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Autore: KH4    24/08/2011    5 recensioni
Quando Nami aveva espressamente detto di non combinare alcun guaio, intendeva cose del tipo “Non attirate troppo l’attenzione con le vostre buffonate”, “Non fatevi vedere dalla Marina” o “Evitate di scatenare l’ennesimo pandemonio”. Insomma, i classici avvertimenti che non mancavano mai di essere ripresi e ripassati. Ma tra questi e l’infinita serie di avvertimenti da lei elargiti, nessuno aveva mai parlato di ragazze isteriche trasportanti in spalla, come sacchi di patate, fratelli mezzi dissanguati e seguite a ruota da innocenti bambine con grandi occhi azzurri. Un evento decisamente più normale del solito, umano, per dirla nella giusta maniera, ma, sicuramente, non privo di sorprese, se si teneva conto del fatto che, a portarli sulla nave, era stato proprio Rufy. (estratto del capitolo quattro).
 
Il Nuovo Mondo è pronto ad accogliere Rufy e la sua ciurma, tornati insieme dopo due anni di separazione; lasciatisi alle spalle l'isola degli Uomini Pesce, i pirati approdano su di un'isola, dove incontreranno un piccola amante della pirateria, bisognosa di aiuto. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ragazzi!
Seguito di “Giglio di Picche.”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Salve a tutti ragazzi, sono tornata e questa volta vi porto una storia dove ci sono i nostri cari pirati di Cappello di Paglia! Prima di lasciarvi alla lettura di questo primo capitolo, voglio solo avvertirvi di un paio di cosette, giusto per non creare problemi:
 
1)Gli aggiornamenti non saranno regolari; questa volta mi sarà molto difficile essere puntuale. Per chi ha letto “Giglio di Picche”, sa che sono sempre stata puntuale nell’aggiornamento, quindi chiedo scusa sin da ora se non sarò regolare. Dipende da come riesco a organizzarmi e dai stessi capitoli, visto che adesso il numero è inferiore a dieci. ^^”
2) Gli avvenimenti si svolgeranno dopo i due anni che i protagonisti hanno utilizzato per allenarsi, con la differenza che la battaglia di Marineford non si è verificata: la linea dei eventi da me sfruttata, è quella che ho descritto in “Giglio di Picche”, quindi, per farla breve, Ace è vivo, la battaglia principale si è svolta a Impel Down, e Rufy ha deciso comunque di posticipare l’incontro coi suoi amici. Tali notizie verranno soltanto citate. I vari dettagli verranno inseriti mano a mano nella fict, giusto per essere coerenti, ma chi volesse chiedere ulteriormente, può mandarmi un messaggio.
 
Detto ciò……………BUONA LETTURA! ^_^.
 
 
 
 
Hanbai era una delle molte isole del Nuovo Mondo.
Un placido territorio, se messo a confronto con i numerosi campi di battaglia presenti in mare, così tranquillo, che su di esso era stata edificata la classica cittadella la cui apparenza cercava di nascondere il marcio che non era in grado di estirpare: se da una parte sembrava una graziosa e ospitale meta turistica, piena di negozi, abitazioni linde, con balconi pieni di fiori e bella gente, dall’altra era in tutto e per tutto un postaccio, il cui lerciume era stato volutamente relegato nelle fondamenta, dove si aggiravano individui dal pugno facile. I borghi altolocati e le periferie vantavano un commercio di tutto rispetto, la cui punta di diamante era il gran mercato che ogni giovedì veniva allestito dai cittadini, decisamente un elemento troppo prezioso perchè lo si potesse dividere con chi ne avrebbe minato la bellezza.

Il gran mercato di Hanbai vantava una storia lunga quasi quanto la nascita della cittadella, ragione per cui veniva considerato con una sacralità quasi assurda. Lì non si vendevano comuni stoffe, cibarie o oggetti dalle strambe forme, ma veri e propri prodotti ricercati, dai più semplici ai più elaborati. Quasi tutti i compratori delle isole vicine, almeno due volte al mese, si dirigevano lì per acquistare le merci del posto, uniche nel loro genere e, per questo, molto apprezzate. La bellezza del posto, di quel suo specifico lato, era necessaria per ridurre il contrasto che la parte nera sottostante offriva. Con una morfologia molto simile a quella di un enorme collina, sulla cima dell’isola stava la zona commerciale, dove le abitazioni erano tutte costruite con mattoni color bianco gesso e le buone maniere erano all’ordine del giorno. A interrompere il candore d’essa vi era la parte bassa della cittadella, costellata di tetti rossi, piena di porti, locande squallide e vicoli dove spesso ci si appartava per qualche piacere fisico molto veloce. Disgraziatamente, non essendoci altri punti di attracco, tutte le navi erano costrette ad ormeggiare lì, dove i ladri ogni tanto solevano sbucare dal nulla per alleggerire le tasche dei turisti. Anche dei comuni pirati non avrebbero potuto fare altro, ma la ciurma di Cappello di Paglia vantava un navigatore che ne sapeva sempre una più del diavolo, il che era decisamente una fortuna, visto e considerato il grado di intelligenza di alcuni membri di quest’ultima.

Portandosi la mano dietro il collo, Nami scrollò i lunghi e ondulati capelli arancioni, rilasciandoli cadere lunga la schiena nuda. La cartina che teneva ben stretta fra le mani le era costata un’intera notte di lavoro, ragione per cui avrebbe approfittato di quella piccola sosta per recuperare almeno un paio d’ore di sonno. Mani e mente erano esauste; le ossa delle dita le dolevano per l’aver tenuto troppo a lungo la penna d’oca, ma conoscendo certe attitudini di alcuni suoi compagni, volle spendere le ultime energie rimaste per rivestire appieno il ruolo di colonna portante della ciurma. Oramai, farlo, era diventato peggio di un’abitudine.

