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Autore: Breed 107    09/04/2006    9 recensioni
Salve! Questa storia è il seguito di ''Qualcosa da desiderare'' e costituisce la seconda parte di una trilogia. Ora che Ranma ed Akane hanno confessato finalmente i propri sentimenti, nulla sembra impedir loro di essere felici... ma non è così.COMPLETA! "REVISIONATO" ANCHE ULTIMO CAPITOLO
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

 

 

Capitolo diciassettesimo.

 

Shan-po rafforzò la presa e ricominciò a spazzare il pavimento con più vigore. Non sapeva nemmeno perché lei e Mousse s’impegnassero così tanto nelle pulizie, visto che quel giorno, come i due precedenti e chissà per quanti ancora a venire, il Neko hanten sarebbe rimasto chiuso.

La bella ragazza aggrottò le sopracciglia e, perplessa, si domandò quando la bisnonna avrebbe dato notizie. La vecchia Obaba era partita da quasi tre giorni ormai e presumibilmente doveva già esser giunta in Cina, anzi, era più che probabile che fosse già al villaggio, al cospetto degli altri anziani.

Coraggiosamente, Shan-po si era offerta di tornare con lei, pronta ad accettare il proprio destino; naturalmente Mousse si era dichiarato pronto a seguirla anche in capo al mondo, ma la vecchia amazzone aveva ordinato loro di restarsene a Nerima, in attesa di sue notizie. Avrebbe mediato con gli anziani, aveva detto, affinché non riservassero loro la punizione massima, vale a dire l’esilio. In cuor suo, la ragazza dubitava che tale mediazione avesse successo, nonostante Obaba fosse una delle massime rappresentanti del Consiglio degli anziani che nell’avvicendarsi dei secoli, incurante dei regimi politici che si erano succeduti, aveva guidato il fiero popolo Amazzone. La legge era inviolabile e fin troppe volte lei l’aveva disattesa.

Con una certa sorpresa, ancora una volta, la giovane cinese si rese conto scrutando nel proprio animo che in realtà l’eventualità di un esilio non la preoccupava per nulla. Anzi, forse era preferibile non metter più piede in Cina, piuttosto che ritornarvi e fronteggiare il disonore. Un sospiro rammaricato lasciò le belle labbra: non erano pensieri degni di una guerriera, quelli. Ma già da un po’ Shan-po sapeva di aver abbandonato il sentiero dell’onore… Trucchi, menzogne… cosa non aveva provato? Persino attaccare un’inerme.

La ramazza si fermò di nuovo e rimase immobile a fissare il pavimento lustro, senza in realtà vederlo: nei suoi occhi rivedeva ancora il volto segnato di Akane, il suo braccio ferito. L’espressione stupita della più piccola delle sorelle Tendo la perseguitava da quel pomeriggio. Non la paura, che pure era giunta, ma lo stupore attonito… quello aveva colmato lo sguardo profondo della sua rivale.

Shan-po aveva fin troppi sentimenti ed emozioni da sopportare, non poteva permettere al rimorso di aggiungersi a questi, però lo sguardo smarrito di Akane aveva il potere di smuovere in lei qualcosa di persino più totale dell’odio e la gelosia. Aveva capito di aver perso proprio da quello sguardo.

Akane era un’artista marziale, debole, ma pur sempre cresciuta con dei valori proprio come lei, quindi perché stupirsi di esser attaccata? Perché era stata così sorpresa dal suo odio? Forse… forse perché Akane, in realtà, non la odiava affatto. Avrebbe dovuto, maledetta Tendo!

Se solo Akane fosse stata meno perfetta, lei non avrebbe dovuto atteggiarsi a cattiva della situazione! Che colpa aveva lei, Shan-po, se proprio quel giorno Akane aveva deciso di dare un calcio ad orgoglio ed amor proprio, rifiutandosi di battersi ed esser sconfitta come avrebbe dovuto essere? L’aveva avvertita, ma da testarda qual era quella stolta ragazzina le aveva persino dato le spalle, allora con che diritto si sentiva stupita? Credeva forse di poter contare sulla sua amicizia? Amicizia…

Shan-po non ne aveva di amici e di certo non considerava Akane Tendo tale. Una rivale fastidiosa e irritante il più delle volte, raramente un’alleata, ma mai un’amica. Le amiche non si odiano, le amiche non ti portano via ciò che la legge ti ha dato.

Eppure negli occhi sbarrati di quella stupida, Shan-po aveva visto infrangersi un’illusione, come se davvero avesse sperato che tra loro ci fosse stata più di una rivalità per Ranma.

Scrollò la testa con veemenza scacciando quei pensieri inutili e con energia riprese le sue faccende, sotto lo sguardo più vigile che Mousse potesse permettersi. Il giovane stava asciugando i piatti che aveva inutilmente lavato quella mattina; gli piaceva darsi da fare, tenersi occupato per non pensare. Il fatto era che, per quanto pensasse, lui non poteva far altro che aspettare. Sapeva benissimo che per Shan-po la sua presenza era irrilevante, forse persino noiosa, ma non poteva lasciarla sola in quei momenti… e l’attesa delle decisioni del consiglio non c’entrava nulla.

Ranma prima o poi sarebbe ritornato a Nerima e, Mousse ne era certo, si sarebbe presto presentato lì. Con che intenzioni lo ignorava, così a lui non toccava altro che aspettare e prepararsi a qualsiasi evenienza. Saotome lo aveva battuto ogni volta, quindi non poteva davvero illudersi di offrire una valida protezione a Shan-po nel caso il ragazzo con il codino avesse voluto vendicarsi; era triste ammetterlo, umiliante persino, ma per quanto tracotante e superbo potesse dirsi a parole, tra sé e sé poteva permettersi il lusso d’esser sincero.

Con una mano ancora umida, risistemò gli occhiali sul naso, gli occhi sempre puntati sulla figura sfocata dell’adorata Shan-po (o almeno sperò fosse lei e non l’attaccapanni…) per poi ricominciare ad asciugare i piatti.

Il silenzio che li circondava era piacevole; né lui né la ragazza avevano parlato granché in quei giorni da soli e, con un pizzico di vergogna, Mousse avrebbe voluto che quell’attesa fosse durata in eterno; la circospezione con cui si aggiravano uno intorno all’altra non era piacevole, ma l’inebriante pensiero di esser solo con lei a volte era talmente veemente da fargli battere il cuore. Era una situazione irreale, ma proprio in quanto tale Mousse cercava di goderne gli aspetti positivi; tanto, ne era consapevole, prima o poi la realtà sarebbe venuta a reclamare la sua supremazia.

