: Originale
Personaggi: Rocio Nicanor, Teodoro Gutiérrez, Basilio Alcaraz, Casild Romero, Mireya Nicanor


*
 
 

LUNATICA E CALIENTE



«Mi passi il dopobarba?».
«Prego?», domandai perplessa. Detestavo essere interrotta, soprattutto durante le mie lamentose filippiche contro la mia ragazza. La persona più lunatica e adorabile di Salamanca e dell’intera, caliente Spagna, Casild Romero.
«Hai sentito benissimo, passami il dopobarba», insistette lui osservandosi la rasatura appena ultimata molto da vicino nello specchio, con l’ausilio dei faretti accesi nonostante fossero le quattro del pomeriggio e di luce non ci fosse affatto carenza.
Mi alzai sbuffando dal water su cui mi ero seduta a gambe incrociate per tediarlo con la mia tirata nevrastenica. Il fatto che lui fosse troppo preso dalla sua barba per ascoltarmi manco mi importava: dovevo solo esternare tutta una serie di paranoie e turbe interiori che mi stavano rendendo impossibile digerire il pesce che avevo mangiato per pranzo.
Allungai una mano verso lo scaffale stipato di prodotti per il bagno. Aveva più prodotti di bellezza lui che il suo coinquilino Basilio Alcaraz. Talvolta mi assaliva il dubbio che fosse lui l’omosessuale fra i due.
«È questo?», gli domandai afferrando un barattolo che potenzialmente avrebbe potuto essere ciò che lui mi stava chiedendo.
«Sei così lesbica da non saper riconoscere del dopobarba, Rocio?», mi domandò ridacchiando. Gli tirai addosso il barattolo urlandogli quanto fosse insensibile e superficiale, il solito maschio cretino con il cervello pieno di testosterone.
«Ehi, ehi! Frena! Io non sono...».
«Sì, invece! Devi uscire con Mireya e allora non capisci più un cazzo! Casild mi ha sbattuta fuori casa, okay? E tu pensi solo a quella... quella... a mia sorella!», sbraitai puntandogli contro un dito accusatore. «Sono arrivata qua, sull’orlo delle lacrime, con un valigia semivuota che neanche la peggiore caricatura della stronza cornificatrice! Io non ho fatto nulla! Però mi vedo sbattere fuori casa e allora vado da Teodoro, il mio migliore amico e lui cosa? Mi ignora bellamente perché le tette di mia sorella gli hanno soffocato il cervello!».
«Rocio, calmati. Io ti stavo ascoltando, volevo solo sdrammatizzare. Lo sai cosa penso: Casild cambia idea più in fretta di quanto Basilio cambi compagno di letto...», tentò di avvicinarmi Teodoro, come fossi una bestia feroce appena sfuggita alla cattività.
«Pensi che non conosca Casild? Viviamo insieme da tre anni, e siamo fidanzate da sei!», ringhiai facendo scattare le mascelle.
«Certo che lo so, cretina! Noi siamo migliori amici da vent’anni e dunque posso dire di conoscere anch’io Casild e la vostra politica interna. Si calmerà, Rocio. Quanto scommettiamo che Casild nel giro di... diciamo due, tre ore si presenterà alla porta del mio appartamento con il visino piagnucoloso e il moccolo al naso, supplicando il tuo perdono?», mi provocò lui per tirare fuori la Rocio combattiva e decisa, non quella sottospecie di organismo isterico e sociopatico che ero in quel momento. Raccolsi la sua sfida, come avrei normalmente fatto. A causa di alcune di queste scommesse perse avevo dovuto fare cose assurde e vergognose, come offrire crocchette di pesce per gatti ai passanti, oppure entrare in un bar, arraffare tutte le bustine di zucchero con una manata, dunque uscire per poi rientrare con una sola bustina, affermando che quella non mi era servita.
«Va bene, accetto! Qual è la posta in gioco, Teo?», domandai risoluta, stritolandogli le nocche.
«Se vinci tu, io esco sul balcone in mutande e mi metto ad urlare che sono finocchio. Ma se vinco io, sarai tu a stare in biancheria intima sul balcone annunciando la tua eterosessualità!»
