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Autore: lexy90    19/08/2011    11 recensioni
“E le senti le vene, piene di ciò che sei e ti attacchi alla vita che hai.
Leggero, nel vestito migliore, senza andata né ritorno senza destinazione.
Leggero, nel vestito migliore, sulla testa un po' di sole ed in bocca una canzone”
Kei Hiwatari durante il suo percorso ha perso la retta via, ha commesso errori e ha compromesso tutto il suo mondo, ma allo stesso tempo è cresciuto, è cambiato, ha scoperto nuovi interessi e nuove prospettive. Spetta solo a lui prendere in mano le redini della sua vita e darle un senso, un qualcosa per cui lottare, una ragione per esistere.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Perché quello che ti spacca

E ti fa fuori dentro

Forse parte proprio da chi sei

 

 

 

 

 

 

 

I Miss You

 

 

 

 

Kei chiuse la chiamata, osservando l’ora sul display del cellulare.

Aprì un messaggio non letto nella cartella ricevuti, scoprendo un ‘ciao..come va?’ di Mizuki, che ignorò senza pensarci troppo.

Parlare con Yuri gli faceva sempre venire nostalgia di Mosca, di casa sua, di alcune piccole abitudini che col periodo in Giappone aveva immancabilmente perso. Anche se non lo avrebbe ammesso apertamente, poi, gli mancavano lo stesso Yuri e gli altri: aveva sperato che sarebbero potuti venire per Natale, invece avrebbe dovuto sopportare l’affollamento dettato dalla squadra cinese e quella americana e tutti i festeggiamenti per quella festa in cui non credeva tutto da solo.

Loro lavoravano e non potevano assentarsi e nessuno aveva portato avanti la possibilità che fosse Kei ad andare a trovarli in Russia, probabilmente poiché tutti temevano che non avrebbe avuto il coraggio di lasciarla per una seconda volta.

 

Entrambe le persone con cui aveva parlato erano arrivate alla conclusione che lui provava qualcosa per Hilary e su questo poteva anche dargli ragione: non le era del tutto indifferente altrimenti l’avrebbe lasciata dopo neanche una settimana. Il problema era capire cosa.

Sicuramente Rei pensava che fosse amore e probabilmente anche Hilary se ne stava convincendo: Yuri, da persona più razionale e meno sentimentale, si limitava a parlare di affezione e Kei propendeva più per questa ipotesi.

In ogni caso cercò di fare chiarezza in questa confusione di sentimenti nella settimana successiva.

Tentò di avvicinarsi a Hilary dopo il loro scontro, ma lei sembrava essere davvero ferita: non sapeva se era riuscito a farsi perdonare interamente e da una parte sperava che non fosse così. La ragazza era visivamente più diffidente nei suoi confronti, anche se il peso dei sentimenti che aveva, quasi, ammesso di provare per lui potevano sempre farsi sentire.

Si sforzò lui e si sforzò lei, ma tutti si erano accorti che qualcosa non andava, come la giornata in gita, e ignorare quella crisi risultava più stupido che altro.

-Andiamo a fare un giro- sussurrò Kei impassibile a Hilary alla fine delle lezioni.

Si incamminarono silenziosi per le strade del quartiere, avvertendo nell’aria stessa il sentore di uno scontro, perché era l’unica cosa possibile per sbloccare la situazione: unica incertezza era l’esito di questo scontro.

Arrivarono al belvedere, luogo dove si fermarono automaticamente: si sedettero su una panchina, poiché l’erba era ancora umida per le piogge dei giorni precedenti.

Hilary si strinse nella giacca, infreddolita non solo dal vento che soffiava come per portarsi via novembre, in quelle ultime ore di quel mese grigio.

-Ho pensato a quello che è successo la settimana scorsa- iniziò Kei guardandola dritta negli occhi.

-Anche io- cercò di sillabare lei.

-Tutti i giorni sono arrivato alla stessa identica conclusione che credo sia la soluzione migliore per tutti..-

-Non farlo..- lo interruppe Hilary improvvisamente -..non prendere decisioni anche per me!-

-E’ una mia decisione-

-Non dirlo- disse lei scuotendo la testa.

-Ti sto lasciando- ribattè Kei calmo, osservandola trattenere il respiro e distogliere lo sguardo.

-Sai.. in una coppia si è in due.. prima di prendere decisioni si presume che questa coppia ne discuta insieme- affermò non senza tradire agitazione.