E lo fece anche prima del previsto.

La porta si aprì con lentezza, scivolando lungo il binario senza quasi far rumore. Shan-po sospirò e non sollevando gli occhi dal pavimento, si apprestò ad allontanare il visitatore. “Listolante è chiuso, le consegne sono sospese” disse con voce monotona, convinta che si trattasse del solito facchino venuto a consegnare verdure o chissà cos’altro, com’era successo sovente nei giorni precedenti.

Chissà perché non ci aveva pensato subito, eppure l’aspettava… ogni ora, ogni istante quasi aveva atteso quel momento, ma fino a quando non si volse per allontanare in malo modo quell’intruso che proprio non voleva sapere di andarsene, Shan-po non pensò nemmeno per un istante di ritrovarsi di fronte a Ranma.

I suoi occhi si dilatarono mentre, stupita, lo fissarono. Ranma…

Per alcuni secondi, i primi, ciò che provò fu solo gioia istintiva. Vederlo lì, dopo tanto tempo… le sembrarono anni quasi che i propri occhi non incontravano quelli blu di lui, il suo viso così bello… la sua stessa presenza quasi sembrava stagliarsi nel piccolo ristorante che assurdamente a Shan-po sembrò come farsi più piccolo. Spontaneo, un sorriso le tirò su gli angoli della bocca, per poi venir spazzato via dalla consapevolezza. Che stupida!

“Lanma…” sussurrò il suo nome, mentre, incapace di lasciar andare la scopa, si avvicinò a lui di un passo per poi bloccarsi impietrita. L’aveva vista. Accanto a Ranma, il braccio legato al collo, Akane la stava guardando e chissà perché nei suoi occhi non vi era animosità. Shan-po deglutì e tornò a fissare Ranma, guardandolo davvero per la prima volta.

Era ferito: alcuni lividi capeggiavano sul suo viso smagrito, segno della vita dura che doveva aver condotto in quegli ultimi tempi lontano dal dojo. Forse era un po’ pallido o forse era la luce alle sue spalle a darle quell’impressione, mentre i suoi occhi… Shan-po non vide ciò che si aspettava di trovare in quegli occhi severi. Non c’era rabbia.

Possibile che non sapesse nulla? Battendo le palpebre, la ragazza cinese si chiese se per assurdo Ranma non sapesse nulla del suo attacco ad Akane. Tale era il suo sconcerto che non si rese conto del fatto che Mousse le era apparso accanto muovendosi silenzioso.

Era una scena ben strana. Da un lato, Ranma ed Akane entrambi con addosso ancora i segni delle loro ferite, dall’altra Mousse e Shan-po, ancora con un piatto tra le mani e la scopa stretta in un pugno. Il silenzio divenne pesante, come se nessuno di loro osasse infrangerlo, ma anche quella sorta di tregua durò poco.

Ranma osservò il locale e quando non trovò ciò che cercava, si rivolse a Mousse con voce ferma “Dov’è la vecchia?” domandò con calma.

L’altro ragazzo osservò appena la sua conterranea, giusto il tempo di rendersi conto di quanto stupita fosse lei stessa di un simile comportamento, poi si schiarì la voce “Ehm… la venerabile Obaba non c’è, Saotome.”

“Dov’è?”

“E’ in Cina. Non sappiamo quando tornerà” gli rispose anticipando la domanda successiva. Di nuovo silenzio, ancora incroci di sguardi e ancora Ranma che per primo tornava ad infrangere quella tacita tregua.

“Sono venuto per farla finita con questa storia, una volta per tutte” spiegò, senza che ci fosse bisogno di chiarire a quale storia alludesse. I suoi occhi, ora più duri rispetto a prima, erano puntati su Shan-po come un monito: sapeva, non aveva perdonato, ma purché tutto finisse al più presto non avrebbe parlato di quanto successo ad Akane. Ecco cosa sembravano dirle i suoi occhi e la ragazza non seppe se esserne sollevata o completamente distrutta. In fondo, era della fine della loro storia che si stava parlando o meglio, della fine delle sue illusioni.

Deglutì e in un moto di ritrovato orgoglio, raddrizzò le spalle curvate quasi dalle violente emozioni che le vibravano nel petto “Non puoi finile qualcosa che non hai iniziato tu, ailen” asserì, tentando di colmare la voce di quella poca determinatezza che riuscì a scovare in se stessa. Il labbro inferiore ebbe un leggero fremito, ma null’altro testimoniò il suo stato d’animo: il volto sembrò imperturbabile, così come lo parve la voce.

Non sapeva perché lo avesse chiamato con il solito appellativo, forse per abitudine o forse no, ma non fu stupita di vederlo irrigidirsi nel sentirsi definire ancora così; probabilmente lo irritò più della frase in sé, perché quando tornò a parlarle stavolta la collera era ben udibile nel suo tono.

“E allora dimmi una volta per tutte come fare a farlo! Come diavolo faccio a liberarmi di te senza che nessuno debba rimanere ferito o peggio! Se c’è un maledetto modo affinché tu la smetta di perseguitare me e le persone che amo dimmelo adesso, perché la prossima volta potrei non chiedertelo!”

“Ranma…” Akane gli si avvicinò ulteriormente, ponendogli una mano sul braccio nel tentativo di placarlo. Sapeva che era arrabbiato, furioso con Shan-po, ma non era la vendetta che cercavano quel mattino, nessuno di loro due…

Chissà, forse da qualche parte nel suo cuore, Ranma aveva addirittura sperato di salvare una parvenza di amicizia con i tre cinesi, ma l’ostinazione della giovane dopo quanto aveva fatto doveva aver infranto ogni speranza.

Quella mattina prima di lasciare il dojo, Ranma le aveva assicurato che non avrebbe permesso più a nessuno, Shan-po per prima, di farle del male e lo aveva giurato guardandola negli occhi, determinato solo come lui poteva essere: se allontanare Obaba ed i suoi dalla loro vita per sempre era il prezzo da pagare per mantenere la sua promessa, lo avrebbe fatto.

