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Autore: Feel Good Inc    16/08/2011    1 recensioni
La macchina giunse a destinazione ed Aerith portò il piede sul freno così bruscamente che, non fosse stato per la cintura di sicurezza, sarebbe finita sul parabrezza a fare compagnia ai tergicristalli. Tirò il freno a mano e si fiondò fuori senza neppure spegnere il motore, subito imitata da Cloud, con la pistola pronta in pugno già da un pezzo.
Percorsero in fretta lo slargo costeggiato di siepi, e raggiunsero il cortile su cui si affacciava il portone principale dello stabile. Cloud imprecò ad alta voce.
«Merda...»
La sagoma massiccia dell’agente Lexaeus giaceva immobile davanti a loro, e il chiarore della luna inargentava il rosso del suo sangue mescolato all’erba verdissima del giardino da anni abbandonato a se stesso.

* * *
«Entra e fammi vedere.»
«Ma allora avevo ragione.» Axel sogghignò di nuovo, puntando il gomito destro sul davanzale e guardandolo con malizia. «Vuoi
davvero giocare al dottore.»
Roxas si sentì arrossire. «Sei proprio un idiota.»
«Grazie, bimbo, anche tu non sei male.»
Si tirò su ed entrò dalla finestra. Una volta posati i piedi a terra, si guardò intorno ostentando indifferenza – ma Roxas notò che il suo viso era decisamente pallido. Lasciò scivolare il cappotto sul pavimento.
Un tonfo metallico.
Roxas guardò interrogativamente prima il viso impassibile di Axel, poi il punto in cui l’indumento aveva toccato terra. Da una tasca sbucavano pochi centimetri di qualcosa di lucido e scuro.
La canna di una pistola.

* * *
Quando un adolescente in fuga dalla legge si nasconde in un condominio in cui vive un ragazzino che si ostina a fuggire dal suo passato, e quando le loro storie s'intrecciano a quella di una ragazza che torna da un posto che è lontano in tutti i sensi, ci si accorge che qualche volta bene e male non esistono. Esiste solo il destino.
{ AkuRoku; accenni SoKai, MaruDem, RokuNami, CloudAerith, Sorpresa }
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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L’ultimo ponte

 

 

 

Aveva pensato di essere preparato a tutto, ormai. Aveva creduto di poter affrontare ben più che un ritrovo al parco con i suoi amici. Allora perché le parole di Hayner gli davano quell’odiosa sensazione di... paura?

Il silenzio si protraeva e la mano di Olette esitava ancora, bollente sulla sua spalla improvvisamente fredda. Con un sospiro, Roxas si risolse ad alzare il capo, senza tuttavia sentirsi pronto per la conclusione del discorso.

Prima che potesse anche solo pensare a cosa rispondere, un’ombra calò su di loro.

«Salute, figli dello skate. Posso rapirvi la pecorella smarrita da sotto il naso?»

Roxas fu l’ultimo a voltarsi, trattenendo un gemito. Il tono di Axel non gli piaceva per niente.

Hayner, Olette e Pence, le cui espressioni rilassate tradivano il sollievo di aver potuto superare un’imbarazzante impasse, lo accolsero con allegria.

«Ehi, guardate chi si è rifatto vivo!»

«Axel! Di ritorno tra i comuni mortali?»

«Già» rise lui, «alla fine ho, come dire, chiuso tutti i ponti rimasti aperti.»

Roxas lo fissò attonito, chiedendosi se con quelle parole intendesse rivolgersi proprio a lui. No, meglio non esagerare; non poteva attribuirgli doti come la telepatia, sarebbe stato troppo.

L’altro ricambiò lo sguardo, apparentemente divertito dalla sua confusione. Roxas cercò di darsi un tono.

«Non dovevi andare a trovare qualcuno, oggi?»

Axel si rabbuiò, ma dopo un attimo il suo sguardo tornò scintillante.

«Già fatto. Ci ho messo meno tempo del previsto.» Dimostrando di non voler approfondire l’argomento, superò Olette e andò a posargli pesantemente una mano sulla spalla, tornando a rivolgersi agli altri. «Allora, posso rapirlo o no?»