-I fatti mi sembrano chiari: tu provi qualcosa per me che se alimentato non può far altro che peggiorare.. non ho intenzione di dare adito a delle illusioni-

-Illusioni? Peggiorare? La smetti di parlarne come se fosse una cosa negativa?-

-Ma lo è-

-Solo perché ne sei completamente spaventato? Che ne sai che non lo provi già?-

-Non lo è per me.. dovresti riversarlo verso qualcuno che lo può davvero apprezzare-

-Non è a comando..- dibattè lei con un sorrisetto tutt’altro che divertito.

-Io non posso farlo.. non posso continuare-

-Tu non vuoi, che è diverso-

-Ci tengo a te..-

-E allora non farmi questo-

-..e non posso continuare a illuderti così-

-Che ne sai che in futuro non si sviluppino anche i tuoi sentimenti per me?-

-Perché non succederà-

-Sei impossibile..-

-Davvero io non capisco cosa ci trovi in me, cosa vedete tutti di così bello- esclamò Kei improvvisamente, perdendo un briciolo della sua impassibilità –non c’è nulla di tutto ciò, mettiti il cuore in pace-

-Non capisci che è troppo tardi?- alzò la voce lei.

-Lo sarebbe ancora di più dopo, è per questo che..-

-Kei, io ti amo e..-

-Io no-

Le due piccole parole gli suonarono cattive non appena le pronunciò, ma fu come togliersi un peso, si sentì liberato dall’obbligo di fingere, di tentare di essere qualcuno così diverso da se stesso.

Sospirò. I suoi occhi probabilmente non tradivano alcuna incertezza, poiché Hilary, nel fissarli, si zittì immediatamente. Quelle due sillabe le avevano procurato più dolore di tutte le altre frasi pronunciate fino a quel momento.

La ragazza si alzò dalla panchina lentamente, senza più guardarlo e se ne andò.

 

Era almeno riuscita a non piangere davanti  a lui: non gli avrebbe dato quella soddisfazione. L’improvviso pensiero che il pianto sarebbe stato, al contrario, un motivo di rammarico in più per il ragazzo le balenò nella mente, ma cercò di scacciarlo via. Non voleva pensare a lui in nessun modo.

Peccato che fosse impossibile: avrebbe potuto associargli qualsiasi cosa.

Era passata qualche ora da quelle parole che, se ci ripensava, ed eccome se ci ripensava, le rimbombavano in testa fredde come il ghiaccio: eppure il tono del ragazzo era uguale a quello di ogni altro giorno, ma non sapeva dargli altra connotazione.

Sentimenti contrastanti si susseguivano incessanti e sembrava impossibile gestirli tutti: nonostante avesse tentato in ogni modo, non era riuscita a nascondere alla madre il suo stato d’animo, avrebbe voluto nasconderlo, ma non ci riusciva e non poteva.

-Tesoro?- la signora Tachibana si affacciò cauta alla porta della sua camera –C’è Takao-

Hilary si asciugò velocemente le lacrime, ma era consapevole che l’effetto non sarebbe comunque stato dei migliori. Se Takao era andato a trovarla voleva dire solo una cosa: già sapeva, quindi perché disturbarsi a nascondere una cosa tanto palese. L’unico fattore che la disturbava era che, probabilmente, ne era venuto a conoscenza da Kei poiché lei non aveva ancora avuto il coraggio di parlare con nessuno, e si vergognò del proprio stato.

-Permesso?-

Il giapponese entrò lentamente nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle.

Aveva un largo sorriso sul viso, ma stranamente non pieno della gioia che lo contraddistingueva: lo guardò per qualche secondo mentre si avvicinava cautamente al letto, ma non resistette a lungo, infatti Hilary si alzò velocemente e si buttò tra le sue braccia.

Takao la strinse: un abbraccio strano se paragonato a quello di Kei. Il giapponese era molto più basso e più goffo dell’altro, ma non per questo la sua stretta era meno rassicurante.

Scoppiò di nuovo a piangere rivolgendogli le sue scuse per lo stato in cui la vedeva, ma l’amico la tranquillizzò facendola sedere nuovamente sul letto di fronte a lui.

-Forza e coraggio- le sussurrò porgendole un pacchetto di fazzoletti trovato sulla scrivania.

Hilary si soffiò il naso, ma rimase zitta.

-Allora mi vuoi raccontare che è successo?-

-Non lo sai?-

-So solo che vi siete lasciati-

-Lui mi ha lasciato- sottolineò la ragazza.