Il ragazzo si quietò visibilmente e lanciò uno sguardo rassicurante alla sua fidanzata, non avrebbe perso la calma… almeno fino a quando non avrebbe avuto la risposta alle sue domande. “Speravo di non dovermi confrontare con te, Shan-po – stavolta sembrò più calmo, seppur ugualmente fermo – né con nessun altro di voi…” significativamente i suoi occhi si spostarono su Mousse che continuava a restare impassibile. “Ma non mi tirerò indietro davanti a nulla sia chiaro, a nulla, pur di finirla. Se tu non vuoi rispondermi, allora lo farà Obaba, non m’importa, ma sinceramente speravo fossi tu. E’ l’unico modo per salvare il tuo onore.”

“Il mio onole?! Sposale te ela l’unico modo per salvale mio onole! Hai plefelito lagazzina debole ed incapace! Hai plefelito lei! Lei!” Sahn-po lasciò cadere la scopa con un tonfo e sull’orlo delle lacrime, puntò il dito conto Akane che serrò le labbra per impedirsi di risponderle con uguale veemenza: non voleva che il tutto degenerasse in una lite.

Inspirò, cercando di calmarsi e, bene o male, riuscì nell’impresa “Non è per discutere delle scelte di Ranma che siamo qui, non io, almeno. E non sono venuta nemmeno illudendomi di poterti chiamare amica una volta uscita da questo posto: anche se in una maniera un po’ violenta, mi sono resa conto che tu non mi hai mai considerato tale – si carezzò distrattamente il braccio ancora ingessato – Ma forse, visto che anch’io sono violenta a volte… beh, spesso, forse era l’unico modo per capacitarmene sul serio. A dire il vero, la cosa adesso non mi disturba più tanto. Non mi fa felice, ma non posso essere amica di tutti, perciò se è tua intenzione continuare così, allora noi andremo via, ma ti avverto: chiama di nuovo Ranma in quel modo e te ne pentirai.”

Sentirla pronunciare quella minaccia per di più in un tono tanto tranquillo, stupì Shan-po, ma non solo. Persino Ranma si volse a guardare Akane con gli occhi spalancati: era a tal punto stupefatto da non arrossire nemmeno di fronte ad una simile dichiarazione! C’era da chiedersi in che modo una ragazza ferita, per di più notoriamente pasticciona ed infinitamente meno abile della sua avversaria, avrebbe potuto adempiere ad una simile minaccia.

Osservandola, però, nessuno in quella stanza di nuovo precipitata nel silenzio stavolta attonito avrebbe osato non crederle: se le sue parole avevano lasciato le labbra con calma e tranquillità, lo stesso non poteva dirsi per i suoi occhi, mai parsi così ostili. Nemmeno la fortissima Shan-po dubitò per un solo istante che sì, la giovane Tendo, chissà come l’avrebbe punita. Tutto il lei lo diceva, dalla linea dura della mascella, alla rigidità delle sue spalle, per finire al pugno chiuso premuto contro il fianco.

“La storia è già finita, Saotome.”

Tre teste si voltarono di scatto verso Mousse, completamente dimenticato in quegli ultimi, intensi istanti. Per alcuni secondi Ranma restò a guardarlo, chiedendosi se poteva mai fidarsi. Lo spessore delle lenti nascondeva il suo sguardo, ma pur non potendo osservarne gli occhi verdi c'era qualcosa nella sua pacatezza che spingeva a credergli.

“Come?”

“Nel momento in cui Shan-po ha attaccato Akane Tendo. Il suo comportamento è stato quanto mai indegno per un’amazzone e per questo sarà punita. Per quanto riguarda te, considerati libero da ogni legame.”

Ranma aggrottò le sopracciglia, perplesso: possibile che fosse così semplice? Cioè, non che il ferimento di Akane gli sembrasse cosa da poco, ma non capiva cosa di diverso ci fosse rispetto ai vari stratagemmi usati in passato dalle due amazzoni: provare a drogarlo, ingannarlo con il filo rosso del destino, costringerlo in una grotta popolata da fantasmi sfascia-fidanzati non erano comportamenti forse altrettanto disonorevoli che attaccare qualcuno?

“Non capisco, cosa rende il suo agguato peggiore di tutto quello che ha fatto in passato?” domandò rivolgendosi direttamente a Mousse, mentre anche Shan-po ora lo guardava, le labbra appena schiuse in una chiara espressione di stupore.

“Ha attaccato Akane Tendo nonostante lei avesse rifiutato di sfidarla. Obaba ha imposto a Shan-po di sfidare te, Saotome, di vincerti una volta per tutte, ma lei ha preferito attaccare Akane, forse perché aveva già capito da tempo che tu avevi compiuto la tua scelta. Così come lo avevamo capito noi tutti, in quella grotta nel monte Hooh.”

Una fuggevole immagine del viso rassegnato di Ryoga per un attimo attraversò la mente di Ranma…

In cuor suo sapeva che la scelta, se volevano metterla così, risaliva a molto, molto prima. Non si era innamorato di Akane quando l’aveva creduta morta, forse però era diventato futile negarlo dopo aver combattuto una semi-divinità in quel modo per lei. Osservò la prescelta con la coda dell’occhio e non fu sorpreso di vedere le sue guance leggermente accalorate… a malapena riusciva ad impedire alle proprie di fare altrettanto!

Tornò a guardare l’altro ragazzo, forse ancora non del tutto convinto “E per quanto riguarda il bacio della morte? Anche quello non vale più? Non voglio sposarla, ma non voglio nemmeno che mi perseguiti per uccidermi.”

Shan-po emise un verso d’ira malamente trattenuta, stufa di sentir parlare di lei come se non fosse presente. Batté il piede a terra un paio di volte stizzita, e serrò i pugni con rabbia “Shan-po non salà più amazzone! Shan-po salà esiliata, pel questo Shan-po non può più sposale Lanma o uccidello!” sbottò indignata, mentre alcune lacrime le scivolarono lungo le guance pallide. Odiava dover far questo, quasi quanto odiava Akane… Ammettere la propria condizione di reietta equivaleva ad ammettere la completa disfatta. A causa di Mousse e della sua boccaccia, era costretta ad umiliarsi, senza nemmeno l’onore delle armi.

Il peso inaspettato di quella rivelazione piombò sugli altri due. Né Ranma, né Akane potevano figurarsi un simile scenario: esilio? Sarebbe stata allontanata dalla sua patria a forza? Non avrebbe più rivisto la sua famiglia?