Roxas si sentì arrossire. Mentre i tre amici gli lanciavano risolini allegri, sperò di non avere uno sguardo troppo preoccupato.

«Ma certo» fece Hayner. «Non c’è problema. A patto che ce lo riporti presto, chiaro.»

«Chiaro» sorrise Axel, trionfante.

No, non gli piaceva proprio per niente.

«Ah, Roxas, un attimo.» Pence s’illuminò di colpo. Cominciò a frugarsi nelle tasche enormi della tuta. «Devo darti una cosa... Solo un secondo, deve essere qui da qualche parte... Sì, eccola!»

Aveva estratto un involto sottile... no, una busta da lettere, e gliela porgeva con un grande sorriso. Confuso, Roxas andò con gli occhi dalla busta nelle sue mani alla sua espressione pacifica.

«Ehm... Che cos’è?»

«Un regalino.» Pence sorrise più apertamente. «Prendila e aprila più tardi, con comodo, va bene?»

Roxas fissò di nuovo la busta. Si sentiva addosso gli sguardi di tutti, mentre l’afferrava con dita incerte. Qualunque fosse il contenuto, era più spesso della normale carta da lettere.

«Va bene» mormorò. «Grazie, Pence

Hayner e Olette si scambiarono un sorriso complice. Roxas sentiva il disagio crescere, come la pressione della mano di Axel.

«Andiamo?» gli ricordò infatti lui.

Annuì sospirando.

 

 

* * *

 

 

«Tenente, devo raccontarle una cosa... strana.»

Tifa Lockhart si allontanò dalla macchina per il caffè. Odiava quell’aggeggio: rimpianse amaramente il caffè che aveva assaggiato al Good Samaritan Hospital, di gran lunga il migliore che avesse avuto modo di bere negli ultimi anni. Si voltò a guardare l’agente che la fissava torcendo le dita in modo convulso.

«Che succede?»

Cloud Strife distolse per un attimo lo sguardo, come per trovare un coraggio al quale avrebbe rinunciato volentieri. Infine la guardò con occhi neutrali e rispose senza inflessioni.

«Questa mattina mi hanno incaricato di scortare in tribunale un uomo, uno che è stato appena scarcerato. Un certo Saïx

«Sì, ne sono al corrente.»

«Quando l’ho lasciato alle altre guardie» proseguì il giovane, sempre monocorde, «Saïx si è voltato a guardarmi e mi ha chiesto di provvedere perché qualcuno presenti “i suoi omaggi” a... a Marluxia

Tifa sentì soltanto il rumore soffocato del bicchiere di plastica che colpiva il pavimento. Sbigottita, si avvicinò a Strife e gli strinse un gomito con improvvisa energia.

«Il nostro Marluxia? Ne sei sicuro?»

Lui annuì. «Più che sicuro, tenente. Non so perché, ma lo so

La donna lo lasciò andare e si premette le mani sulle tempie. Possibile? Un nuovo elemento in quell’assurda catena di legami tra cose, luoghi e persone? Doveva vederci chiaro.

«Grazie per avermi informato, Cloud.» Recuperata la sua efficienza, Tifa Lockhart raccolse il bicchiere e tornò alla macchina del caffè. «Come mi pare di avere già detto, mai sottovalutare un giudizio azzardato.»

 

 

* * *

 

 

«Axel, questa è veramente una stupidaggine!»

«Non si discute.»

«Ma insomma...»

«Sai che sei carino col broncio?»

«Cosa?!»

«Non sbirciare!»

Roxas sibilò qualcosa di incomprensibile, ma obbedì. Aveva le guance rosse rosse e l’aria molto molto scocciata. Axel sorrise. Non aveva detto una bugia.

Aveva cercato dentro di sé il coraggio di raccontargli del viaggetto in autobus fino al carcere, di Marluxia e di ciò che si erano detti; avrebbe davvero voluto dirglielo, ma alla fine aveva deciso che era meglio di no. Roxas aveva già sofferto troppo per la sua famiglia: non sarebbe stato lui a riaprire vecchie ferite. Mai.

Continuò a pilotarlo in silenzio. Il ragazzo camminava a occhi chiusi, la mano saldamente aggrappata al suo braccio. A tratti incespicava nell’erba.

«Mi vuoi dire dove stiamo andando?»