“Il log pose ci impiegherà esattamente sette ore per registrare il magnetismo di quest’isola”, affermò davanti a tutti i suoi compagni “Il che significa che potremo riprendere il largo prima del tramonto e con vento favorevole, a quanto pare. Fortunantamente, qui non sembrano esserci basi della Marina, ma evitiamo comunque di farci notare. Hai capito, Rufy?”

Con fare rimproverante, puntò gli occhi su quello che era il suo capitano, un ragazzo diciannovenne con in testa un buffo cappello di paglia, che guardava da tutt’altra parte.
Monkey D. Rufy, in quei due anni di assenza dal mondo della pirateria, non pareva essere cambiato di una virgola: la sola differenza che saltava subito all’occhio erano i vestiti e una vistosa cicatrice a forma di “X” che gli squarciava il petto, ma nulla di più. Anche nel carattere non sembravano comparire delle novità: era sempre il solito pirata di gomma solare, ingenuo, vispo e desideroso di scoprire cose e posti a lui sconosciuti. Eppure, qualcosa di nuovo c’era: in una qualche maniera, era diventato più forte e coscienzioso, appropriandosi di quel pizzico di serietà capace di rafforzare ulteriormente le sue convinzioni. A parole era difficile da spiegare, poiché il soggetto stesso della questione era indescrivibile, ma fatto stava che Rufy, come tutti i suoi compagni, era maturato………anche se per la stragrande parte del tempo – come in quell’istante -, si comportava con impulsività a dir poco che esasperante.

“Rufy? Ma, insomma, mi stai ascoltando?!” sbottò Nami, alzando il tono della voce.
“Eh? Si, si, ho sentito. Hai detto di non farci notare. Sta tranquilla, andrà tutto bene.”

Il risponderle con quel suo tipico sorriso a trentadue denti, lasciava intendere perfettamente che parte del discorso appena fatto, non era stato sentito e appreso come lei sperava.

“Hai detto la stessa cosa quando ci siamo diretti all’isola degli Uomini Pesce e quasi finivamo per ammazzarci”, replicò arrabbiata la Gatta Ladra, sbuffando “Non mi va di ripetere l’esperienza, quindi, vedi di non fare di testa tua!”

La noncuranza del suo capitano sapeva sempre come innervosirla e in quel preciso momento, l’espressione beatamente sognante del ragazzo le stava facendo intendere che, anche se si fosse messa lì a spiegargli i mille e passa motivi per cui era importante che ogni tanto le acque rimanessero piatte, quello avrebbe si annuito, per poi tirare dritto con la mente completamente vuota di ogni buon consiglio fornito.
 
“Si, va bene, però adesso sbarchiamo!!” esclamò quest’ultimo, alzando le braccia al vento “Voglio visitare tutta l’isola!”
“E’ senza speranze”, sospirò sconfitta la rossa “Sanji, visto che devi comunque scendere per rifornire la dispensa, fammi il favore di tenerlo d’occhio.”
“Conta pure su di me, Nami-swan!!!” ululò il cuoco con l’occhio trasformato in cuore “Il tuo Sanji-kun non ti deluderà!”
“Tsk! Il solito idiota da quattro soldi”, borbottò assonnato Zoro.
“Che hai detto, razza di idiota?!”
“Hai sentito bene.”

Gamba Nera fu subito addosso all’ex Cacciatore di Pirati, che per tutto il tempo se ne era rimasto beatamente sdraiato sotto l’albero del ponte di coperta a schiacciare un pisolino. Siccome i loro litigi non sfociavano mai in veri e propri combattimenti all’ultimo sangue, il resto della ciurma li lasciava sfogare per bene senza mai intromettersi. Era sufficiente un niente per accendere la miccia, una piccolezza o, più facilmente, il comportamento esageratamente smielato del cuoco nei confronti delle sue compagne di viaggio.
Due anni trascorsi con dei Okama desiderosi di mettergli addosso vestiti svolazzanti, tacchi a spillo e pizzi alquanto imbarazzanti su di un corpo maschile, avevano reso Sanji estremamente sensibile alla vista delle belle donne, tanto che bastava un niente per provocargli una copiosa emorragia nasale. Sull’isola dei Uomini Pesce aveva praticamente sfiorato la morte almeno una decina di volte a causa di un numero considerevole di sirene che lo avevano accerchiato e coccolato come un principe, dando vita così a uno dei suoi sogni più ambiti. Un colpo troppo forte per il suo povero cuore di donnaiolo, che, con moltissima fatica, stava cercando di riadattarsi alle sinuose curve di Nami e Nico Robin. C’era ancora molto lavoro da fare visto che, davanti a qualunque estranea, il biondino perdeva letteralmente la testa – e anche qualche litro di sangue – ma, se non altro, davanti alla navigatrice e all’archeologa, riusciva quanto meno a mantenere quel contegno perso durante il soggiorno a Momoiro.

Tra un calcio e un fendente, i due vennero presto dimenticati dai loro compagni. Era inutile interromperli e, francamente, la Gatta Ladra non voleva spendere due pugni per dei casi patologici come loro, non in quel momento, non con la testa che rischiava di esploderle per le troppe pulsazioni.
 
“Se Sanji e Rufy scendono, allora voglio andare anch’io”, si fece avanti la tenera renna, con in spalla il suo bel zainetto azzurro “Ho giusto bisogno di nuovi ingredienti per le medicine. Robin, vieni anche tu?”
“Eh eh, certo. Sarà interessante”, rispose la bella archeologa.
“Robin-chwan!!” ululò il cuoco, fiondandosi ai suoi piedi come un prode cavaliere servente “Ovunque tu andrai, il tuo Sanji-kun ti seguirà, pronto a difenderti da ogni pericolo!!!”
“Cretino…”, borbottò lo spadaccino.