Inorridita da un simile pensiero, la giovane Tendo osservò l'altra ragazza in lacrime e, per la prima volta, provò compassione per lei. Non pietà, ma un sentimento così vicino all’affetto da coglierla di sorpresa. Senza Ranma, senza il suo onore ed ora senza la sua casa… Persino averle spezzato un braccio non giustificava una simile punizione.

Ne osservò il viso, sconvolto dal pianto che tentava inutilmente di frenare: nonostante ciò, era così grazioso. Akane sospirò rassegnata: era davvero bella. E forte…

Probabilmente se Ranma avesse potuto decidere di chi innamorarsi, sarebbe stata proprio la giovane amazzone a prevalere su tutte loro. Aveva carattere, coraggio e bellezza in quantità tale da far capirle che l’avrebbe invidiata un po’ per il resto della sua vita…

Shan-po strofinò ruvidamente il viso con il braccio, asciugando le lacrime con il suo qui pao color lavanda, così intonato alla cascata di capelli che le ricadeva sulla schiena e poi con tutta la dignità che poteva metterci fissò i suoi occhi ancora umidi in quelli dolenti del ragazzo a cui aveva donato il cuore. Le sue guance, così come la punta del piccolo naso, erano arrossate e per un istante il ragazzo ebbe la sensazione di trovarsi al cospetto di una bambina, piccola e bisognosa di protezione, di coccole. Era un istinto ben strano, si disse irrigidendosi, se si pensava che a suscitarlo era una guerriera indomita che aveva la bizzarra abitudine di rendere un inferno la vita dei suoi nemici.

“Shan-po vuole bene a Lanma non pel leggi stupide e vecchie… e se Shan-po ha linunciato a Lanma, non è stato pel altle stupide leggi, ma pelché Lanma è così stupido da non volele Shan-po. Plima o poi Lanma si pentilà e tolnelà da Shan-po, pelciò, Akane Tendo – fulminei i grandi occhi si spostarono su di lei – non cledele di avel vinto, non ci cledele mai! E non osale gualdale Shan-po con pena! Anche se Shan-po non salà più un’amazzone, salà semple capace di battele Akane ad occhi chiusi e con mano legata dietlo schiena!”

Stavolta Akane non provò nemmeno a dissimulare la rabbia e, completamente dimentica della compassione provata per l’altra fino a pochi istanti prima, la avvicinò fino quasi a ritrovarsi naso contro naso con lei “Ma davvero? Cos’è, un’altra sfida? Guarda che stavolta potrei accettare!”

“Il lisultato non cambierebbe!”

“Vuoi attaccarmi ora o magari sei così carina da aspettare che il braccio mi guarisca?”

“Shan-po ha tutto tempo che vuole per suonalle di santa lagione a pappamolle come te!”

“Oh, hai imparato una nuova parola della nostra lingua! E’ magnifico Shan-po! D’altra parte sono appena due anni quasi che vivi in Giappone!”

Mentre il battibecco continuava, gli sguardi attoniti di Ranma e Mousse si spostavano da una all’altra ragazza, completamente attratti da quella litigata. Per quanto vivace e per quanto solo pochi istanti prima si fosse sull’orlo di una tragedia, Ranma era pronto a giurare che sia Akane che Shan-po, sotto sotto stavano godendosela un mondo.

Chissà… forse litigare in quel modo un po’ infantile era il loro modo di risistemare le cose, la loro personale tecnica di rimettere tutto nel giusto ordine. Tutto cambia affinché tutto resti uguale, proprio vero.

Quelle due non sarebbero mai diventate amiche, probabilmente sarebbero rimaste rivali a vita, anzi probabilmente avrebbero continuato a punzecchiarsi anche nell’aldilà, ma forse era giusto così, no?

Con un sopracciglio inarcato, scambiò un’occhiata perplessa con Mousse che filosoficamente si strinse nelle spalle, proprio mentre Shan-po si offriva gentilmente di rompere l’altro braccio ad Akane, così da fornirle una scusa per giustificare la sua incapacità e quest’ultima le ricambiava la gentilezza affermando che per ringraziarla di un simile atto di generosità, le avrebbe regalato una nuova lettiera per i bisogni il Natale successivo.

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Ryoga sistemò meglio il pacco sul braccio, posizionandolo in modo che non urtasse le ferite. Ne aveva talmente tante che non fu facile, ma finalmente dopo vari tentativi, riuscì a trovare una posizione più confortevole.

Akari aveva osservato quelle manovre con la coda dell’occhio e più di una volta, aveva avuto la tentazione di toglierli quell’ingombro dalle braccia, ma si era sempre trattenuta. Non riusciva a spiccicare una sola parola: era certa che se avesse provato a parlargli si sarebbe ritrovata a gridare nel tentativo di superare il rombo del cuore che le risuonava convulso nella testa.

Non biasimava Ukyo per aver in pratica costretto il ragazzo a sostituire Konatsu nella spesa quotidiana, le faceva piacere ritrovarsi con lui, anche così, in silenzio, ma tra loro vi era una tale atmosfera tesa e carica di cose non dette da essere spiacevolmente palpabile. Forse la sua amica li aveva solo voluti allontanare dal locale, per non dover respirare una simile aria pesante…

Si erano salutati appena quel mattino quando, scendendo di sotto per recuperare la solita lista delle compere da Ukyo, si era ritrovata faccia a faccia con lui. Sulle prime era rimasta sbigottita dal suo volto tumefatto; nonostante avesse origliato quanto detto la notte prima, non si era aspettata niente di simile. Oltre ad un paio di lividi, sul sopracciglio del ragazzo spiccava una medicazione, ma le macchie di sangue che punteggiavano il cerotto testimoniavano che la ferita doveva essere ancora aperta.

Akari aveva lottato contro il desiderio di corrergli incontro per consolarlo in parte del dolore che stava probabilmente patendo e con uno sforzo visibile gli aveva augurato il buongiorno; altrettanto palese era stato lo sforzo di Ryoga per risponderle.

I suoi occhi, che pure l’avevano guardata con emozione, si erano immediatamente distolti fissandosi sulla griglia che Ukyo aveva appena acceso per preparargli la colazione. La cuoca li aveva guardati entrambi, poi aveva scosso il capo e sbuffato “Che cosa patetica…” aveva borbottato, rimescolando con energia l’impasto per l’okonomiyaki alle verdure che stava preparando per quell’idiota che, piccato dal commento, aveva cominciato a guardarla con risentimento.

