Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: ArashiStorm    28/08/2011    0 recensioni
La silenziosa vita di Doumeki prima dell'incontro con Watanuki
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Haruka Doumeki, Kimihiro Watanuki , Shizuka Dômeki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Nel silenzio…
Fandom: xxxHOLiC
Rating: Verde
Spoiler: sottintesi di tutta la serie, ma probabilmente non si notano
Personaggi: Doumeki
Parole: 1075 (Word)
Disclamer: xxxHOLiC e i suoi personaggi sono proprietà del maestre CLAMP
La canzone da cui proviene la citazione è Saying Nothing di THEA GILMORE
Note: scritta per il contest “Wordsmith” indetto da [info]harriet_yuuko

Team Gilmore:

Citazione:

1. I'm saying nothing, it makes my feelings
just a little louder
(Saying nothing)


Non era mai stato un bambino loquace. Fin da piccolo aveva imparato l’importanza e la bellezza del silenzio che l’aveva sempre circondato. Lui primogenito di una famiglia che portava avanti un grande tempio. Primogenito maschio e come tale in pericolo, gli avevano spiegato quando era troppo piccolo per capire. Ma non aveva rifiutato, non un lamento, non una parola, quando gli avevano fatto indossare un kimono colorato, con ricami di fiori rosa tenuto fermo da un grande obi con un fiocco elegante. Un kimono femminile, per nasconderlo da occhi bramosi di esseri a lui invisibili, un kimono femminile per proteggerlo.

Si era guardato allo specchio il primo giorno che suo nonno lo aveva vestito in quel modo. Cappelli lucidi tagliati leggermente più lunghi di un caschetto e quel kimono così da bambina. Aveva alzato gli occhi verso l’uomo accanto a lui, non una parola ma tante domande in quello sguardo apatico e che non era per nulla quello di un bimbo della sua età. Il monaco si era inginocchiato di fronte a lui, una carezza gentile sulla testa del nipote e un sorriso dolce su quel volto adulto prima di iniziare a spiegargli cose che sapeva non avrebbe capito, non ora, ma che in futuro gli sarebbero state chiare.
Ascoltava Shizuka, in silenzio, come sempre. Ascoltava quei discorsi di spiriti ed esorcisti, discorsi che avrebbero fatto avere incubi a tutti i bambini, ma lui ascoltava senza scomporsi, senza ribattere senza fare domande inutili. Suo nonno avrebbe risposto a tutte quelle che avrebbe saputo distinguere, intervallate da un battito di ciglia e l’altro, nei suoi piccoli occhi.

L’aveva preso in braccio quel giorno, lo aveva portato fuori nel giardino del tempio. Era notte, un’ora nella quale i bambini della sua età già dormivano da tempo, ma Haruka doveva mostrargli quel mondo, senza farglielo vedere con gli occhi, perché lui, piccolo e già potente, non poteva vedere ciò che la sua strabiliante aura spirituale già cominciava a repellere.

Ma Haruka sapeva che mostrare qualcosa non significava necessariamente renderlo percepibile alla vista.

L’aveva portato in giardino, un dolce peso nelle sue braccia di uomo non più giovane ma non ancora vecchio. Gli aveva indicato un punto al di là dello steccato di legno che circondava il tempio. Oltre le fronde dell’albero di ciliegio secolare che dolcemente regalava al vento piccoli petali rosati.
Gli spiriti danzavano quella notte, in festa per l’arrivo della primavera. Shizuka non li vedeva ma il suo cuore poteva percepire qualcosa di diverso, qualcosa di magico nell’aria. Erano spiriti allegri quelli, gentili, non le nuvole di fumo che fin troppo spesso tentavano di oltrepassare le barriere di purezza di quel luogo sacro. Era piccolo Shizuka, era troppo pericoloso mostrargli quelle nuvole color della pece. Nessun bambino dovrebbe mai avere a che fare con cose come quelle, purtroppo però non era sempre così, Haruka sapeva che li fuori sicuramente già c’era qualche piccola anima che combatteva contro quelle nubi oscure. Ma prima o poi sarebbe arrivato qualcuno a riportare il sereno anche li dove ora c’era solo paura. Haruka lo sperava davvero, con tutto se stesso, mentre abbracciava stretto a lui il suo piccolo, ma già prezioso, nipote.

Era cresciuto adesso, e ora che avrebbe potuto capire quelle parole, ora che non c’era più bisogno di kimoni da donna per proteggerlo, ora che era un ragazzo alto e robusto, ora… non c’era più quel grande uomo a elargire spiegazioni e sorrisi. E senza quelle spiegazioni Shizuka si ritrovò a vivere in un silenzio ancora più profondo.
Ma la vita doveva andare avanti. In silenzio i giorni passavano, lui cresceva sempre più robusto, sempre più forte. Era l’uomo di casa e di quel tempio si era addossato tutti i compiti più gravosi. Sua madre non poteva fare lavori troppo pesanti. Shizuka voleva proteggere quella donna gentile che gli era sempre stata vicino, una madre che l’aveva messo al mondo e che si rivolgeva a lui con rispetto, perché lui era l’unico uomo ora in quel tempio dove ancora vivevano antiche usanze.
In quel tempio dove viveva solo con la madre si ritrovava a suo agio, li non c’era bisogno di parole per conversare con il vento e con gli alberi, con la luce che entrava dalla carta degli shoji, con le stelle che brillavano chiare in cielo, silenziose ancelle della Luna che come lui si muoveva nell’universo sembrando però sempre ferma al suo posto, senza una voce eppure attenta osservatrice del mondo.
Nel suo mondo Shizuka si guardava attorno e aveva imparato a sentire il suono di un petalo che cadeva sul selciato del giardino, di un passero che saltellava sul porticato di legno, di un una goccia di pioggia che colpiva delicata una foglia in una mattina d’inverno.

Viveva nel silenzio da sempre e pensava che mai ciò sarebbe cambiato.

Finchè un giorno incontrò il mare.

Un ragazzo con gli occhi d’oceano e la pelle nivea e bianca come la spuma delle onde che si infrangono sulla costa scendeva tranquillo le scale della scuola. Ma bastò un solo sguardo nella sua direzione perché quel mare si trasformasse in una burrasca che lo travolse sotto forma di un calcio volante. Un maremoto lo investì quel giorno portandolo via con sé, senza che lui potesse opporsi trascinandolo inesorabilmente verso quel mondo di cui suo nonno gli aveva accennato parole confuse.

Watanuki era davvero come il mare. Calmo e navigabile a volte, ma bastava un cambio di vento per far nascere le onde della rabbia in lui e allora erano rovesci di insulti e temporali di urla. Ma era un mare pieno di vita quello che si agitava nel cuore di Watanuki, un mare che andava protetto e conservato perché i frutti che portava con sé erano troppo preziosi per andare perduti. Era un mare minacciato da quegli oscuri esseri di cui suo nonno gli aveva parlato, quelli da cui lui stesso si era nascosto tra i tanti strati di kimono femminili che aveva indossato da bambino. Ma Shizuka ora era forte, poteva, e voleva proteggere quel mare rumoroso che però sapeva anche cullarti dolcemente sulle sue acque. Poteva proteggerlo e l’avrebbe fatto sempre, silenziosamente, osservandolo senza perderlo di vista mai. Anche quando le sue due iridi si sarebbero spente i suoi occhi non avrebbero mai smesso di osservare colmi di protezione e affetto quel mare azzurro.

Egli era Doumeki, il demone dai cento occhi, e anche uno solo di quegli occhi parlava più forte di milioni di parole.
  
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