La velocità con cui l’espressione assurdamente innamorata di Sanji mutò, fu impossibile da cronometrare. Anche se Zoro lo avesse insultato con la sola forza del pensiero, in un modo o nell’altro il biondino avrebbe percepito l’aura di negatività nei suoi confronti anche se si fosse trovato a centomila miglia di distanza. La cosa era tanto stupefacente quanto assurda, ma non abbastanza degna di essere studiata e approfondita.
 
“Uff…” la povera navigatrice sospirò, scuotendo debolmente il capo “Qualcun altro vuole andare?” domandò poi al resto dell’equipaggio e lasciando così in disparte i due amici-nemici.
“Yohohoho! Penso che rimarrò a bordo, questa volta!” esclamò Brook, strimpellando la sua nuova chitarra.
“Anche io e Franky non scendiamo”, disse Usopp, con a fianco il mega cyborg dalle braccia smisuratamente lunghe “Dobbiamo terminare dei lavori al Soldier Dock System.”
“Già, vista la nostra ultima bravata sull’isola degli Uomini Pesce, sarebbe da pazzi girare con l’armamentario fuori uso”, concordò quest’ultimo, annuendo.

L’isola degli Uomini Pesce….

Il solo ripensarci, buttò Nami in un mare di ricordi piuttosto spiacevoli, coprendo i suoi occhi nocciolati di un sottile velo malinconico. Le era stato impossibile non ignorare il tatuaggio che per anni aveva dovuto portare come simbolo della sua sottomissione, e più aveva cercato di non pensarci, più l’oppressione l’aveva tormentata con visioni orribili riguardanti la sua infanzia. Se fosse stata la Nami di qualche anno addietro, impaurita da quei esseri dotati di una forza mostruosa, sicuramente non avrebbe avuto il coraggio di tirare fuori la grinta che l’aveva spronata a combattere a testa alta, insieme a tutti i suoi amici. D’accordo, il loro passaggio non era stato dei più tranquilli, anzi: si erano praticamente attirati le ire dei più brutti ceffi che ci fossero lì sotto, ma, anche se avessero avuto la possibilità di rimediare, di cancellare quanto combinato, di certo non lo avrebbero fatto: erano pirati, teorici nemici del Governo Mondiale, della Marina e di qualunque altra forma militare che aveva lo scopo di distruggere ogni forma di ribellione, anche quelle composte da Uomini Pesce, se necessario. Certe scelte comportavano determinate conseguenze, ma se non altro, Nami ora poteva dire di aver definitivamente riposto in un piccolo angolino della sua memoria il periodo vissuto al servizio di Arlong e di questo ne era fiera. La ladra che risiedeva dentro di lei e che l’aveva aiutata a sopravvivere per non pochi anni, non sarebbe più corsa dietro alle spalle di Rufy o dei altri suoi compagni, non avrebbe più esitato su campi nel quale era inesperta: due anni passati lontano dai suoi amici le avevano aperto gli occhi su un mondo ancor più grande e difficoltoso di quello che lei si era immaginata e, questa volta, non si sarebbe lasciata paralizzare dalla paura.

Guardandosi allo specchio, prima di tornare all’arcipelago Shabondy, si era ripromessa di riuscire dove in passato aveva fallito. Forse non si distingueva dal resto del gruppo per le sue abilità combattive, ma in fatto di navigazione non le si poteva criticare nulla, poiché era facilmente intuibile che senza di lei, il resto della ciurma, poteva già dirsi disperso in chissà quale parte del Nuovo Mondo. E non ci voleva certo un genio per capire che alcuni dei suoi compagni non fossero esattamente delle cime….

“Bene. Vedi di ricordartelo, Rufy: dovete tornare fra…..”
“Dai, Robin, sbrigati a scendere! Questo mercato deve essere incredibile!”

Ancora una volta, la ragazza rimase con il dito alzato, la bocca mezza aperta e le solite raccomandazioni tranciate a metà dalla fretta del moro, fermo ai piedi della passerella della Sunny e ansiosissimo di visitare l’isola. Le svariate venature che puntellarono le tempie della rossa non si poterono contare e mancava giusto un altro grammo di stupidità perché il suo pugno micidiale colpisse qualcosa o qualcuno.

Avesse almeno la decenza di farmi finire, quello scemo!

Sforzandosi enormemente di non esplodere, la rossa prese un bel respiro e buttò fuori l’ira accresciuta a tempo di record. L’esuberanza del suo capitano era impossibile da domare e lei, in quel momento, non aveva ne la voglia, ne la forza di mettersi a urlare rimproveri e raccomandazioni che, poco ma sicuro, sarebbero entrati da un orecchio e usciti dall’altro. Ci avrebbe pensato Robin; con lei, la situazione sarebbe rimasta dentro i caldi e sicuri confini dell’anonimato…….almeno così sperava.

Meglio non pensarci, si disse ancora nel mentre si massaggiava delicatamente i stanchi occhi.

Con la visione del proprio letto davanti a sé, la Gatta Ladra sospirò un’ultima volta, per poi dirigersi verso la stanza che condivideva con l’amica dai lunghi capelli corvini. Stette per salire le scale di legno quando, senza un motivo, Brook le si parò davanti, in tutta la sua ossuta presenza.

“Che c’è, Brook? Vuoi dirmi qualcosa?” gli domandò lei con voce stanca.
“Si, Nami-san, mi chiedevo se fossi così gentile da mostrarmi le tue mutandine.”

SBADABADAM!!

Un calcio in faccia atterrò seduta stante il musicista dalla vaporosa capigliatura afro, da cui spuntò un fumante e pulsante bernoccolo.
L’indignazione di Nami fu coperta dai suoi forti e calcati passi sulle scale, che si conclusero con la sonora chiusura della porta della propria cabina, sotto lo sguardo semi-impaurito di Franky e Usopp e quello mezzo addormentato di Zoro. A volte era davvero difficile comprendere il perché il Canterino si ostinasse a porre quelle domande perverse alla rossa, all’archeologa e a tutte le donzelle che gli capitavano sotto tiro: qualunque sua richiesta finiva con un calcio in testa, il che poteva mettere in serio pericolo l’integrità del suo preziosissimo afro. Eppure, lui ci provava sempre, indipendentemente dal rischio in cui poteva incappare. Pensare che si trattasse di pura e sana forza di volontà equivaleva schiantarsi contro degli scogli, perché di purezza, nelle sue intenzioni, non ce n’era la benché minima ombra.