-Ecco già mi mancava questo elemento-

Gli raccontò a grandi linee quello che le aveva detto Kei, ma non si sbilanciò troppo, ancora ferita, e si limitò a qualche commento colorito verso il ragazzo in questione.

-Non c’è possibilità che vi rimettiate insieme?-

-Se fosse per quel deficiente no- disse lei infervorata per poi rabbuiarsi nuovamente –mi aveva avvertita, me l’aveva detto, ma io stupida ci sono cascata comunque-

-Non sei stupida..-

-Pensavo non fosse possibile, che fosse lui ad esagerare con questa storia del non amare, ma che ne potevo sapere che per quello è realmente impossibile..-

-Ma è davvero impossibile che non ci riesca..-

-Lo pensavo anche io prima di conoscere lui-

-E’ solo diffidente-

-No, se la fa sotto-

-Per te prova qualcosa secondo me..-

-Non mi ama, me l’ha proprio detto-

-Potrebbe cambiare..-

-C’ho provato, ma è stato inutile.. come fa uno che non ama se stesso ad amare qualcun altro?-

-Che intendi dire?-

-Lui si odia-

-Non credo..-

-Si è fatto male in molti modi.. non lo considererei proprio la reincarnazione dell’amor proprio-

Hilary aveva lottato per diverso tempo con questa consapevolezza, ci aveva pensato diverse volte, ma non lo aveva mai confessato a nessuno: da una parte cercava di dare un perché a quei comportamenti, ma dall’altra aveva avuto la speranza di riuscire a cambiare lo stato delle cose, di essere la persona che lo avrebbe tirato fuori da quel circolo vizioso di dolore in cui si era intrappolato. Ma era stata sconfitta.

Si accoccolò ancora di più vicino a Takao.

 

Rei stranamente non aveva commentato: aveva ascoltato, aveva annuito e se ne era andato. Niente di più.

Che quello sarebbe stato l’inizio del suo allontanamento da tutti? Sapeva che prendendo quella decisione avrebbe dato vita a dissapori: in fondo Hilary era l’amica fidata e parte integrante del gruppo, probabilmente anche più di lui.

Una presenza alla sua destra lo fece voltare per vedere chi era uscito in giardino: Takao lo fissava, coprendo la luce cha arrivava dall’interno del dojo.

Si rivoltò aspirando il fumo dalla sigaretta.

-Non mi chiedi niente?- sapeva che era stato a casa di Hilary e quindi intuì quale doveva essere la domanda a cui si riferiva.

-Sarebbe un po’ ipocrita non trovi?-

-Forse, ma io lo considererei un gesto carino.. non per lei, ma per me..-

Kei rimase zitto, decidendo di non accontentarlo: in fondo chiedere come stesse la ragazza lo considerava davvero un gesto ipocrita.

-Non sta tanto bene.. i suoi sentimenti sono davvero reali..-

-Lo so- rispose laconico Kei sospirando.

-Secondo me stai sbagliando..- disse il giapponese piuttosto calmo, avanzando -..non dovresti lasciartela scappare-

-Meglio ora che dopo-

Takao lo guardò scettico per poi girarsi e dirigersi verso la porta.

-Dov’è tutto quello che mi avevi promesso nel caso io l’avessi fatta soffrire?- chiese con noncuranza Kei –Ora sta soffrendo no?-

Takao si fermò e lo guardò incerto.

-Sto sperando che tu cambi idea e comunque.. credo che tu ti stia già facendo del male da solo rifiutandola-

-Ragionevole- sussurrò l’altro con un sorrisetto, sentendo i passi dell’altro sparire all’interno del dojo.

Aveva davvero fatto la cosa sbagliata? Per la prima volta dopo giorni riusciva a rispondersi chiaramente di no. Quella era stata una decisione ponderata: Hilary avrebbe sofferto molto di più se l’avesse lasciata nei mesi successivi e se avesse continuato a fomentare le sue speranze, mentre lui era di nuovo da solo, condannato da se stesso. E quasi respirava.

Kei guardò l’ora: mezzanotte e tre minuti.

Dicembre era arrivato e si preannunciava come il solito, incasinato, odioso dicembre.

 

Nel week end Hilary non si fece vedere al dojo, come era comprensibile, ma comunque risultarono due giorni parecchio strani. Rei voleva andare a trovarla, ma Takao gli aveva riferito che lei non voleva vedere nessuno per un po’.

-Ma te l’ha detto proprio lei?- si informò il cinese mentre Takao metteva a posto la sua camera dopo le mille lamentele di Nonno J.

