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Autore: Panenutella    28/08/2011    6 recensioni
Lo guardai meglio: era un angelo….
Aveva il viso cordiale e aperto. Gli occhi neri e profondi come due pozzi guardavano attenti il mondo e risplendevano come la luna. I suoi lineamenti era fini e eleganti, proprio come quelli di un Elfo. La sua stretta era gentile, la sua pelle calda. I capelli corti e neri erano pettinati in modo sbarazzino. Indossava una maglietta bianca a maniche corte e mi salutò con un largo sorriso.
Nella mia mente contorta cominciai a sbavare come un mastino.
ATTENZIONE: la protagonista interpreta il ruolo della figlia di Galadriel – ovviamente inventata da me -, Hery, che ha una storia d’amore con Legolas e segue i protagonisti nel loro viaggio.
La maggior parte degli avvenimenti narrati in questa fic sono realmente accaduti, ma sono raccontati dal POV della protagonista.
Divertitevi, leggete e recensite in tanti! :)
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lesley's World'
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La mia vita sul set – Cap. 11

Dopo una lunga sorsata di coca, poggiai il bicchiere sul tavolo e scorsi il menu.
- Stavolta ce l’hai il portafoglio, Orlando?
Seduto di fronte a me, mi rivolse un’occhiata divertita da sopra il menu, mentre gli Hobbit continuavano a scambiarsi opinioni sull’albergo.
- A me non è sembrato tanto male – dissi chiudendo con un tonfo il menu. – Voglio dire, non è il Savoy (anche perché al Savoy non ci sono mai entrata) ma comunque l’indispensabile c’è.
- Per “indispensabile” intendi il letto e il bagno? – mi chiese Billy intrecciando le dita delle mani davanti al viso. – Perché, se è così, umilmente dissento.
- Umilmente dissenti? – ripetei sarcastica. – Che cosa intendi dire?
- Che per “indispensabile” io intendo un minibar, una televisione funzionante e uno stereo con tre casse.
Annuii. – Ricordami di non invitarti mai a casa mia.
- Ehi, Sean! Che stai facendo? – Elijah diede un colpetto sulla spalla a Sean, che guardava il soffitto.
- Sto cercando gli allarmi antincendio. E le uscite di sicurezza. Bisogna sempre essere preparati a ogni tipo di emergenza.
Dom, accanto a me, si batté la pancia con una mano e sorrise. – Peccato che non ci siano anche gli uomini e John. Ci sei solo tu, elfo, e tu… miscuglio tra Hobbit e elfo. – mi arruffò i capelli.
- Un Hobbifo!
Ridemmo. Bevvi un altro grosso sorso di coca cola e mi alzai dalla sedia, alzando le mani.
- Allora signori, - guardai in alto. – Io proporrei…
- Lesley? – mi interruppe Orlando. Gli rivolsi uno sguardo di disappunto. – Ti sei ubriacata con la Coca Cola?
Arrossii. – No! Che ti salta in mente? Dunque. Io proporrei, dopo aver mangiato, di andare da qualche parte dove si balla.
Mi sedetti. Tutti si dissero d’accordo.
- Per dove si balla, tesoro, intendi “discoteca”?
Annuii. Arrivò il cameriere che ci prese le ordinazioni: prendemmo tutti una pizza. Billy ordinò un altro giro di birra per tutti. Sean lo guardava preoccupato:
- Billy, non pensi di esagerare? Voglio dire, siamo ancora a stomaco vuoto! Poi chi guida?
- Les!
- Non mi tirate in mezzo! – esclamai, socchiudendo gli occhi. Alzai in alto la mia lattina di Coca cola. – Io non so guidare! Al massimo la moto, ma non credo che ci stiamo tutti… - mi sfregai gli occhi con un dito: le lenti avevano cominciato a darmi fastidio.