Era uno scheletro maniaco, recidivo, con la fissazione della biancheria intima, che alternava buone maniera a puzzette e rutti. Ecco la verità.
 
“Yohohoho! Che dolore! Nami-san oggi è stata più violenta del solito!” si lamentò quest’ultimo, con gli occhiali dalla montatura a forma di cuore, completamente storti.




Zona Ovest della città bassa.
 
Le dieci erano scoccate da poco. I rintocchi delle campane avevano rotto il silenzio angoscioso regnante nella parte bassa di Hanbai per qualche secondo, senza però lasciare alcun segno del proprio passaggio. Il suono secco e distaccato del batacchio che colpiva l’interno della capanna non aveva nulla di armonioso e di curato: era già molto che il responsabile si ricordasse di non mancare al suo dovere. Benché il sole fosse sorto da un pezzo e la temperatura fosse piacevolmente gradevole, le stradine sostavano in una penombra fredda e poco rassicurante, che spinse la bambina a guardarsi intorno più di due volte, prima di decidere di mettere il naso fuori dalla porta della locanda. Le era bastato un solo sguardo per capire che quella zona non era sicura - incluse le scazzottate nei bar, intraviste nel mentre cercava un alloggio quanto meno decente-, ma, date le scarse risorse attuali, non aveva potuto fare altrimenti: Lars era stato ferito ed era un miracolo che entrambi fossero riusciti a giungere lì. La scialuppa su cui erano saliti aveva rischiato di lasciarli a mollo nell’acqua e, come avevano messo piede a terra, questa era colata a picco, con un bel buco nel mezzo.
 
Ok. E’ facile…è facilissimo, posso farcela. Devo solo correre e basta, si disse per la cinquantesima volta.
 
Deglutendo il più silenziosamente possibile, la piccola cominciò a far sporgere il proprio corpo al di fuori della locanda, senza staccare le rosee manine dal legno della porta. Ci aveva già provato in precedenza, ma,come un gatto aveva fatto cadere dei bidoni dell’immondizia, era subito tornata dentro col fiatone. Dire che fosse tesa come una corda di violino era un eufemismo, ma nessuno l’avrebbe potuta biasimare, vista la situazione in cui era immersa. Il posto non era dei migliori, affatto: l’odore delle reti da pesca, lasciate a cuocere sotto il sole, si mischiava a quello delle bettole maleodoranti, per non parlare poi dei vicoli, dove la spazzatura doveva raggiungere i tetti prima che gli abitanti si decidessero a spostarla. Ogni angolo trasudava di sporcizia e pericoli, due elementi a cui la bambina stava opponendo una faticata resistenza prossima al crollo. Nella sua piccola mente si stavano accavallando i ricordi del giorno prima, quando, durante quella tranquillissima navigata, la nave su cui viaggiava, era stata improvvisamente attaccata. Tutto si era svolto con troppa rapidità perché lei potesse ragionarci sopra, motivo per cui stava cercando di focalizzare la sua attenzione sulla priorità del momento: trovare dei medicinali per Lars o, meglio ancora, un medico disposto a curarlo. La vedeva dura, perchè i soldi che possedeva erano veramente pochi, ma tentare non le costava nulla e, inoltre, non avrebbe mai avuto il coraggio di tirarsi indietro: la vita del suo amico era nelle sue mani e lei avrebbe fatto di tutto pur di aiutarlo.
 
Che fosse impaurita o meno dai pericoli che sarebbero potuti balzare fuori da un momento all’altro, col cuoricino in piena frenesia, prese un bel respiro, strizzò gli occhi, e si gettò lungo la strada, muovendo le magre gambe con quanta più velocità possedesse.




“Wow! Quante bancarelle!” esclamò Rufy.
 
Gli abitanti del posto non avevano affatto esagerato nell’affermare che il mercato di Hanbai fosse il più fornito e il più bello di tutti quelli che gli stranieri avevano visitato sino ad ora. Rufy, Chopper, Sanji e Nico Robin, erano arrivati da poco meno di venti minuti e i venditori, abilissimi nel riconoscere gli stranieri, si stavano già adoperando affinché questi trovassero nelle loro merci qualcosa di così interessante, da indurli ad aprire il portafoglio. Inutile dire che se avessero lasciato carta libera al capitano, Nami li avrebbe linciati vivi e costretti a rimborsarla per il resto della loro vita, ma era impossibile non rimanere a bocca aperta davanti a quel susseguirsi di colori e oggetti così ordinatamente esposti. Gli stand non erano dei comuni mucchi di legno tenuti su con dello spago, ma piccolissime gallerie d’arte dove a ogni pezzo era stato dato una specifica collocazione, il che rendeva la presentazione ancor più gradevole alla vista. Il buon gusto per l’ordine era un requisito fondamentale se si voleva ottenere un posto al mercato e i cittadini davano sempre il meglio di loro, pur di stupire i clienti.
 
“Hanbai è molto famosa per i suoi commerci”, spiegò la corvina nel mentre avanzavano “I suoi prodotti sono richiesti in diverse isole, ragione per cui i mercanti, una volta al mese, devono recarsi in altre località per vendere quanto richiesto dai compratori. Per la maggior parte, si tratta di esportazioni riguardanti cibarie marine, ma ho sentito dire che anche le erbe medicinali sono molto ricercate.”
“Erbe medicinali?” al solo nome, gli occhi di Chopper si illuminarono “Davvero ci sono?”
“Pare di si”, gli rispose la donna, con un sorriso.
“Robin-chwan! La tua saggezza riempie il mio cuore d’amore!” ululò Sanji, vorticando intorno a lei.
“Sanji, ho fame! Prendiamo quella pinna di squalo gigante!” propose Rufy, indicando la bancarella del pesce con la bava alla bocca.
“Non cominciare! Hai fatto colazione appena due ore fa!” replicò il cuoco, irritato per l’essere stato interrotto nel suo elogio d’amore.
 