-Sì-

-Verrà a scuola domani?-

-Non lo so, stare chiusa in casa non la farà stare meglio, ma credo voglia evitare di vedere Kei-

-Capisco- Rei fece per andarsene, ma l’altro lo fermò.

-Senti Rei.. tu pensi che.. che Kei si odi?-

-Se Kei odia se stesso?-

-Sì-

-Non lo so.. ma come ti vengono in mente queste cose?-

-Me l’ha detto Hilary e mi ha fatto strano-

Il cinese rimase a rimuginare qualche secondo su quelle parole, ripensando alle varie occasioni in cui aveva parlato con il russo, ma non seppe comunque dare una risposta a quell’inaspettata domanda.

-Davvero non lo so, ma spero di no-

-Anche io.. altrimenti vorrebbe dire che non lo abbiamo aiutato in nessun modo-

 

-Lo sai che la scuola è da quella parte vero?- chiese retoricamente Rei all’amico, vedendolo imboccare una strada diversa.

-Oggi non vengo- rispose tranquillamente Kei.

-Perché?-

-Non ne ho voglia-

-Ma non puoi-

-Per un giorno.. cosa vuoi che succeda?-

Prima di riuscire a dibattere il ragazzo riprese a camminare e non si fermò ai suoi richiami: ponderò la possibilità di seguirlo, ma poi pensò che finalmente quella mattina avrebbe potuto vedere Hilary e, in quel momento, era lei la sua priorità.

Fortunatamente la trovò già seduta al suo banco: non li aveva aspettati come al solito all’incrocio tra le loro vie, un’altra abitudine modificata da quando lei e Kei si erano lasciati.

La salutò con un abbraccio e la scrutò attentamente: sembrava essere completamente normale, ma era ovvia la sua agitazione, soprattutto nel guardarsi intorno per capire se il russo sarebbe entrato da un momento all’altro. Solo quando le lezioni iniziarono tirò un sospiro di sollievo.

Rei valutò la possibilità che Kei avesse marinato scuola per lo stesso motivo, non vederla, ma questo poteva significare che lui ci soffrisse, oppure che sapeva quanto per lei sarebbe stato difficile. Erano probabili entrambe le opzioni.

-Non ti farai più vedere?- chiese Max a pranzo, più come supplica perché avvenisse il contrario, che per farla sentire in colpa.

-Ho solo bisogno di un po’ di tempo- rispose piano la ragazza con un mezzo sorriso –Ma parliamo di altro.. che avete fatto in questi due giorni?-

Per fortuna Takao accolse prontamente il cambio di discorso e la tenne occupata per un bel po’ con le sue chiacchiere e le sue solite frecciatine.

 

Vagò per qualche ora tra le vie di Tokio senza una reale meta, in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa. Era dicembre e sarebbe presto arrivata: era sempre così, non era superstizioso, o almeno non troppo, ma ormai ci aveva fatto il callo. A dicembre qualcosa di brutto accadeva sempre.

Si rendeva conto dell’assurdità dei suoi pensieri, ma in qualche modo quella disgrazia incombente di cui non sapeva nulla era una specie di ancora alla quale si stava aggrappando. Ciò che stava cercando era capire chi fosse lui veramente e quella sua sfiga decembrina era una specie di legame con il Kei del passato.

Tutta la relazione con Hilary era stata una ricerca di un modo nuovo di vivere le giornate, di approcciarsi alle persone, di pensare, ma non aveva resistito: forse era scappato, forse aveva paura, forse aveva semplicemente seguito il corso degli eventi. Non importava come la pensassero gli altri, come la pensasse lui stesso, l’unico fatto realmente certo era quanto lui fosse rimasto uguale.

Uguale a se stesso, non tanto a quello che era stato negli ultimi anni: sia nel sue periodo della droga, sia in quei mesi in Giappone, era stato qualcosa di sbagliato per il suo reale modo di essere.

Tornò presto al dojo: senza inventare alcuna scusa disse semplicemente a Nonno J del fatto che non fosse andato a scuola e, come si aspettava, l’uomo si limitò a invitarlo a non prenderci l’abitudine.

Entrò in palestra e fissò lo stereo di Hilary: glielo avrebbe restituito, anche se lei, se aveva capito anche solo un briciolo di come la pensava, l’avrebbe lasciato lì.

Lo accese, ascoltò le note diffondersi nella stanza e lo rispense: staccò l’mp3 e lo collegò alle cuffie, poggiandole sulle proprie orecchie.