- Dai, Sean! – rise Dom. – Non ricordi le parole di Pete oggi? “È il momento di essere Hobbit! Non siete preoccupati, non conoscete la missione. Siete soltanto giovani Hobbit”.
- Non credo che il termine “giovane” si addica tanto a Billy. – Orlando ringraziò il cameriere che gli aveva messo sul tavolo un’altra lattina di birra. – Dopotutto-, continuò appoggiando i gomiti sul tavolo – ha trent’anni.
- E sono molto fiero di averli! – rise lui. Stappò la lattina. – Non ti ricordi la bevuta di champagne che ci siamo fatti sull’aereo per la Nuova Zelanda?
Orlando sospirò, beandosi del ricordo. Mi sfregai ancora gli occhi.
- Scusatemi – dissi alzandomi, e mi diressi verso il bagno con la borsa al seguito. Lo trovai vuoto. Appoggiai l’occorrente per le lenti sul bordo del lavandino e me le tolsi. Mi sciacquai il viso, mi lavai le mani e mi guardai allo specchio. Chissà come, mi ero dimenticata di avere i capelli ricci e caramellati. Il contrasto con i miei occhi naturali, verdi prato, era più intenso che con gli occhi nocciola.
Sorrisi alla mia immagine riflessa, e tornai al tavolo. Vedendomi arrivare, Dom esclamò:
- Ehi, Les, la tua era una wurstel, vero? È già arrivata.
- Tutte le pizze sono arrivate. – Ribatté Sean.
Elijah si alzò e sorridente mi tenne la sedia mentre mi sedevo, come un vero gentiluomo.
- Io ti ho versato dell’altra coca nel bicchiere -  mi informò Orlando facendo scivolare il bicchiere verso di me. Dom mi mise il tovagliolo sulle gambe.
- Ragazzi, perché questa… botta di gentilezza?
Sean si passò una mano tra i capelli. – Beh, mi sembra logico.
- Che cosa è logico?
- Il fatto che sei sempre in mezzo a noi, nove uomini – spiegò Elijah.
- Sei l’unica femmina. – precisò Billy.
- E quindi?
- Tu sei la nostra principessa. – concluse Orlando. Mi concedetti un attimo per comprendere, poi sorrisi commossa e li guardai uno a uno. Mi si inumidirono gli occhi.
- Accidenti – dissi chinando la testa e passandomi il dorso della mano sugli occhi. – Il fumo di questa pizza… mi sta facendo lacrimare…
Sorrisi. Dom mi diede un bacio sulla guancia.
- Beh, non mi resta altro che augurare… Bon appetit!
Senza più dire niente, attaccammo a mangiare le nostre pizze.

Usando il metodo poco ortodosso della pesca del bigliettino nel cappello – di Dominic – decidemmo di andare in un disco-club un po’ alla periferia della città. La scelta si rivelò ottima, poiché tutti i giovani si erano buttati nel centro di Matamata. Era una discoteca singolare, si potevano prenotare delle stanze da tenere per la serata. In mezzo alla musica a palla, a giri di cocktail e balli scatenati, Billy e Dominic erano quelli che si divertivano di più. Ballavano al centro della stanza che avevamo prenotato, e noialtri battevamo la mani a tempo, seduti su divanetti in fondo alla sala
- Non ti mancano le tranquille partite a Monopoli? – mi urlò Orlando nell’orecchio, per farsi sentire.
- Sì, ma questo spettacolo – indicai Billy e Dom – è meglio!!
La canzone finì e i due Hobbit si fermarono. – Allora, che dici, elfo! – urlò Dominic rivolto a Orlie. – Siamo abbastanza in spirito Hobbit?
Orlando rise e alzò il bicchiere in un brindisi.
- Ooooooooooooh, Dom! – fece Billy tutto estasiato. Era su di giri. – Che ne dici di provare la canzone?
- Quale canzone? – feci io. Elijah li raggiunse al centro della stanza.