Nonostante i due anni di separazione, caratterialmente, nessuno di quei pirati pareva aver cambiato qualcosa nel loro stile di vita, ma per chi era troppo abituato a fidarsi delle prime apparenze, era difficile pensare alla possibilità che qualcosa fosse effettivamente successo. Era cambiata, la ciurma di Cappello di Paglia, fisicamente e anche un po’ emotivamente: la sconfitta contro Orso Bartholomew era stata dolorosa, umiliante, ma anche profondamente significativa per tutti quanti loro, sufficientemente perché realizzassero che non erano pronti per affrontare le insidie del Nuovo Mondo. Rufy l’aveva capito quando era riuscito a salvare Ace, dopo una fatica che era arrivata quasi a pretendere la sua vita, se non fosse stato per gli innumerevoli aiuti ricevuti. Era stato il primo, l’unico a comprendere che, un posto come il Nuovo Mondo, era una meta che necessitava ulteriore allenamento e quella rivelazione, gliel’aveva fornita proprio il desiderio di salvare il fratello maggiore. Seppur il suo spirito fosse immenso, la forza di cui disponeva non era stata abbastanza grande per proteggere i suoi compagni e i loro sogni, e lui non voleva più vederli scomparire sotto ai suoi occhi.  Il male provato ora era un semplice ricordo, il dolore e la stanchezza, nutriti dalla paura di perdere tutto, erano svaniti, ma nulla poteva cancellare l’eventualità che tutto ciò riaccadesse: se non fosse stato aiutato dalla ciurma di Barbabianca, da Bon-chan, da Iva-chan, e da tutti gli altri alleati trovati a Impel Down, forse, a quest’ora, ne lui ne Ace sarebbero vivi.
 
Non era stato facile scegliere, per niente, ma posticipare la partenza per il Nuovo Mondo era apparsa come l’unica soluzione plausibile, la più giusta. Con congedo silenzioso, i membri della ciurma di Cappello di Paglia si erano ritirati nel luogo scelto da Orso Bartholomew, leggendo nel messaggio lanciato dal capitano una volontà che tutti quanti avevano accettato senza alcuna replica.  Quei due anni erano stati tanto intensi quanto lunghi, ma ora erano di nuovo insieme e l’essere tornati a quella routine tanto mancata, si dimostrò essere un sollievo decisamente gratificante per ciascuno di loro.
 
“Eddai, Sanji….”, lo pregò Rufy.
“NO!” ruggì l’altro “Non mangerai nulla fino all’ora di pranzo!”
 
Abbozzando un altro sorriso, Nico Robin scostò un lunga ciocca corvina dalla sua guancia, per poi porgere la mano a Chopper, che senza troppi indugi, la afferrò.
 
“Vediamo di portare qualcosa alla nave o Nami ci sgriderà.”
“D’accordo.”




Zona Ovest della città bassa.
 
“Locanda de “il Pescatore Nero”: è questa.”
 
Con voce silenziosa e trionfante, una figura ingobbita sostava in un angolo buio, accompagnato da un altro suo simile, i cui piccoli occhi non si erano mai staccati dallo squallido locale. Puzzolenti e coi capelli unti, i due pirati – poiché erano tali –, si scambiarono un’occhiata complice, contornata da sogghigni spregiudicati e accarezzando le else delle proprie sciabole, come a volerle tenere calme fino al momento propizio. Avevano impiegato tutta la notte per trovare le loro prede e sarebbe stato un bel guaio se fossero tornati alla base con le mani vuote: sebbene fosse una loro iniziativa per ingraziarsi il capo – che, per precisare, non era al corrente della situazione-, fallire sarebbe stato alquanto deplorevole, poiché un sequestro di quella portata, non si sarebbe di certo ripetuto.
 
“Sarà un gioco da ragazzi”, affermò il primo con fare sprezzante “ Il ragazzo è ferito, quindi non ci vorrà niente a metterlo definitivamente fuori gioco e la marmocchia di certo non costituirà un problema.”
“Io aspetterei a cantare vittoria”, mormorò dubbioso il secondo.
“Ma che vai a blaterare?” ringhiò l’altro, guardandolo malissimo “E’ la nostra occasione per mettere le mani su un mucchio di soldi!”
“Lo so, ma hai visto con che facilità quel tipo ha sistemato i nostri compagni? E quella strega? Ha fatto fuori dieci uomini senza che noi ce ne accorgessimo. E’ evidente che li abbiamo sottovalutati.”
 
L’enfasi con cui il pirata illustrò il quadro della situazione era velata da un cenno di timore che, invece di diminuire, continuò a rimanere costante. Aveva appoggiato l’iniziativa del compare insieme a tutti gli altri, sicuro della sua riuscita: rapire una bambina, quella bambina poi, non rientrava nel progetto originale, ma la prospettiva di mettere le mani su un’ingente somma di Berry, prima dei tempi stabiliti, era stata sufficiente a farlo annuire con vigore. Sembrava facile, doveva esserlo, ma qualcosa era andato storto non appena avevano messo piede sulla nave: seppur fossero stati attenti, la fretta aveva fatto loro dimenticare che a difesa della piccola ci fossero due guardie del corpo molto speciali, la cui forza si era subito fatta sentire. In un modo o nell’altro, erano riusciti a ferire il ragazzo - distrattosi per proteggere la bambina -, ma in seguito si erano dovuti dividere, siccome quest’ultima e il ferito, erano scesi dalla nave e allontanatisi abbondantemente prima che se ne accorgessero. Per quanto il pirata stesse cercando di mettere in guardia il compagno, quest’ultimo non faceva altro che roteare le pupille e guardarlo con fare schifato nel mentre le dita tozze tamburellavano impazientemente sull’elsa dell’arma.
 