«Strepitoso, Teodoro, prepara la bandiera arcobaleno perché Casild non verrà», ghignai amaramente riaccompagnandolo nel bagno, dove avrebbe dovuto finire di prepararsi per l’appuntamento con mia sorella Mireya.
«Io però non ho ben capito cosa diamine è successo: hai sbraitato mezz’ora, ma Casild perché ti ha cacciata di casa?», domandò Teodoro applicandosi il dopobarba sulla rasatura fresca. Osservava compiaciuto la sua bellezza latino nello specchio. Era proprio un pavone vanaglorioso, ma gli volevo bene.
«Ti ricordi quella ragazzina a cui dovevo dare ripetizioni di matematica?»
«La liceale?»
«Sì, esatto. Si è messa in testa che io abbia una relazione clandestina di punto in bianco!», sbuffai agitando le braccia come goffe ali inservibili, stupide appendici.
«Sembri uno pterodattilo, Rocio, lasciatelo dire», ci tenne immediatamente a sottolineare il mio migliore amico, che aveva sempre una parola buona per tutto e tutti.
«Grazie, Teodoro, tu invece mi sembri Basilio nei suoi momenti migliori», lo informai, piazzandolo di fronte alla verità: la cura maniacale con cui stava si stava dedicando al suo aspetto spaventava persino me.
Si sa che a parlar del diavolo spuntano le corna.
«Cucciolo, sono tornato!», trillò una voce dall’ingresso, che portava l’inconfondibile timbro e stile di Basilio Alcaraz, coinquilino nonché migliore amico di Teodoro.
«Baz, siamo in bagno!», lo chiamò il ragazzo facendo sbucare la testa dalla porta della stanza.
«Siamo?», chiese perplesso. Udii i suoi passi avvicinarsi con calma, non pareva troppo sorpreso di sapere che qualcuno occupava il bagno assieme al suo coinquilino.
«Io e Rocio.»
«Rocio Nicanor, tesoro!», gioì Basilio facendo il suo ingresso con un gran sorriso e un passo di danza. A dispetto dei modi tremendamente effeminati, Basilio non ricopriva il ruolo della checca passiva, anzi. Era molto più virile lui di tanti maschioni che avevo avuto la sfortuna di conoscere.
«Ehi, Baz, tutto bene?», domandai abbracciandolo. Prestai attenzione a non sgualcire il colletto della camicia a maniche corte che indossava a dispetto dei quarantatre gradi che affliggevano Salamanca.
«Certo, tesoro, piuttosto dimmi di te, hai il faccino sbattuto», miagolò sedendosi sullo sgabello di fronte a me, lisciando immediatamente i bermuda bianchi lungo le cosce.
«Casild mi ha cacciata di casa», annunciai per la seconda volta nel giro di un’ora.
«Piccola, lo sai che Casild è soggetta a sbalzi d’umore piuttosto forti. Sono sicura che tornerà implorando il tuo perdono nel giro di qualche ora!». Ed ecco che per la seconda volta qualcuno contraddiceva le mie aspettative. Casild non sarebbe tornata, non questa volta. Sospirai mentre una grossa mano mi spingeva sullo stomaco, impedendomi sì di scoppiare a piangere, ma togliendomi il fiato quasi dolorosamente. Io rivolevo la mia Casild, non poteva lasciarmi così, nemmeno per uno dei suoi sbalzi d’umore.
«Rocio, hai sentito Baz. Prepara un intimo piacente da sfoggiare per i vicini di casa!», rise Teodoro pettinandosi i capelli con cura maniacale, quasi arasse quel campo corvino che ricopriva la sua calotta cranica.
«Teodoro, non esagerare con il dopobarba, lo sento fino a qua», lo ammonì Basilio storcendo il naso. Dopo che il ragazzo fece notare l’odore pungente, anche le mie narici lo distinsero e lo isolarono. Dovetti concordare con lui.
«Alle ragazze piace l’odore di maschio», mormorò con un tono di voce che a suo dire avrebbe dovuto essere sensuale.
«Non a tutte...», gli ricordai per l’ilarità di Basilio.
«Ah già, scusa, tu preferisci l’odore di femmina.»