- Ma quella che dobbiamo cantare alla serata Hobbit!
- Sì, ma noi dobbiamo essere ubriachi. – disse Dom.
- Più di così? – disse Orlando. Scoppiammo a ridere.
- D’accordo, ma facciamola solo una volta. È molto stressante provarla tante volte.
Si misero a cantare e Elijah saltava loro intorno, tenendo in mano sue bicchieri. Alla fine si fermarono, e noi applaudimmo  forte.

Per tornare come eravamo arrivati, ossia con una sola macchina, mi fecero accomodare nel sedile davanti, accanto ad Orlando – il più sobrio di tutti, a parte me – e caricarono Sean nel portabagagli, in modo che il suo senso della sicurezza andasse in crisi e non ci lasciasse in pace un istante durante il viaggetto verso l’albergo. Orlando li fece scendere davanti all’ingresso, ma io restai dentro la macchina.
- Noi restiamo un po’ qui, ragazzi – annunciò Orlando attraverso il finestrino dell’auto. Loro risero e se ne andarono dandosi gomitate d’intesa nei fianchi. Orlando appoggiò la mano sul volante e mi guardò. – Sei stanca?
- Un po’.
- Ti va se ti porto in un posto?
Lo guardai. – Che posto? – Lui scosse la testa
- È una sorpresa. –
Mi sporsi oltre il sedile e lo baciai. - Va bene. – dissi.
- Allora – mi lanciò una striscia di stoffa. – Ti metti questa intorno agli occhi.

Orlando mi obbligò a soffrire la macchina con la benda legata intorno agli occhi. Non volle dirmi niente riguardo alla nostra meta, e dopo un po’ smisi di chiedergli spiegazioni. Dopo qualche minuto fermò la macchina e spense il motore.
- Siamo arrivati? – Chiesi dopo un istante di immobilità.
- Sì, ma non toglierti la benda.
Percepii il suo sorriso senza neanche vederlo, mentre mi aiutava a scendere dalla macchina.
- Prendo una cosa dal portabagagli… - sentii i suoi passi e poi l’aprire e il chiudere del portellone - … e poi ti tolgo la benda.
Mi condusse tenendomi per le spalle su in cima ad una salita, poi scendemmo ancora, mi fece svoltare a sinistra, ancora una discesa, una salita, una discesa…
- Ma dove siamo, sulle montagne russe? – scherzai. Lui rise. Dopo ancora una discesina mi fermò, mi voltò verso sinistra, poggiò qualcosa per terra e poi mi tolse delicatamente la benda dagli occhi.
Mi ci volle un po’ per abituarmi alla luce della luna che illuminava il paesaggio, ma poi capii. Orlando mi aveva portata sulle sponde del lago di Hobbiton, proprio nel centro del nuovo set. Le acque scure erano quasi immobili, non tirava un filo di vento. La luna si specchiava sul lago, e riversava la sua luce argentata sugli alberi sulla riva. In lontananza si scorgeva la forma scura dell’albero in cima alla collina, casa Baggins.
Orlando mi prese per mano. – Hai visto? C’è la luna piena.
- È bellissimo – sussurrai soggiogata dalla bellezza del luogo.
- Mai quanto te.
Mi voltai verso di lui e mi persi nel suo caldo abbraccio. Lui mi accarezzava tranquillo i capelli. Non c’era altro suono che i nostri respiri e il movimento dell’acqua.
- Che cos’hai portato?
- Uno stereo. Mi era venuta un’idea.
- E cioè?
Mi tappò la bocca con un bacio. – Accendiamo la radio e la prima canzone che passa, sarà la nostra canzone.
- Orlando Bloom, ti appunti queste idee da qualche parte e poi le usi con tutte le ragazze? – dissi semiseria.
- Non con tutte. Solo con te.