«Ma se ti ho detto che è una sorpresa...»

«Io odio le sorprese.» Roxas sbuffò. «E non so se fidarmi delle tue.»

«Antipatico.»

«Come ti pare.»

«Ecco, siamo arrivati.» Axel si fermò. «Aspettami qui. Non sbirciare, mi raccomando.»

«Dove vai?» Nella vocina di Roxas si affacciò una nota isterica, quando lui si sottrasse alla sua presa. «Dove mi hai portato? Axel

«Stai tranquillo, bimbo. E non sbirciare

Il biondino rimase fermo al suo posto, contrariato. Avrebbe obbedito comunque; si fidava, e lo sapevano entrambi.

Axel lo osservò per un istante. Vederlo là sulle sue gambe, con gli occhi ancora chiusi e i capelli scomposti sulla fronte, gli dava un colpo al cuore e uno allo stomaco. Oggi più del solito.

Si voltò e raggiunse l’unico spettatore di quella scena bizzarra, che lo fissava con aria totalmente stupefatta. Mentre gli si avvicinava, il ragazzo infilò le mani nelle tasche e sentì la filigrana frusciargli tra le dita. L’affitto di Vexen avrebbe dovuto aspettare ancora un po’.

Il parco giochi era evidentemente chiuso, ma lui sapeva che ogni pomeriggio il responsabile arrivava sempre con un po’ di anticipo, sperando che qualche bravo bambino che avesse finito presto i compiti riuscisse a trascinare fin lì la mamma o il papà. Era lo stesso uomo che ora lo osservava imbambolato, e che fece sparire le sopracciglia sotto la visiera del berretto quando si vide sventolare davanti al naso il mucchietto di banconote da cinquanta e da cento.

«Bastano per garantirci un po’ di privacy?» sogghignò Axel.

L’uomo lo squadrò, guardò il denaro, lanciò una rapida occhiata tutt’intorno. Forse temeva di essere vittima di una qualche candid camera. Alla fine però annuì, secco, arraffò le banconote e si allontanò intascandole con disinvoltura.

Soddisfatto, Axel tornò da Roxas.

«Eccoci. Dammi la mano e seguimi... Tieni gli occhi chiusi.»

Il ragazzo sbuffò sonoramente. «Razza di despota.»

Strinse di nuovo la sua manica, rincamminandosi a piccoli passi esitanti dietro di lui.

«Mi sento veramente stupido» bofonchiò.

«Non sarà mica la prima volta.»

«Vai a farti...!»

«Ehi, bimbo, dove diavolo hai imparato queste espressioni così scurrili?»

«Prova un po’ a indovinare!»

Axel rise e lo costrinse gentilmente a fermarsi. «Ci siamo. Ora puoi guardare.»

«Era o...»

Quando poté rivedere il celeste scuro delle sue iridi, non poté fare a meno di chiedersi cosa sarebbe venuto dopo il lampo di stupore.

 

 

* * *

 

 

Il ginocchio gli fa ancora male. Si siede sul bordo del tappeto elastico, dal lato opposto a quello dove sta la mamma: vuole far finta di essere stanco, ma non ha intenzione di far capire a quel cretino di suo fratello che gli prude la sbucciatura – così l’ha chiamata la mamma. Che strana parola, ‘sbucciatura’. Come se la pelle fosse un frutto e il sangue la polpa... Bleah, che schifo!

Però brucia sul serio. È fastidioso. Cercando di non farsi notare da Sora, Roxas solleva la gamba dei pantaloni e studia attentamente la ferita.

«Ti fa male?»

Sobbalza, spaventato: qualcuno è appena arrivato alle sue spalle.

Si volta in fretta e cerca di nascondere il ginocchio. Dietro di lui c’è un bambino con i capelli color sabbia e gli occhi scuri e curiosi. Non sembra che lo stia prendendo in giro, comunque.

Roxas non riesce ad evitare di dirgli la verità.

«Un po’. Ma ora passa» aggiunge subito.

Il bambino gli sorride amichevole. «Speriamo. Facciamo a chi salta più in alto?»

Che strano. Non si sono mai visti, eppure lo tratta come un amico. Roxas ricambia timidamente il sorriso e annuisce.