“Io aspetterei gli altri. E più sicuro….”
“Hai finito o devo tagliarti la lingua?” borbottò ad un certo punto “Cominci veramente a seccarmi.”
“Sto solo cercando di evitare che tu finisca a mollo nell’acqua senza vita: quei due non sono persone comuni.”
“Quei due”, sibilò l’altro puntandogli la lama della sciabola alla gola “Sono solo dei mocciosi, niente di più. Ci hanno colto di sorpresa, ma non ricapiterà: il ragazzo ha le ore contate e per quanto riguarda quella bastarda, sono certo che in questo momento starà desiderando di morire e a meno che tu non desideri fare la fine degli altri passeggeri della nave, ti consiglio di chiudere la bocca e di fare quello che ti dico, altrimenti non vedrai nemmeno l’ombra di un centesimo della parte che ti spetta”, sogghignò con una luce perversa nei occhi.
 
Coi sudori freddi a puntellargli la schiena, l’uomo annuì piano, per poi tirare mentalmente un sospiro di sollievo nel non percepire più la lama della sciabola sfregare contro la sua pelle.
 
“Andiamo. Abbiamo aspettato anche troppo”, disse l’altro incamminandosi verso l’entrata della locanda, con l’arma ben stretta in mano.




Mercato di Hanbai.
 
Una cosa facilissima da intuire riguardo Chopper, era la sua capacità di meravigliarsi anche davanti alla più semplice delle cose: avendo passato quasi tutta la sua vita in un castello, il mondo esterno rappresentava per lui una continua fonte di meraviglie indescrivibili, che lo spingeva a esternare i suoi sentimenti con un’enfasi tale da sprigionare tutta la sua ingenuità. Da più di dieci minuti, la piccola renna della Ciurma di Cappello di Paglia si trovava in uno stato di semi-adorazione per quella grande bancarella, il cui oggetto di vendita erano le tanto ricercate erbe medicinali di cui aveva sentito parlare pochi attimi prima.
 
Col cappello calcato sulla testolina pelosa, la renna aveva cominciato a girare intorno ai tavoli con estrema lentezza, esaminando con occhi da medico le erbe esposte, spesso accompagnate da piante intere o radici. Sotto ognuna di essa, vi stava un cartellino giallognolo, su cui era riportata una breve e saliente descrizione del prodotto, che comprendeva l’origine, il significato e l’uso di quest’ultimo. In un batter d’occhio, la conoscenza appresa sull’isola di Torino si risvegliò di colpo, ampliando la gioia del dottore, per tutte quelle rarità ammirate soltanto sui libri. Dietro al bancone principale, si poteva vedere perfettamente un ampio scaffale stipato di barattoli pieno d’acqua e alghe dai colori più sgargianti, che fluttuavano pigramente nel mentre il proprietario serviva i clienti. Accanto ad essi, riposti in ciotole di metallo, vi erano diversi mazzi di fiori secchi, tutti disposti a seconda della grandezza: il loro profumo giunse al naso di Chopper, che arrivò perfino ad alzarsi in punta di piedi per l’emozione. Sarebbe rimasto incantato per ore, da quei profumi, se non si fosse lasciato distrarre ulteriormente dalle erbe esposte sul bancone laterale.
 
“Che meraviglia! Non ne avevo mai viste così tante!” esclamò con occhi scintillanti, ignorando il sottofondo borbottante proveniente alle sue spalle “Ci sono le Acerole, le Amamelidi,…c'è perfino la Laminaria!” esclamò.
 
Tra le conoscenze acquisite grazie ai faticosi anni di studi, spuntarono fuori anche radici dalle particolari proprietà, che stuzzicarono immediatamente la sua curiosità medica. Sarebbe stato un delitto tornare alla Thousand Sunny senza aver preso qualcuna di quelle erbe, ma tanto forte era l’indecisione di Chopper, che più si guardava intorno, nel tentativo di identificare il possibile occorrente, più la confusione aumentava. Fu in un piccolo attimo di distrazione, che il cucciolo stoppò la sua mente per strabuzzare gli occhi: si sentì osservato e nel percepire quella sensazione pesargli sulle spalle, voltò automaticamente la testa sulla sua sinistra, per poi irrigidirsi ancora di più.
Seduta sui talloni e con le mani serrate sulle ginocchia, una graziosa bambina lo stava fissando intensamente: i corti capelli biondi - aventi un taglio quasi maschile, se non fosse stato per i due ciuffi laterali, leggermente più lunghi -,incorniciavano il suo visino rosato dai lineamenti tondi e sottili, mettendo in risalto le guance lievemente arrossate e gli occhi azzurri, assottigliati e stretti come a voler migliorare la propria vista. Come Chopper indietreggiò, il viso della bambina si sporse ancor di più, accompagnato da sussurrato mugugno indagatore, che si ruppe non appena queste gli domandò:
 
“Tu sei un medico?”
“Eh?” alla domanda, la renna sobbalzò impercettibilmente, con una goccia sulla guancia.
“Sei un medico o no?” gli domandò lei nuovamente.
“Ah..si, si, sono un med….ehi, che fai?!”
 
Dopo quel microsecondo di tentennamento, Chopper era riuscito finalmente a rispondere ma, senza neppure avere il tempo di finire, venne afferrato per un zoccolo e trascinato da quella bambina misteriosa.
 
“Whaaa! Lasciami! Si può sapere cosa vuoi?!” gridò nel mentre cercava di frenare l’avanzata ponendo resistenza.
“Devi venire con me!” gli rispose quella, guardando dritto davanti a sé.
 