«Puoi dirlo forte! E non assumere quel tono: so benissimo quanto piaccia anche a te!», lo redarguii prima che potesse proferir parola. Teodoro era sempre stato il belloccio, il rubacuori della situazione, attorniato da una festa di ragazze urlanti pronte a servigli la propria virtù su un piatto d’argento, senza nemmeno farsi pregare. Sarà il fascino ispanico – folti capelli castani, penetranti occhi scuri, lineamenti marcati – o il fisico allenato, ma Teodoro ha e continua ad avere il codazzo di arrapati esemplari di sesso femminile che venderebbero la madre per un pezzo dei suoi addominali.
«Io mi permetto di dissentire», bisbigliò Basilio, alzando appena un dito, come a ricordarci che anche lui era presente.
«Ma perché diamine siamo scaduti a questo livello?! Stavo parlando di cose serie!», strepitai all’improvviso: non avevo terminato la mia filippica.
«Casild», ricordò Basilio.
«Casild!», esclamai disperata. «Io la amo e lei lo sa benissimo, eppure riesce a pensare che io abbia una tresca con una grassoccia e inopportuna liceale appena maggiorenne, con più culo che anima e così tanti brufoli che se fossi sua madre l’avrei già spedita all’Area 51 per farla studiare da un team di scienziati! Casild ha davvero esagerato questa volta. Sono tornata a casa e lei mi aspettava tipo inquisitore, sguardo tetro e accusatorio, una borsa piena della mia roba ai suoi piedi. E ha anche avuto il coraggio di piangere! Mi ha urlato che sono una stronza, una traditrice, le ho spezzato il cuore e frantumato l’autostima. Ha sbattuto fuori casa me, quattro miei stracci e il mio senso di colpa, cacciati a pedate come randagi!», mi sfogai per bene, trattenendomi dal colpire il muro con le nocche solo perché non avrei avuto la forza di medicarmi.
«Amore, ora tu ti calmi. Vieni, ti faccio una tisana», sentenziò Basilio alzandosi e porgendomi una mano dalla pelle liscia come seta.
«Non voglio la tisana», misi il broncio incrociando le braccia. Non volevo uno stupido liquido puzzolente  dal vago sapore esotico. Io volevo Casild.
Ad essere sinceri, ero combattuta tra il desiderio di tornare strisciando da lei come un serpente vergognoso implorando a suon di miagolii il suo eterno perdono, oppure sventrare la porta di casa nostra come un grizzly e sbudellarla sul nostro elegante tappeto panna nell’ingresso.
Era così stupida da credere che io, Rocio Nicanor, venticinque anni, laureanda in lettere antiche all’Università di Salamanca, potessi realmente provare attrazione per una svogliata studentessa, pigra e lazzarona?
«Smettila di frignare e siediti a tavola», mi ordinò Basilio con un tono che non ammetteva repliche né compromessi.
«Detesto quando fai l’autoritario.»
«Ed io quando dici stupide cose e piagnucoli come una lepre nella tagliola.»
«Ma io voglio Casild!», mi lamentai per l’ennesima volta, incrociando le braccia sul tavolo e affondandovi il volto. Sentivo i lucciconi affastellarsi lungo la palpebra inferiore.
«Rocio, non piangere», me lo proibì con un tono così serio e austero che immediatamente mi si prosciugarono i bulbi oculari, come fosse stato un placebo emotivo.
Osservai Basilio trafficare con bollitore e infusi in un silenzio religioso così esasperato che per un istante la coda del mio occhio captò il tremolare delle fiammelle dei ceri votivi e le ombre scure di barocchi lampadari profumati d’incenso. Un sogno erotico tremendamente perverso e vergognoso che mi tormentava era fare l’amore in qualche luogo sacro, forse per conferirgli un tocco di passione personale e amore carnale. Sarebbe stato interessante.
«Bevi». Basilio mi sbatté di fronte al naso una tazza bianca decorata da un giunonico paio di tette rosee disegnate nello stile di un cartone animato. Le tazze di Teodoro erano molto simili, e molto scontate.