Lui, una palestra e la sua musica. Respirava.

 

-Puoi dire a Hilary che se non viene qui a causa mia, basta che me lo dite e mi vado a fare un giro?-

-Diglielo tu, scusa- rispose Rei alla frase di Kei.

-Non credo mi voglia nemmeno vedere-

-Prima o poi dovrete affrontarvi-

-Vabbè..- disse il russo facendo per girarsi.

-Mi avevi detto che eri alla ricerca di qualcosa che ti facesse sentire bene.. perché non potrebbe essere Hilary-

-Non posso forzarmi a stare bene-

-Ma tu stavi bene con lei, me l’hai detto-

-Nel modo sbagliato-

 

Il primo giorno che si rividero si ignorarono completamente: si scambiarono solo uno sguardo a inizio mattinata. Il secondo fu essenzialmente uguale, poi il terzo finalmente accennarono un saluto.

In realtà furono praticamente costretti dal professore di giapponese con la sua malsana abitudine di far lavorare le persone in gruppo.

Quel pomeriggio, poi, Hilary fu costretta a passare dal dojo per recuperare dei suoi quaderni, rimasti lì la settimana prima: fu così che ebbero il loro vero primo incontro.

-Come va?- chiese Kei, fermo nel vialetto a fumare, mentre lei usciva da casa Kinomiya.

-Cosa vuoi?- rispose astiosa.

-Vuoi riprenderti lo stereo?- disse il ragazzo piuttosto che rimanere senza battute.

-Tienilo pure.. te l’ho dato indipendentemente dal fatto che stessimo insieme-

-Senti..- aggiunse fermandola dopo che lo aveva superato -..non voglio che tu stia alla larga da qui solo per me, quindi se sono un problema dimmelo-

-Sei un problema, ma dovrò farci l’abitudine.. non ho intenzione di farti scenate, né di pregarti di tornare insieme, stai tranquillo..-

-Non è per questo-

-Senti.. non posso cambiare da un giorno all’altro quello che provo per te.. e prima o poi ti accorgerai del vuoto che ti stai creando attorno-

-Nel caso me lo sarò meritato-

-Cerca di superare il problema che hai con te stesso, poi inizia a pensare alle altre persone-

Lo guardò in tralice prima di voltarsi ed andarsene in modo da non permettergli di fermarla più.

 

Spense le luci.

Era notte fonda e tutti dormivano da diverse ore: era sceso al piano inferiore arrendendosi al fatto che non si sarebbe addormentato, sia perché non riusciva, sia perché non voleva.

Aveva azionato l’illuminazione solo per non andare a sbattere contro qualcosa e non fare rumore, ma una volta raggiunto il giardino fece in modo che l’oscurità avvolgesse nuovamente il tutto.

Guardò verso il cielo: le stelle e la mezza luna sembravano più vicine, che fosse così o se fosse la sua immaginazione non lo sapeva dire con certezza. Probabilmente entrambe.

Si sedette come sua abitudine sul legno, beandosi di quella pace irreale.

Pensò. A tutto e a niente, ma un pensiero in particolare lo attanagliava da diverse ore, una consapevolezza strana si faceva largo dentro di lui e gli mostrava quanto in realtà fosse fragile e solo. Sorrise spiazzato dell’effetto che quella notte gli stava procurando.

Eppure si era preparato.

Il display del cellulare si illuminò risvegliandolo: un messaggio in arrivo.

Sei sveglio?

Rispose affermativamente senza pensarci, attendendo.

Non dovette aspettare più di due minuti: il cellulare iniziò a vibrare annunciando questa volta una chiamata.

-Pronto-

-Ciao Kei-

La voce di Dana era probabilmente l’unica che avrebbe voluto ascoltare in quei minuti e la distorsione dettata dal microfono del telefono e dalla distanza non le rendeva giustizia.

-Notte strana eh?- chiese la ragazza in un sospiro.

-Bella in verità-

-Pensavo stessi dormendo.. è tardi lì-

-Invece lo sapevi che non dormivo-

-Ci speravo-

-Luna?-

-Non ce n’è-

-E’ qui-

-Ti fa compagnia-

-Come sei poetica-

-Sei da solo no?-

-Sì-

-Avresti bisogno di qualcuno con te ora-

-La luna basta-

Kei sentì dall’altro capo un singhiozzo nascosto malamente.