Senza dar peso agli sguardi dei cittadini, la piccola aumentò la propria andatura, cercando di non  perdere la presa su quel buffo animale che rappresentava la sua ancora di salvezza. Lo aveva osservato per una mezzoretta abbondante, stupendosi di come riuscisse a riconoscere tutte quelle radici di cui lei manco sapeva il nome, nonostante il suo aspetto di tenero cucciolo peloso nascondesse perfettamente quel lato sapiente. Era perfettamente cosciente di starsi comportando male nei confronti di quella creatura, ma non appena la situazione si fosse calmata, gli avrebbe spiegato tutto quanto: al momento, era troppo agitata per vestire i panni della bambina educata, il pensiero di Lars, ferito e addormentato sul letto di quella angusta stanza, non ne voleva proprio sapere di lasciarla in pace.
 
Chissà poi se poi Azu-chan stava bene…..
Seppur avesse spudoratamente affermato che contro di lei, quei pirati avevano vita breve, la piccola era comunque in ansia anche per lei.
 
No! Ha detto che li avrebbe presi a calci nel sedere e che poi ci avrebbe raggiunti! Lo farà, ne sono sicura!
“Insomma, lasciami andare!!”
 
Con uno scatto repentino, la renna abbandonò la forma mista per assumere quella umana, liberandosi finalmente dalla presa dalla rapitrice. Quest’ultima, per lo sbalzo, cadde a terra, rimanendo a bocca aperta per quella trasformazione, insieme a una ventina di persone giratesi e i cui occhi erano usciti fuori dalle orbite. Queste, subito, si allontanarono con discrezione, per paura di brutta reazione di quello strano essere. Il loro comportamento era comprensibile, ragione per la quale, Chopper non si scompose e tornò alle sue solite dimensioni, sotto gli occhi della bambina, ancora a terra e momentaneamente muta.
 
“Scusami. Non ti volevo spaventare”, le disse sistemandosi lo zaino.
“Ma…ma…ma..ma tu ti sei gonfiato”, balbettò lei, indicandolo “E adesso… ti sei sgonfiato!”
“Si, ma non ti preoccupare: non voglio attaccarti. Solo, spiegami che cosa vuoi da me.”
Abbassando gli occhi in un attimo di esitazione, la piccola mormorò “Ecco, io….”
“Chooooooper!!!”
 
Le grida di Rufy spinsero i due a muovere le loro teste, giusto in tempo per vedere arrivare il ragazzo di gomma insieme a Nico Robin e Sanji.
 
“Ragazzi!”
“Eccoti qua! Ma dov’eri finito?” gli domandò Rufy “E lei chi è?” domandò poi nell’inginocchiarsi di fronte alla bambina.
“ A dire la verità…. non lo so”, rispose la renna .
“Come sarebbe a dire che non lo sai?” fece Sanji alzando il sopracciglio arrotolato.
“E’ una tua nuova amica?”gli domandò candidamente la donna.
 
Nel loro parlare, non si resero conto che la piccola li stava guardando con occhi sgranati e quasi increduli. Ancora a terra, non dava segno di volersi alzare e più i secondi passavano, più tutto quel che stava guardando, le sembrava troppo irreale per essere vero: non le era occorso molto per riconoscere nei nuovi arrivati alcuni membri di una delle ciurme più famose di tutto il mondo.
 
Non ci posso credere…..sono i pirati di Cappello di Paglia! Pensò completamente sconcertata.
 
Credette di stare sognando. Forse aveva battuto la testa e nemmeno se ne era accorta. O magari stava sognando ad occhi aperti. Se fosse stata un’illusione provocata da un bernoccolo, sicuramente sarebbe stata una delle visioni più incredibili della sua vita, considerato l’amore e l'incredibile ammirazione per il mondo piratesco. Anche scuotendo vigorosamente la testa, quelle persone non scomparirono ne si trasformarono in comuni mercanti e ciò fece si che il suo stupore aumentasse ulteriormente. Anche per un cieco sarebbe stato impossibile non riconoscere quella ciurma: era praticamente sulla bocca di tutti, le loro gesta avevano fatto il giro del mondo e lei quasi stentava a credere che alcuni componenti di tale banda fossero proprio davanti a lei, che stesse addirittura guardando in prima persona Monkey D. Rufy, il capitano, quello su cui era stata posta una taglia stratosferica. 
 
Se non calmava seduta stante il suo cuoricino di certo sarebbe esploso, ma come poteva tranquillizzarsi in un momento del genere?! Praticamente aveva tentato di rapire uno dei suoi compagni!
 
Oddio…e adesso cosa faccio? Come mi comporto?
 
Senza volerlo, si lasciò scappare un singulto e le ginocchia si mossero in un involontario tremolio. Se fosse stata in piedi, sicuramente le forze nelle gambe l’avrebbero lasciata al suo destino, senza più ripresentarsi. Tenuta da una parte dall’ansia e dall’altra da una pseudo paura, la gola della piccola si chiuse ermeticamente, rendendola talmente muta da dare quasi l’impressione che non stesse respirando.
 
“Insomma, Chopper, vuoi spiegarci che cos’è successo?” domandò nuovamente il cuoco.
“E’…….E’ colpa mia, scusate”, si fece avanti la suddetta nell’alzarsi in piedi per pulirsi la gonnellina azzurra “Volevo….volevo che venisse con me in un posto e non gli ho detto nulla. Il fatto è che mi serve un medico immediatamente: un mio amico sta male”, spiegò.
 
Di punto in bianco, il timore di essere punita da quei pirati e tutte le possibili conseguenze, svanirono sotto la sua preoccupazione, tornata a punzecchiarla con più foga. Quest’ultima aveva preso inspiegabilmente vita e, indignata per come lei la stava trascurando, si era fatta nuovamente sentire, ricordandole il perché stava girando tutta Hanbai. La sua forma e il dolore da essa provocato, ricordava perfettamente un punta spillo: piccolo, ma così acuminato da bucare la pelle e ogni altra cosa che si nascondesse sotto di essa. Era semplice immaginazione, quella dei puntaspilli, ma le sensazioni scatenate da questi era così vivida, che la piccola non potè far altro che accoglierla con le labbra strette fra i denti.

