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Autore: Remedios la Bella    24/08/2011    2 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13
 
Continuai a cercarla, acquattato come una volpe dietro un cespuglio che attende che la sua preda faccia il suo passo falso. Cercavo di non farmi notare, e se sfortunatamente qualcuno ci notava, mettevamo un dito sul labbro in segno di silenzio. I prigionieri sembravano straniti dalla nostra presenza così furtiva, ma stranamente ci venivano incontro, come se fossimo venuti fin lì per loro.
Così potei addentrarmi sempre di più, fino a giungere alla zona della ciminiera. Lì mi voltai verso Elly, mentre rimanemmo appostati dietro un muro divisorio e guardavamo oltre verso la ciminiera:” La vedi?”
“ no, mi spiace … dobbiamo sbrigarci, non penso che i soldati di prima non si siano resi conto del nostro ingresso.”
“ Poco importa, a me importa solo di saperla salva …” le dissi, voltandomi verso la ciminiera e continuando a scrutare.
La ciminiera si stagliava in tutta la sua inquietante grandezza in un angolo remoto del campo, il grande portone nero da dove nessuno faceva ritorno mi fece venire i brividi. Il fumo continuava ad uscire nero e maleodorante di carne bruciata e di dolore. Speravo con tutto il cuore che in quell’odore non ci fosse quello della ragazza.
Continuai a guardare, ma non vedevo niente, niente che mi potesse dare segno che Deborah era stata là. Che fosse già troppo tardi? NO, non volevo darmi ragione di credere una certa idiozia.
Fui però così assorto nella ricerca della ragazza che non mi accorsi dei colpi che mi menava mia sorella:” Max!” mi urlò allarmata.
“Si può sapere che c’è?”
“ Guarda laggiù!” indicò un punto davanti a sé. Strizzai gli occhi per vedere meglio, e … la vidi: veniva trascinata da Xavier per il braccio, aveva un’andatura forzata e entrambi erano diretti verso gli accampamenti dei soldati.
Era viva. Per un attimo il mio cuore era felice di vederla lì, in carne e ossa, triste ma viva. Viva. Non avrei potuto desiderare di meglio.
“ è viva …” sussurrai estasiato.
“ Si … seguiamoli.” Mi disse Elly, acquattandosi all’inseguimento della giovane.
La seguii con il cuore pieno di speranza, facendo attenzione che nessuno dei soldati ci vedesse. Nel mentre lei e Xavier entrarono nell’alloggio 311, e ci fermammo un pochino ad osservare, nascosti dietro una baracca.
Xavier rimaneva sulla porta, e sembrava urlarle qualcosa di incomprensibile, poi lo vidi entrare e dopo qualche secondo uscire, e si tastava le nocche delle dita come se provasse dolore. Uscì, senza Deborah alle costole sbattendo la porta.
“ è sola .. andiamo.” Feci segnale a Elly di proseguire, e insieme a lei riuscimmo a infiltrarci negli accampamenti. Sgattaiolai tra gli angoli che dividevano ogni bungalow, fino all’appartamento 311. Lì mi acquattai contro il muro come una sogliola e cercai qualcosa per guardare dentro. Per mia fortuna c’era una finestra poco sopra di me, non troppo in alto.
“ Elly, fammi da scaletta!” sussurrai a mia sorella, che mi guardò contrariata.
“Cosa? Scusa, perché non la fai tu a me! Sono una ragazza, non faccio certe cose!”
“ Senti, poche storie e più fatti! E adesso aiutami!” le dissi leggermente irritato. Lei mi guardò malissimo e poi incrociò le dita aprendo i palmi di modo da farmi una piccola scaletta per slanciarmi verso la finestrella.
Ci misi il piede, e spinsi il mio corpo fino a raggiungere la finestrella. Buttai un occhio dentro e la vidi: Era stesa sul letto, mi dava le spalle, ma potevo scorgere i suoi singhiozzi. Piangeva come sempre, ma stavolta sembrava più disperata.
“ Deborah ..” sussurrai, tristemente.
Scesi, dopo aver visto quello spettacolo pietoso:” Elly tu aspettami qui.”
“ Max! non avrai intenzione di …” mi disse lei, con occhi spaventati.
“ devo sapere perché sta piangendo … aspettami e non farti scoprire …”
Lei sospirò e poi mi guardò tristemente:” ah … sei il solito .. attento ok?”
“ Si …” le feci io, prendendole la mano. Gliela lascia e poi andai furtivo fuori. Detti un’occhiata, nessuno nei paraggi. Potei uscire allo scoperto e avvicinarmi alla porta del bungalow.
Controllai ancora e posai la mano sulla maniglia. Spinsi giù, quella si aprì. Cigolò un poco, mentre io misi piede dentro.
 