-Mi mancate-

Il ragazzo non rispose, ma tenne il cellulare attaccato all’orecchio, riprendendo a guardare verso il cielo, la schiena appoggiata a una colonnina.

Non parlarono: Kei sentì il pianto della ragazza consumarsi, per lasciare il posto al respiro pesante e controllato. Chiuse gli occhi immaginandola al suo fianco invece che dall’altra parte del mondo.

Era meno solo così.

Fossero stati insieme, l’avrebbe abbracciata per consolarla e poi baciato la fronte.

 

-Quando sarò triste potrò chiamarti?-

-A qualunque ora-

Ondeggiavano in mezzo alla pista, cercando di non scontrare le altre coppie e i bambini che correvano da una parte all’altra senza badare a niente e nessuno.

-Di quante ore è avanti il Giappone?-

-Sei-

Dana lo guardò negli occhi, per poi appoggiarsi al petto del ragazzo, una mano in quella dell’altro e l’altra sulla sua spalla, l’abito lungo e stretto che aveva appena cambiato dopo quello da sposa.

-Però non sarà la stessa cosa-

-Allora vai di immaginazione- disse lui con un sorrisetto.

-Mi rubi le battute?-

-Certo.. qualcuno mi dice sempre di chiudere gli occhi e immaginare una scena..- e le diede un bacio sulla fronte, mentre Anton gli passava accanto volteggiando con la nipote di sette anni tra le braccia, con un sorriso raggiante tutto rivolto alla sua neo moglie.

-Allora voglio immaginare questa-

-Con questa canzone?-

-Assolutamente.. canzone, atmosfera, vestiti- rise Dana facendo finta di sistemare la giacca elegante di Kei.

-Allora memorizziamo-

-Fatto-

-Fatto-

 

Iniziò a canticchiare la melodia della canzone che avevano danzato mesi prima, strappandole un sorriso.

Rivisse ancora per qualche minuto quella scena nella sua mente, prima di aprire nuovamente le palpebre, ancora rivolto verso il cielo, e vedere focalizzarsi davanti a sé nitidi due occhi azzurri privi di vita.

Scacciò l’immagine scuotendo la testa e portando la mano libera sul volto.

-Tutto bene?- domandò Dana, probabilmente avvertendo l’improvviso rumore dopo quei momenti di silenzio assoluto.

-Sì, solo..-

-Solo?-

-Fa male-

-Lo so..- ricadde il silenzio per qualche secondo -..danza ancora con me-

-Lo farei sempre-

-Fallo.. guai a te se smetti anche solo un secondo- lo ammonì dolcemente –Mio piccolo Kei forse è meglio se vai a dormire-

-Solo se non mi chiami mai più così-

-Ovviamente-

-Grazie che ci sei-

-Grazie che ci sei tu, grazie davvero-

Chiusero la chiamata.

Kei sapeva cosa significassero quei ringraziamenti: non per quella sera, per il conforto che si erano dati a vicenda, ma proprio per il fatto di esserci, essere presenti, essere vivi, essere ascoltati e essere aiutati.

Perché se lui non si fosse fatto aiutare, se non l’avesse ascoltata, probabilmente non sarebbe sopravvissuto, e nessuno come lei in quella notte particolare poteva essergli di conforto, non avrebbe permesso a nessun altro di condividere quelle ore.

Si diresse verso il piano di sopra, illuminando la strada con il cellulare: mancava un’ora o poco più all’alba e sperò vivamente che, una volta chiusi gli occhi, i fantasmi di quella stessa notte dell’anno prima non tornassero a perseguitarlo. Perché così li aveva visti quella notte quegli occhi, azzurri e privi di luce, ma non li voleva ricordare in nessun altro modo se non come tutte le altre notti dell’anno, se non come quella mattina, in quella scuola, su quelle scale antincendio. Sempre azzurri, ma vivi.

Peccato che non ci riuscisse.

 

Yuri gli aveva mandato un messaggio strano.

Questo non è un bel periodo per Kei. Stagli accanto, per favore.

Ovviamente aveva acconsentito, ma non per questo aveva compreso. Quella situazione se l’era creata da solo, prendendo delle decisioni di sua spontanea volontà, le quali sapeva a cosa avrebbero portato.

Si era persino stupito di quanto il rosso sapesse, considerando quanto poco Kei parlava di sé, persino a lui.

In ogni caso in quei giorni cercò di notare ogni sentore che potesse destare qualche allarme, ma l’unica stranezza era la sua stanchezza. Sembrava non aver chiuso occhio e quasi si addormentò sul banco: ovviamente era anche tornato scorbutico.