Akari era pronta a giurare che se non fosse stato per la sua amica, Ryoga avrebbe infilato la porta del ristorante due secondi dopo essersi svegliato pur di evitarla.

Per completare il suo personalissimo piano, poi, Ukyo le aveva piazzato la lista in mano, una lista piuttosto lunga e le aveva chiesto di andare a rifornirsi al mercato cittadino “E' più lontano rispetto ai soliti rifornitori, ma visto che ci sono più cose da comprare, risparmierai. Certo, sarai stracarica, piena di borse e pacchi… e c’è anche la carne per il resto della settimana, un peso davvero ingombrante – gli occhi della cuoca erano puntati su Ryoga, che faceva del suo meglio per mimetizzarsi con lo sgabello sul quale era seduto, facendo lo gnorri – Verrei io con te, ma sai, ho scuola…” aveva ricalcato le ultime parole, non perdendo il povero ragazzo di vista.

Akari si era stretta nelle spalle, leggendo la lista per sommi capi: dubitava avessero bisogno di una tale montagna di cibo. C’era una quantità imbarazzante d’asparagi, tanto per dirne una e chi cavolo ci metteva gli asparagi nell’okonomiyaki? Qualche masochista, forse… o Akane Tendo nei suoi slanci culinari, a voler esser gentili.

“Konatsu è molto forte, porterà lui le borse come sempre.”

“Mmm, Konatsu dorme ancora. Sarà stanco per aver dovuto vagabondare alle costole di un irrimediabile disperso, che di certo avrà vagato in lungo e largo senza cognizione” altri sguardi significativi all’indirizzo di Ryoga che era anche un po’ arrossito intorno alle orecchie.

“Allora aspetterò che si svegli.”

“Ma così farai tardi! No, mi spiace, ma mi sa che dovrai andarci da sola e caricarti, poverina. Una ragazza così gracile e senza il tuo maiale da sumo ad accompagnarti! Certo, se un altro suino si facesse avanti…”

A quell'ultima provocazione Ryoga aveva dovuto arrendersi e balbettando si era offerto di far compagnia ad Akari. Il sorriso trionfante di Ukyo la diceva lunga sulla riuscita delle sue manovre. “E’ il minimo che potessi fare, P-Chan” gli aveva detto con più di una punta di soddisfazione, servendogli poi finalmente una fumante okonomiyaki.

Così, Akari e Ryoga erano stati spediti a fare la spesa, con il ragazzo nominato mulo per l’occasione. Osservando la quantità di pacchi e pacchetti che ora stava portando, Akari si domandò quando avrebbero mai smaltito una simile quantità di cibarie…

Ryoga riassettò nuovamente il pacco che, urtandogli in un punto dove ancora un livido stava per formarsi, gli strappò un mugolio addolorato, attirando nuovamente l’attenzione della ragazza. “Se vuoi posso portarlo io quel pacco” si offrì gentile come sempre, ma lui scosse il capo sorridendole con impaccio: non voleva darle l’impressione di esser conciato poi così male.

Ora che il ghiaccio era in un certo senso rotto, Akari trovò più semplice parlargli, pur se per farlo fu costretta a deglutire un paio di volte visto che sentiva la gola particolarmente arida. “Dovresti farti medicare di nuovo le ferite, soprattutto quella - disse indicando poi il sopracciglio – forse sarebbe anche il caso di farti vedere da un dottore.”

“No, no, sto bene. Sono abituato a… alle botte di Ranma. Stavolta non è diversa dagli altri scontri che abbiamo avuto. Una volta tornati al ristorante, chiederò a Konatsu di aiutarmi di nuovo con le medicazioni.”

Era così strano parlarle così, come se nulla fosse accaduto. Era piacevole, molto più semplice di quanto si sarebbe aspettato.

La osservò di soppiatto, notando che c’era qualcosa di diverso in lei: sembrava… più adulta.

Ryoga non sapeva cosa gli desse quell’impressione, forse l’espressione rilassata del suo viso, mentre in passato era stata sempre un po’ in agitazione o imbarazzata con lui, o forse la pettinatura nuova. Non l’aveva mai vista con i capelli raccolti, la lucida coda di cavallo si muoveva dietro al capo quasi cadenzando il ritmo tranquillo dei suoi passi. Era molto carina, ammise sbirciando nuovamente verso di lei, il viso era completamente in mostra così, il suo visetto piccolo e aggraziato. Improvvisamente avvertì le guance imporporarsi e agitato distolse lesto gli occhi, quando lei tornò a guardarlo.

“Mi spiace che Ukyo ti abbia costretto a venire. Forse avresti preferito riposare o andare al dojo...” nonostante la piccola esitazione nella voce, Akari sembrava perfettamente serena e anche il leggero sorriso che gli dedicò parve colmo solo di dolcezza.

Il cuore di Ryoga si strinse per l’amaro e ormai ben noto senso di colpa: sembrava non poter provare altro ogni volta che si trovava a cospetto di quella ragazza “A me non spiace. Stare solo con te, dico – arrossì ancor di più – anzi, ne sono felice. Ero imbarazzato, anzi… lo sono ancora, ma non devi pensare che star con te mi renda infelice!” la rassicurò con veemenza, stringendo il pacco che aveva in braccio con tale forza che entrambi udirono perfettamente il suono di qualcosa che si rompeva.

Akari inarcò un sopracciglio, poi cominciò a ridere, coprendosi le labbra con l'unica mano libera dalle borse “Mi sa che dovremmo dire addio alle uova…” riuscì a dire tra una risata ed un’altra, mentre il volto del povero Ryoga raggiungeva la sfumatura più vicina al cremisi possibile per un essere umano. Ridacchiò nervosamente anche lui e sperò solo che Ukyo non si arrabbiasse troppo.

“Anch'io lo sono sai… imbarazzata, voglio dire. E anche contenta di trovarmi da sola con te: sono rimasta a Nerima proprio per questo, per poterti parlare con calma dopo… dopo l’incidente.”

“Akari, non devi ancora scusarti per quello che è successo, non hai…”

“Oh, sì, lo so! – lo interruppe lei con vivacità, puntandogli addosso uno sguardo divertito – Ukyo non fa altro che ripetermelo! E forse, a poco a poco me ne sono convinta anch'io… Non voglio chiederti scusa. Non lo farò più.”