«Portare una tazza del genere alla bocca non può che farmi stare meglio. Anche se, lo ammetto, ho immediatamente pensato al seno di Casild, il suo lentigginoso seno abbronzato...», il mio tono s’incrinò in un tono malinconico e tendente al disperato. Basilio se ne accorse immediatamente, infatti mi sollecitò a ingurgitare la tisana rilassante. Dal bagno, provenivano i gorgheggi di Teodoro, che non si risparmiava nemmeno una canzone del suo repertorio inglese al momento della rasatura, che poteva durare dai cinque ai venti minuti a seconda dell’umore canterino.
«Come ti pare?»
«È deliziosa, Baz, ma io voglio la mia fidanzata. Basilio, secondo te, lei si considera ancora la mia compagna? Lo sai che quando mi preparava i biscotti al limone si sporcava sempre il naso con la farina? È la creatura più dolce del mondo... o era? Baz, secondo te...»
«Alt!», esclamò risoluto il ragazzo mostrandomi repentinamente il palmo della mano, posto all’altezza del mio viso: un vigile urbano in versione Village People.
«...and he’s watching us all in the eye... of the tiger!»
«Anche Casild canta bene...», mormorai sovrappensiero, rimproverata dallo sguardo di Basilio.
«Parliamo di cose serie e produttive, tesoro mio», incalzò Basilio.
Lo osservai un po’ stupita e un po’ curiosa. Cosa poteva esserci di più serio e produttivo che desiderare la mia compagna, nella speranza che suonasse il citofono di casa Gutiérrez?
«Del tipo?»
«Del tipo che ora studiamo un piano affinché tu possa tornartene immediatamente a casa. Noi sappiamo che al momento Casild sarà in lacrime con il cuore a pezzi, molto occupata a fracassare qualche stoviglia. Sappiamo anche, però, che è estremamente emotiva e volubile: una tua apparizione potrebbe rivelarsi opportuna e risolutrice.»
«Oppure un’ammissione di colpa con annesso disagio psicologico, dunque otterrei l’effetto opposto» gli feci notare.
«È proprio questo il punto, Rocio! Dobbiamo metterti in condizione di apparire come la salvatrice miracolosa!», il suo tono non poteva significare altro che sei davvero ottusa!
«Illuminami, Baz», incrociai le braccia. Non sapevo se mostrarmi scettica o emozionata e follemente innamorata. Forse una combinazione di entrambe.
«Anzitutto ti lavi la faccia e assumi un’espressione a metà tra il contrito e l’adorante. Dopo studiamo una combinazione di abbigliamento e frasi sdolcinate per farti riammettere al vostro nido d’amore», stabilì entusiasta, applaudendo con il classico entusiasmo effeminato che viene così bene ai finocchi.
«Oh Dio, non ti posso guardare quando fai così.»
«Pensa a quello strap-on che nascondete nell’armadio», mi rimbeccò Basilio con aria ammiccante e per nulla astiosa.
«Perché mai tu avresti frugato nel nostro armadio?!», esclamai avvampando e arretrando con la sedia. Era davvero troppo imbarazzante.
«In realtà cercavo quel grazioso foulard lilla di Casild, ha sempre una fragranza così fresca e femminile... diciamo che mi serviva per fare colpo, insomma, dovevo incontrare...»
«Basilio!...», lo rimproverai. Si stava perdendo in digressioni nelle quali non desideravo affatto addentrarmi.
«Oh sì, scusa. Dicevo, ero molto impegnato a cercare quello squisito foulard che però non voleva davvero farsi trovare. Così ho frugato in ogni cassetto e nell’intero armadio. È stato così che ho trovato quella bella scatolina di cartone pitturata di blu con su scritto “DVD”. È una scusa vecchia, Rocio, dovreste essere più fantasiose!»
Avvampai irrigidendomi.
«Dunque intuendo cos’era in realtà quella scatola pessimamente mascherata hai pensato che fosse necessario aprirla?!»
«Sì», rispose con sguardo angelico e voce modulata su frequenze tali da far venire il diabete al miele.
«Perché dietro i tuoi dolcissimi occhi scuri leggo che una scatola del genere non è solamente una nostra prerogativa?»
«Sulla mia c’è scritto “guanti” ed è rossa e gialla. Non che ci sia dentro niente di speciale: lubrificante, preservativi...»