Sorrisi. Orlando si accucciò per terra e accese la radio: trovò un giornale radio notturno, due stazioni di pubblicità, un talk show radiofonico. Solo al quinto tentativo l’aria si riempi delle dolci note di Iris, dei Goo Goo Dolls.
- Ooooh… - feci intenerita. Orlando si alzò sorridendomi.
- È proprio quello che volevo.
Si avvicinò piano e mi prese i fianchi tra le mani; io gli cinsi il collo con le braccia. Cominciammo a ballare dolcemente seguendo le note, avanti e indietro, specchiandoci nella tranquillità del lago, guardandoci negli occhi. Ad ogni ritornello mi prendeva per mano e mi faceva fare una giravolta, per poi tornare nella posizione iniziale.
Alla fine della canzone, unimmo di nuovo le nostre labbra, sussurrandoci “Ti amo”. Rimanemmo lì, abbracciati a occhi chiusi, per degli istanti che per chissà quale benedizione sembrarono eterni. Poi Orlando si sciolse delicatamente dalla mia stretta, e si chinò per spegnere la radio. Dal basso, mi guardò incerto sul da farsi, poi si sdraiò sull’erba, invitandomi a fare lo stesso. Una volta a terra, mi appoggiai su di lui.
- Non ti ho ringraziato abbastanza per la storia dell’aereo. – dissi.
- Tu mi ringrazi troppo per qualsiasi cosa. Non ti rendi conto che devo essere io a ringraziare te.
- Me? – appoggiai il mento sul suo petto per guardarlo in faccia.
- Dovrei ringraziarti di ogni respiro che fai, di ogni parola che dici, di ogni sguardo che lanci con quei tuoi occhi attenti. E dovrei farlo perché senza di te la mia esistenza non avrebbe tutto questo significato. Tu sei tutto per me.
Mi attirò a sé, stringendomi con forza gentile.
Rimanemmo così, nel silenzio più assoluto, non saprei dire per quanto tempo.
- Les – Orlie mi diede una carezza sull’orecchio, risvegliandomi dallo stato di dormiveglia in cui ero caduta. – sarà meglio tornare all’albergo, altrimenti domani saremo distrutti.
Il primo pensiero che mi passò per la testa mentre mi alzavo e insieme a lui mi dirigevo verso la macchina, fu che faceva freddo. Il secondo, fu che Orlando era un termosifone. Non era un pensiero logico, lo so, ma faccio sempre così quando mi sveglio.
Mi buttai sul sedile del passeggero e non spiccicai parola per tutto il viaggio dal set fino all’albergo. Mi accorsi a malapena dell’entrata nella hall, della salita in ascensore e dell’entrata della mia stanza. Il mio cervello registrò solo il saluto amabile che io e Orlando ci scambiammo davanti alla mia porta, prima che lui si ritirasse nella sua stanza. Anche con il riscaldamento, avevo freddo: mi misi addosso il pigiama più pesante che avevo – di flanella – e mi buttai a pesce sotto le coperte.

Stavo sognando di ricevere un Oscar da Dick Van Dike, quando qualcuno che bussava insistentemente alla porta mi costrinse ad aprire gli occhi. Evitai di guardare l’ora sul display del mio telefono, e andai ad aprire: mi ritrovai davanti Orlando che saltellava di qua e di là fregandosi le braccia.
- Ehi, Les – mi disse battendo i denti. – Mi spiace svegliarti, ma nella mia stanza il riscaldamento è rotto e Billy si è preso tutte le coperte pesanti e non c’è modo di svegliarlo. Cioè, ho provato a svegliarlo, ma è ancora così brillo che mi ha mandato a quel paese nel sonno.
Mi stropicciai gli occhi sbadigliando. Aprii meglio la porta spingendola con un gomito.