Era davvero cambiata, pensò uno sconcertato Ryoga fermandosi di botto. Non era solo un’impressione: l’Akari che aveva dinanzi in qualche modo non era la stessa che aveva lasciato in lacrime in quel letto della clinica del dottor Tofu. La determinazione che rendeva ferme le sue parole, nonostante l’imbarazzo che certamente stava provando, era un aspetto di lei che raramente lui aveva scorto… Forse solo una volta, sul tetto dei Tendo, quando gli aveva detto addio. Il pensiero che stesse per farlo di nuovo, gli serrò la gola.

Batté disperato le palpebre, cercando convulsamente dentro di sé le parole adatte, qualcosa, qualsiasi cosa che potesse farle comprendere il vero e proprio marasma che gli si agitava dentro. “Dovrei chiederti io perdono, lo so. Per tutte le cose che non ti ho detto… di Akane, per esempio… o di quanto tu fossi importante per me. Ed ora devo anche dirti grazie.”

Akari aggottò le sopracciglia, confusa. Non sapeva con esattezza a cosa il ragazzo alludesse, ma sentiva che per lei era qualcosa della massima importanza. Si morse le labbra e si guardò in giro “Che ne dici di fermarci per cinque minuti? So che sei molto forte, ma tutte quelle borse peseranno.”

Ryoga annuì, il cuore in gola, e la seguì quando lei si diresse verso il parco.

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Nabiki sbadigliò con discrezione, poi si stiracchiò beata. Era stanca morta, le ore di sonno perdute la notte prima cominciavano a farsi sentire, pensò poi poggiando il volto alle mani congiunte. Svogliatamente lasciò vagabondare lo sguardo per l’aula semideserta per la ricreazione e, puntualmente, la sua ricognizione si fermò al banco di Kuno, vuoto. Il fissato del kendo quel giorno era assente… Peccato, pensò Nabiki, volgendo altrove gli occhi stanchi, le sarebbe piaciuto notare la sua reazione alle novità. La notizia del rientro di Ranma si era diffusa rapidamente e la giovane Tendo si chiedeva come avrebbe reagito il suo compagno di classe al ritorno della ragazza col codino. Avrebbe detto addio anche a lei?

Il mormorio delle sue compagne sedute intorno a lei era un sottofondo piacevole e rilassante, le loro chiacchiere allegre e le loro supposizioni sui futuri sviluppi della relazione tra Akane e Ranma sembravano formare un unico indistinto mormorio, che conciliava il sonno. Nabiki chiuse gli occhi per quello che pensava fosse un attimo, per poi riaprirli di botto quando qualcosa nell’atmosfera placida dell’aula cambiò.

Un po’ inebetita si voltò di scatto, la mente ebbe appena il tempo di registrare il silenzio totale della sua cerchia prima di capire cosa lo avesse provocato: Toshio si era come materializzato di fronte al suo banco.

Istintivamente Nabiki raddrizzò la postura e scacciò ogni segno di torpore dal volto, che assunse la solita aria scaltra nel giro di pochi istanti: era davvero un dono il suo si complimentò, sollevando lo sguardo verso il nuovo arrivato. Come praticamente fecero le sue amiche… anzi, non c’era occhio nell’aula che non fosse puntato sul ragazzo. In parte perché, doveva ammetterlo, era un qualcosa guardarlo con la sua bellezza sicura seppur non sfacciata, ed in parte perché si era diretto verso di lei senza esitazioni.

“Buongiorno Nogata” lo salutò con un sorriso freddo, giusto per fargli capire quanto poco le importasse della sua presenza. Non lo aveva quasi più rivisto dalla sera in cui l’aveva baciata; sembrava che l’avesse evitata e di certo Nabiki non poteva dolersene… o no?

“Ti aspetto in terrazza.”

Quello poi! Non si faceva vedere né sentire per giorni, dopo averle praticamente rubato un bacio ed ora, di punto in bianco, le dava ordini? No, no, il ragazzo doveva proprio imparare che non ci si comportava così!

“Credevo che a voi rampolli di buona famiglia venissero insegnate le buone maniere. E’ questo il modo di invitare una ragazza, Nogata?” sperò che il tono scherzoso assunto non celasse troppo la sua insoddisfazione per quell’ordine che certo non si sognava di attendere.

Toshio assottigliò gli occhi felini per un istante, forse stupito… o forse irritato, non era facile dirlo avendo a che fare con un tale simulatore; con fare superficiale infilò le mani in tasca e si strinse nelle spalle “Ho delle notizie di prima mano, credevo t’interessassero. Sarò su in terrazza per il resto dell’ora, se cambi idea sai dove trovarmi, Nabiki” fu tutto quello che disse prima si lasciare l’aula.

Lo sconcerto della ragazza non fu inferiore a quello delle sue amiche, anche se meno manifesto. “Ti ha chiamato in modo così informale! Lo conosci? Non ci avevi detto che era tuo amico!”sbottarono in coro le tre ragazze che ignorò completamente: non poteva giurarlo, ma Nogata non le aveva mentito. Aveva davvero qualcosa da dirle, qualcosa che considerava fondamentale farle sapere.

Con tutta la calma che poté sfoggiare e con il suo sorriso più enigmatico, si alzò dal suo posto e fece un cenno alle altre di restare lì “Vado a vedere di cosa si tratta. In fondo è un cliente importante, non posso essere troppo rude con lui” spiegò, mentendo. Toshio Nogata era la cosa per lei più lontana da un cliente che potesse esistere, ma non c’era bisogno che gli altri lo sapessero. Il sorrisetto divertito delle altre dimostrò che le avevano creduto in pieno.

Quando uscì all’aperto, Nabiki non scorse subito il ragazzo, accecata come fu dall’intensa luce solare. Si schermò gli occhi con una mano e finalmente riuscì a localizzarlo. Poggiato alla ringhiera metallica Toshio le dava le spalle, preso a contemplare il cortile di sotto. C’era un qualcosa di rilassato nella sua figura languidamente addossata al parapetto da stizzirla: sembrava farlo apposta, mostrarsi tanto tranquillo quanto era capace di agitarla. Davvero, davvero irritante.