«Be’ anche noi avevamo del lubrificante...», constatai con occhi vacui. Immediatamente la mia memoria era corsa ai momenti in cui esso aveva trovato la sua applicazione migliore.
«Sì, gusto fragola. Il mio è agli agrumi!»
«È inquietante il fatto che tu ricordi il sapore del nostro lubrificante...»
«Ricordo anche la marca dello strap-on!», ridacchiò Basilio sbattendo il palmo della mano sinistra sul tavolo.
«Stiamo oltrepassando la linea del pudore, Baz!», lo avvertii con aria minacciosa.
«Deduco dal tuo imbarazzo che solitamente sei tu ad avere l’onore di indossarlo...», insistette nuovamente il ragazzo seduto di fronte a me. Ringhiai tra i denti il mio disappunto per le sue insinuazioni veritiere. Non mi riempiva di gioia il fatto che lui conoscesse parte degli intimi segreti tra me e Casild: ciò che accade nella camera da letto, lì vi deve restare.
«Ammesso, e non concesso, che ciò sia vero... perché ti interessa tanto?»
«Magari potresti provocarla sessualmente. Insomma, il piacere è un’ottima benda temporanea. Dopo avrai tempo per spiegarle che quella pivellina altro non era che la tua gallina dalle uova d’oro», spiegò Basilio con scientifico interesse.
«Ma tu sei davvero omosessuale?»
«Sì, tesoro, mi piacciono i peni. Possibilmente se i loro proprietari sono aitanti ragazzi della mia età circa con una notevole forma fisica e l’aria da cuccioli sperduti.»
«Il tuo interesse morboso per la mia vita privata mi fa sorgere involontariamente dei dubbi: solitamente sono alcuni etero che non aspettano altro che due ragazze si palpeggino e si bacino, per non dire altro...», Basilio non poté non convenire con me sull’affermazione, ma fu interrotto da Teodoro prima che potesse esporre la sua saggia considerazione.
«È così ovvio, Rocio: ad un ragazzo piace l’armonioso corpo femminile e solitamente dispone di uno solo. Immagina ora due ragazze da poter osservare in atteggiamenti intimi: il corpo femminile è così bello ed eccitante che averne due sotto gli occhi è come un miraggio, o un miracolo. Suvvia, tu mi capisci!»
Teodoro era uscito dal bagno a petto nudo e calzoni di stoffa blu abbastanza bassi da permetterci di godere della vista dell’elastico dei suoi boxer. Sprizzava virilità da ogni muscolo guizzante del suo ventre.
«Uh, bentornato tra noi, tigrotto», ridacchiò Basilio non senza una certa malizia. Teodoro gli mandò un bacio con aria volutamente ammiccante.
«Basilio, smettila di fare l’arrapato, e tu piantala di fare il finocchio!», m’inalberai prendendomi il capo fra le mani. Non saremmo mai giunti a nulla, già lo sapevo. Quei due inconcludenti avrebbero potuto continuare il loro spettacolino in eterno.
«Rocio, ti ho già detto innumerevoli volte che Casild tornerà piangendo e strisciando da te. Tra circa due ora avrò vinto la mia scommessa, ragazza.»
«Quale scommessa?», intervenne Basilio curioso. Le nostre scommesse erano, appunto, leggendarie.
«Se Casild citofona al nostro appartamento entro due ore, lei dovrà uscire sul balcone in mutande urlando di essere eterosessuale. Viceversa, se la deliziosamente lunatica Romero non si fa vedere, toccherà a me urlare in intimo sul balcone la mia omosessualità», spiegò Teodoro con un sorrisetto compiaciuto.
«Dimentichi la bandiera arcobaleno», gli feci notare puntandogli contro l’indice.
«Oh, giusto! Tanto non uscirà dal cassetto in cui è riposta, Rocio, rassegnati», mi sbeffeggiò sedendosi accanto a Basilio.
Ingurgitai in un solo sorso più di metà della tisana che ormai si stava raffreddando di fronte a me. Aveva un sapore gradevole, selvaggio e intenso.