- Entra, guastafeste. – gli dissi. Una volta in mezzo alla stanza, affondò i piedi nella moquette bordeaux, e finalmente smise di fregarsi le braccia. Non avevo neanche acceso la luce, in modo da rendermi più facile il cammino verso la fase R.E.M.. Mi ributtai sotto le coperte, sdraiandomi prona. Orlie mi sfiorò incerto una spalla. – Les? Mi metto  per terra?
- Non fare l’idiota – bofonchiai, e scostai le coperte. Ero sveglissima, adesso. Gli ci volle qualche secondo prima di capire che cosa intendevo. Si sdraiò accanto a me, avvolgendomi con le braccia: lo spazio nel letto ad una piazza era poco. Ci accoccolammo stretti stretti, l’uno contro l’altra.
- Possibile che ci siano le zanzare anche d’inverno? – bofonchiò Orlando scacciando l’insetto ronzante che gli girava intorno.
- Forse non sono zanzare. Forse sono api. – dissi. La mia voce risuonò attutita a causa del pugno chiuso che tenevo davanti alla bocca, come una bimba piccola.
- Hai i piedi freddi – disse dopo un po’. Piegai le ginocchia, facendo frusciare le coperte.
- Lo so. Anche il mio naso lo è.
Ormai il torpore mi stava afferrando. – Sai che ho dimenticato lo stereo al lago?
- Lo prenderai…  domani… - sbadigliai. - Sai che… - sbadigliai ancora.
- Che cosa?
Non seppi proseguire: sprofondai nel sonno, cullata dai dolci battiti del suo cuore.

La lieve luce dell’alba attraversava le tende bianche della camera d’albergo, scacciando lentamente via le tenebre. Un uccellino cominciò a cinguettare, come se volesse augurare il buon giorno al mondo. In mezzo a quella calma tanto perfetta quanto irreale, guardavo dormire Orlando. Avevo aperto gli occhi da poco, ed ero ancora immersa nel dolce torpore del risveglio. Lui invece dormiva ancora profondamente, sognando chissà quale avventura fantastica. Sdraiato su un fianco, con un braccio mi circondava il fianco, e a volte sorrideva nel sonno, a volte si muoveva piano. Aggrottava le sopracciglia o muoveva la testa. Mi stupii di quanto fosse espressivo nel sonno. I capelli neri erano spettinatissimi, senza il gel che li teneva a posto. Sorrisi. Sarei rimasta in quella posizione in eterno.
Il suono trillante della sveglia ruppe l’incantesimo. Afferrai veloce il cellulare e la spensi, poi guardai orlando. Il rumore non l’aveva svegliato, ma aveva allontanato il braccio da me: meglio, contando che se non l’avesse fatto l’avrei dovuto spostare di forza, provocando uno spiacevole e alquanto sgradito risveglio.
Mi misi a sedere sul letto, affondando i piedi nella moquette, e mi passai una mano sugli occhi. L’uccellino fuori continuava a cinguettare, imperterrito. Mi alzai e mi diressi verso il bagno. Aprii l’acqua e mi sciacquai il viso, riflettendo sul programma della giornata. Erano le cinque e un quarto. La sera prima mi ero accordata con gli Hobbit per vederci tutti insieme nella hall dell’albergo alle cinque e mezza. Avremmo fatto colazione durante la seduta di trucco. Poi ci saremmo recati in uno Studio, per imparare a danzare come Hobbit e la coreografia della festa lì infatti avremo girato le scene di ballo, mentre gli esterni nella fattoria di Matamata, Hobbiton. Pausa pranzo e poi si poteva cominciare a fare le prove delle scene. Il giorno dopo avremo provato ancora, e forse avremo anche cominciato a girare.
Tornai in camera e guardai verso il letto: Orlando dormiva ancora. Si era allargato nel letto, come se nel sonno avesse percepito che mi ero alzata. Aprii l’armadio – che avevo riempito quando, il pomeriggio prima, ci avevano portato a vedere l’albergo – e indossai una tuta da ginnastica. Non sarebbe servito vestirsi bene per poi saltare e ballare in uno studio pieno di gente: chissà che sudate pazzesche! Presi una felpa pesante della Adidas e la indossai. Allacciai le scarpe da ginnastica e andai in bagno. Non sapendo come pettinare i miei nuovi capelli, decisi di lasciar perdere. Tentai di lisciarmeli con una mano, ma non servì granché.