Gli si avvicinò piano e quando lo affiancò, poggiandosi a sua volta contro la rete, lui non si volse verso di lei, segno che l’aveva sentita arrivare. Nabiki ne osservò il profilo elegante, chiedendosi curiosa cosa avesse mai da dirle. Il volto del ragazzo continuava a non tradire alcunché e a quanto pareva non aveva nemmeno nessuna fretta di parlarle. Sempre più indispettita, Nabiki strinse appena le labbra e poi si voltò, rivolgendogli la schiena.

“Che vuoi?” domandò spiccia, stavolta non fece nemmeno troppo caso a nascondere la propria irritazione. Toshio la guardò appena e sorrise lieve, pur se lei non poteva vederlo.

“Sei venuta prima del previsto” constatò divertito e lei si morse l’interno della guancia: maledizione! Avrebbe dovuto farlo aspettare lì fino alla fine dell’ora ed invece era accorsa subito, dandogli chissà quale impressione sbagliata.

“Non avevo nulla di meglio da fare. Allora, quali notizie mi porti?”

“Non dovremmo discutere prima del pagamento?”

La giovane si volse così di scatto da far volteggiare il corto caschetto; sconcertata fissò l’altro in pieno viso, chiedendosi se facesse sul serio o se l’unico motivo per cui l’aveva fatta andare fin là non fosse altro che per prenderla in giro. “Pagamento?! Dovrei pagarti per delle informazioni che non so nemmeno se esistono? Sei davvero un ingenuo se pensi che sgancerò un solo yen per qualsiasi cosa tu mi dica, Nogata.”

Toshio sorrise di nuovo allegro, poi tornò a stringersi nelle spalle. “Non alludevo certo a del denaro, Nabiki. E’ l’unica cosa che non mi manca, ma credo che tu questo lo sappia. D’accordo, vorrà dire che mi farò bastare il nostro primo bacio come acconto.”

“Ho sempre più l’impressione di essere venuta qui inutilmente e per essere chiari, odio gli sprechi, di tempo e di denaro, perciò arriva al dunque… e inoltre ti sarei grata se la smettessi di chiamarmi per nome, non ti ho mai dato il permesso di farlo.”

“Non mi avevi nemmeno permesso di baciarti…” le ricordò con leggerezza, visibilmente divertito dall’aria sempre più irritata dell’altra: considerava un vero onore riuscire ad incrinare la perfetta maschera di indifferenza che quella ragazza si era creata in tutti quegli anni. Guardarla lottare con se stessa per reprimere le proprie emozioni, sapendo di essere la causa di tale dissidio, era per lui motivo di gioia… non avrebbe mai sopportato esserle indifferente. “Comunque ho davvero qualcosa da dirti, roba seria. Roba dolorosa.” notò subito lo sguardo di lei incupirsi e per alcuni istanti, Toshio pensò di non rivelarle nulla: nonostante il suo modo di dimostrarlo fosse più simile ad uno scherzo, era seriamente innamorato di quella ragazza così complessa e sapere di darle un dolore lo angustiava. Ma prima o poi Nabiki avrebbe scoperto quello che lui già sapeva, lo scopriva sempre in un modo o in un altro…

“Alla fine dell’anno scolastico Kuno Tatewaki sposerà l’americana” lo disse velocemente, pur non illudendosi che in quel modo le avrebbe fatto meno male.

Nabiki sbarrò gli occhi, confusa. Quello che Nogata le aveva appena detto era così… inverosimile che per lunghi istanti la sua mente non riuscì a capire bene di cosa stesse mai parlando. Kuno sposato? Con Angel? “Quell’idiota…”

Toshio sospirò e in silenzio osservò gli occhi di Nabiki Tendo colmarsi di lacrime.

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Avevano trovato una panchina libera, proprio alle spalle del piccolo labirinto, orgoglio dei giardinieri di Nerima. Avevano sistemato alla ben meglio i numerosi pacchi da un lato e in silenzio si erano seduti una accanto all’altro.

In un primo momento i due ragazzi avevano guardato il via vai del parco non molto intenso di quel giorno lavorativo, qualche mamma a passeggio con i bambini, dei pensionati a spasso con i loro cagnolini, qualcuno impegnato a fare ginnastica… una mattina normale, in un mondo normale. Sembrava quasi assurdo che anche quel posto potesse essere così tranquillo nonostante Ranma e il caos che lo seguiva. Ryoga sorrise pensando che in effetti anche lui aveva la sua parte di responsabilità nell’aver reso quella cittadina la più stramba del Giappone. Circa cinque giorni prima aveva scatenato uno shshi hokodan da record proprio nel bel mezzo di quello stesso parco.

“Non serve, sai?” la voce lieve di Akari lo strappò a quei pensieri e confuso, si volse a guardarla.

“Ehm… cosa?” chiese, sconcertato. Anche lei sembrava meno tranquilla di prima, tormentava il bordo della minigonna azzurra che indossava con le dita ed i suoi occhi erano tenacemente puntati al terreno battuto ai loro piedi.

“Ringraziarmi. Non ho fatto nulla…”

“Oh…” stava riferendosi al discorso di prima. Ryoga ancora non sapeva cosa dirle, la piccola tregua per trovare quella panchina non gli era servita granché. Inspirò profondamente e fingendo di ignorare il calore al viso, parlò il più sinceramente possibile “Non sono uno stupido come molti pensano, o forse non lo sono così tanto… e non sono un ingrato. So che hai parlato con Akane quel giorno, il giorno che lei mi ha perdonato in qualche modo. Non so cosa tu le abbia detto, ma non ci vuole un genio a capire che se mi ha dato un’altra possibilità, il merito è tutto tuo.”

Akari rimase immobile, come impietrita da quelle parole. L’unico segno che le avesse udite fu il lieve aggrottarsi delle sopracciglia, prima di parlare nuovamente “E’ solo per questo che vuoi ringraziarmi, Ryoga? Solo per aver fatto sì che la donna che ami tornasse a parlarti?” gli fece quella domanda con voce tremula e l’eterno disperso temette fosse sul punto di piangere. Allarmato, scosse il capo con irruenza e scattò in piedi, agitato.