«Supponiamo dunque che tu abbia ragione: la mia ragazza torna qua con aria pietosa e un calderone di scuse. Cosa dovrei fare? Dargliela vinta come al solito, dicendole che la amo tanto e la perdono, oppure fare la stronza per un po’?»
«Sì, dolcezza, tira fuori gli artigli!», esclamò Basilio fingendo di ruggire e graffiando l’aria della cucina con una manata.
«Io direi che te la puoi anche riprendere immediatamente, so quanto ci tieni a lei, però questa volta devi farle un bel discorso. Non può trattarti così, Rocio.»
«Lo so, Teo, lo so! Il punto è che io ho il terrore folle che in uno di questi suoi sbalzi umorali, la mia lunatica e caliente Casild mi abbandonerà per seguire chissà quale grillo», piagnucolai.
«Tesoro, lei ti ama tanto quanto la ami tu. È irrazionale ciò che dici: può fare tutte le scenate che vuole, ma tornerà sempre», tentò di rassicurarmi Teodoro. Mi aveva appena posato il palmo della mano sul braccio, quando un trillo lo distrasse. Si precipitò sul telefonino pigiando con foga il tasto verde.
«Ciao», esordì con tono miagolante. Non potei far altro che darmi una manata contro la fronte. La mia sorellina Mireya gli aveva appena telefonato e lui si era sciolto come burro sulla piastra.
«Teodoro vuole sempre fare l’uomo virile, ma quando la donna del suo cuore si fa sentire diventa più mieloso di una quindicenne che si masturba pensando a George Clooney e sogna di sposarsi con Johnny Depp», sospirò Basilio mentre io fingevo di ignorarli entrambi. Improvvisamente il fondo della tazza sembrava molto, molto interessante.
«Sentilo come fa le fusa! È così tremendamente passivo...»
«Baz, sto cercando di dare un senso ai frammenti della mia vita. Lasciami sprofondare nell’autocommiserazione», lo pregai soffiando come un gatto arrabbiato, tanto per restare in un ambito felino.
«Cioccolatino, non guardarmi con questi depressi occhi verdi. Casild tornerà, sono assolutamente d’accordo con Teo. Sai, forse non è nemmeno il caso di studiare un piano alternativo: ogni minuto che passa mi convince che lei farà il suo trionfale ingresso in un mare di lacrime.»
«E se non lo fa?»
«Ancora?! Ma la smetti di fare la disfattista? Voi lesbiche siete tutte uguali: depresse e scorbutiche!», s’irritò Basilio incrociando le braccia. Non ero certa se stesse scherzando o se sul serio si era stufato dei miei piagnistei.
«E voi finocchi siete tutti disgustosamente effeminati e... rosa!», ribattei infervorata.
Ci fissammo con astio alcuni istanti, per poi scoppiare a ridere istericamente.
«Scusa Baz...», riuscii ad emettere con voce tremante tra uno spasmo d’ilarità e l’altro.
«Figurati, per tutte le volte che ti ho insultata io...», sghignazzò lui per poi protendersi sul tavolo. Ci abbracciamo con le lacrime agli occhi per l’improvviso scoppio di risa.
«Svergognati, nella mia cucina!», sbraitò Teodoro tentando di imitare l’inquilino del piano di sotto, che aveva da ridire ogni volta che vedeva Basilio saltellare per le scale mano nella mano con il partner di turno.
«Oh sì, io e Rocio siamo fatti l’uno per l’altra. Nevvero, zuccherino?»
«Che ti ha detto mia sorella?», inquisii curiosa.
«Che arriverà in ritardo di dieci minuti perché deve passare prima alla pompa della benzina», rispose Teodoro con aria maliziosa.
«Perché?! Spiegami cosa vedi di osceno in una pompa... Okay, ho capito. Santo cielo, hai lo stesso, squallido senso dell’umorismo di un preadolescente in piena tempesta ormonale!». Teodoro mi rise in faccia, compiaciuto del doppio senso che era riuscito a ricavare dalle parole di mia sorella.
«È per questo che le donne mi amano», sentenziò passandosi una mano tra i capelli castani.
Stavo per mandarlo al diavolo con un tatto fuori dal comune, quando il citofono emise il suo gracidio metallico.