Mi avvicinai di nuovo al letto e diedi un bacio sulla guancia ad Orlie. Lui sorrise, socchiuse gli occhi e disse, con voce ancora impastata dal sonno:
- Divertiti.
- Verrai a vedermi?
- Certo, cucciola.
Gli scombinai i capelli e uscii, chiudendo piano la porta.

Il primo che trovai nella hall fu Elijah. Stava appoggiato al bancone, scuotendosi forte i capelli. Appena mi vide, sorrise:
- Levataccia, eh?
- Non so proprio come facciate a farlo tutti i giorni. Adesso capisco come mai ti addormenti in soli quindici minuti di pace.
- Ormai mi ci sono quasi abituato.
Mi appoggiai al bancone accanto a lui. – Dove sono gli altri?
- Sean sta arrivando, Dom si è intrufolato nelle cucine (e non chiedermi come abbia fatto) e Billy… credo che Billy stia vomitando.
- Oh, andiamo, non era una sbornia così colossale, la sua!
Ridemmo.
- Alla fine ti sei divertita con Orlie, ieri sera?
- Molto. Abbiamo fatto…
- Cose da innamorati?
- Non quelle, Wood. Ma vorrei… - sospirai, sorridendo al ricordo. - … vorrei tenere ciò che abbiamo fatto solo per noi, capisci? Un ricordo solo nostro. Eravamo solo noi due, e…
- Sì, ti capisco perfettamente.
- Orlando è una persona fantastica.
- Siete molto uniti, state bene insieme. Si vede che vi amate. – Arrossii. – Oh, eccoli che arrivano!
Dominic, Billy e Sean si stavano avvicinando strisciando i piedi e sbadigliando, più o meno come avevo fatto io solo pochi minuti prima. Billy in particolare aveva la faccia sbattuta, ma aveva sempre il suo sguardo sveglio. Dominic reggeva tra le braccia almeno sette croissant, tutti marroncini e croccanti. Sean era impeccabile, come sempre. Ci raggiunsero in pochi passi e ci salutarono.
- Hai vomitato, Billy? – chiesi innocente. Mi fulminò.
- No, per tua fortuna.
Ridotta ad una statua di sale, indicai Elijah con l’indice. – L’idea era sua.
Elijah sorrise colpevole. Billy sogghignò. – Non ti preoccupare, piccola Les. Ho lo stomaco duro, io. Non vomito molto spesso.
- La cosa che mi sorprende è come riusciate a parlare di vomito alle cinque e mezza del mattino. – ci informò Sean lapidario.
- Chi vuole un croissant? Assortimento vario, assortimento vario! – annunciò Dom come un pescivendolo al mercato, cacciandoci in mano un croissant a testa. Alla fine lui ne aveva tre in mano, gli avanzati.
- Sarà meglio se cominciamo ad andare, gente, altrimenti faremo tardi. – dissi.
- Devi avere un buon motivo per essere così di fretta. – disse Dom addentando uno dei suo croissant mentre uscivamo dall’albergo.
- Più di una – risposi. – Tanto per cominciare, devo sistemare questa balla di fieno – indicai i miei capelli. Sorrisi e addentai il croissant. Ripieno di albicocca. -  E poi sono un Hobbit a metà. Finchè non avrò le protesi anch’io non sarò mai Hobbit completo!
- Non fa una piega – commentò Sean.
- Vabbè, ragazza, andiamo!

Ecco un altro capitolo! Nel prossimo inizieranno le riprese di Hobbiton! Spero che vi sia piaciuto!
   
 
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