“Certo che no! Non è solo questo che io…”

“Vorrei ben vedere!” Akari lo imitò, alzandosi in piedi per fronteggiarlo. Dimentica di timidezza e dei suoi soliti modi gentili, gli si piazzò davanti guardandolo con occhi di brace, furenti come furente, all’improvviso, era lei stessa. Evidentemente non era il pianto a farle tremare la voce, pensò il poveretto prima che lei gli urlasse contro con foga. “Lo so che sei ancora innamorata di lei! Non sono così ingenua da credere che ti siano bastate due settimane per dimenticartela! Perciò, se ora stai cercando le parole per farmi capire che dobbiamo lasciarci, non serve! Lo so benissimo! Ho rinunciato a te da una vita, ma se ora mi chiedi scusa o osi ringraziarmi per questo, giuro che urlo – in verità stava già urlando, ma Ryoga era troppo sconcertato… e saggio per farglielo notare – e non guardarmi come se mi fosse spuntata un’altra testa! Anch’io posso urlare sai? Anch’io posso arrabbiarmi! E ringrazia il santo protettore dei suini che non abbia una padella a portata di mano, Hibiki, perché altrimenti seguirei alla lettera il consiglio di Ukyo e te la romperei in testa!”

La sua sfuriata fu talmente clamorosa da fa voltare gran parte dei pochi passanti che, chi con un sorriso, chi perplesso, ritornarono alle loro attività, dedicando un pensiero distratto ai due giovani innamorati.

Due furono i pensieri che, nitidi, emersero nella mente del giovane Ryoga Hibiki a cospetto di tanta inaspettata furia: primo, il più futile, era che Akari era proprio carina quando si arrabbiava; secondo, quella ragazza aveva frequentato troppo Kuonji. Perplesso e non sapendo come replicare, Ryoga si grattò la nuca, abbassando lo sguardo timido.

Per fortuna l’ira di Akari fu tanto violenta quanto breve. Chissà, forse non era proprio da lei arrabbiarsi tanto, soprattutto con lui. Lo guardò grattarsi il collo con quella faccia pesta e l’unica cosa che le venne da pensare fu che fosse molto grazioso così. Sospirò e scosse il capo, sentendo la furia abbandonarla del tutto: Ukyo non sarebbe stata affatto fiera di lei, ma pazienza, non poteva proprio farne a meno di volergli bene. “Scusa…” mormorò tornando a sedersi, nonostante poco prima gli avesse detto che non l’avrebbe mai più fatto.

“No, no, puoi arrabbiarti quanto vuoi! Me lo merito!” lei scosse il capo e sorrise appena, pervasa da una grande tristezza “Akari, io… sì, è vero, provo ancora qualcosa per Akane ed il fatto che mi abbia perdonato mi riempie di gioia, ma… ma tu… - le sedette accanto e in uno slancio improvviso le prese una mano tra le proprie – Mentre tornavamo qui dopo aver ritrovato Ranma, non ho fatto che pensare a cosa fare quando ti avrei rivista. Sapevo che dovevo dirti grazie, ma non solo per aver parlato con Akane! Io… io volevo dirti grazie per tutto il bene che mi hai dato e che… che non mi sono mai meritato” lei osservò le loro mani unite e sospirò di nuovo.

“Sei un tipo facile da amare, tutto sommato.”

“Lo stesso vale per te, Akari. Posso... chiederti un favore?”

“Cosa?”

“Potresti aspettarmi? Potresti aspettare ancora un po’ che…”

“Dovrei aspettare che t’innamori di me, Ryoga?” chiese stupita e lui scosse il capo.

“No, che ami solo te. Io ti amo già… e tanto, quindi… Mi aspetterai, Akari?”

Era una domanda egoista, lo sapeva fin troppo bene. Sapeva quanto ingiusto fosse chiederle una cosa simile, ma se c'era qualcosa che Ryoga Hibiki aveva imparato in tutta quella faccenda era di non voler più perdere nulla a causa della propria inettitudine. Aveva corso il rischio di perdere l'amicizia di Akane ed era solo merito della splendida creatura accanto a lui se ciò non era successo. Non voleva perderla, ma non voleva nemmeno più mentirle. Se Akari avesse accettato, avrebbe fatto di lui l’uomo più felice del mondo, se invece lo avesse mandato al diavolo come si meritava, lo avrebbe accettato, seppur con dolore. Trepidante, restò a guardarla mentre lei decideva.

Ma Akari in realtà non aveva nulla da decidere: il suo cuore aveva deciso per lei già da tempo, nel momento in cui si era inginocchiata dinanzi ad Akane aveva accettato il fatto che, anche se con sfumature diverse, Ryoga l’avrebbe amata per sempre, in un modo o in un altro. Aveva accettato che la piccola Tendo restasse nel cuore dell’uomo che lei amava… L’unica cosa che le restava da sperare era che quella presenza sarebbe andata sempre più assumendo le sfumature di un’amicizia. E che magari lei, Akari, avesse avuto sempre più posto nel cuore di Ryoga. Si morse le labbra, felice nonostante un punta di amarezza le adombrasse l'animo e sospirò per l’ultima volta. “Non farmi aspettare troppo, per favore.”

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Ukyo si sentiva contenta. Quando attraversò i cancelli del Furinkan per rientrare a casa, un sorriso sincero e divertito le distendeva i tratti del viso. A quell’ora Akari e Ryoga dovevano già esser tornati pensò, sistemando la cartella in spalla. Sperava inoltre che avessero già chiarito la loro situazione.

'Se quell'idiota se la fa sfuggire, giuro che lo uso come ripieno del piatto del giorno' pensò stringendo il manico di cuoio con forza. Non le importava se lo scopo della vita di Hibiki fosse rendersi quella vita stessa un inferno, ma non gli avrebbe permesso di trascinare Akari in un simile disegno distruttivo. Voleva bene a quella ragazza come ad una sorella e anche se in cuor suo le augurava di meglio che quello sfortunato depresso, se era lui che Akari voleva, per la miseria, gliel’avrebbe servito su un piatto d’argento 'Con contorno di patate, se fa lo scemo…' pensò tetra mentre imboccava il solito ponticello, lo stesso dove era intervenuta a difesa di Akane quella che sembrava un’eternità prima.

Alzò lo sguardo per osservare il sole riflettersi nel canale, ma tutto ciò che vide fu solo Ranma… e Akane, naturalmente. A giudicare dalla loro espressione seria dovevano star aspettando lei. Con un pizzico di selvaggia soddisfazione, notò che entrambi sembravano un po’ impacciati, probabilmente si sentivano in colpa.

Bene, quindi il momento dei chiarimenti era finalmente giunto. Stringendo ancor di più l’impugnatura della cartella avanzò a testa alta, andando incontro ai due.

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