«Citofono!», gracchiai rovesciando la mia tisana per l’agitazione spasmodica di alzarmi e precipitarmi a rispondere.
«Tesoro, rispondo io, mi sembri troppo sotto choc», stabilì Basilio alzandosi, non riuscendo ad evitare di lanciare un’occhiata tetra alla tovaglia che avevo appena macchiato.
I suoi passi si succedettero con una lentezza spossante fino all’apparecchio elettronico che non solo avrebbe deciso le sorti della scommessa, ma anche quelle della mia relazione.
«Sì?», la pacatezza fatta persona. L’avrei strangolato a mani nude. «Certamente, dolcezza, Sali.»
Il mio cuore capitombolò e temetti di cadere dalla sedia. Mi rialzai invece con le ginocchia tremanti, saldamente aggrappata alla tavola.
«È lei, vero?», boccheggiai, le guance già infuocate.
«Precisamente, Rocio. E sta piangendo», aggiunse lanciandomi uno sguardo che non poteva significare altro se non te l’avevo detto! Dimenticai immediatamente la scommessa con Teodoro, nonostante la smorfia beffarda e auto compiaciuta dipinta sul volto, e mi affrettai ad avvicinarmi alla porta. I due coinquilini si tirarono indietro per concederci l’indispensabile spazio per la riservatezza, anche se li immaginavo con l’orecchio teso contro la porta, pronti ad origliare.
Deglutii a fatica: il mio esofago arido pareva rigettare persino la mia saliva.
Socchiusi la porta con circospezione, poi arretrai di tre passi e attesi, e attesi a lungo.
Mi stavo giusto domandando quanto ci volesse per fare tre rampe di scale, quando la porta s’aprì spinta dalla delicata mano di Casild.
Alzò gli occhi chiari, ereditati dalla madre svedese, e arrossati dal pavimento per fissarmi. Rimorso e dispiacere.
Teneva un pugno stretto al petto, l’altra mano contro la porta, le gambe unite strettamente e le spalle curve. I suoi capelli corvini erano spettinati e disordinati, come se avesse corso tra raffiche di vento. L’avevo vista poche volte in uno stato tanto pietoso.
Aprì la bocca come per parlare, poi le parve più opportuno richiuderla. Si strofinò un piede calzante una paperina di stoffa rossa contro il polpaccio dell’altra gamba. Era a disagio. Casild Romero non era mai a disagio. Forse questa volta il suo pentimento e il suo rimorso erano estremamente sinceri.
«Mi rivuoi, Casild?», le domandai con il cuore in gola, gli occhi sbarrati.
Lei respirò a fondo, per poi annuire con forte convinzione. Ripercorsi quei tre passi e la strinsi tra le braccia.
«M-mi d-d-dispiace», balbettò tra le lacrime, bagnandomi la maglietta con il moccio del suo naso.
Non le risposi, non avrei saputo cosa dire. Ci sarebbe stato tempo per il discorso, ora mi importava solamente che lei fosse tornata da me.
Nonostante tutti i suoi difetti, il suo umore altalenante, io la amavo sinceramente.
«Ora asciugati il tuo bel nasino, che mi stai sporcando la maglia», le mormorai all’orecchio. Dalle labbra le sfuggì un singhiozzo misto ad una risatina. L’allontanai da me solo per baciarla.
 
Il giorno stesso, qualche ora dopo, le persone che passarono in Calle de las Varillas rimasero particolarmente turbate dalla sottoscritta che, indossando un reggiseno nero di pizzo e un paio di mutande decorate da un sinuoso drago cinese, strillava agli ignari passanti di essere eterosessuale.
Probabilmente era la più meschina ed infima figura della mia vita, ma sentire Casild ridere crepapelle alle mie spalle era la più grande consolazione. Inoltre sapevo che non sarebbe finita lì, perché dopo la mia performance mi era stata promessa una ricompensa con i controfiocchi, relativa ad una certa scatola nascosta nell’armadio.
Nel frattempo continuavo a gridare ad ogni persona che passava.
«È un bellissimo giorno, e vuole sapere perché?! Sono eterosessuale!».
Una signora di mezza età mi disse di farmi curare. Risi a pieni polmoni.
   
 
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