In tutto quel tempo sia Rei che gli altri erano rimasti vicini a Hilary e non avevano pensato altro che a lei come la parte lesa: nessuno aveva calcolato le reazioni di Kei, anche perché ostentava sicurezza e determinazione riguardo a quella scelta.

Conoscendolo, però, che altro si doveva aspettare? Una richiesta di aiuto, di un consiglio? No, non era nella sua indole.

Attese paziente un qualsiasi sintomo, ma non accadde nulla. Tentò un approccio, ma l’altro lo respinse, quindi non insistette.

 

La schiena aderiva con il parquet, la testa era piena di pensieri e dalle dita, per le mani, fino alle braccia, partivano disegni, movimenti, puri impulsi nati da note, immagini, suoni.

Il tatto, probabilmente il senso che preferiva.

La differente intensità tra lo sferzare l’aria e l’aderire alla terra, il calore dei muscoli e del corpo, la fatica e il sudore, tutto fuso.

Rimase ad assaporare l’immobilità in confronto al movimento di pochi secondi prima, quando sentì un movimento poco lontano da lui.

Aprì gli occhi e scorse Rei che lo scrutava dall’alto dicendo qualcosa.

Sfilò le cuffie per sentirlo.

-Cosa fai?-

-Nulla-

Il cinese lo guardò perplesso e si sedette a gambe incrociate, visto che il russo non sembrava intenzionato a muoversi dalla sua posizione supina.

-Hey..- iniziò Rei cercando di fare chiarezza -..non è che hai ripensamenti sulla storia di Hilary?-

Kei chiuse gli occhi e sospirò –Quante volte vi devo dire di no-

Sinceramente negli ultimi giorni non era riuscito a pensarci troppo, altri pensieri gli affollavano la testa portando in secondo piano la giapponese.

-Ah e Max ha comprato il regalo per Takao-

-Che regalo?- chiese il russo come cadendo dalle nuvole.

-Il suo compleanno.. tra qualche giorno!-

-Me l’ero dimenticato- ragionò Kei stupito, considerando quanto gli avevano rotto con tutti i preparativi per quella festa.

-Mi devo preoccupare?- chiese Rei ridendo.

-Ho solo altre cose per la testa- disse portando il pugno chiuso alla fronte.

-Riguardo?-

-E’..- iniziò pensando a che parole usare -..è un periodo particolare-

-Perché?- chiese Rei iniziando ad associare le parole dei due russi.

Kei rimase zitto qualche secondo prima di decidersi a parlare.

-L’anno scorso in questi giorni sono successe diverse cose- affermò mettendosi finalmente seduto.

-Che genere di cose?- indagò il cinese mentre la consapevolezza di aver interpretato male il messaggio di Yuri si faceva largo in lui.

-Oggi è il 13 dicembre.. un anno esatto fa mi sono fatto il mio ultimo buco-

-Non.. non lo sapevo-

-Non è una cosa che vado a sbandierare tipo compleanno-

-Beh ma si potrebbe anche festeggiare- disse il cinese.

-Non me la sentirei di festeggiare-

-Perché? E’ un traguardo e..-

-E sai perché ho smesso no? Cosa è successo-

Rei ragionò velocemente e un ricordo sfocato di un collage di fotografie in camera di Kei fece capolino nella sua testa.

-Me l’ero scordato.. mi dispiace-

Kei scosse la testa facendo spallucce.

-Quindi è anche un anno che è morta-

-Quattro giorni fa- ammise, mentre Rei lo guardava stupito.

-E tu stai bene?-

-Pensavo sarebbe stato meno.. meno..-

-Doloroso?-

-Forse-

-Smettila di affrontare queste cose da solo- esclamò il cinese con un tono dolce e comprensivo.

-Ho parlato con Dana-

-In ogni caso avere qualcuno vicino non fa male-

Kei nuovamente non rispose, iniziando a torturarsi le dita.

Rei spostò lo sguardo dopo tanto tempo sui segni negli incavi delle braccia dell’altro ai quali non aveva prestato più attenzione, ormai abituato alla loro vista. Era passato esattamente un anno, ma il nero si era sbiadito di poco.

-E’ per questo che odi dicembre?-

Kei annuì abbozzando un sorriso –E dicembre odia me.. sono sempre successe cose brutte in questo mese.. poi un anno dicembre me l’ha portata e un altro se l’è ripresa.. ammazzerà anche me-

-Non dire queste cose-

-Ci ho pensato tanto a questo.. forse le ho portato sfiga- disse fingendo un divertimento che evidentemente non provava.

