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Autore: Ireth_Mezzelfa    29/08/2011    1 recensioni
"Alla fine ho mollato tutto; tutto il resto intendo: ho mollato la scuola, ho mollato la casa, gli amici e il mio paese. Ho seguito lui e per forza di cose, quando ho scelto lui, ho scelto anche la band." Anche quando sei alla deriva, sballottato dalle tue stesse scelte, anche in quel momento, puoi aprire gli occhi e scegliere di decidere ancora tu. Una storia di musica e di domande, una ragazza che si trova immersa fino al collo in una vita che non le appartiene, tra strumenti musicali, notte folli e un amore confuso. Ma in fondo non era tutto ciò che aveva sempre desiderato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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But you look so good it hurts sometimes



Capitolo I




Siamo noi due qui, e sento la tua voce e sento la tua musica, che è solo per me.
Lo è sempre stata, tutte le note che sono state scritte,
sono state create per stanotte.



 


Non so come sono arrivata qui, ma sicuramente mi stavo chiedendo come ero arrivata a quella stupida fermata della metro nella periferia di Londra, seduta al freddo umido di una panchina con in mano un cavalletto e la pesante custodia del mixer. Sarà che era un momento di lucidità più vivido del solito, ma quando mi vidi lì, a tirare su con il naso, impregnata di tanta umidità e grigiore, con una felpa non mia e puzzolente buttata addosso, non riuscii a sentire altro che una domanda indefinita che si diffondeva in tutto il corpo e si fermava di piombo nello stomaco. Ero persa, totalmente incapace di tornare in me, stavo lì a fissare un vaso accanto alla panca, pieno di terra e pianticelle morte dal freddo che appassivano insieme a mozziconi di sigaretta e chewing gum.

Ma, come sempre, il tempo di rimanere con sé stessi, è poco, che siano gli altri a volerlo o tu stesso: Christos con la sua testona di riccioli accompagnato dal suo corpaccione, scese chiedendomi frettolosamente aiuto per portare la chitarra di Jacob, pericolosamente appoggiata sopra la cassa che il ragazzo portava e trattenuta con il mento. La metro passò.
“Oh, vaffanculo.” Imprecò lui posando la cassa mentre io cercavo di non alzare lo sguardo sul cielo vuoto e  opaco che sapevo avrei visto oltre la tettoia sotto cui eravamo.
Intanto arrivarono tutti gli altri, bagnati, incappucciati e grigi quanto quel momento, curvi sotto il peso degli strumenti e dell’attrezzatura: Jacob, Lefteris, Dionisis, Makis e infine Alexandros ed Helena.
E mentre io mi domandavo com’era possibile che io fossi lì con loro, com’era iniziata, forse è meglio che cominci a dire io chi sono, o meglio, chi ero.

Mi chiamo Cecilia come la santa che protegge i musicisti(sarà forse per questo che è andata così? Non lo so.)sono italiana e ho vent’anni. Quando ne avevo sedici è successo che è cominciata, con una vacanza in Grecia, ho incontrato Alexandros e questo può non voler dire proprio niente, invece vuol dire proprio tutto. Mi sono innamorata, sul serio, da impazzire. E, sarà che le storie a distanza hanno un sacco di quel pathos travolgente, ma io bruciavo ogni giorno di passione e non sono riuscita a far altro che andare avanti per due anni pieni di quei drammi che solo due persone con un mare in mezzo, possono capire. Alla fine ho mollato tutto; tutto il resto intendo: ho mollato la scuola, ho mollato la casa, gli amici e il mio paese. Ho seguito lui e per forza di cose, quando ho scelto lui, ho scelto anche la band.

Ho scelto i Jump-In, quell’uragano travolgente di funk, risate, ritmi assurdi, cene alle quattro del mattino e notti pazze. Ho scelto loro.
E in quella bigia sera, seduta su quella panchina un po’ ammuffita, sotto quel cielo scolorito, uno dopo l’altro passai in rassegna le mie scelte, i miei compagni di quella vita che solo in quel momento mi rendevo conto fosse la mia.
Guardai Lefteris, il boss, il capo, il frontman. Cantava e suonava agitandosi, su e giù, come un folletto appoggiandosi alla sua tastiera zebrata, con la sua corporatura minuta, i suoi abbigliamenti strani, il suo fintissimo accento americano che calamitava le donne. Lefteris era ed è il donnaiolo spudorato più di classe che io abbia conosciuto: non so se fossero i suoi occhi chiari troppo vicini, il suo sguardo troppo malizioso, le sue sopracciglia troppo folte o la sua voce un po’ troppo graffiante, ma affascinava; e a volte mi viene da pensare che fosse proprio l’ insieme di difetti a renderlo intrigante.
L’unica a non aver mai ceduto alle avance di Lefteris era Helena, la voce femminile, la più grande del gruppo. In lei tutto sembrava soffice e materno: gli occhi color nocciola, i capelli castano chiaro che le incorniciavano i lineamenti dolci e le curve morbide. Ma era tutt’altro sul palco e la sua voce potente rispecchiava il suo carattere deciso, maturo, onesto e fermo. A ventiquattro anni Helena era già una donna forte, la donna del gruppo.
Lo stesso non si poteva dire per Christos, detto Big C., lui era morbido dentro e fuori e io lo adoravo. Suonava il trombone e sicuramente non gli mancava fiato in quel suo corpo robusto e soffice. Era sempre pronto a una una battuta o a una freddura pronunciata con il suo tono pacioso e allegro; e i suoi abbracci erano qualcosa di impagabile, come entrare in un budino, con la testa immersa nei suoi riccioli neri e disordinati. Un vero e proprio cuscino umano perfetto per il freddo e la piog…
“Ceci, muoviti!”
Big C. si era voltato mentre lo osservavo immersa nei miei pensieri e solo in quel momento mi resi conto di essermi completamente estraniata dalla realtà, dalla stazione piovosa e dalla metropolitana che in quel momento stava per partire con i ragazzi e gli strumenti sopra. Quando mai era arrivata, porca paletta?!
Il mio soffice amico mi prese per il braccio e mi trascinò dentro dove mi fece sedere su un sedile rimasto libero poi mi gettò in braccio la chitarra di Jacob: praticamente occupavamo tutta lo scomparto tra strumenti e borse vari, ma sulla metro non c’era quasi nessuno.
Rimasi un po’ intontita dal cambio di ambiente, le luci al neon illuminavano le facce di Dionisis, Makis e Jacob seduti di fronte a me.
Ripresi a estraniarmi dal mondo pensando al loro, alle mie scelte. Mi voltai verso Alexandros, guardava fuori dal finestrino con l’aria sfinita che tutti noi avevamo.
Le mie scelte, la mia scelta.






Ok,  sto probabilmente commettendo un delitto perché non scrivo da tantissimo e questa storia si sta creando poco a poco nella mia mente quindi gli aggiornamenti saranno incostanti, molto corti e probabilmente senza il minimo senso. Per di più non so come possa essere il tutto, potrebbe molto probabilmente essere uno schifo. Comunque ora la smetto di denigrarmi e lascio a chi vuole leggere l’ardua sentenza. J E’ la mia prima long Originale e sono completamente terrorizzata perché tengo molto ai suoi personaggi. Siate clementi, se ci siete.

Buona Lettura,


Ireth

L'immagine all'inizio non mi appartiene, tutti i copyright sono di   http://weheartit.com :)

  
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