Senza aspettare che le venissero poste altre domande, la bambina illustrò molto velocemente l’accaduto, ritornatole in mente di punto in bianco: raccontò di come la nave su cui viaggiava fosse stata attaccata e di come in poche ore si fosse ritrovata insieme a Lars sulla spiaggia, dopo aver fatto esattamente come Azu-chan le aveva detto. Più parole fuoriuscivano dalle sue labbra, più l’ansia le martellava il cuore, alzandole il piccolo torace ritmicamente, come in preda a spasmi incontrollabili. Tornò indietro un paio di volte per aggiungere i dettagli dimenticati, gesticolando con le mani, incespicando su termini formulati male e tentando di ricostruire il quadro con una decenza quanto meno comprensibile, ma non si fermò: parlare si rivelò essere un metodo alquanto adeguato per scaricare la tensione e più suoni uscivano dalla sua bocca, più i  l’ossigeno tornava a riempirle i polmoni. Non sapeva di preciso perché stesse raccontando la sua vicenda a quei pirati, ma era così agitata e bisognosa d’aiuto, che oramai ogni porta offerta era buona. Aveva paura, ma non per se stessa: inspiegabilmente, quelle persone non le stavano trasmettendo violenza o arroganza. Parlare fu quasi istintivo e lei fu grata a quella spinta di coraggio trovata in se stessa: l’ammasso di pensieri e parole si stava districando, una novità che la rese più leggera nello spirito, seppur il grosso della matassa fosse ancora ben deciso a non andarsene.
 
Alla fine, dopo poco più di cinque minuti, espirò pesantemente sotto gli occhi dei quattro pirati, che, con sguardi differenti, l’avevano ascoltata.
 
“E’ da stamattina che cerco un medico, ma nessuno vuole venire nella parte bassa della città. Dicono che è troppo pericoloso e io non so più a chi chiedere. Per favore, è importante: Azu-chan non si è ancora fatta vedere e io non sono capace di curare le ferite di Lars”, disse nel guardare Rufy con aria visibilmente preoccupata.
 
Sperava veramente che l’aiutassero, non sapeva più dove sbattere la testa e mancava pochissimo perché le lacrime le pizzicassero gli occhi. I medici della zona alto locata erano troppo indaffarati per venirle incontro, ma forse era più corretto dire, che preferivano delegare i pazienti dei bassifondi ai colleghi che si erano stabiliti laggiù. La piccina non avrebbe esitato a rivolgersi a quest’ultimi se non fossero stati tanto infimi dal pretendere più soldi di quanti ne avesse per eseguire soltanto una visita. Di quelli poi, ne aveva pochissimi, quindi aveva puntato tutte le sue speranza su un fatidico incontro con qualche anima pia, pronta ad aiutarla. Anima che, a quanto pare, pareva aver trovato, seppur non del tutto corrispondente all’immagine mentale che lei si era fatta.
 
Monkey D. Rufy era una delle persona che mai si sarebbe sognata di incontrare da vivo, figurarsi  arrivare a chiedergli aiuto.
Però…….era quello che aveva appena fatto.
 
Il suddetto era rimasto per tutto il tempo inginocchiato di fronte a lei, ascoltandola e inclinando ogni tanto da una parte all’altra. Cogliere i suoi pensieri non era nelle priorità della piccola, ma come questi le sorrise ampiamente, appoggiando una mano sulla sua spalla, non sussultò o provò a divincolarsi: l’insolita scarica che le attraversò il corpo, rilassò ogni suo muscolo, impedendole di muoversi, ma non fu una sensazione negativa, tutt’altro…
 
Non possedeva nulla di elettrico o shoccante: era più simile a un’onda che si abbatteva dolcemente sulla spiaggia, rassicurante sotto ogni aspetto.
 
“Ok, ti aiuteremo”, sentenziò.
“Eh? Dite sul serio?” domandò meravigliata, riacquistando così il sorriso.
 
Nuovamente, credette di stare sognando, ma il sorriso slargato di Rufy non celava menzogne o false promesse: il che di rassicurante percepito pochi istanti prima, arrivò a toccarla un punto imprecisato del proprio animo, permettendole così di accogliere quell’aiuto che stava cercando con tanta ostinazione.
 
“Certo”, annuì Robin, per poi aggiungere “Però, sarà meglio avvertire Nami e gli altri: non vorrei che interpretasse male il nostro ritardo.”
“Ci penso io, mia adorata Robin-chwan!!”
 
Senza attendere ulteriormente, il cuoco si lanciò in una corsa vorticosa verso l’uscita della zona del mercato, spargendo cuoricini a destra e a sinistra sotto gli occhi attoniti dei presenti. La reazione del ragazzo lasciò interdetta pure la sconosciuta, che lo guardò sino a quando non fu sparito del tutto.
 
Che tipo strano… ha perfino un sopraciglio attorcigliato e all’incontrario. 
“Bene, andiamo!” esclamò Rufy alzandosi in piedi “Facci vedere dove sta il tuo amico,…ehm….ma com’è che ti chiami?” le domandò poi, inclinando la testa a destra, con le braccia incrociate.
“Già! Ancora non ci hai detto il tuo nome”, si aggiunse Chopper.
“E’ vero! Me ne sono dimenticata!” sobbalzò la piccola.
 
Dandosi una rapida sistemata alla maglietta bianca a maniche corte e ai capelli biondi, rimasti leggermente arruffati, la bambina tornò a guardare i nuovi amici, scattando sull’attenti, con la testa ben alzata e le mani congiunte dietro la schiena.
 
“Io mi chiamo Shion, tanto piacere!”  
  
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