-Tu ti senti in colpa- affermò Rei convinto: gli aveva posto la domanda mesi prima, se l’era dimenticato, ma non gli era stata data risposta, e se ora abbinava quel sentore che aveva provato alle parole del russo e a quelle di Takao di qualche giorno prima, poteva arrivare tranquillamente a quella conclusione.

Il russo guardò dritto davanti a sé senza proferir parola come in un muto consenso.

-Kei..-

-Hai mai visto morire qualcuno?-

-No, ma certe cose non si possono controllare-

-Ma io l’ho lasciata morire-

-Non devi..- Rei non sapeva più cosa dirgli per rassicurarlo, la sua convinzione sembrava radicata nel suo dolore, e non conosceva abbastanza elementi per dibattere efficacemente a quella follia.

-L’ho lasciata morire per due anni.. l’ho vista morire per due anni giorno per giorno-

-Ma non l’hai uccisa te-

-C’è differenza?-

-Credo proprio di sì- dibatté in panico -Quanti anni avevi? Eri piccolo.. sei, siamo piccoli.. non possiamo controllare tutte le vicende del mondo-

-Lo so.. so tutto quello che mi potresti dire per farmi capire quanto mi sbaglio, ma.. è più difficile metterlo in pratica-

-Provarci ne vale la pena-

-Me ne ero quasi convinto..- sospirò -è solo colpa del periodo-

-Allora riprova e non farti abbattere da una manciata di giornate no.. sei più forte di così.. devi solo ricordartelo-

Sperò davvero che quelle parole potessero bastare per tirarlo su.

Alla fine non aveva capito nulla delle parole di Yuri, le aveva fraintese, e il russo, anche a miglia e miglia di distanza aveva intuito che Kei non sarebbe stato bene emotivamente: pensò che l’unico modo per convincerlo ad affrontare questa serie di sensi di colpa fosse proprio la presenza del rosso, ma non era possibile. A Natale non poteva nemmeno venire da loro.

Lui da solo, però, poteva essere d’aiuto? Magari Hilary, che negli ultimi due mesi aveva avuto un’influenza positiva su Kei, poteva aiutarlo. Lei lo amava, ma non era ricambiata.

Fosse proprio questo il ragionamento dell’amico? Hilary lo avrebbe aiutato, ma si sarebbe così affezionata ancora di più e il distacco col tempo sarebbe stato sempre più doloroso. E sulla possibilità del russo di provare amore, iniziò a convincersi che, ora come ora, davvero non sarebbe accaduto; era troppo preso da se stesso, dai suoi problemi, dalla sua confusione per potersi dedicare a un’altra persona, per prendersi cura di lei, per amarla.

 

Per il compleanno di Takao andarono a mangiare fuori: erano una ventina, poiché il giapponese aveva invitato in pratica tutti quelli che conosceva.

Hilary stette alla larga da Kei portandosi sempre dalla parte opposta rispetto a lui, mentre il ragazzo cercava di starsene in disparte il più possibile.

Quei giorni si stavano rivelando sempre più strani: mai in tutto quell’anno di astinenza si era ritrovato a pensare al semplice gesto di preparare una siringa come in quel periodo, eppure erano tutte azioni così lontane, ma così vere. Sorrise e si schernì della sua stessa deficienza, seduto al tavolo intento ad armeggiare col cellulare per far passare il tempo.

Fece scorrere la lista dei messaggi rispondendo a uno di Dana di poche ore prima, fino a quando l’occhio non gli cadde su uno di settimane prima che aveva ignorato fino a quel momento: rispose con un ‘Bene, tu?’ e attese la risposta, per poi iniziare una lunga, muta conversazione.

 

Sorpresaaaaaaa!!!

Che poi tanto sorpresa non è perché l’avevo preannunciato su facebook, ma tralasciamo e facciamo che siete felici e contenti per questo nuovo aggiornamento in mezzo al nulla xD

Vabbè ho la connessione solo fuori di casa e intorno a me ci sono rumori sinistri che mi inquietano quindi vi lascio u.u

Risponderò alle vostre recensioni prometto! Intanto lasciatene pure di nuove! XD

Un bacione :)
ps: prossimo aggiornamento l'uno di settembre e da lì si tornerà all'aappuntamento settimanale :3 sempre che qualcuno ne abbia ancora voglia ^^

 

   
 
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