Cercavo di soffocare le lacrime sul materasso, non volevo che qualcuno, soprattutto Xavier, sapesse che avevo pianto. Cercavo di non gridare per non farmi sentire da nessuno, cercavo di non farlo per non esplicare a nessuno l’immenso dolore che covavo nel cuore ormai trafitto da mille pugnali di umiliazione.
Come aveva potuto ammazzarla? Lei non aveva fatto niente, lei, mia madre … la donna più buona a questo mondo.
Prima mio zio, morto davanti agli occhi miei e di Max quando avevo appena sei anni, ora lei, senza però che io avessi potuto vedere il suo corpo bruciare tra le fiamme del forno, ma vedere solo i suoi occhi sinceri e misericordiosi prima di vederli sparire oltre la tenebra nel portone nero come la notte.
Continuavo a pensarci e a piangere allo stesso tempo. E poi sentii dei passi. Non erano passati molti minuti da quando Xavier se n’era andato, quindi mi aspettavo che fosse lui.
Sentivo i passi farsi sempre più vicini, potei scorgere un’ombra sotto la porta. Poi sentii la maniglia scattare e la porta cigolare, lentamente.
Mi alzai dal letto asciugandomi in fretta agli occhi, pronta a sferrare il mio sguardo più odioso per l’entrata di Xavier, ma dovetti cambiare espressione, poiché al posto del bastardo senza gloria, vidi una figura esile, un paio di occhi verdi luccicare e quei capelli neri che io tanto conoscevo … Max.
Si, proprio la persona che segretamente dentro di me avevo evocato in aiuto.
Mi guardò con occhi comprensivi:” Deborah .. stai bene …”
“Max ..” mi alzai di scatto dal letto:” Perché sei qui? Non è possibile  … non puoi .. non puoi essere tu …”
“ Deborah ,, credici, non stai sognando.” Mi disse lui dolcemente.
Si avvicinò sempre di più, fino a che fummo a meno di due centimetri l’uno dall’altro.
“ Sei davvero tu …” dissi io più a me stessa che a alta voce:” datemi un pizzicotto ..” feci davvero per pizzicarmi il braccio, e provai dolore reale. Lui sorrise al mio gesto:” Tranquilla, ora sono qui ..”
“ Beh .. pizzicarmi mi ha fatto male quindi sei davvero qui …” dissi io arrossendo. Seguii un silenzio fatto di scambio di sguardi  tra me e lui, e potei sentire il mio cuore battere forte in petto.
“ Max …” sussurrai.
E poco dopo non ebbi nemmeno il tempo di accorgermi che le sue braccia, proprio le sue braccia, mi avvolgevano in un caloroso abbraccio. Potei sentire il cuore nel suo petto battere all’impazzata come il mio, in  una corsa al battito più forte e intenso. Non ci pensai due volte a cingere le mie braccia intorno al suo collo.
“ Sia ringraziato il cielo .. sei qui.” Sussurrai, nell’incavo del suo collo.
“ si …” disse lui stringendo l’abbraccio.
Ero felice, adesso. Dopo tanto tempo ero felice. Felice di averlo trovato, felice che lui fosse con me. In quell’istante sospeso tra l’angoscia della perdita e la consolazione dell’averlo ritrovato in quell’angoscia. 

   
 
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