«Va bene.» Si rialza e, mentre lo segue sul tappeto accanto a quello di Sora, si ricorda di una cosa. «Come ti chiami?»

«Hayner

«Ciao, Hayner

«E tu?»

«Roxas

«Ciao, Roxas

Ridono insieme mentre spiccano il primo salto.

 

 

Roxas fissò a lungo la fila di tappeti elastici, vuoti e silenziosi. Per qualche minuto ricordò le risate, i colori, il modo in cui quel posto gli era sembrato grande e bello e divertentissimo, da piccolo. Ora vedeva chiaramente che era soltanto una piattaforma rettangolare, sopraelevata rispetto al terreno, divisa in tante corsie per assicurare un tappeto personale a ciascun bambino: soltanto un posto, un posto qualsiasi, un posto vuoto, il cui significato si era perso da qualche parte di sette anni prima.

«È impensabile che lasci perdere tutto, chiaro? Non puoi mollare. Non adesso che hai dimostrato a tutti di potercela fare...»

All’improvviso capì cosa fosse quella stretta al petto.

Non voleva che anche lo skateboard diventasse un ricordo.

Non osava alzare lo sguardo su Axel, immobile al suo fianco. In cuor suo avrebbe voluto ringraziarlo; sapeva perché lo aveva portato lì: era l’ultima cosa rimasta in sospeso, l’ultimo ponte rimasto aperto. L’ultimo, certo, a parte...

Ebbe un lieve sussulto al ricordo della busta che Pence gli aveva dato pochi minuti prima, e che adesso teneva nella tasca anteriore della felpa. La sfiorò con una mano e sentì il cuore accelerare i battiti. Sapeva cosa c’era dentro.

Fece un passo verso la piattaforma. Forse per la prima volta da quando si era ritrovato in piedi a camminare verso Axel, si rese pienamente conto di cosa rappresentasse la sua capacità di mettere di nuovo un piede davanti all’altro. Allo stesso tempo, tirò fuori la busta e se ne fece scivolare il contenuto nella mano aperta, il cuore assordante nelle orecchie.

Il riflesso di se stesso a tredici anni lo osservava dalla fotografia, sorridente e felice tra Pence e Olette, con la mano di Hayner sulla spalla e una vecchia tavola rossa, bianca e blu tra le braccia.

«... Promettiamo che la nostra squadra sarà sempre unita. Sempre amici. Io prometto!»

«Roxas...?»

Era quasi innaturale sentire tanta esitazione nella voce di Axel.

Sospirò profondamente, poi si voltò a guardarlo con un sorriso.

«Grazie» mormorò. «Ho capito, adesso.»

Axel non disse nulla, ma il suo sguardo si rasserenò.

Roxas si voltò di nuovo. Si avvicinò ancora alla piattaforma, un passo dopo l’altro, assaporandoli tutti fino in fondo. Per quel giorno, si disse, via libera alle stupidaggini.

Saltò.

 

 

* * *

 

 

Notte. Il suo regno. Da sempre.

Si strinse addosso il vecchio impermeabile, rabbrividendo. Era una notte fredda. Ma era stato facile trovare l’edificio; le vecchie conoscenze nei bassifondi più infimi tornavano sempre utili, specie quando si vociferava su uno sporco traditore.

C’era una luce accesa, alla finestra dell’ultimo piano.

Così è troppo facile.

Meglio aspettare, meglio concedergli un falso senso di sicurezza... Sarebbe stato più eccitante, poi, guardargli il passato negli occhi.

Si accese una sigaretta – oh, quanto, quanto gli era mancato – e sorrise beato. Dissipò con una mano il primo filo di fumo che gli uscì dalle labbra, pregustando il momento in cui, allo stesso modo, avrebbe sparpagliato al vento una colpa.

Sarebbe arrivato presto.

 

 

 

 

 

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Io non sono io se non metto insieme il fluff più assurdo e l’angst più pesante, dico bene? E così non poteva mancare l’epilogo minaccioso in un capitolo che invece voleva essere una sorta di risoluzione per l’ultima cosa che Roxas aveva deciso di lasciarsi alle spalle. Sì, sono un caso clinico. Strana forte.

Meno sei capitoli, gente!

Aya ~

   
 
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